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Autore: Fiorels    17/12/2012    33 recensioni
Si dice che in ogni vita ci sia un punto di svolta. Un momento così chiaro e definito da farti sentire come se fossi stato colpito al petto, non potessi più respirare e il tuo cuore sappia, semplicemente sappia, senza la più piccola ombra di dubbio, che la tua vita non sarà mai più la stessa.
Per me, Kristen Stewart, quel momento fu quando per la prima volta posai gli occhi su di lei.
Nulla fu più come prima.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kristen Stewart, Robert Pattinson
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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HNL - cap 1
Ehhhhhhhhhhhhhhhhhhhh….
Eccoci qui e finalmente si può dire che è arrivato il Natale. Perché per noi non è Natale finché le nostre menti malate non partoriscono una nuova mini ff natalizia, perciò tutte insieme urliamo…
Jxjchjdhvjhdvsbbhjdsbvshbsdhh *________*
Ok, facciamo le persone serie u___u (Seh, come no).
Ok, dicevamo. Come sapete l’ispirazione per la ff ‘Ogni battito del mio cuore’ è scemata nei mesi, e ci siamo rese conto che per necessità, tempi e modalità, le mini ff sono meglio per noi. Sono più flessibili e ci permettono di scrivere ma con più libertà. Perciò anche quest’anno siamo qui a proporvi una storia che (almeno per noi) è mooooolto valida e avvincente. Come al solito ci saranno momenti corrispondenti a queste faccine:
*______* -> ahahah i momenti amati da tutti ;
 
T______T ->  aehm… i momenti in cui ci maledirete;
 
O_____O -> ci conoscete perciò tali momenti abbonderanno hihihiih;
 
Vogliamo ricordarvi che se nel corso della storia ci saranno alcune situazioni che riguarderanno ambiti specifici come medicina, legge, o altre professioni, beh... ecco, tenete la mente un po’ aperta perché anche se ci siamo informate alcune volte dovete lasciarci un po’ di ‘licenza narrativa’ o saremo volutamente un po’ vaghe ahahah.
La ff non è stata pre-letta da nessun essere umano vivente che ci abbia garantito la riuscita della nostra storia, ahah, quindi ognuna di voi legge materiale inedito!! Perciò, mi raccomando, fateci sapere *_____*
La ff è quasi totalmente pre-scritta quindi il postaggio è garantito ogni cinque giorni ;)
Ok, ci pare di aver detto tutto…perciò siamo onorate di dare il via all’oroginale annuale mini ff Natalizia di Cloe & Fio!!! 
(suggerimento musicale)


 
Pov Kristen
23 dicembre 2015, Londra
 
C’è qualcosa di terribilmente strano nel Natale.
In quel periodo dell’anno è come se tutto il mondo all’improvviso fosse più bello, più giusto, più equo, più… più felice. Tutti corriamo in giro per le strade innevate a comperare regali per persone che magari conosciamo solo di vista perché, si sa, è Natale. Ci affanniamo a cucinare dolci e cene di sei portate per parenti che a malapena vediamo un paio di volte all’anno perché, si sa, è Natale. Ci ritroviamo persino ad accantonare i nostri problemi personali per preoccuparci degli altri e dei meno bisognosi perché, si sa, è Natale e tutti dobbiamo almeno cercare di essere più buoni.  La cosa davvero strana, però, è che tutto questo non è uno sforzo per la maggior parte delle persone; è come se insieme alle decorazioni, agli alberi, al vischio e ai dolci alla cannella ci instillassero anche una dose di buon umore, di gioia, di allegria e di… di speranza. E si diventa persone migliori; almeno per quel mese all’anno ci riserviamo la prerogativa di vedere il mondo a tinte colorate, di pensare che, perché no, le cose dal primo gennaio andranno davvero meglio.
Ma la volete davvero sapere la cosa più strana del Natale?
La magia.
La cosa più strana è che non importa quanto la tua vita possa essere tremenda, quanto tu sia triste o scoraggiato; ci sarà sempre in quel lungo mese di dicembre, per tutti noi, almeno un minuto, almeno un secondo, almeno un istante, in cui sentiremo la magia nell’aria e crederemo che qualcosa che avevamo sempre reputato impossibile, possa accadere. E allora ci sentiamo pervasi di fede e di qualcosa che non è nemmeno possibile definire se non come magia. E sì, tutto questo, nei luoghi anche più strani oppure nei più comuni. C’è a chi succede a casa propria davanti ad un camino, a chi succede mentre è imbottigliato nel traffico e a chi… a chi succede mentre si trova al centro di un aeroporto affollato dai classici viaggiatori.
Proprio come accadde a me.
Il momento in cui sentii che quelle feste di Natale sarebbero state diverse da qualsiasi avessi mai vissuto prima.
Rob sbadigliò appoggiando la fronte contro la mia spalla, dopo aver lasciato cadere sonoramente le nostre due valige a terra.
“Tranquilla, non preoccuparti, non avevo bisogno di aiuto. Ma grazie di esserti offerta, eh” si lamentò.
“Oh, andiamo! Per una volta che ti faccio fare l’uomo forte e macho non dovresti proprio lamentarti. Sei tu quello che si lamenta sempre del fatto che io ti consideri un pappamolle che inciampa dappertutto.”
