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Autore: Lady Snape    16/12/2012    2 recensioni
Preston A. Lodge III, il banchiere, il direttore dell'albergo di Colorado Springs, ricco, bello, raffinato... eppure qualcosa non quadra a dovere. Dopo la bancarotta del 1873, bisogna riprendere in mano la situazione, far ripartire gli affari e, possibilmente, liberarsi dai debiti. Ma come? A voi la possibilità di scoprirlo leggendo questa Fanfiction!
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Come promesso, ecco il regalo di Natale per chi segue questa storia.

Ho preparato un nuovo capitolo. Avevo qualche passaggio già scritto, quindi i tempi si sono accorciati un po’. Forse cambierò qualcosa della trama, rispetto a quello che avevo pianificato. Nel tempo cambiano tante cose, figuriamoci le trame delle fanfiction!

Con questo nuovo capitolo vorrei fare un piccolo sondaggio.

Qual è il vostro personaggio preferito della serie?

Il mio è chiaramente Preston, ma sono curiosa di sapere i vostri gusti in questo campo.

Saluto chi segue, chi commenta, chi sbircia ogni tanto e chi capita per caso.
Vi auguro delle buone vacanze, sperando che i Maya si siano sbagliati. Io credo di sì e il 21 saremmo tutti qui a ridere di certe fesserie!

 

Buona lettura!

 

 

 

 

11 capitolo – DOPPIA PERSONALITA’

 

 

                Come Eva aveva immaginato, la presenza di Preston A. Lodge II si stava dimostrando deleteria.

In primo luogo era lei a detestarlo; non aveva ancora dimenticato il giorno in cui l’aveva decisamente ricattata. Non c’erano altre parole per definire quello che le aveva chiesto di fare. Per fortuna il marito che si era ritrovata non somigliava molto a quel mostro, eppure … eppure quella presenza stava lo trasformando o, meglio, pareva che di personalità ne avesse due: una che stava esibendo in pubblico quel periodo e un’altra che stava sempre più scomparendo e che riservava ai momenti di intimità con lei. Emergeva qualche volta negli sguardi che Preston le lanciava, ma, tutto sommato, restava sopita dentro un involucro che pareva svuotarsi ogni giorno di più.

                A sconvolgerla di più in tutto il periodo di quella sgradita visita fu il cambiamento di Preston nel modo di gestire il suo lavoro. Il banchiere cambiò completamente atteggiamento per quanto riguardava certi argomenti, diventò molto più freddo e calcolatore rispetto al suo solito e riuscì a farsi odiare anche da lei. Eva era sempre stata molto comprensiva con lui, dato che si era resa conto che non godeva di grande popolarità tra gli abitanti di Colorado Springs, ma da quando era in combutta con suo padre era riuscita a inorridirla con una crudeltà che non riusciva a spiegarsi in nessun modo. In passato era stato flessibile più di una volta per quanto riguarda la restituzione dei prestiti: è vero, non faceva il banchiere per far del bene agli altri, ma qualche settimana di proroga la ottenevano quasi tutti; “Niente estensioni e niente eccezioni” era diventato il motto che campeggiava in ogni discussione con i clienti che mendicavano tempo alla sua scrivania alla banca. Con lui c’era quasi sempre suo padre, su una sedia all’angolo, come un uccellaccio del malaugurio o come il diavolo in persona. Da quando Preston A. Lodge II era arrivato in città, era stato duro anche con il suo commesso alla banca, persona quanto mai gentile e laboriosa.

                Alla sera Eva provava a non mostrarsi ostile con lui, quando tornavano nell’intimità della loro camera da letto, ma in quella nuova condizione era davvero difficile dissimulare uno stato d’animo. Quello avrebbe dovuto essere un momento in cui non ci si doveva più sforzare di mantenere una certa immagine, era un momento in cui i pensieri vagavano alla ricerca di una conclusione della giornata.

Eva provava la sgradevole sensazione di mordersi metaforicamente la lingua, di non dire, non lamentarsi, non far notare a Preston quanto fosse stato detestabile quel giorno.

Per la verità Preston ne era consapevole. Sapeva che si stava comportando in modo diverso, ma era la sua reazione automatica alla presenza di suo padre. Viveva con il costante terrore di doverlo compiacere in qualche modo, perché quello che temeva di più al mondo era la sua disapprovazione e le sue critiche. Voleva evitare che gli fossero mosse, quantomeno mitigarle, evitare che fossero troppe. Vedeva anche che così stava mettendo contro di sé Eva, la creatura che aveva reso meno difficile la sua vita lì.

