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Autore: _YouKnowWho_    16/12/2012    1 recensioni
SPOILER per chi non ha visto la 4x10.
Dal testo:
«Ho il cancro alla prostata» e mentre diceva questo si voltò a guardare Kurt in viso.
Il ragazzo rimase immobile, colpito da quelle ultime parole. No, il padre non poteva avere il cancro. Aveva già avuto un infarto, non poteva. Kurt sospirò, sentendo tutta la felicità, che lo aveva riempito fino ad allora per essere lì con suo padre, scivolare via in un attimo.
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Burt Hummel, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Salve a tutti ^^ 
Mentre vedevo la 4x10, dopo la notizia di Burt il mio cervello ha iniziato a immaginare tutta la storia (favorita anche dalle parole di Ryan che tempo fa disse che Kurt dovrebbe sposarsi a 21 anni) e non ho potuto non scrivere questa FF çç Mentre lo facevo, però, mi sono sentita male, sopraffatta dalle emozioni, e non scherzo.
Stavo così male che non riuscivo a rileggerla per correggerla, quindi vorrei ringraziare chi l'ha fatto per me, un grazie alla mia amica Ile 
Inutile dire che spero come non mai che quello che ho scritto rimanga solo una mia FF e che nel telefilm vada tutto in modo completamente diverso.
Spero vi piaccia, nonostante quello di cui parla (ç___ç), e mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate (u.u).
Buona lettura 
Fefè
 

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«Devi promettermi di stargli accanto. Senti, sono arrabbiato, e molto, perché lo hai fatto soffrire… Ma capisco che ti sei pentito e ora devi rimediare».
Queste erano le parole che Burt Hummel stava dicendo a Blaine Anderson. Burt era andato a trovare l’ex ragazzo di suo figlio a casa. La signora Anderson aveva aperto la porta e aveva mandato Burt in camera di Blaine, che lo accolse, domandandogli perché fosse lì.
«Devo parlarti» aveva detto l’uomo, entrando nella stanza.
Blaine era steso sul letto a pancia in giù e stava facendo i compiti. All’entrata di Burt si era alzato, lo aveva salutato e gli aveva porto la mano quando l’uomo si era avvicinato e si era seduto sul letto.
«Blaine, non voglio dire inutili parole, quindi andrò dritto al punto, ma vorrei che mi stessi a sentire con attenzione» aveva iniziato il signor Hummel e poi aveva sospirato sonoramente, mentre Blaine aveva annuito. «Ho il cancro alla prostata» aveva detto Burt, con voce seria.
Un’espressione di tristezza e dispiacere era apparsa sul volto di Blaine.
«M… mi dispiace» aveva mormorato.
«Anche a me» aveva detto Burt. «Ma sai soprattutto perché? Perché lascerei Kurt senza un genitore. Ha già perso sua madre, non voglio che perda anche me».
Blaine non aveva risposto, abbassando lo sguardo pieno di tristezza sul pavimento.
«Ma purtroppo non posso far niente per evitarlo» aveva continuato Burt e Blaine alzò la testa per guardare l’altro in viso.
«Quindi… morirai?» aveva domandato, con una breve pausa prima di pronunciare l’ultima parola.
«Non lo so» aveva risposto Burt. «Ma se dovessi andarmene…» e aveva fatto una pausa chiudendo gli occhi. Quando aveva ripreso, la voce tremava. «Devi promettermi di stargli accanto. Senti, sono arrabbiato, e molto, perché lo hai fatto soffrire… Ma capisco che ti sei pentito e ora devi rimediare».
«Vorrei» mormorò allora Blaine, che alzò e spalle. «Ci sto provando, non posso far altro che aspettare che mi perdoni. Kurt è l’amore della mia vita» disse e Burt accennò un sorriso.
Riusciva a cogliere la sincerità nei grandi occhi ambrati di Blaine e vedere qualcuno che amava così tanto suo figlio lo rendeva felice.
«E sono stato un idiota. Ma non voglio rinunciare a lui» continuò il ragazzo.
Burt annuì.
«Lo so. E so che anche Kurt ti ama, devi solo dargli tempo» disse.
I due rimasero in silenzio, distogliendo lo sguardo e guardandosi intorno, pensando entrambi alla stessa persona. Ad un tratto il signor Hummel parlò ancora.
«Blaine, ti… ti sto chiedendo di prenderti cura di lui se dovessi…» mormorò.
Blaine lo fermò con la mano.
«Sì, ho capito» disse. «Se Kurt lo vorrà io ci sarò».
 