Mi guardò storto. “Questo perché mi consideri un pappamolle che inciampa dappertutto.”
Gli baciai la punta del naso. “Questo perché è vero. Piuttosto, vedi di non sbattere le valigie con tutta quella forza. Ci sono i regali per le tue sorelle e per i tuoi genitori lì dentro e non vorrei che si rompessero per colpa tua.”
“Sì, padrona!”
Ridemmo come due stupidi finchè non raggiungemmo un angolo un po’ appartato della grande sala ritiro bagagli e mi guardai furtivamente intorno cercando di monitorare la situazione. La zona era relativamente tranquilla ma sapevo che il peggio doveva ancora arrivare e si sarebbe manifestato nella folla oceanica di parenti e amici che accoglieva le persone che tornavano a casa per le feste. Per cui la nostra vera missione iniziava ora.
Mi aggiustai guanti e cappellino, calandomelo il più possibile sugli occhi; poi feci lo stesso col cappello da baseball di Rob e i suoi occhiali da sole.
“Ti rendi conto che sembriamo assurdi?” protestò “Cappello di lana e guanti per te e occhiali da sole per me? Siamo spaiati.”
“Siamo originali” ribattei “E soprattutto irriconoscibili. Sembriamo forse Kristen Stewart e Robert Pattinson? No, sembriamo…”
“Kris, posso ricordarti che noi siamo Robert Pattinson e Kristen Stewa…”
“Shhhhhhh” gli tappai la bocca con la mano, voltando freneticamente  il capo da una parte all’altra. “Vuoi che ci scoprano? Non urlare!”
Solo una vecchietta sembrava averci notati ma riportò subito la sua attenzione altrove. Per fortuna!
“Lo sai che siamo in incognito! Questa è la nostra missione segreta e se la farai saltare me la prenderò con te.”
Rob si abbassò un poco gli occhiali da sole e premette la mano sulla mia fronte  come a voler accertarsi che non avessi la febbre.
“Scemo, smettila.”
Provò a trattenerlo ma un risolino, l’ennesimo da quando gli avevo esposto il mio piano qualche giorno prima, gli increspò le labbra.
“Ripetimi ancora una volta perché non possiamo arrenderci al fatto di essere famosi e sopportare la cosa come abbiamo sempre fatto” domandò.
“Perché quest’anno ho deciso così” sentenziai “Perché per una volta voglio che tutti si chiedano dove siamo senza saperlo, perché per una volta sono convinta che viaggiando soli e acconciati come normali turisti nessuno ci riconoscerà. Dai, sarà divertente!”
I suoi occhi si assottigliarono. “Nessuno ci riconoscerà eh”
“No!” esclamai entusiasta “Insomma, pensaci! Abbiamo passato gli ultimi tre Natali da quando ci siamo sposati in qualche posto esotico o fuori mano o remoto e alla fine ci hanno scoperti comunque e abbiamo dovuto firmare sempre almeno una dozzina di autografi e fare foto e…”
“E cosa ti fa pensare che quest’anno non succederà? Quelli erano posti esotici” intervenne “E questa è Londra, con milioni di abitanti. Tutti sanno che i miei genitori abitano qui e…”
“Ahah! Qui sta il bello! Negli ultimi anni abbiamo depistato i paparazzi! Ora sono tutti all’erta di trovarci mentre ci crogioliamo al sole ai caraibi e invece… bam! Eccoci qui, dove nessuno ci aspetta! Sono un genio!”
Non rispose ma un suo sorriso a trentadue denti mi informò che lo avevo convinto o, quanto meno, aveva deciso di non protestare con me.
“Tanto lo so che ti mancano i tuoi” lo punzecchiai “Specialmente la tua mamma.”
“Ed è così, lo sai” rispose. Ci tenevamo per mano, camminando tra la folla che aveva riempito quasi interamente la zona arrivi dell’aeroporto di Heathrow; sembravano tutti così presi dalla frenesia delle feste da prestare pochissima attenzione a due ragazzi che, per una volta, erano solo due sconosciuti in mezzo ad un mare di gente.
Trattenni il respiro finchè non salimmo sani e salvi a bordo di un taxi e, dopo aver dato l’indirizzo, il tassista partì, immettendoci nel traffico della capitale inglese.
Lanciai un’occhiata divertita a Rob che aveva la faccia schiacciata contro il finestrino e guardava fuori come… come solo una persona che rivede la propria casa dopo mesi può fare. Poteva anche dire che i nostri ultimi Natali passati a fare i neosposini erano stati fantastici ma sapevo che stare a Londra durante le feste gli era mancato; i Caraibi e la Polinesia erano stati epici, pieni di sole, spiagge tiepide, nottate abbracciati, fare l’amore quando e dove volevamo…
Ma quest’anno era giusto venire a Londra.
Lo sentivo nel profondo delle ossa.
Era la cosa di cui entrambi avevamo più bisogno.
Avevamo bisogno di casa, di famiglia, di tè fumante, biscotti caldi, pudding…
“Un penny per i tuoi pensieri?” sussurrò roco al mio orecchio. Neppure mi ero resa conto che si era sporto verso di me e le sue labbra mi sfioravano l’orecchio “A che pensavi?”
“Al pudding.”