Era chiaro per lui quanto Eva si stesse sforzando di non litigare, ma non aveva il coraggio di dire nulla, per paura che un suo tentativo di chiarire la sua posizione, avrebbe potuto aprire le sue critiche e queste gli avrebbero fatto ancora più male. Cercava solo di difendersi e sperava che la permanenza di suo padre stesse per finire.

                Eva cercava di passare molto tempo lontana da loro. Dopo la chiacchierata fallimentare sull’alta finanza, evitava le conversazioni in particolare, perché, chissà come, finiva sempre dalla parte del torto marcio. Lei non capiva mai, non sapeva, non aveva alcuna cognizione degli argomenti trattati, quindi era pregata di star zitta.

                Non era la sola, però, a non capire e a non sapere come andassero certe cose. Il Vecchio Leone aveva avuto uno sguardo critico per ogni cosa che suo figlio gli aveva mostrato con un certo entusiasmo. Aveva criticato la carta da parati di casa sua, l’abbinamento della tenda con la tappezzeria di una poltrona, aveva avuto da ridire dei fiori in giardino e, probabilmente, avrebbe trovato altri dettagli sgradevoli da rinfacciare nei prossimi giorni. Ad ogni critica l’orgoglio di Preston veniva accoltellato e i segni di tale violenza era visibile nello sguardo di lui, sempre più perso nel vuoto, sempre più velato e basso.

Eva notò anche quel “Sì, Signore” che veniva fuori dalle labbra di Preston e che faceva tanto caserma, non dialogo tra padre e figlio, verificarsi troppo spesso. Erano ordini a cui obbedire e non questioni di cui discutere, tanto meno consigli, ma giudizi. Era disgustata, ma allo stesso tempo aveva pena di suo marito. Non era certo un sentimento onorevole da provare, ma non riusciva a definirlo in altro modo. Le si stringeva il cuore a vederlo in quello stato, così demoralizzato.

Eppure la scrittrice non amava Preston, di questo era certa, ma provava affetto per lui, per le sue debolezze, per il suo orgoglio che a volte era ridicolo, ma spesso le riempiva il cuore: le piaceva vederlo soddisfatto di qualcosa, le piaceva il sorriso che gli si stampava sul viso, il modo in cui teneva il sigaro tra le labbra quando il compiacimento si faceva strada dentro di lui. In quei momenti Preston era molto più malleabile e gli poteva chiedere la luna, sicura che lui avrebbe tentato di prendergliela. Ma ora era ridotto uno straccio, il fantasma dell’uomo brillante che sapeva essere.

 

                Una di quelle sere a cena le cose peggiorarono. Le critiche e i suggerimenti-ordini del vecchio si erano fatti insistenti e ininterrotti. Suggerì che un buon lampadario avrebbe dovuto avere nove bracci invece che sette e, cosa peggiore di tutte, aveva iniziato a parlare di Eva come se lei non fosse in quella stanza. Lo sguardo colmo di rabbia della donna saettò verso il volto del marito: voleva che lui dicesse qualunque cosa per far notare che lei era lì con loro, seduta a pochi centimetri da loro e che quindi il suo comportamento era quanto mai meschino. Non voleva intervenire da sola, perché era sicura che la situazione sarebbe solo peggiorata. Non accadde nulla, o meglio, lo sguardo di Preston si rifugiò nel suo piatto, trovando immediatamente interessante l’arrosto di tacchino. Eva era certa che questa era l’ultima cosa che sarebbe riuscita a ingoiare per chissà quale miracolo: la prossima provocazione sarebbe stata fatale. Non tardò. A farne le spese fu la piccola Martha, figlia quindicenne di Mrs. Fish, che non aveva fatto in tempo a schivare il braccio del vecchio, rovesciando sulla giacca di Preston A. Lodge II del vino rosso.

«Stupida ragazzina!» tuonò alzandosi in piedi di scatto, spaventando la cameriera che perse l’equilibrio, finendo di rovesciare il vino sulla tovaglia e sul tappeto.