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«Kurt, devo dirti una cosa, e sono venuto qui perché è il genere di cosa che voglio dirti faccia a faccia».
Mentre diceva questo Burt si rigirò la tazza di cioccolata calda che stava per bere tra le mani. Lui e Kurt erano in un bar a New York, insieme, dopo aver visto un musical. L’uomo, infatti, aveva raggiunto il figlio nella Grande Mela per passare quelle festività con lui e, come aveva appena detto, per dirgli una cosa di fondamentale importanza.
«Non mi piace come suona» commentò Kurt, che prese un fazzoletto per pulirsi la mano visto che aveva mangiato la panna sopra la cioccolata con un dito.
Burt iniziò a parlare veloce e deciso, guardando un punto indefinito davanti a lui.
«Senti, te lo dico chiaro e tondo, perché non c'è altro modo per dirlo…» disse e poi fece una pausa. «Ho il cancro alla prostata» e mentre diceva questo si voltò a guardare Kurt in viso.
Il ragazzo rimase immobile, colpito da quelle ultime parole. No, il padre non poteva avere il cancro. Aveva già avuto un infarto, non poteva. Kurt sospirò, sentendo tutta la felicità, che lo aveva riempito fino ad allora per essere lì con suo padre, scivolare via in un attimo.
«Mi sento male» sussurrò, abbassando lo sguardo sulla cioccolata calda che aveva tra le mani.
Burt continuò a guardare il figlio, immaginando cosa ci fosse nella sua testa.
«No, no... ehi, guardami» esclamò.
Doveva consolarlo in qualche modo.
«Sembro uno che sta per morire?» disse. «L'abbiamo preso in tempo. Sai, localizzato, non diffuso. Quasi il 100% di possibilità di guarigione» spiegò, anche se non era tutto vero.
L’uomo prese uno degli stuzzichini davanti a sé, ma Kurt subito allontanò il piatto.
«Per le persone sane, papà» ribatté il ragazzo. «Hai già avuto un attacco di cuore» osservò, triste e preoccupato.
«Quell'attacco di cuore» rispose Burt, continuando a masticare lo stuzzichino, «è ciò che mi ha fatto fare due controlli all'anno».
Kurt fissò il ripiano davanti a sé, mentre parlava, facendo attenzione alle parole scelte, prima di alzare la testa per guardare il padre negli occhi.
«Mi fa paura pensare che quando ho finalmente realizzato il mio destino, tu potresti non esserci per vederlo».
«Ehi» mormorò Burt, alzando un braccio e posandolo sulla spalla del figlio. «Ci sarò. Te lo prometto».
Strinse leggermente la mano, con fare affettuoso, mentre Kurt sospirava. Poi il signor Hummel rimosse la mano e la posò sul tavolo.
«Posso darti solo un piccolo consiglio mentre parliamo ancora da padre a figlio?» continuò allora Burt.
Doveva cercare di rimanere impassibile, ma era nervoso per quello che stava per dire, così mosse la testa da un lato all’altro, un po’ agitato, mentre parlava. Ma doveva dirglielo, affinché capisse di dover riavvicinarsi a Blaine. E poi davvero credeva nelle parole che avrebbe formulato.
«E' la terza volta che guardo la morte in faccia» continuò. «E lo sai cosa ho capito da tutto questo? Devi tenerti vicine le persone che ami, a qualunque costo».
“Anche perché non puoi sapere per quanto ti rimarranno accanto” concluse mentalmente.
 
