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Autore: hanaemi_    17/12/2012    3 recensioni
"25 febbraio 1947.
Un telegramma. Un dannatissimo, maledettissimo telegramma."

{866 words.}
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Ungheria/Elizabeta Héderváry
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Come what may...



{Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi: Prussia x Hungary
Pairing: Prungary
Parole: 866.}

25 febbraio 1947.
Un telegramma. Un dannatissimo, maledettissimo telegramma.
 

1 settembre 1939: la Germania invade la Polonia
Prussia finì di sistemarsi l’uniforme militare e chiuse la valigia, con uno sguardo duro stampato in viso. Ungheria sospirò, guardandolo dalla soglia della loro camera da letto, le braccia strette intorno al corpo e il viso arrossato dalle lacrime appena versate. Non era bastata la guerra di vent’anni prima, no. Ora se n’era venuta a creare un’altra, forse anche peggiore. Tirò su col naso e si asciugò per l’ennesima volta gli occhi, dirigendosi in cucina e sedendosi al tavolo. Poco dopo, il sommesso rumore delle scarpe di Gilbert la raggiunsero in cucina. Il ragazzo si fermò sulla soglia, valigia in mano e berretto in testa, pronto a partire. Elizaveta si alzò e gli andò davanti, senza parlare. E dopo qualche minuto, incapace di contenersi, lo strinse a sé, tenendolo per la giacca, spaventata da ciò che stava accadendo. Gilbert mollò la valigia e la abbracciò forte, accarezzandole i  lunghi capelli chiari.
-Eliza, Eliza, ssh…-
-Gil...io...non voglio che tu vada lì...- mormorò, scossa dai singhiozzi.
-Devo, purtroppo. Lo faccio per West. E, forse, lo faccio anche per noi. Ora guardami.-
E, così facendo, le prese il viso tra le mani e glielo sollevò, costringendola a guardarlo negli occhi.
-Ti affido il mio cuore. Abbine cura, per favore.-
-E tu…cerca di non morire, va bene?-
Prussia annuì, posandole un dolce bacio sulla fronte.
-Te lo prometto, Eliza.-

 
 
 
25 febbraio 1947
Erano ormai passati due anni dalla fine della guerra. Era una tranquilla mattina di fine febbraio, anche se Ungheria aveva uno strano presentimento che la tormentava da qualche giorno, una sorta di timore.
"Forse è solo una mia suggestione…" disse tra sé e sé, ricordando che Gilbert le aveva fatto recapitare una lettera circa un mese prima in cui le comunicava che a fine febbraio/inizio marzo sarebbe ritornato e che non vedeva l’ora di riabbracciarla e di sentire nuovamente il sapore delle sue labbra. Proprio mentre era intenta a ripensare alle sue parole, suonò il campanello. Andò ad aprire e si trovò di fronte un uomo, vestito in tenuta militare.
-È lei la signora Héderváry?-
 
“Oh, no, non può essere…” pensò Ungheria, portandosi le mani alle labbra e annuendo, in attesa di sapere.
 
L’uomo si tolse il berretto e abbassò il capo, porgendole una busta.
-Questo è per lei. Mi dispiace molto, signora.- Poi si rimise il cappello in testa e andò via.
Elizaveta prese con mani tremanti la busta che l’uomo le porgeva tra le sue mani, fece un cenno col capo in segno di ringraziamento e chiuse la porta. E lì, in piedi nell’ingresso, tirò fuori ciò che conteneva la busta.
Un telegramma. Un dannatissimo, maledettissimo telegramma.
Le lacrime cominciarono a scorrere velocemente lungo le sue guance.
-Bastardo, bastardo…me l’avevi promesso…- fece, mollando la busta e crollando seduta a terra, per poi scoppiare in forti singhiozzi.
-Mamma, mamma!- fece una bambina, avvicinandosi a Ungheria. Doveva avere circa sette anni, era nata poco dopo la partenza di Gilbert.
-Che succede? Perché piangi? Ho sentito che urlavi e mi sono svegliata…- disse la piccola, strofinandosi gli occhi ancora assonnati.
Elizaveta si asciugò le lacrime e la guardò, con un sorriso a metà tra il triste e il dolce. Assomigliava tantissimo a suo padre, aveva i suoi stessi occhi rossi e il suo stesso sorriso malandrino.
-Niente, Annika, niente, torna a dormire, dai…-
-Ci sono notizie su papà? Quando torna?-

Era una bambina incredibilmente loquace, inoltre. Sapeva intuire cosa stava accadendo anche se non le si diceva nulla.
-Papà…papà forse non tornerà, tesoro. Vieni qui…- e, così dicendo, la prese tra le braccia e la strinse a sé, accarezzandole il capo.
-Vedi, papà…è andato in un posto migliore. Lì, con Dio e i suoi angeli. E molto probabilmente si starà divertendo molto…Chiudi gli occhi: lo vedi? Riesci a sentire la sua risata?- fece, tenendola stretta. La bambina chiuse gli occhi, concentrandosi nell’immaginare il padre.
-Sì! Mamma, sì, sta ridendo!- rispose la piccola ad occhi chiusi, con un grande sorriso sulle labbra.
-Ma un giorno…un giorno andremo anche noi da lui?- aggiunse poi Annika, aprendo nuovamente gli occhi e fissando la madre, in attesa di una risposta. Elizaveta le posò un bacio sulla fronte e la cullò tra le sue braccia.
-Sì, piccola mia, sì…un giorno anche noi lo raggiungeremo e potremo finalmente essere una famiglia felice…-
 
Intanto la busta col telegramma, lasciata lì per terra, aveva fatto uscire anche un altro foglio. Eliza se ne accorse e lo afferrò. Era una foto di lei con Annika di appena due mesi, e dietro vi era anche la data, 15 maggio 1940. E sotto, nella sua scrittura ricca di ghirigori, Gilbert aveva aggiunto:
 

«La mia AWESOME mogliettina e la mia AWESOME figlioletta! Siete bellissime, non vedo l’ora di abbracciarvi.
 
“Come what may
come what may
I will love you
until my dying day...”
»

 
Al leggere le ultime parole, una lacrima, una sola, solcò la guancia di Eliza. Allora lui sapeva già a cosa era destinato, nonostante tutte le promesse…Si strinse la foto al petto, chiudendo gli occhi.
 

“Grazie di avermi fatto continuare a sperare, Gil…”

   
 
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