La casa era vuota, ma non si sentiva sola. Aveva soltanto paura.
Aspettavano.
La pendola scandiva il tempo.
…
Tramonto.
L’oscurità scivola fuori dal
suo guscio…
ancora un’altra fredda notte d’Inferno; tutto il dolore
La luce morendo perde il suo bagliore
e il mio ultimo frammento di speranza è scemato.
“Mi faceva sempre paura. Mi aveva sempre fatto paura.
Era difficile ammetterlo, ma era la verità. C’era qualcosa di grottesco nel
modo in cui tutto sembrava strisciante, nella notte. Le finestre erano grandi e
non c’erano tende. Si faceva tutto immensamente oscillante nella notte, e non c’era
verso di fermare il circolo. Come una giostra dai cavalli grotteschi. Cavalli,
uomini giganteschi, donne grasse, scheletri inquietanti dalle forme gelatinose.
Occhi scavati nei crani giallastri. Corpi gonfi di morte. Erano le ombre che
ingigantivano scivolando fuori da sotto gli armadi,
gonfiandosi come lentissimi e silenziosi cavalloni di una leggera burrasca. Il tutto,
in un silenzio tombale.
Anormale. Il sole affogava
lontano. Non potevo vederne la morte; tetti lontani come sagome stagliate nel
magenta sembra più sfumato di crepuscolo, mi coprivano la visuale del momento
in cui il disco solare sarebbe scomparso per sempre. Non lasciava possibilità
di scampo. Era un ciclo talmente immenso e immutabile che neppure un Dio,
ormai, dopo l’avvio, sarebbe stato in grado di modificare le cose. Mi sentivo
inutile. Impotente. Incapace di fermare tutto ciò. Le ombre continuavano a
crescere. Voci velate nell’oscurità uscivano da labbra che in realtà erano
immobili. Membra bianche di qualcuno che veniva a
chiamarmi parevano fazzoletti di seta appesi ai fianchi di qualche scura figura
antropomorfa. Tutto questo mi attendeva a breve. O forse
non avrei fatto in tempo a vederlo.
Al tramonto. Era stata una
promessa.”
Ricomincia a piovere,
con ogni respiro mi avvicino alla mia fine
le ombre agghiaccianti germogliano pallide
e il primo bagliore conduce un senso di morte.
“La pioggia violentava la
purezza verginale delle piante del giardino. La pioggia distruggeva e disfaceva ogni cosa che viveva proprio grazie all’acqua. Era
uno strano cinismo naturale. Gli insetti venivano
colpiti dagli schizzi e allora sprofondavano nel terriccio fangoso, morti. Le
cavallette non frinivano più. Le cicale erano mute. Non vedevo più le sagome
degli uccelli in volo nella luce del sole del tardo
pomeriggio, quelle ombre che scorrevano sul pavimento passando per un istante
brevissimo sul rettangolo lucente della moquette.
Gli uccelli non volavano. I
fiori perdevano i petali. La pioggia li strappava con fermezza brutale, una
violenza che non ammetteva compromessi né pietà. Il cielo era sempre più nero.
Non assistevo alla poetica tragedia del sole morente perché le nuvole erano
grigie e il cielo coperto. Ma sapevo che era nero. Sempre
più nero. Metallici colpetti violenti sul tubo della grondaia. Sordi
picchiettii sul vetro della finestra. Non c’era luce. Svaniva. Scompariva. Non
mi lasciava possibilità.
I profumi erano annientati.
In casa non c’era più niente. Niente di visivo, di odoroso,
di sonoro, di tattile, non c’era neppure un’illusione da percepire col sesto
senso e perfino il sangue che sgorgava dalla lingua che continuavo a mordermi
non aveva il benché minimo sapore. Mancava sempre meno tempo. La pioggia si
stava già estinguendo e il vento strappava via l’erba dal terriccio molle. Ora
c’era un soave odore d’erba bagnata. Ma le ombre lo
inghiottivano prima che potessi goderne. Le ombre, la gente severa e i cavalli
neri della giostra, mi guardavano e strisciavano verso di me, sgusciando sulle
pareti, passando sotto gli armadi, sotto i letti e sotto i tavoli.
Sapevo che stava per
succedere.
<< Mio Dio… >>
La luna.”
Ecco, sento
la Sua presenza…
la Sua presenza…
“Sei la morte? Sei venuta a prendermi.”