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Due anni dopo.
«Sono distrutto» disse Blaine, buttandosi sul divano.
Era appena tornato da una lunga e faticosa lezione di danza della NYADA. Aveva fatto la domanda ed era stato preso, così lasciato il liceo era partito per New York ed era andato a vivere con Kurt e Rachel. Ormai Kurt era di nuovo il suo ragazzo, da più di un anno. Kurt era riuscito a ritrovare la fiducia che aveva perso e Blaine non aveva commesso più errori.
In quel momento il telefono di Kurt squillò ed arrivò anche la voce di quest’ultimo che chiedeva a Blaine di vedere chi fosse. Questi, allora, si alzò in piedi e raggiunse il tavolo su cui era posato l’apparecchio. Sul display era comparso il nome ‘Carole’.
«Pronto?» rispose allora Blaine.
«Blaine! Sono Carole, c’è Kurt?» domandò la voce della donna dall’altra parte della cornetta.
Sembrava stanca e preoccupata e Blaine si spaventò.
Proprio in quel momento Kurt arrivò dal bagno, con uno spazzolino in bocca, chiedendo con i gesti chi fosse.
«E’ Carole» rispose allora Blaine. «Kurt è qui, un attimo» disse poi nel telefono e passò l’apparecchio a Kurt.
Kurt lo prese e corse in bagno a sciacquarsi un attimo la bocca.
«Pronto?» disse poi quando ebbe finito.
«Ciao Kurt» rispose la voce di Carole e anche il nuovo interlocutore colse la caratteristica del tono della donna. «Ti ho chiamato, perché…»
Ma si fermò.
«Carole, papà sta bene, vero?» disse subito Kurt.
Negli ultimi tempi il tumore si era aggravato e il ragazzo aveva paura più che mai di perdere il padre.
«Ad essere sincera non tanto» ammise la donna. «Non voglio dirti bugie, in questo momento è in ospedale per nuovi controlli. Mi chiedevo se potessi venirlo a trovare in questi giorni» spiegò.
Alla notizia Kurt aveva chiuso gli occhi, ma alla richiesta li riaprì e guardò Blaine, lì in piedi davanti a lui.
«Certo, potrei venire nel fine settimana» rispose il ragazzo.
«Allora ti aspettiamo» rispose Carole e poi salutò, prima di chiudere la telefonata.
Kurt rimase ad osservare il telefonino e sospirò.
«Cosa è successo?» chiese Blaine, preoccupato, il terrore che si vedeva sul volto.
Kurt alzò la testa per guardarlo.
«Papà è in ospedale per controlli, la situazione sembra peggiorare a quanto ho capito» rispose.
Il tono di voce era tremolante e distaccato, come accadeva ogni volta che parlava del padre e della sua condizione. Questo perché era terrorizzato. Terrorizzato di perdere anche lui, la sua famiglia. Non riusciva ad immaginare una vita senza di lui. Dopo la morte di sua madre Burt era stato sempre lì a sostenerlo, ad aiutarlo, ad essere suo padre. E non sapeva se sarebbe riuscito a superare la sua… no, non voleva pensarci.
«Nel weekend torno a casa, ti andrebbe di venire con me?» chiese, allora, Kurt al suo ragazzo.
Blaine si avvicinò a lui e lo abbracciò, stringendolo in una presa rassicurante.
«Certo» rispose. «Sarò con te».
 