Rob alzò un sopraciglio. “A me ricoperto di pudding? O a te ricoperta di pudding e io che lo lecco? Mmm, se ben ricordo, a quest’ora l’anno scorso, eravamo in Polinesia e io stavo leccando un’altra parte anatomica del tuo corpo…”
Scoppiai in un risolino quando le sue dita iniziarono a solleticarmi, aiutate dal buio della macchina. Se non che il tassista scelse proprio quel momento per rivolgerci la parola e indagare sulla provenienza dei suoi passeggeri. Pessimo tempismo!
E, cosa ancora più pessima, quando ci chiese da dove venissimo Rob fu sul punto di dire tranquillamente che venivamo da Los Angeles. Presi in mano la situazione immediatamente.
“Io sono texana” imitai la mia migliore parlata strascicata del sud. Rob scoppiò a ridere e si beccò una gomitata nelle costole. “E lui è, ehm…mio fratello. Ma non parla, poverino. Lui è mmm…” sperai che l’uomo non ci avesse visti parlottare a bassa voce prima “è muto.”
Rob emise una sorta di grugnito di protesta che gli valse un’occhiata compassionevole del tassista. “Oh poveretto. Mi spiace tanto.”
Mi limitai a borbottare un ‘grazie’, non sapendo quanto a lungo mi sarei trattenuta io stessa dal ridere a crepapelle.
Erano passati si e no 20 secondi quando sentii il telefono vibrarmi in tasca. Lo estrassi e lessi un messaggio di Rob.
‘Sarei muto adesso? Anche sordo, cieco e storpio?
Ho sviluppato Qualche altra malattia invalidante
nel corso degli ultimi cinque minuti o sono a posto?’
La voglia di ridere si faceva più pressante ma riuscii a contenermi e a continuare il nostro giochetto.
‘Tu e la tua linguaccia stavate per rovinare tutto.’
‘Ricordavo che ti piacesse la mia lingua :P’
Il buio non gli diede la soddisfazione di vedermi arrossire.
‘Pervertito. Sarà meglio che ti comporti bene. Ricorda che sono
Tua moglie e questo fa di me il tuo capo.’
Ammiccò verso di me ma non disse nulla.
‘Il capo eh?’
‘Sono sempre stata io il capo, bello mio ;)’
Scosse la testa, sogghignando, ma vidi le sue dita esitare sullo schermo del telefono, cancellare ciò che aveva digitato e poi riscrivere da capo. Quando la sua risposta arrivò sul mio telefono con una vibrazione sentii le dita della sua mano intrecciarsi a quelle della mia.
‘Quando prendevo i bagagli e ti ho lasciata da sola… ti ho vista che fissavi il vuoto e sembravi..piena di pensieri.
Stavi pensando ancora a quello?’
Non avrei dovuto essere stupita dalla sua domanda. Lui era mio marito ma era anche il mio migliore amico, il mio confidente, la persona che aveva sofferto come me per la notizia che avevamo ricevuto meno di due mesi prima. Era colui che mi conosceva meglio di chiunque altro al mondo, spesso molto più di me stessa…
Lui conosceva il mio dolore. Lo aveva diviso con me in quello studio medico e lo divideva con me ora. Era un’altra delle cose che, in fondo, ci avrebbe legati per sempre.
Aspettai a rispondergli fino a quando fummo scesi dal taxi e ci ritrovammo con le nostre valigie sul vialetto di casa dei suoi genitori. La mano di Rob non aveva mai lasciato la mia, neppure per un secondo, e mi dava un calore che nemmeno il gelo dell’inverno poteva scacciare.
“Non stavo pensando a quello” sussurrai “O meglio, forse sì. Forse una parte di me stava pensando anche a quello. Ma quello a cui davvero pensavo era il Natale, al fatto che rende tutto migliore, meno… negativo. Capisci?”
I suoi occhi non si erano mai staccati dai miei ma quando fece per parlare lo bloccai, posando le dita sulla sua bocca.
Sapevo quello che avrebbe detto.
Che eravamo giovani, che avremmo provato e riprovato e ancora, ancora e ancora, che saremmo andati da mille dottori, che potevamo pensare a mille vie diverse se fosse stato necessario. Sapevo che le sue non sarebbero state solo parole dette al vento per farmi stare meglio; sarebbero state sincere e lui ci avrebbe creduto veramente mentre le diceva.
Ma in quel momento non era ciò che avevo bisogno di sentirmi dire; la speranza che avevo sentito in aeroporto era ancora chiara e forte dentro di me.
“Non pensiamoci ora. Pensiamo solo a divertirci e a goderci le feste con la tua famiglia”
“La nostra famiglia” mi interruppe baciandomi con le sue labbra fredde e calde allo stesso tempo.
“La nostra famiglia” mormorai.
E, nonostante il dolore degli ultimi mesi, permisi a me stessa di essere di nuovo felice.
