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Autore: Marghe    11/07/2004    0 recensioni
è sempre una song fic e sempre una canzone dei sentenced (si prestano benissimo a questo genere di cose) ma stavolta ho deciso di pubblicare il testo in italiano. a volte la traduzione è molto libera e l'ultima strofa è perfino inventata, perciò non si accettano pignoleggiamenti! :P
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La casa era vuota, ma non si sentiva sola

La casa era vuota, ma non si sentiva sola. Aveva soltanto paura.
Aspettavano.
La pendola scandiva il tempo.

Tramonto.


L’oscurità scivola fuori dal suo guscio…
ancora un’altra fredda notte d’Inferno; tutto il dolore
La luce morendo perde il suo bagliore
e il mio ultimo frammento di speranza è scemato.


“Mi faceva sempre paura. Mi aveva sempre fatto paura. Era difficile ammetterlo, ma era la verità. C’era qualcosa di grottesco nel modo in cui tutto sembrava strisciante, nella notte. Le finestre erano grandi e non c’erano tende. Si faceva tutto immensamente oscillante nella notte, e non c’era verso di fermare il circolo. Come una giostra dai cavalli grotteschi. Cavalli, uomini giganteschi, donne grasse, scheletri inquietanti dalle forme gelatinose. Occhi scavati nei crani giallastri. Corpi gonfi di morte. Erano le ombre che ingigantivano scivolando fuori da sotto gli armadi, gonfiandosi come lentissimi e silenziosi cavalloni di una leggera burrasca. Il tutto, in un silenzio tombale.

Anormale. Il sole affogava lontano. Non potevo vederne la morte; tetti lontani come sagome stagliate nel magenta sembra più sfumato di crepuscolo, mi coprivano la visuale del momento in cui il disco solare sarebbe scomparso per sempre. Non lasciava possibilità di scampo. Era un ciclo talmente immenso e immutabile che neppure un Dio, ormai, dopo l’avvio, sarebbe stato in grado di modificare le cose. Mi sentivo inutile. Impotente. Incapace di fermare tutto ciò. Le ombre continuavano a crescere. Voci velate nell’oscurità uscivano da labbra che in realtà erano immobili. Membra bianche di qualcuno che veniva a chiamarmi parevano fazzoletti di seta appesi ai fianchi di qualche scura figura antropomorfa. Tutto questo mi attendeva a breve. O forse non avrei fatto in tempo a vederlo.

Al tramonto. Era stata una promessa.”

Ricomincia a piovere,
con ogni respiro mi avvicino alla mia fine
le ombre agghiaccianti germogliano pallide
e il primo bagliore conduce un senso di morte.

“La pioggia violentava la purezza verginale delle piante del giardino. La pioggia distruggeva e disfaceva ogni cosa che viveva proprio grazie all’acqua. Era uno strano cinismo naturale. Gli insetti venivano colpiti dagli schizzi e allora sprofondavano nel terriccio fangoso, morti. Le cavallette non frinivano più. Le cicale erano mute. Non vedevo più le sagome degli uccelli in volo nella luce del sole del tardo pomeriggio, quelle ombre che scorrevano sul pavimento passando per un istante brevissimo sul rettangolo lucente della moquette.

Gli uccelli non volavano. I fiori perdevano i petali. La pioggia li strappava con fermezza brutale, una violenza che non ammetteva compromessi né pietà. Il cielo era sempre più nero. Non assistevo alla poetica tragedia del sole morente perché le nuvole erano grigie e il cielo coperto. Ma sapevo che era nero. Sempre più nero. Metallici colpetti violenti sul tubo della grondaia. Sordi picchiettii sul vetro della finestra. Non c’era luce. Svaniva. Scompariva. Non mi lasciava possibilità.

I profumi erano annientati. In casa non c’era più niente. Niente di visivo, di odoroso, di sonoro, di tattile, non c’era neppure un’illusione da percepire col sesto senso e perfino il sangue che sgorgava dalla lingua che continuavo a mordermi non aveva il benché minimo sapore. Mancava sempre meno tempo. La pioggia si stava già estinguendo e il vento strappava via l’erba dal terriccio molle. Ora c’era un soave odore d’erba bagnata. Ma le ombre lo inghiottivano prima che potessi goderne. Le ombre, la gente severa e i cavalli neri della giostra, mi guardavano e strisciavano verso di me, sgusciando sulle pareti, passando sotto gli armadi, sotto i letti e sotto i tavoli.