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«Non sappiamo quanto gli rimane da vivere. Le cure sembrano non funzionare» stava dicendo il medico.
Kurt aveva accompagnato Carole a parlare con questi, dopo gli ultimi controlli di Burt, e la notizia aveva scioccato entrambi che ora rimanevano immobili e in silenzio di fronte al dottore.
«Cosa significa che non sapete quanto gli rimane da vivere?» domandò Kurt. «Morirà?» chiese.
“No. No. No. No. No. No. No”.
Era questo ciò che si ripeteva in mente. No, suo padre non poteva morire. Kurt sentiva tutte le certezze della sua vita scivolare via. Senza suo padre la sua vita non avrebbe avuto senso.
«Signor Hummel, mi dispiace, ma quello che abbiamo fatto non è servito a molto» spiegò il medico. «Non resta che vivere al massimo questi ultimi giorni, settimane, mesi, chi lo sa…» disse, dando una leggera pacca al braccio di Kurt, come se volesse incoraggiarlo. «Mi dispiace» ripeté, rivolto a Carole, che aveva messo il viso in un fazzoletto per asciugarsi le lacrime che avevano iniziato a scorrerle sul volto.
Quando diedero la notizia a Burt lui non sembrò sconvolto, né sorpreso. Lui, Kurt e Carole erano seduti al tavolo della cucina di casa Hummel.
«L’ho capito» disse. «Sono sempre meno forte» mormorò.
Carole ancora una volta aveva il viso bagnato dalle lacrime e Burt allungò una mano per posarla su quella della moglie che strinse.
«Non sono spaventato. Sono solo triste di lasciarvi qui così improvvisamente» ammise, sincero.
Carole singhiozzò e Burt le strinse ancora di più la mano. Kurt osservava la scena con occhi umidi e Burt si voltò verso di lui.
«Sono triste di lasciarti, quando ancora hai tutta la vita davanti e avrei voluto vederti crescere ancora, prendere parte al più grande musical di tutti tempi a Broadway, sistemarti, creare una famiglia. Ma sappi che sono così orgoglioso di te, di quello che sei diventato. Sono felice che tu sia mio figlio».
Quando ebbe finito di pronunciare queste parole anche Burt aveva le lacrime agli occhi, mentre sul viso di Kurt le guance erano ormai bagnate.
 
-
 
«Mi dispiace» disse Blaine, abbracciando Kurt.
Quest’ultimo aveva raccontato tutto al suo ragazzo e ora si stava lasciando consolare, perché ne aveva bisogno. La sua vita non era stata certo facile, ma quel momento era il più brutto di tutti, insieme a quello in cui aveva perso sua madre.
Kurt iniziò a piangere copiosamente sulla spalla di Blaine, come non aveva fatto di fronte al padre. Aveva cercato infatti di trattenersi, perché non voleva rendere la situazione ancora più difficile.
Blaine lo lasciò sfogarsi, gli mormorò parole che dovevano essere di conforto, ma che non lo furono molto, perché in quella situazione non c’era una consolazione.
Ad un tratto Kurt si mosse repentinamente e si staccò da Blaine, in modo da avere il viso dell’altro di fronte al suo e lo guardò con i suoi occhi cerulei arrossati per il pianto.
«Blaine, sai quanto ti amo e so che sei l’uomo della mia vita» iniziò e Blaine iniziò a chiedersi dove volesse andare a parare con quel discorso, ma non disse niente, ascoltando attentamente le parole di Kurt. «Io… mi… mi chiedevo se…» continuò quest’ultimo, tentennando e cercando le mani di Blaine.
Quando l’ebbe prese le strinse e poi disse, quasi tutto d’un fiato.
«Mi chiedevo se volessi sposarmi».
Blaine spalancò gli occhi sorpreso, non si aspettava una richiesta del genere.
«Mio padre ha detto che avrebbe voluto vedermi costruire una famiglia» continuò Kurt, prima di aspettare una risposta. «Ma io sono certo che la mia famiglia sei tu. E perché aspettare quando potremmo farlo ora, cosicché mio padre…»
«Sì».
Blaine aveva risposto deciso, intrecciando le proprie dita con quelle di Kurt.
«Sì, voglio sposarti, perché ti amo e anche io so di voler passare la mia vita con te» mormorò, accennando un sorriso dolce e da innamorato. «E credo che lo dobbiamo a Burt, che ha sempre creduto in noi» disse.
Kurt accennò un sorriso, che sembrava quasi una smorfia, dato che stava riprendendo a piangere. Lasciò le mani di Blaine e si avvicinò a dargli un bacio e poi ad abbracciarlo.
«Ti amo» sussurrò, mentre era stretto a lui.
«Ti amo anch’io» rispose Blaine, rispondendo all’abbraccio.
 