 
 
“Sai, sono davvero felice che siate venuti e che almeno quest’anno non ve la siate battuta alle Hawaii” disse Lizzie passandomi un bicchiere di champagne. Presi un lungo respiro che mi permise di assimilare i profumi tipicamente natalizi che permeavano la casa e non potei fare a meno di pensare che anche io ero felice di essere lì, circondata dal calore che solo la famiglia ti può dare. Quel pensiero, tuttavia, mi diede anche una fitta di vergogna al cuore. Li consideravo davvero la mia famiglia anche se tra noi non c’erano legami di sangue: mi avevano accolta e amata dal primo momento e mai, mai, neppure quando avevo fatto scelte stupide che avevano fatto soffrire il loro stesso figlio, mi avevano allontanata o giudicata.
E allora perché quando due mesi prima una parte del mio mondo, una parte che un tempo neppure credevo di volere, mi era crollata addosso, non avevo detto loro nulla?
Peggio, avevo addirittura chiesto a Rob di non dir loro nulla.
Perché non ero pronta, perché si sarebbero preoccupati per me, perché mi avrebbero chiesto incessantemente come stavo e cosa provavo e…
Tutte scuse.
La sola ragione per cui avevo chiesto a Rob di non raccontarlo era perché mi vergognavo. Di essere diversa, di essere sbagliata… difettosa.
Come se avesse potuto leggere nei miei pensieri, Clare intrecciò il braccio al mio e mi massaggiò la mano con amore.
“Allora, Kristen, i tuoi genitori come stanno?”
Ed ecco un’altra ragione per cui amavo il calore e la solidità della famiglia Pattinson. I miei genitori avevano divorziato tre anni prima ma in realtà erano anni che le cose non erano state più come un tempo. Mi amavano, amavano i miei fratelli, ma non era giusto che continuassero a stare insieme solo per dare la parvenza di una famiglia felice che non esisteva.
Meglio essere realisti e andare ognuno per la propria strada, questo aveva detto mia madre; senza rimpianti e senza rancore. E forse una parte di me sapeva che aveva ragione, ma saperlo non mi aveva fatta sentire meno spaesata quando davvero si erano separati. O meno sola, o meno persa.
Ripensandoci, quella del 2012 era stata l’estate più schifosa della mia intera esistenza, per più di una ragione.
Prima che i miei pensieri prendessero una spiacevole direzione, mi voltai, rivolgendo un sorriso stentato a Clare.
“Bene. Ma sai come sono… papà passava le vacanze da alcuni amici, la mamma è in Australia per un progetto a cui sta lavorando e i ragazzi…” feci un gesto vago con la mano “Beh, lo sai come sono fatti. Ognuno ha amici diversi e preferiscono trascorrere le feste così. Di certo non con la loro noiosa, sorella sposata.”
Avvertii la mano di Rob scivolare all’interno della tasca dei miei jeans, lasciandomi una carezza; solo per farmi sapere che era lì con me, vicino al mio cuore.
“A me piaci anche se sei noiosa e sposata” disse, divertito.
Ridemmo tutti e quattro, la tensione stemperata da quella  battuta. A pochi passi da noi Victoria rovesciò un bicchiere di champagne che stava riempiendo, facendolo cadere a terra con un tonfo secco.
“Scusate, scusate! Mamma non fare quella faccia, pulisco io. Subito, subito, subito.”
Detto fatto, in meno di un minuto e ancora prima che suo marito Mark si offrisse di darle una mano, era andata e tornata con un grosso straccio e sul pavimento non restava neppure una gocciolina di vino.
Non potei fare a meno di chiedermi se per caso non avesse già bevuto un po’ troppo perché era da quando eravamo arrivati che sembrava… su di giri.
“Mi chiedo che le succeda” borbottò Clare.
“In effetti è peggio del solito” aggiunse Rob “Di solito, quella schizzata sei tu Lizzie. Vic è relativamente normale.”
Questa frase ovviamente ottenne l’effetto sperato, ossia iniziare una battaglia all’insulto più cattivo tra Rob e Liz. E, anche se era esattamente contro lo spirito natalizio che tanto amavo, non riuscii a trattenere una risata ricordando come io stessa non avessi fatto altro con i miei fratelli . I battibecchi, le litigate, le prese in giro… Non credevo che lo avrei mai detto ma ora che eravamo cresciuti mi mancavano terribilmente.
Rob e Lizzie, inutile dirlo, non erano cresciuti poi così tanto, evidentemente.
Proprio quando ero certa che Clare li avrebbe presi ciascuno per un orecchio e trascinati in castigo in un angolo, fu Vic a intervenire, battendo leggermente con un cucchiaino contro il suo bicchiere per attirare l’attenzione di tutti.
Quando anche Liz distolse il suo sguardo imbronciato da Rob con un’ultima linguaccia, Vic prese la mano di suo marito Mark e…
E quello fu il momento in cui capii.
Anzi, forse lo avevo saputo sin da quando mi ero resa conto di quanto sembrasse eccitata e felice e entusiasta e… bella. Bella in quel modo particolare e inconfondibile di una persona che è sempre uguale eppure ha qualcosa di tremendamente diverso dentro di sé.
“Beh, io e Mark abbiamo una cosa importante da dirvi” annunciò. “Aspettiamo un bambino.”
Le guance le si colorarono di rosa e il mio sangue si fece di ghiaccio.
In meno di un istante fu come ritornare al dolore di qualche mese prima.
