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Autore: Macy McKee    17/12/2012    1 recensioni
[Il Sospettato X ]
Ishigami, l'uomo più brillante che lei avesse mai incontrato, aveva buttato al vento gli ultimi cinque anni della sua vita perché lei fosse felice, e lei aveva vanificato tutti i suoi sforzi. Prima l’aveva coinvolto, vedendo in lui l’unica via verso la salvezza, poi aveva distrutto tutto ciò che lui aveva costruito costituendosi perché non era in grado di continuare a vivere con il senso di colpa. E ora, lui sarebbe morto dopo aver trascorso l’ultimo periodo della sua vita in carcere per un omicidio che aveva commesso per lei, soltanto per lei.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The one who dies

“In this part of the story I am the one who
dies, the only one, and I will die of love because I love you,
because I love you, Love, in fire and in blood.” 
Pablo Neruda

 

‹Come… come sta?›› balbettò Yasuko, tenendo gli occhi incollati alla crepa che attraversava una piastrella grigia del pavimento. Fissare la riva frastagliata di quello che somigliava proprio a un piccolo ruscello senz’acqua attraverso il pavimento era certamente più sicuro che rischiare di alzare gli occhi sul viso di Kusanagi: Yasuko era sicura che in quella crepa non avrebbe mai visto una lacrima o una traccia di dispiacere che potesse farle capire quando fosse disperata la situazione.
‹‹Signora Hanaoka…›› cominciò il detective, interrompendosi. Yasuko rimase sorpresa nel rendersi conto di quanto fosse cambiata la voce di Kusanagi: la voce stanca e pesante che aveva appena udito non aveva nulla a che fare con il tono acuto e provocatore, avido di informazioni, che Yasuko aveva sentito cinque anni prima sulla soglia del suo appartamento. Questa era la voce di un uomo esausto, di un uomo che ha visto e perduto troppo.
Mentre i battiti del suo cuore acceleravano, Yasuko Honoaka alzò lentamente il viso, senza curarsi di spostare la ciocca di capelli che le solleticava la punta del naso.
Il viso di Kusanagi, a differenza della voce, aveva subito cambiamenti meno radicali di quelli che Yasuko aveva immaginato. La donna si era quasi aspettata di trovarsi a faccia a faccia con un uomo completamente trasfigurato, quasi irriconoscibile, ma la mascella squadrata del detective e i suoi piccoli occhi scuri erano sempre lì, immutati. Certo, era impossibile fingere di non vedere che i solchi attorno ai suoi occhi erano più profondi e che la pelle sulle sue guance era più tirata e squamosa sotto il velo di barba.
‹‹Non è giusto›› bisbigliò la donna. ‹‹Morirà… morirà dopo cinque anni di reclusione. Non è… non è giusto.››
Una lacrima calda scese lungo la sua guancia. Il detective Kusanagi la guardava in silenzio, dondolandosi a disagio sui talloni. Non aveva nulla da dire per consolarla, per alleviare il suo dolore, anche se provava una strana compassione per lei.
Yasuko respirò profondamente, riempiendo i polmoni di aria che odorava di ambiente chiuso.
‹‹ È cosciente?››
‹‹No›› rispose Kusanagi.
‹‹Si sveglierà?››
‹‹Probabilmente no.››
‹‹Almeno non si accorgerà di nulla›› considerò Yasuko. Questo pensiero la fece sentire addirittura peggio. Strizzò gli occhi, cercando di fermare le lacrime, ma non riuscì a bloccarle. Il senso di colpa la opprimeva, schiacciandole il petto e togliendole il respiro. Ishigami, una delle menti più brillanti che lei avesse mai incontrato, aveva buttato al vento gli ultimi cinque anni della sua vita perché lei fosse felice, e lei aveva vanificato tutti i suoi sforzi. Prima l’aveva coinvolto, vedendo in lui l’unica via verso la salvezza, poi aveva distrutto tutto ciò che lui aveva costruito costituendosi perché non era in grado di continuare a vivere con il senso di colpa. E ora, lui sarebbe morto dopo aver trascorso l’ultimo periodo della sua vita in carcere per un omicidio che aveva commesso per lei, soltanto per lei. Ishigami aveva voluto che lei fosse felice, che potesse trascorrere una vita serena insieme a Misato e Kudo, e lei aveva tradito la sua fiducia: era stata debole al punto da non sopportare il rimorso e si era costituita, ma era troppo tardi.
