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Autore: Snow Owl    17/12/2012    0 recensioni
1°-2 Maggio 1998. La Battaglia contro Voldemort infuria ad Hogwarts. IL Bene lotta contro il Male, e si sa, è il Bene a vincere alla fine, ma a quale prezzo? La vita è fragile, così fragile.
Con la morte di Fred, George precipita oltre il baratro delle sue paure, una lunga caduta nel buio e nella sofferenza. Toccare il fondo è una questione di tempo, ma poi, si deve risalire. E per tirarsi fuori da un pozzo di disperazione non c'è di meglio della solida corda di un'amicizia, della famiglia, dell'amore (?)...
Genere: Drammatico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Angelina/George
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
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George sentì qualcuno afferrarlo per un braccio e si voltò di scatto. Era Angelina Johnson, i vestiti semibruciati e laceri, la bacchetta ancora stretta nel pugno insanguinato. Aveva il viso segnato dal combattimento, macchie di sangue rigate di lacrime le coprivano le guance. Fissò il ragazzo con un’espressione stravolta negli occhi scuri.
“Angelina!”. Dopo un attimo di esitazione George le sfiorò il viso con una mano, sentì le lacrime asciugate sulle pelle sotto le dita. “Stai bene? Sei ferita? Come stanno gli altri? “.
Lei strinse le labbra, apparentemente sotto shock.
George la agguantò per le spalle, allarmato, e la avvicinò a sé: “E’ morto qualcuno dei nostri? Dov’è Fred?”.
Angelina lo guardò con muta disperazione negli occhi: “George…”.
Il ragazzo sentì mancarsi il respiro. Sentì la stoffa del suo mantello strapparglisi tra le dite quando la spinse via bruscamente, ma non si girò.
L’attimo magico era svanito, e George si diresse a lunghe falcate verso la Sala Grande, mentre nella sua mente un’unica frase martellante gli impediva di pensare. “Non può essere, non può essere, non può essere”.
A metà scale, la strada gli venne sbarrata dalla McGranitt.
“George…”. Qualcosa nella voce strozzata della donna lo fece voltare. La McGranitt non lo aveva mai chiamato per nome, mai, eccetto qual giorno di Quarta quando aveva comunicato a lui e i suoi fratelli che Ginny era stata uccisa dal mostro della Camera dei Segreti.

L’insegnante sembrava sconvolta. “George, io… Te l’hanno detto?”. “Cosa?” le urlò, “Cosa?!”.
“Devi essere forte, ragazzo”, la sentì dire, ma la spinse via e continuò ad avanzare con furia tra la folla che riempiva la Sala d’Ingresso.
Alcuni ragazzi che conosceva gli bloccarono il passo, cercarono di farlo indietreggiare. Ma George si fece largo a gomitate e si catapultò nella Sala Grande.

La stanza era piena zeppa. I morti erano in fila sul pavimento, circondati da gruppetti di amici e familiari in lacrime. George si fermò con il fiato corto, si guardò intorno con la morte nel cuore.

E poi si aprì un varco nella folla, e George si fece largo a gomitate fino agli otto Weasley raggruppati in fondo alla Sala Grande.
Lee Jordan, Oliver Wood e Angelina lo seguivano lentamente,  senza più trattenerlo, come se avessero ormai rinunciato a tentare l’impossibile. Il ragazzo rallentò, fece gli ultimi metri a fatica, barcollando, adesso con lo sguardo contava febbrilmente le capigliature rosse davanti a lui, cercava quella del gemello…
All’improvviso lasciò cadere il braccio, lo sapeva, aveva capito chi mancava, e vedendo la sua espressione, Angelina accanto a lui non poté fare a meno di scoppiare in lacrime. Con la morte nel cuore, George spinse di lato Percy e suo padre e fece un ultimo passo.

Fred era lì.
Il suo corpo giaceva immobile sul freddo pavimento di pietra, la bacchetta stretta nel pugno destro. Gli occhi vitrei e semichiusi fissavano il vuoto senza  vedere, lo spettro dell’ultima risata ancora impresso sul volto irrigidito.

E George cadde in ginocchio accanto al cadavere esanime del suo gemello, mentre la realtà gli si abbatteva addosso in ondate gelide e dolorose; il dolore iniziò a martellargli nel petto come la lama di un pugnale che affonda nel torace per non uscirne più. E quando prese la mano fredda e rigida di Fred tra le sue, calde e vive, seppe che era finita, e il mondo crollò in un urlo di disperazione. –Freeeeeeeeed!
Fred, Fred, Freeeeed!

Andato. Per sempre.

Accasciato sul pavimento, George stringeva il braccio morto del fratello tra le mani, lasciando che il dolore prendesse possesso del suo corpo; come sangue che filtra da una ferita aperta e si sparge sulla stoffa, una macchia rossa che si allarga lenta e inesorabile. Si sentiva mancare. Non era possibile. Non era possibile.
Strinse i pugni, sentendo le proprie unghie lacerare a sangue il palmo della mano; percepì lontanamente il dolore, superato dal pulsare irregolare del suo cuore agonizzante.
Dietro di lui, Percy piangeva a dirotto abbracciato a Ron. Sentiva i suoi fratelli parlare a bassa voce, sua madre gemere tra le braccia del marito, e poi ai suoi gemiti si mischiarono dei singhiozzi terribili, e ci volle un po’ finché George realizzasse che era lui a singhiozzare così, il respiro corto e rantolato, il cuore che si contraeva a ritmo doloroso, come se con ogni battito volesse ricordargli che mentre Fred giaceva esanime, lui, George, era vivo, vivo, nonostante non desiderasse nulla di più che il suo cuore cessasse ora di battere… per sempre.

 


 

***

 


George alzò la testa dal corpo del fratello. Ron lo guardò, impressionato. Da quando poteva ricordare, aveva visto i gemelli piangere sì e no una volta ciascuno, e non aveva mai visto George così fuor di sé, il viso sconvolto e gonfio di lacrime. Suo fratello si alzò di scatto, gettandogli le braccia al collo. 
–Ron! 
– George!
–L’ha… l’hanno ucciso, Ron… l’hanno ucciso…
I singhiozzi violenti gli impedirono di continuare.
Ron ricambiò l’abbraccio istintivo, stringendolo forte, incapace di parlare.

Sì, l’hanno ucciso George. L’HANNO UCCISO! Le parole gli rimbombavano nel cervelllo.
Per qualche secondo sentì tra le braccia la schiena, le spalle del fratello tanto più alto di lui, che tremavano convulse, come un uccello caduto troppo presto dal nido che cerca protezione per dimenticare la perdita alla quale non sa far fronte. Poi, di scatto, George lo lasciò andare. Suo padre, appena sopraggiunto, lo prese per le spalle e lo abbracciò piangendo, e il figlio gli cinse le spalle e scoppiò a piangere ancora più forte. – Papà… -, singhiozzava, - Papà, Fred… Fred – io, io… - balbettava in lacrime.
Arthur lo strinse ancora più forte, non sapendo che cosa dire. Ma barcollando, George si staccò da lui tornando chino sul corpo del gemello.
 

  
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