 
“Lo sai che andrà tutto bene, vero?” mormorò Rob al mio orecchio “Sta’ tranquilla”
Annuii veloce. Cercava di confortare me quando si vedeva lontano un miglio che lui era altrettanto agitato e preoccupato; la sua gamba non smetteva di muoversi su e giù, quasi in sincrono con quel maledetto orologio bianco attaccato alla parete bianca, vicino alla finestra con gli infissi bianchi…
Perché gli studi dei medici dovevano essere sempre così? Si presumeva che il bianco fosse un colore che avrebbe dovuto trasmettere pace e calma?
Beh, si sbagliavano di grosso. Si sbagliavano terribilmente.
Perché la sola cosa che avrei voluto fare in quel momento era urlare, piangere o vomitare. Vomitare almeno avrebbe dato un po’ di colore alla stanza. Cercai di mettermi su un sorriso tirato ma non venne fuori altro che una smorfia.
“La maggior parte della gente ci prova per mesi o anni, anche. Non è mica come nei film che sbam, basta una volta sola, no?” continuò Rob. La sua gamba sbatteva sempre più velocemente. “In fondo non è moltissimo che hai smesso di prendere la pillola. Non c’è ragione di preoccuparci.”
La sua voce era così al limite che non potei non chiedermi chi dei due stesse davvero cercando di convincere.
“E quando il dottore ci dirà che è tutto a posto e che dobbiamo solo stare tranquilli potremo andare a casa…”
“A fare sesso?” scherzai. O almeno ci provai; dopotutto stava cercando di rassicurarmi da giorni, tentando di restare positivo mentre io mi consumavo dall’ansia. Il minimo che potevo fare era fare finta di crederci.
“Sì” i suoi occhi si illuminarono alla mia battuta “E ho anche una sorpresa a casa che ci aspetta per quando…”
Non riuscì mai a finire la frase.
Sentimmo la porta aprirsi e poi richiudersi alle nostre spalle e bastò quel clic a farci capire che, nel bene o nel male, da quel momento in poi avremmo potuto smettere con le finte rassicurazioni che continuavamo a darci a vicenda.
Il medico si sedette alla sua scrivania  con un sorriso calmo che non mi tranquillizzò affatto. Avrei scommesso tutto quello che avevo che quello era il classico sorriso standard dei medici, indipendente dalla notizia che stavano per comunicare. Per farti stare calma e poi…
Zac.
“I risultati degli esami sono arrivati. E purtroppo non ho buone notizie.”
Dovetti ammettere che ebbe la gentilezza di non indugiare con frasi fatte. Arrivò dritto al punto.
Zac.
Un taglio netto. Avrebbe dovuto fare meno male, vero?
No… no.
Non face affatto meno male.
 
“Oh mio Dio ma è meraviglioso!”
“Tesoro, sono così felice per te! Ed emozionata! Il nostro primo nipotino!”
“Se sarà un maschietto lo chiamerete come me, eh?”
“Sarà una femminuccia! E come secondo nome pretendo Elizabeth, che dopotutto è uno dei più bei e tradizionali nomi inglesi, no?”
Le voci eccitate della famiglia Pattinson intorno a me, mano a mano, mi riportarono alla realtà.
Un bel respiro, Kristen.
Non ero in California, nello studio asettico di un medico.
Ero a Londra, era Natale ed era stata appena data una delle più belle notizie che si possano sentire in una famiglia. Una di quelle poche notizie che cambiano la vita ma solo in modo positivo, portando più allegria e più gioia e…
E allora perché diavolo mi sentivo come se mi avessero appena sparato dritta al cuore?
Oh sì, giusto. Perché io non avrei mai potuto dare quel genere di notizia.
Mai.
In tutta la mia vita.
“Oh Kris, ma ti stai commuovendo?” Vic mi strinse in un abbraccio che mi lasciò stordita. “Awww, no dai!”
“Io…”
Le parole mi ostruivano la gola, ma la mia mente vorticava a mille all’ora. Era ovvio che si aspettavano che le mie lacrime fossero di gioia. Vic era come una sorella, i Pattinson erano una famiglia… la mia famiglia. E non ero ancora così morta dentro da non sentire di essere davvero felice per lei. Lo ero, Vic era fantastica e si meritava il meglio dalla vita, ma…
Deglutii il groppo che mi impediva di respirare e mi asciugai la lacrima che mi colava lungo la guancia.
Ero un’attrice, no? Dovevo solo concentrarmi sulla parte del mio cuore davvero felice per lei e ignorare tutto il resto.
Potevo farcela.
“Io… è… fantastico e… davvero è una notizia stupenda e…”
Forse, dopotutto, non ero un’attrice così brava.
“Kris, accidenti, Ruth non ti aveva detto di chiamarla per quel… quel contratto?” intervenne Rob. Mi resi conto che nemmeno lui era riuscito a dire una parola. “Aveva detto che era terribilmente importante. Forse dovresti chiamarla.”
I nostri occhi si incrociarono e capii, capii in un istante che mi stava dando una via d’uscita. La raccolsi con gratitudine borbottando qualcosa di non meglio definito e facendo ondeggiare il telefono per far capire che sarei andata a telefonare.
Ricominciai a respirare solo quando l’aria fredda del giardino mi congelò le lacrime sulle guance e, dopo aver alzato il viso al cielo, mi accorsi che stava nevicando.
La neve… un’altra delle cose che più di tutto mi facevano sentire quella speranza tipica del Natale. E adesso?