Sapevo che stava per succedere.
<< Mio Dio… >>

La luna.”

Ecco, sento la Sua presenza…
la Sua presenza…

“Sei la morte? Sei venuta a prendermi.”
In ritardo.
Sei venuta in ritardo”.

Non parlare. E’ inutile.

“Ero certa che mi avesse promesso una morte prima dell’oscurità. Al tramonto. Così non avrei fatto in tempo a vedere tutto ciò. Eppure la Morte non veniva. Si rifiutava di impossessarsi delle mie membra e lo spettacolo della notte che si gonfiava come un cadavere morto da qualche mezz’ora mi strisciava accanto e voleva che lo osservassi. Non c’era fibra del mio corpo che non tremasse. Avevo una paura tremenda. Che cos’era? Febbre? Delirio?

Era lucida. Non delirava. Non era pazza. Voleva solo essere libera. Un desiderio innocente.”

Si leva la Luna Morente,
sanguina luce cremisi sul mare
-spero questa volta sia giunta per me
-spero questa volta Lei possa lasciarmi libero…

“Mi sentivo attorniata dalla più atroce malvagità. C’era qualcosa di malvagio nella notte. La morte era in ritardo, la pendola sembrava essersi fermata. Ero certa che tutto si fosse fermato. Ora le pareti della stanza si muovevano e giravano come una lenta, lentissima trottola. E tutto convergeva verso di me. Le linee delle assi che componevano la pavimentazione si curvavano e si facevano più larghi o più stretti di minuto in minuto. Ogni contorno si protendeva verso il mio corpo rannicchiato per divorarlo.

Era sorta. La Luna. Mio dio.
Eccola là. Una perla gigantesca, una colata di luce bianca e liquida. Ma non aveva niente di paradisiaco. Dio, era terrificante!”

Ferite come squarci
Il vento gelido spira dentro e pare ghiaccio
Il folgore inquietante infiamma la volta
e Lei mi porta via lo spirito
con il Suo scintillio…

“Le ombre erano diventate pallide. Tutto era diventato pallido. Ogni cosa si estingueva sotto l’incendio lunare che grondava luce perlacea in ogni direzione del cielo e della terra. Non ci si poteva sottrarre. Come un’animale in trappola, gridai. Cercavo di scappare e premevo contro la parete come una mosca contro il vetro di un barattolo. Io ugualmente ero rinchiusa. Ero nel delirio, adesso. Non c’era vera follia in me, ma bramosia.
Dov’era la morte?”

La sento ovunque…

“La luna, Dio mio, emanava un fischio assordante!
ne ero del tutto certa. L’oscurità stessa strideva in risonanza col suo stridore! Le ombre strisciavano con lo strisciare apparentemente muto del suo potere. Ero in sua balia.
La morte mi aveva promesso al tramonto. Era stata quella la sua promessa.

Era tutto deformato.
Io sapevo che era lì. Che c’era, doveva esserci. Da qualche parte. Parlava a labbra sigillate. Aveva un abito color sabbia, chiaro. Capelli di paglia. Dov’era la falce?”

Si leva la Luna Morente,
sanguina luce cremisi sul mare
-spero questa volta sia giunta per me
-spero questa volta Lei possa lasciarmi libero…

“Ad un tratto, la tensione si allentò come una fibbia di cuoio troppo stretta si strappa e la legna cade giù rotolando a valle. Così sentii lo strappo. Mi afflosciai, dapprima respirando affannosamente, poi la calma si impadronì di me. Che stava succedendo? Le ombre contorsero le immense fauci e cominciarono ad allontanarsi da me. Sembravano protendere le braccia e schermare i volti atroci con esse come in atto di vergogna. Un riparo da qualcosa. Fuggivano. Ma da che cosa?

No, non era possibile.

L’oscurità fuggiva. Tornava nel guscio. Nell’esoscheletro rinsecchito della luce del giorno! No, no, era impossibile. La morte, la morte dov’era? Doveva essere lì! La natura tornava a vivere. I petali che avevano resistito alla pioggia si dischiudevano di nuovo. Sentiva perfino gli uccelli che cantavano! I profumi si svegliarono. Sbocciarono proprio come i boccoli sugli alberi.

…L’alba!?

Cala la Luna Morente,
scacciata dal primo albore agghiacciante
-Lei non era qui per me
-Lei non ha voluto lasciarmi libero.

<< No… No… >>
Lacrime.
Alla fine, la morte non era venuta.

 

  
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