In ritardo.
”Sei venuta in ritardo”.
Non parlare. E’ inutile.
“Ero certa che mi avesse
promesso una morte prima dell’oscurità. Al tramonto. Così non avrei fatto in
tempo a vedere tutto ciò. Eppure la Morte non veniva. Si
rifiutava di impossessarsi delle mie membra e lo spettacolo della notte che si
gonfiava come un cadavere morto da qualche mezz’ora mi strisciava accanto e voleva
che lo osservassi. Non c’era fibra del mio corpo che non tremasse.
Avevo una paura tremenda. Che cos’era? Febbre?
Delirio?
Era lucida. Non delirava. Non
era pazza. Voleva solo essere libera. Un desiderio innocente.”
Si leva la Luna Morente,
sanguina luce cremisi sul mare
-spero questa volta sia giunta per me
-spero questa volta Lei possa lasciarmi libero…
“Mi sentivo attorniata dalla
più atroce malvagità. C’era qualcosa di malvagio nella notte. La morte era in ritardo, la pendola sembrava essersi fermata. Ero certa
che tutto si fosse fermato. Ora le pareti della stanza si muovevano e giravano
come una lenta, lentissima trottola. E tutto
convergeva verso di me. Le linee delle assi che componevano la pavimentazione
si curvavano e si facevano più larghi o più stretti di minuto in minuto. Ogni
contorno si protendeva verso il mio corpo rannicchiato per divorarlo.
Era sorta. La Luna. Mio dio.
Eccola là. Una perla gigantesca, una colata di luce bianca e liquida. Ma non aveva niente di paradisiaco. Dio, era terrificante!”
Ferite come squarci
Il vento gelido spira dentro e pare ghiaccio
Il folgore inquietante infiamma la volta
e Lei mi porta via lo spirito
con il Suo scintillio…
“Le ombre erano diventate
pallide. Tutto era diventato pallido. Ogni cosa si estingueva sotto l’incendio lunare
che grondava luce perlacea in ogni direzione del cielo e della terra. Non ci si
poteva sottrarre. Come un’animale in trappola, gridai. Cercavo di scappare e
premevo contro la parete come una mosca contro il vetro di un barattolo. Io
ugualmente ero rinchiusa. Ero nel delirio, adesso. Non c’era vera follia in me,
ma bramosia.
Dov’era la morte?”
La sento ovunque…
“La luna, Dio mio, emanava un
fischio assordante!
ne ero del tutto certa. L’oscurità stessa strideva in
risonanza col suo stridore! Le ombre strisciavano con lo strisciare
apparentemente muto del suo potere. Ero in sua balia.
La morte mi aveva promesso al tramonto. Era stata quella la sua promessa.
Era tutto deformato.
Io sapevo che era lì. Che c’era, doveva esserci. Da
qualche parte. Parlava a labbra sigillate. Aveva un abito
color sabbia, chiaro. Capelli di paglia. Dov’era la
falce?”
Si leva la Luna Morente,
sanguina luce cremisi sul mare
-spero questa volta sia giunta per me
-spero questa volta Lei possa lasciarmi libero…
“Ad un tratto, la tensione si
allentò come una fibbia di cuoio troppo stretta si strappa
e la legna cade giù rotolando a valle. Così sentii lo strappo. Mi afflosciai,
dapprima respirando affannosamente, poi la calma si impadronì
di me. Che stava succedendo? Le ombre contorsero le immense fauci e
cominciarono ad allontanarsi da me. Sembravano protendere le braccia e
schermare i volti atroci con esse come in atto di vergogna.
Un riparo da qualcosa. Fuggivano. Ma da che cosa?
No, non era possibile.
L’oscurità fuggiva. Tornava
nel guscio. Nell’esoscheletro rinsecchito della luce del giorno! No, no, era
impossibile. La morte, la morte dov’era? Doveva essere lì! La natura tornava a
vivere. I petali che avevano resistito alla pioggia si
dischiudevano di nuovo. Sentiva perfino gli uccelli che cantavano! I profumi si
svegliarono. Sbocciarono proprio come i boccoli sugli alberi.
…L’alba!?”
Cala la Luna Morente,
scacciata dal primo albore agghiacciante
-Lei non era qui per me
-Lei non ha voluto lasciarmi libero.
<< No… No… >>
Lacrime.
Alla fine, la morte non era venuta.