Adesso nulla.
La sensazione che qualcosa sarebbe accaduto, che qualcosa di bello sarebbe successo, che avevo provato prima all’aeroporto era svanita come se non fosse mai neppure esistita.
Come un’illusione.
Sentii le braccia di Rob circondarmi da dietro ancora prima di avvertire il suo respiro caldo contro la pelle gelida e umida della mia guancia.
“Vorrei…dovrei sentirmi…”
“Shhh, lo so” sussurrò “Non è colpa tua. Non è colpa tua.”
 
“Non è colpa tua. Troveremo una soluzione…qualcosa. Ma non pensare che sia colpa tua neppure per un secondo. Okay?”
Non annuii, troppo stanca anche solo per provarci. Che senso aveva? Entrambi ora sapevamo che era colpa mia. Lo era e nulla di quello che avrebbe detto Rob avrebbe cambiato le cose.
Il medico era stato chiaro come il sole nella sua diagnosi.
Rob non aveva nulla che non andasse. Lui era sano e perfetto.
Io… io ero quella danneggiata, fatta male. Questo si era chiaramente evinto tra tutte le grandi parole mediche che ci aveva propinato quel pomeriggio; quando lo avevamo guardato sconvolti era stato chiarissimo. Il mio utero aveva qualcosa che non andava, non era adatto ad accogliere un bambino, non permetteva all’embrione di attecchire, la mia possibilità di restare incinta era meno… meno del 2%.
Era inutile continuare a dire che non era colpa mia.
Perché lo era.
Passai oltre Rob e salii le scale. Forse se avessi chiuso gli occhi, la mattina dopo mi sarei svegliata e avrei scoperto che era stato solo un brutto sogno, nulla di più. Evidentemente, però, Dio non ce l’aveva avuta a sufficienza con me perché quando arrivai in cima al pianerottolo mi accorsi che dalla cameretta attaccata alla nostra proveniva una luce.
Era una stanza che avevamo adibito a magazzino ma, da quando avevamo iniziato a provare ad avere un bambino, sapevamo che quella sarebbe stata la sua cameretta un giorno…
“L’hai lasciata accesa tu?” mormorai.
“Sì” Rob mi posò una mano sul braccio cercando di indirizzarmi verso la nostra stanza “La spengo dopo. È stata comunque un’idea stupida e… andiamo a letto.”
Fu in quel momento che capii.
La sorpresa di cui mi aveva accennato dal medico.
Mi staccai dalla sua presa ed entrai.
Tutte le sue scartoffie, i mille fogli e scatoloni che lo avevo rimproverato di depositare lì senza un ordine preciso erano spariti. Era rimasto solo il mobile marrone su cui una piccola abat-jour faceva luce. Le pareti, una volta bianche, ora erano arancione chiaro, perfette per la cameretta di un neonato.
Neutre perché avevamo sempre detto che non avremmo voluto sapere il sesso. C’erano così poche sorprese nella vita, no?
“È un bel colore. Allegro.”
“Kris…”
“La culla l’avrei messa qui” continuai senza riuscire a fermarmi “Non troppo vicino alla finestra per evitare i raggi del sole. Il fasciatoio lì perché è la parete più larga e c’è spazio per tanti scaffali e…”
“Kris… sono un idiota. È stato stupido, io credevo di…”
“Credevi di essere normale” mormorai “E lo sei. Quella sbagliata sono io.”
Sgusciai fuori dal suo abbraccio e, prima che me ne rendessi conto, ero seduta a terra, in camera nostra, la testa posata contro il bordo del letto, le lacrime che fluivano libere sulle mie guance.
Quando Rob mi raggiunse non lo allontanai ma mi lasciai cullare dal suo abbraccio finchè in me non rimase neppure più una goccia d’acqua. Non sapevo se fossero passati minuti o ore ma la stanza si era fatta sempre più buia.
Fu lui il primo a spezzare il silenzio.
“Andremo da altri dottori.”
Scossi il capo. “Siamo stati a Berkeley, dal più famoso specialista di tutto il sud-ovest.”
“Beh andremo da qualcuno più famoso, più bravo, più…”
“No, invece non lo faremo.”
Non avrei avuto la forza di sentirmi ripetere la stessa cosa ancora e ancora e ancora. Io sapevo che in me c’era qualcosa che non andava, lo sapeva il mio cervello e lo sapeva il mio cuore. Prima lo avessi accettato e prima…
Le braccia di Rob mi massaggiavano cercando di darmi un calore che non avrebbero mai potuto infondermi.
“Sai che c’è stato un tempo in cui non mi sarei mai vista come madre?” le parole mi uscirono prima che le fermassi “Che non avrei mai pensato di volere un figlio, di avere bisogno di un figlio… E poi quando lo volevo pensavo che sarebbe arrivato subito, senza fatica, senza sapere che non avrei mai… mai potuto averlo, invece.”
La voce mi si spezzò.
“Non funziona così. Dio non ti sta punendo. Questa non è colpa tua…”
“Lo so.”
Non era vero, non lo sapevo. Ma quello che sapevo era che se avesse detto un'altra volta ‘non è colpa tua’ non avrei più risposto della mia sanità mentale.