-
 
Il matrimonio fu preparato in fretta e tenendo all’oscuro Burt di tutto. Fu prenotato il luogo della cerimonia e l’officiante. Furono mandati gli inviti a tutti i vecchi compagni che avevano fatto parte dei Glee Club del McKinley e della Dalton quando loro andavano a scuola e a un paio di compagni della NYADA. Nonostante tutta la tragica situazione in cui si trovavano erano felici per questo matrimonio perché davvero sentivano le parole che si erano scambiati il giorno della decisione.
E quando il giorno del matrimonio arrivò, loro erano davvero felici. Avevano deciso di smettere di pensare a tutte le preoccupazioni di quel periodo e di concentrarsi solo per rendere quella giornata perfetta. Quando arrivarono alla sala prenotata, gran parte degli invitati era lì, intrattenuti da Finn e Rachel che si erano dimostrati più che disponibili nella preparazione di quella cerimonia.
Nell’ora che seguì arrivarono gli altri.
C’erano tutti.
La famiglia di Blaine, con il famoso fratello Cooper. Sebastian, Nick, Jeff, Wes e tutti gli altri Usignoli invitati erano lì. E anche i vecchi membri delle Nuove Direzioni con cui avevano affrontato tantissime esperienze indimenticabili erano pronti a sostenerli in quel giorno così importante per loro.
Mancavano solo Burt e Carole. La donna doveva convincere il marito a seguirla e ci riuscì, visto che dieci minuti dopo dall’arrivo di tutti, i due varcarono la porta d’ingresso dell’edificio. Kurt li stava aspettando sulla soglia socchiusa.
«Ciao papà» disse e si avvicinò ad abbracciarlo.
«Kurt, cosa sta succedendo?» chiese Burt, incuriosito da tutta quella situazione, che stava indicando lo smoking che Carole gli aveva detto di indossare.
Kurt gli sorrise sincero.
«Vedrai» mormorò. «Però ora ho bisogno di te» disse. «Ho bisogno di mio padre che mi accompagni all’altare» spiegò e Burt spalancò gli occhi, stupito da quelle parole.
«Altare…? Kurt, cosa significa?» chiese, ancora.
Kurt osservò intensamente il padre.
«Significa che mi sto per sposare. Non avrei mai potuto immaginare il mio matrimonio senza di te» ammise, sincero. «Ora è meglio andare, non facciamo aspettare ancora gli ospiti».
Carole andò davanti a loro, per dire di iniziare con la musica, ma in quel preciso momento Burt si avvicinò a Kurt e lo strinse in un abbraccio caloroso e pieno di amore.
«Ti voglio bene Kurt» mormorò.
Poi si staccò e si asciugò le lacrime che iniziavano a solcargli il viso e porse il braccio al figlio che lo prese e insieme entrarono nella stanza, accolti da una moltitudine di applausi. Burt accompagnò il figlio attraverso la sala fino al banco dove era seduto il delegato che avrebbe celebrato la cerimonia civile e davanti cui c’era Blaine che aspettava il suo ragazzo con occhi luccicanti. La cerimonia che seguì fu semplice e Burt non smise di piangere, continuando a guardare la scena che lo stava rendendo davvero felice.
Sapeva che forse era presto per i due ragazzi sposarsi, ma il fatto che in quel modo stava assistendo al matrimonio di suo figlio prevalse e durante i giuramenti dovette prendere la mano della moglie per cercare di tenere a freno i sentimenti che lo invadevano. Quando la cerimonia fu conclusa, Burt si alzò e andò ad abbracciare il figlio.
L’abbraccio durò un’infinità, mentre i presenti li guardavano un po’ con compassione, un po’ con commozione, un po’ con gioia nel vederli ancora insieme. Poi Burt si avvicinò a Blaine e abbracciò anche lui, dandogli ufficialmente il benvenuto nella loro famiglia e  raccomandandogli di trattare Kurt come meritava.
Tutti gli invitati si spostarono nella sala dove avrebbero continuato a festeggiare. I presenti dedicarono molte canzoni ai novelli sposi e la giornata avanzò tra festeggiamenti che oscurarono, sebbene temporaneamente, le preoccupazioni di quel tempo che rimasero sempre come un’ombra incombente, ma che non erano il loro primo pensiero. Anche quando Burt fece il suo discorso.
L’uomo salì sul palchetto lì allestito e prese il microfono. Si voltò ad osservare il figlio e le lacrime gli tornarono agli occhi.
«Buonasera, sono contento di essere qui e di aver avuto la possibilità di assistere alle nozze di mio figlio. Sono certo che Blaine è la persona di cui ha bisogno al suo fianco» mormorò, sorridendo a Blaine, che alzò il bicchiere che aveva in mano. «La prima volta che lo vidi» continuò Burt, «è stato nel letto di mio figlio, ubriaco*, senza che sapessi della sua esistenza».
In sala furono molti a ridere a quelle parole e lo stesso Burt sorrise al ricordo.
«Eppure subito dopo, riuscii a capire che grande persona fosse e quanto amasse Kurt» disse. «E in questo momento sono l’uomo più felice sulla faccia della Terra, perché mio figlio… oh, ecco che mi sto emozionando» disse, quando la voce si era incrinata su ‘figlio’, a causa delle lacrime.
Partì un applauso e Burt vide che anche Kurt stava piangendo.
«Solo… Kurt, ti voglio bene ed auguro a te e a Blaine di trascorrere la vostra vita al meglio» disse e, lasciato il microfono, andò a sedersi, perché si sentiva ancora sopraffare dalle emozioni.
I festeggiamenti andarono avanti e ad un tratto l’uomo si ritrovò a fissare i due sposi ballare insieme. Non poté evitare di pensare a quel pomeriggio di due anni prima, quando aveva chiesto a Blaine di rimanere accanto a Kurt, perché non sapeva cosa gli sarebbe successo.
E Blaine aveva mantenuto la promessa e Burt non poteva essergli più grato di come fosse.
Non avrebbe lasciato Kurt completamente solo.
 
