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Autore: Aliens    16/12/2012    6 recensioni
Hailey Leman è affetta da ASD (Stress post-traumatico acuto) da quando, tre anni prima, subisce uno stupro da parte di branco di ragazzini composto da alcuni suoi compagni di classe e il suo ragazzetto Daren. Da quel momento Hailey rifiuta di parlarle e avere contatti con altre persone, apparte con il suo cane Kira.
Suo padre, uno degli uomini più ricchi della terra, supplica l'idolo della figlia (pagandolo anche) per poterla stimolare. Tom, inizialmente reticente, accetta.
Ma la triste e taciturna Hailey lo acceca fino a farlo innamorare.
Ma sono sempre i sensi di colpa a minare le cose più belle, perchè la luce, alle volte, ha anche delle ombre.
"E poi Tom era entrato nella sua vita. Lei aveva alzato la sua solita barriera di mutismo, un muro invisibile quando indistruttibile che si era alzata intorno chiudendo fuori anche i suoi genitori.
Per anni non aveva parlato con nessuno, nemmeno con il suo psichiatra.
Lui però era stato paziente e aveva tolto un mattone alla volta trattandola con delicatezza e schiettezza allo stesso tempo, aveva conquistato la sua fiducia"
Genere: Angst, Commedia, Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate
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“La violenza distrugge ciò che vuole difendere: la dignità, la libertà e la vita delle persone”

Giovanni Paolo II

 

 

 

 

 

Take My Happiness.

 

 

 

PROLOGO.

 

 

 

 

 

L’ospedale era buio.

La leggera luce argentea della luna filtrava dalle tapparelle abbassate della sua stanza e disegnavano curiose forme giometriche sul pavimento di finto marmo lucido.

Scivolavano ad ogni minimo movimento di quella mezza luna color del ferro attirando la sua attenzione.

Era sola, come ormai voleva essere lasciata.

Era il sola e il silenzio era così rumoroso, come il vento che timido batteva contro le tapparelle abbassate.

Non voleva nessuno attorno, l’odore dell’uomo la schifava come mai prima.

Un'altra notte insonne, pensò, mentre fissava quelle forme giometriche galleggiare sul pavimento.

Un’altra notte a scacciare quei fantasmi vividi nella sua testa.

Guardò le ombre coprire e smussare gli angoli della stanza e si sentì inquieta.

Il buio completo la inquieta, per questo pretendeva che vi fosse almeno uno spazio da una tapparella e l’altra e che la sua stanza fosse la più luminosa della clinica.

La luce non poteva nascondere pericoli, la luce non poteva nascondere i mostri, li faceva solo emergere, e per quanto potessero essere belli apparivano per ciò che erano, schifosi mostri sorridenti e bugiardi.

Se chiudeva gli occhi poteva rivederlo quel dannato sorriso malizioso posarsi su di lei prima…

Si portò le mani verso le orecchie mentre lanciava un grido muto che risuonò nella sua testa come un’esplosione nucleare.

Si tirò le ginocchia verso il petto e si strinse, come se quel gesto potesse salvarla da quelle immagini che le affollavano la testa.

L’odore acre della pelle sudata, lo strascichio sinistro e viscido che provocava su di lei, la presa salda delle mani sulle sue gambe e sulle sue mani, l’odore di sperma, l’odore della violenza.

Se le sentiva ancora nelle narici come se si trovasse ancora in quella dannata casa, circondata da quei cinque che credeva essere suoi amici.

Non lo erano, dannazione, non lo erano mai stati.

Come lui non era mai stato il suo ragazzo. Lui l’aveva solo seviziata.

Come e perché l’avessero lasciata gli era ancora oscuro, prima che potesse anche solo capire cosa stesse succedendo, aveva perso i sensi e si era svegliata circa due mesi dopo, intubata e attaccata a una macchina.

Era caduta in coma, le percosse e la violenza si erano mischiati alla paura, alla disperazione e il suo corpo le aveva imposto di annullarsi, forse per sempre.

Si era sveglia con la sensazione orticante che provi quando percepivi una puzza forte. Era la puzza che proveniva dagli essere umani, che si riempissero di buona colonia o che non si lavassero, la puzza era la stessa e le dava alla testa.

Quando i medici le si avvicinavano lei storceva il naso, ogni contatto e odore che provenisse da una persona le dava immensamente fastidio.

Persino l’odore dei suoi genitori le provocava conati di vomito continui.

Era morta, lei lo sapeva, respirava, viveva, mangiava e dormiva, ma era morta dentro.

Nessuno poteva darla clinicamente morta ma lei sapeva perfettamente che lo era, era solo lo spettro di sé stessa.

Erano mesi che non parlava. La sua voce sembrava esserne andata nello stesso momento in cui aveva preso ad urlare preda di quel dolore sordo che la trapassava da parte a parte.

Sapeva di poter parlare ma non lo voleva fare: non voleva avere a che fare con nessuno, nemmeno con la schiera di psichiatri che si erano succeduti in quei quattro mesi.

Cosa volevano capire loro? Aveva quattordici anni ed era stata stuprata da cinque mostri che ancora scorrazzavano per la città.

Solo uno di loro era stato trascinato dai genitori in cerca di redensione davanti a lei. Ma lei non aveva aperto bocca, l’aveva fissato e quello era scappato.

Erano quartodicenni anche loro, la legge aveva potuto solo dar loro un anno di riformatorio.

Eppure non era così grave, per loro, l’anno passava subito e loro avrebbero continuato la loro vita, lei, invece, sarebbe rimasta così per sempre, rovinata per sempre.

Non avrebbe toccato più un uomo, non avrebbe mai più avuto degli amici, non avrebbe mai più parlato e scherzato con qualcuno, non avrebbe più vissuto.

La sua vita era stata rovinata e nessuno sembrava notarlo.

I psichiatri le decivano che tutto sarebbe passato ma loro, in fondo, cosa ne potevano sapere?

Erano stati per caso violentati senza pietà da cinque persone? Erano per caso caduti in coma? Sentivano per assurdo i suoi pensieri e le paure che l’affollavano?

No.

Loro non sapevano nulla, vivevano di teorie e basta.

Hailey Leman era morta quella notte e nessuno avrebbe potuto riesumarla.

Perché la violenza aveva ucciso la sua anima e la sua voglia di vivere.

   
 
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