[a F.]


MOONLIGHT

Una pugnalata.
E per lei una freccia dritta al cuore.
Perché quando lo vide lì, disteso a terra, le si fermò il respiro.
Ma solo per un attimo.
E lei avrebbe voluto che le si fermasse per sempre.
Già, per sempre.
Si svegliò dallo stato di dormiveglia in cui era, improvvisamente lucida, sicura su cosa dovesse fare.
Erano passati due mesi dalla sua morte.
Due terrificanti mesi, passati rinchiusa ora in una cantina, ora in un carro, passati a trascinarsi in catene dietro all’assassina dell’unica persona a cui lei avesse veramente voluto bene.
Due mesi di lacrime e di dolore.
Due mesi, cercando di andare avanti, cercando di trovare una speranza in quel mondo che, tempo prima, lei voleva tanto vedere, e che ora le sembrava veramente così orribile come glielo aveva descritto Gothel.
Due mesi tentando di farsi forza dentro di sé, ripetendosi che sarebbe riuscita a scappare presto ed a vivere una nuova vita.
Due mesi con le ultime parole e gli ultimi respiri di Eugene, immagini sfocate che si ripetevano nella sua mente.
Due mesi senza riuscire veramente a dormire, maledicendosi per non averlo salvato, pur non avendo nessuna colpa.
Ma oggi no, oggi sarebbe stato diverso.
Perché finalmente sapeva cosa era giusto fare.
Non scappare.
Non piegare la testa.
No.
Ma come?
La luce, ora sì che la vedeva.
E la pallida luna le stava indicando un punto, un angolo della stanza, appena sotto ad un mobile.
I resti del suo ultimo tentativo di fuga fallito, la cena della sera precedente spiaccicata sul pavimento, mille pezzi di vetro sparsi per terra.
Aveva pulito la strega, sì…ma non troppo bene, a quanto pare.
Con soddisfazione si disse: “Fregata. Ho vinto io…”
“…Abbiamo vinto io e Eugene.”
Al risveglio Gothel dovette avere una brutta visione.
Sangue, tanto sangue, tanto almeno quanto ce ne era intorno a Eugene.
Ma non era della perfida donna.
Era della ragazza dai capelli biondi come il sole.