-
 
Kurt e Blaine scesero dall’aereo e corsero a prendere il primo taxi. Quando arrivarono all’ospedale, corsero verso l’ingresso e poi si diressero velocemente nella stanza dove Burt era ricoverato.
«Papà!» esclamò Kurt, quando entrò nella stanza.
Il signor Hummel sorrise dolcemente al figlio e salutò sia lui che Blaine, con voce debole.
I due ragazzi rimasero con l’uomo tutto il giorno. Durante la sera, prima della fine dell’orario delle visite, Blaine andò a prendere del caffè al bar e padre e figlio rimasero soli.
«Papà, ti voglio bene» sussurrò Kurt, nel silenzio che si era creato.
Il ragazzo era seduto accanto al letto e teneva la mano del padre stretta.
«Anche io» rispose Burt. «E sono così orgoglioso di te. Me ne vado con pochi rimpianti, perché tu hai reso la mia vita piena di soddisfazioni» mormorò.
Kurt sorrise tristemente.
«Avrei voluto fare di meglio» disse.
Burt scosse la testa.
«No, sei sempre stato perfetto. Ricordi quando fingesti di essere etero e andavi in giro con Brittany e vestito come un camionista? Ho capito subito che c’era qualcosa che non andava, perché non era il mio Kurt quello. Il mio Kurt è quello che canta e balla Single Ladies, che è appassionato di moda e di musical e ho imparato ad amarti così. Non importa nient’altro» disse.
Kurt strinse ancora di più la mano del padre.
«Sei stato il miglior padre del mondo» mormorò. «Ancora ricordo quando venisti a scuola per parlare con il preside perché io volevo cantare Defying gravity. Ricevesti delle telefonate cattive, ma mi sostenesti lo stesso. Ecco cosa amo più di te» chiarì, con un sorriso.
Seguì un momento di silenzio, che fu rotto da Kurt.
«Tornerai da mamma» mormorò.
«Non eri tu che non credevi alla religione? Come fai a dire che la rincontrerò?» domandò Burt.
Kurt si mise a fissare un punto fuori dalla finestra.
«Perché voglio immaginarvi di nuovo insieme» spiegò, semplicemente.
«Te la saluterò. Sono certo che anche lei sarebbe fiera di te».
Quando Blaine tornò, l’orario delle visite stava per concludersi.
«Ciao papà» salutò Kurt.
«Arrivederci Burt» disse Blaine, indossando il cappotto.
«Ciao ragazzi» ricambiò l’uomo, fissando suo figlio.
Poi si voltò verso Blaine.
«Grazie» mormorò.
 