Quasi fosse esploso un petardo Eva si era alzata a sua volta, cerea in volto, le braccia tese lungo i fianchi e le mani strette in due pugni così stretti da sentire le unghie lacerarle il palmo.

«Se osa rivolgersi nuovamente così a uno dei miei domestici, l’accompagno di persona alla porta d’ingresso e la caccio fuori da casa mia!» sputò in fretta con il tono più minaccioso che poté.

L’uomo barcollò per lo stupore della reazione della donna. Non immaginava che la sua forza di carattere la spingesse a tali rimostranze, ma la cosa peggiore era che questa non era altro che la dimostrazione della debolezza del suo ultimogenito nel dominare una ragazzina recalcitrante.

«E’ così che la tieni buona?» ironizzò, guardando suo figlio che era rimasto seduto, il volto coperto da una mano. «E’ peggio di quello che pensassi!»

«Io sono qui! La smetta di parlare come se non ci fossi!» non riusciva a smettere di urlare stizzita. Lo odiava, oh sì, lo odiava per davvero.

Posò lo sguardo per un attimo su suo marito, ma ciò che vide non le piacque affatto: era come se Preston stesse tentando di lasciarsi scivolare tutto addosso, sperando di sparire da quella stanza. Eva non resistette un minuto di più: uscì dalla stanza senza voltarsi indietro.

«E’ completamente pazza!» affermò con certezza il vecchio leone, tornando a sedersi e riprendendo a mangiare come se non fosse accaduto nulla, pulendosi ogni tanto la giacca con il tovagliolo, ma ostentando una calma che non aveva: in realtà voleva dare una lezione a suo figlio per mostrargli come si prendeva in mano una situazione del genere.

Preston non riuscì a dire niente e il suo stomaco si chiuse, vietandogli anche di bere. Era quella la situazione che avrebbe voluto evitare, ma sapeva che, se le cose fossero andate per le lunghe, quella era l’unica soluzione possibile.

Quando entrò silenziosamente in camera da letto, Eva dormiva già o faceva finta di dormire. Gli dava le spalle e lui non aveva voglia di intavolare una discussione senza fine a quell’ora di notte. Non volle nemmeno provare, non volle nemmeno verificare se sua moglie fosse sveglia: come avrebbe dovuto affrontarla? Si sentì svuotato, senza nessun appoggio, senza alcun sostegno. Era tra due fuochi indomabili e si sentiva nuovamente solo, abbandonato anche dall’unica persona che era stata, durante quei primi mesei del loro matrimonio, il pezzo mancante al suo puzzle, quello che dava un senso all’immagine indefinita che era la sua vita. Aveva pensato seriamente che Eva, in fin dei conti, fosse la donna giusta per lui. La prima difficoltà vera aveva sgretolato il suo castello di carte e ricostruirlo sarebbe stata una battaglia, specie perché la ragazza non sembrava avere voglia di collaborare. La guardò per un po’, i capelli neri sparsi sul cuscino, le sue forme sinuose e morbide, con una gran voglia di sfiorarla e di pregarla di non lasciarlo solo in quella situazione, di avere pazienza per qualche giorno, ma gli mancò il coraggio.

 

Il mattino seguente Eva aveva deciso di fingere ancora di dormire. Non voleva incrociare lo sguardo di suo marito, non voleva avere a che fare con lui. Avrebbe voluto essere difesa da lui, ma Preston si era tirato indietro.

«Sua maestà ha deciso di non scendere?» chiese stizzito Preston A. Lodge II, quando attese invano che suo figlio iniziasse a far colazione. Lui, da parte sua, era già a buon punto, tanto non gli importava della nuora, ma Preston non aveva toccato le uova con il bacon e nemmeno bevuto un sorso di tè. Fissava il piatto di Eva sperando che giungesse da un momento all’altro, ma in cuor suo sapeva che non sarebbe arrivata. Riuscì a bere un po’ prima di andare via con un sospiro.

Eva vide la carrozza andare via e solo allora scese di sotto. Fece colazione da sola e passò la mattina a casa, sapendo che andare in paese sarebbe significato dover incontrare i due uomini. Non voleva saperne di parlare con nessuno dei due e passò il suo tempo chiusa nel suo salottino, intenta a stendere un nuovo capitolo del suo romanzo e a tentare di inventare una storia da far pubblicare a Dorothy sul Gazette per la prossima domenica.

   
 
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