“Prendiamoci un paio di giorni per metabolizzare la notizia, okay?” mormorò. Sentii le vibrazioni delle sua parole contro la mia pelle, le sue braccia sollevarmi e poi dormii.
Dormii sperando di svegliarmi in un mondo diverso.
 
Ma non era successo.
Mi ero risvegliata nello stesso mondo.
Lo stesso mondo in cui mi trovavo adesso, distrutta anche dopo mesi.
 
 
Riaprii gli occhi quando sentii la porta della stanza aprirsi e richiudersi. Rob entrò con in mano un panino e un bicchiere di Coca-Cola.
“Ehi.”
“Ehi.”
“Non sei scesa per il pranzo, perciò ho pensato che avessi fame adesso. I miei erano un po’ preoccupati.” Indugiò “Io ero molto preoccupato. Sono preoccupato.”
Guardai distrattamente l’orologio sul comodino che segnava le tre del pomeriggio del 24 dicembre, ma il mio sguardo fu subito ricatturato dal tormento che leggevo negli occhi azzurri di mio marito. Non avrei voluto farlo soffrire così. Avrei voluto essere capace di dimenticare, di superare… avrei voluto solo essere capace di dargli un figlio.
Dio! Perché la sola cosa che desideravo al mondo era anche la sola cosa che non avrei mai potuto avere?
Non fu, però, questa la domanda che uscì dalle mie labbra.
“Tu lo sapevi, vero? Di Victoria, del… del bambino.” Faceva male persino dirla quella parola. “Per questo non volevi che venissimo per le feste. Per questo volevi andare in un posto lontano. Per darmi la notizia con calma e non farmi fare la figura della pazza asociale con i tuoi.”
Chiuse gli occhi, prendendo un grosso respiro e scuotendo il capo. “Non lo sapevo. Ma è mia sorella e nell’ultimo mese mi era sembrata un po’ strana e... la conosco da tutta la vita, Kristen. Sapevo che lei e Mark ci stavano pensando e quando mi ha detto che aveva notizie meravigliose ho fatto due più due.”
Mi limitai ad annuire. Non provai neppure a frenare la singola lacrima che mi scivolò lungo la guancia davanti ai suoi occhi pieni di dolore.
“Perché sei ancora con me?” mormorai “Perché non mi odi?”
Erano mesi che mi ponevo quella domanda ma quella era la prima volta che raccoglievo il coraggio necessario. Una parte di me mi diceva che ero una stupida se pensavo che Rob, l’uomo che avevo sposato e che mi rispettava più di chiunque altro al mondo, potesse abbandonarmi perché ero… ero sterile. Ma d’altro canto non potevo fermarmi dal sentirmi sbagliata; non potevo smettere di pensare che non avrei mai potuto dargli una vera famiglia.
Nel momento in cui quella frase mi era uscita di bocca, il viso di Rob aveva subito una trasformazione; da colmo di dolore a colmo di pura rabbia.
“Come puoi dire questo? Tu lo sai quanto ti amo. Tu… sei la mia famiglia. Non ti potrei mai lasciare” afferrò il mio viso con forza “Io non ti vorrò mai lasciare!”
Posai le mani sulle sue, fissandolo con altrettanta determinazione. “Io non posso avere figli.”
Contemporaneamente entrambi ci alzammo dal letto, fronteggiandoci.
“Tu non puoi partorirli. È completamente diverso!” esclamò, fissandomi come se fossi io quella che non capiva. Quella che rendeva la situazione più terribile di quanto fosse. “Potremmo avere una madre surrogato o… o adottare. Pensaci! Pensa ai tuoi fratelli, Kris. Li ameresti di più se fossero biologicamente tuoi?”
“È diverso e lo sai” sbottai. Come poteva non capire che era totalmente diverso? Quella non era una situazione ipotetica! Questi eravamo io e lui e il figlio che non avremmo mai avuto. “È così sbagliato aver immaginato un bambino con le mie orecchie a sventola, o una bambina scoordinata come te? È così sbagliato?”
“Kris… no, non è sbagliato. Ma…” allungò una mano per accarezzarmi ma mi scostai di un passo. Non volevo la sua pietà, non volevo il suo dolore.
Volevo una vita diversa in cui almeno quel mio unico singolo desiderio potesse realizzarsi.
“Non ho bisogno di un figlio che assomigli a me. Non mi serve. Non me lo farà amare di più.” Sussurrò.
“Tu non capisci” risposi “Non è  te che guarderanno con pietà, con compassione. Non sarai tu a sentirti sbagliato continuamente.”
“Kristen…”
Tornai a letto e gli voltai le spalle. Non c’era nulla che potesse fare o dire per farmi stare meglio, lo sapevamo entrambi. Nell’ultimo mese credevo di aver trovato un equilibrio, di averlo accettato, ma ora mi rendevo sempre più conto che non era così.
Avevo fatto finta di accettarlo, avevo fatto finta di essere felice, ma dentro… dentro qualcosa si era rotto per sempre.
Appena fu uscito dalla porta sentii la voce di Lizzie rimpinzarlo di domande; probabilmente aveva sentito tutto e, se la conoscevo abbastanza, presto lo avrebbe saputo Victoria e poi Clare e poi tutti quanti. Erano una famiglia unita e si confidavano, trovavano forza l’uno nell’altra.