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Kurt posò uno dei due mazzi di fiori che teneva in mano sulla tomba che recava il nome di suo padre. Dietro di lui c’era Carole, vestita di nero che piangeva in un fazzoletto, stretta tra le braccia di Finn che la consolava, mentre al suo fianco c’era Blaine, che non aveva smesso di stargli accanto un attimo quella mattina.
Burt si era spento il giorno dopo la loro ultima conversazione, durante la quale aveva detto a Kurt che gli avrebbe salutato la madre.
Alla notizia, Kurt era semplicemente rimasto sconvolto. Non aveva pianto, era rimasto ad osservare un punto fisso davanti a lui lasciandosi abbracciare da Blaine che l’aveva raggiunto e che lo aveva tenuto stretto, in silenzio, finché non aveva deciso di muoversi. Kurt organizzò il funerale. Durante la cerimonia cantò I want to hold your hand, la prima canzone che aveva dedicato a suo padre. Ora stavano sistemando la bara nella fossa e da lì a poco l’avrebbero ricoperta di terra.
«Addio papà» sussurrò Kurt.
La cerimonia si concluse con qualche parola del celebrante e dopo i presenti si fermarono a rendere il loro omaggio a Burt.
Kurt si spostò leggermente dando la sua attenzione alla tomba accanto quella del padre. Si avvicinò alla pietra e vi posò l’altro mazzo di fiori.
«Ciao mamma» disse.
Poi si allontanò lentamente, con Blaine che lo seguiva in silenzio. Mentre camminava lentamente qualcuno gli diede delle veloci condoglianze e Kurt ringraziò, senza fermarsi. Quando fu arrivato vicino l’entrata del cimitero si voltò e da lì riuscì a vedere le tombe dei suoi genitori, vicine.
Blaine gli prese una mano come per infondergli calore e forza.
«Blaine, potresti guidare fino a casa di mio padre?» domandò Kurt. «Io non me la sento» disse.
«Certo» rispose Blaine e i due si diressero alla macchina.
Quando arrivarono a casa Hummel, Kurt andò in camera del padre e aprì tutti i cassetti, prese un pacchetto e si sistemò sul letto, dal lato che solitamente occupava il padre. Steso, prese il pacco e tirò fuori alcune fotografie e un sacchettino piccolino. Rimase ad osservare le foto che ritraevano suo padre e sua madre e lui da piccolo. Chiuse gli occhi e cercò di ricordare cosa si sentisse ad avere entrambi i genitori con lui. Quando ebbe finito di vedere le foto le posò accanto a lui e avvicinò il sacchettino al naso.
Quello era il profumo di sua madre.
Inspirò profondamente e riuscì a percepire il profumo dei suoi genitori.
Solo allora le lacrime iniziarono a scorrere sul viso di Kurt.
“Non vi dimenticherò mai” pensò.
Poi prese una delle foto, che era la più recente e ritraeva solo Burt e Kurt durante il Natale di due anni prima, in cui aveva annunciato la malattia. Quella volta gli aveva detto che c’era il 100% di possibilità di guarigione, ma Kurt già lì aveva capito che il padre aveva solo voluto non farlo preoccupare troppo. Anche quella volta aveva pensato prima a suo figlio che a se stesso.
«Sei stato il miglior padre del mondo. Ti voglio bene».
 
 
 
*ho letto una frase del genere su Facebook sotto un’immagine mi pare, mi spiace non poter citare la fonte, ma volevo inserirla perché mi è piaciuta troppo.

 



  
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