La prospettiva di passare la Vigilia di Natale a essere guardata come la povera, depressa Kristen mi fece rivoltare lo stomaco e, per la prima volta da quando ero una ragazzina, sentii la parte codarda di me, la parte che scappava quando aveva paura, farsi prepotentemente spazio. Quando sentii il rumore di un auto uscire dal vialetto, mi affacciai a guardare. Di certo Rob li aveva convinti di quanto avessi bisogno di stare un po’ sola ed erano andati tutti via, pensando che avessi solo bisogno di riposarmi.
E in effetti avevo bisogno di stare sola. Lontana da tutti. Ma per molto più tempo di un paio d’ore.
In meno di dieci minuti, con un borsone pieno di roba al mio fianco, ero su un taxi diretta in un luogo dove speravo non mi avrebbero trovata.
 
 
La casa sull’isola di Wight era stata una delle poche cose che io e Rob avevamo voluto in modo totale sin dal primo momento. Spesso avevamo discusso per ore sul colore di un mobile, su come dipingere la camera da letto della nostra stanza a Los Angeles, su mille cose stupide, solo per punzecchiarci a vicenda e poi finire a letto a fare pace. Ma la casa sull’isola… quella casa era stata nostra sin dal secondo in cui vi avevamo posato gli occhi sopra.
Così come l’isola era stata un rifugio sin dalla prima volta in cui ci eravamo venuti, qualche anno prima di sposarci per una mini vacanza e una parte del nostro cuore era rimasta lì.
Non appena ero entrata in casa, però, un paio d’ore prima, avevo sentito le pareti stringersi su di me, pronte a soffocarmi. Ogni cosa mi ricordava Rob; ogni dettaglio, ogni mobile, ogni libro. La sua chitarra…
Avevo staccato il telefono una volta messo piede sul traghetto ed erano passate ore.
Di certo mi stavano cercando. Di certo Rob era fuori di sé dalla paura..
Infilai la giacca e mi misi a camminare senza una meta ben precisa tra le stradine illuminate dalle luci; tutto pur di non restare fra quelle quattro mura. La gente era poca in giro ormai, troppo presa a festeggiare la vigilia di Natale con i propri famigliari, a scartare regali desiderati da mesi, a divertirsi. Il freddo era così terribile da penetrarti nelle ossa e l’aria era carica di umidità per la tempesta di pioggia e vento che si era abbattuta sulle coste poco dopo il mio arrivo. Era appena passata ma aveva lasciato un cielo grigio e ancora carico di pioggia. O forse neve.
Ma a me non importava del freddo che passava attraverso il panno del cappotto.
Almeno quello era qualcosa che riuscivo a sentire, a percepire. E dopo aver passato mesi a non sentire nulla, qualunque cosa era ben accetta.
La sabbia della spiaggia era bagnata e gelida quando mi ci sedetti sopra ma la mia attenzione fu catturata solo dal mare scuro e tempestoso davanti a me. L’acqua scura vorticava in onde così alte e minacciose da incutermi paura.
Avrei voluto le braccia di Rob a stringermi per farmi sentire al sicuro ma, dopotutto, ero stata io ad andare via, io a voler restare da sola.
Ora non avevo più il diritto di desiderare un bel niente. Tanto meno lui.
Avvertii gli occhi bruciare al pensiero di quanto male gli stessi facendo. Ma lui continuava a dire che non era colpa mia, che avremmo trovato altre soluzioni, che avremmo superato anche quella…
Io non volevo altre soluzioni.
Volevo sentirmi normale, non danneggiata e imperfetta.
Volevo essere di nuovo io, la Kristen a cui mi sembrava di aver detto addio quel giorno allo studio medico.
Io volevo un bambino.
Fu assurdo e incredibile ma fu proprio mentre quel pensiero mi attraversava  la mente che sentii il rumore per la prima volta.
Subito non ci prestai caso, pensando fosse il guaito lontano di qualche cane. Presto, però, mi accorsi che non era un guaito.
E non era affatto lontano.
Mi alzai, iniziai a camminare, percorrendo diverse decine di metri verso il punto in cui si trovava un gruppo di scogli più scuri del resto della spiaggia.
Mi fermai, pensando che se fosse stato davvero un animale ferito avrebbe potuto essere pericoloso, ma la curiosità fu troppo forte e prese il sopravvento su tutto il resto.
Si dice che in ogni vita ci sia un punto di svolta. Un momento così chiaro e definito da farti sentire come se fossi stato colpito al petto, non potessi più respirare e il tuo cuore sappia, semplicemente sappia, senza la più piccola ombra di dubbio, che la tua vita non sarà mai più la stessa.
Per me, Kristen Stewart, quel momento fu quando per la prima volta posai gli occhi su di lei.
Nulla fu più come prima.  
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Beneeee, detto questo noi ci ritiriamo in attesa dei vostri commenti, sperando che ci siano o___o  
Ci sentiamo tra cinque giorni, se siamo ancora tutti vivi ovviamente u.u 
Nel caso, boh, vi abbiamo voluto bene e anche se a volte volete ammazzarci, inutile sprecare tempo che tanto ci pensano i Maya :') 
Un bacio! 
Cloe & Fio xx



   
 
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