Il senso di colpa era straziante, e a esso si aggiungeva l’infinita tristezza per la vita che era stata strappata: non quella di Togashi, perché la vita per Togashi avrebbe significato la morte per Misato, ma quella dell’Ingegnere. Un uomo che aveva perso tutto, abbandonato da tutti, che aveva appena cominciato ad abituarsi al nuovo stile di vita al quale era stato costretto. Se la sua strada non avesse mai incontrato quella di Ishigami, forse l’Ingegnere avrebbe trovato un lavoro, sarebbe tornato a condurre una vita dignitosa. Era una possibilità remota, ma c’era. Invece, a causa di Yasuko, anche questa piccola possibilità era stata distrutta: l’Ingegnere era morto, assassinato da Ishigami, soltanto per fornire a Yasuko un alibi. Era morto per nascondere un’altra morte. Era morto perché Ishigami non potesse sottrarsi al suo destino se il piano fosse fallito, e perché le indagini della polizia non giungessero mai a una conclusione, in un circolo infinito di sospetti mai confermati.
Ishigami si era ammalato in prigione dopo quattro anni e sette mesi. Yasuko l’aveva saputo solo grazie a Kusanagi. Quando il detective le aveva riferito che le condizioni di Ishigami erano disperate, Yasuko aveva considerato la possibilità di togliersi la vita, ma aveva deciso di resistere per Misato: non sapeva che effetti avrebbe avuto il suo suicidio sulla ragazza, e non aveva voluto rischiare. Misato era fragile e terrorizzata: Yasuko aveva avuto paura che potesse imitarla. Forse era questa la sua vera condanna: essere costretta a convivere con il senso di colpa fino alla fine dei suoi giorni, senza la possibilità di fuggire dalla vita. Forse questa era la punizione che meritava per ciò che aveva fatto.
Ma ancora una volta, era Ishigami a pagare il prezzo più alto: era Ishigami a morire, ad andarsene prima di aver portato a termine tutto ciò che avrebbe potuto compiere. Innanzitutto, non avrebbe mai visto pubblicate le soluzioni a problemi che non aveva mai avuto il tempo di risolvere. Non avrebbe visto Yasuko crescere Misato con l’aiuto di Kudo, né l’avrebbe mai vista felice come avrebbe desiderato. Sarebbe morto con la consapevolezza che i suoi sforzi e il suo sacrificio erano stati vani, perché Yasuko sarebbe invecchiata e morta in carcere, proprio come lui.
Quando si era ammalato, Ishigami aveva pensato che alla fine in cerchio si chiudeva. Certo, Yasuko non aveva colpa della sua malattia. E grazie a quella donna, la sua vita era proseguita molto più a lungo di quanto lui aveva sperato. Se non fosse stato per lei, gli ultimi anni della sua vita non ci sarebbero mai stati. Se non fosse stato per lei, non avrebbe incoraggiato i ragazzi del corso di recupero a pensare alla matematica da un punto di vista diverso, né avrebbe rivisto il suo vecchio amico Yukawa. Yasuko gli aveva salvato la vita, perciò Ishigami sapeva che alla fine le avrebbe dovuto restituire il favore. Per questo, aveva accettato con serenità la malattia: sapeva di aver preso molto più tempo di quanto gli spettasse, perciò sapeva che prima o poi avrebbe dovuto pagare il conto. Per questo, alla fine, sapeva di dover morire. Sapere che non avrebbe più rivisto Yasuko lo terrorizzava, ma non avrebbe voluto che fosse altrimenti: Yasuko sarebbe stata ben più felice lontana da lui, anche se non era libera. Volerla rivedere sarebbe stata un’azione egoistica che avrebbe solo fatto soffrire l’unica donna che lui avesse mai amato, e l’aveva amata fino alla fine. L’aveva amata più della sua stessa vita, più della matematica. L’aveva amata incondizionatamente, fino alla morte. E tutto questo Yasuko lo sapeva: l’aveva capito davvero quando aveva letto le ultime istruzioni che l’uomo le aveva lasciato.
Il cigolio della porta che si apriva lentamente per lasciare entrare una guardia comunicò a Yasuko e Kusanagi che il tempo per il colloquio era terminato. La guardia lanciò un’occhiata a Kusanagi, che rispose con un cenno di assenso. Mentre la guardia si avvicinava alla donna, Yasuko cercò gli occhi del detective con i suoi.
‹‹Perché è venuto a parlare con me? Perché è così gentile con me? Nessuno la obbligava a dirmi che cosa stava succedendo a Ishigami.››
‹‹Non l’ho fatto per lei›› replicò burberamente, sentendosi all’improvviso più a disagio che mai. ‹‹E nemmeno per Ishigami. Yukawa pensava che fosse giusto avvertirla, ed io credo che il mio vecchio amico abbia sofferto abbastanza a causa vostra. Mi è sembrato giusto assecondarlo.››
Yasuko annuì.
‹‹Detective Kusanagi? Se Ishigami dovesse svegliarsi, può dirgli…››
‹‹No.›› la interruppe seccamente. ‹‹Mi dispiace.››
Yasuko annuì di nuovo. Quando Kusanagi vide la sua espressione, si raggelò: il volto della donna era deformato dalla disperazione e dal dolore. Kusanagi aveva già visto una simile manifestazione di angoscia; era accaduto molti anni addietro, ma difficilmente avrebbe dimenticato lo sconforto che aveva visto sul viso di Yukawa quando il fisico aveva scoperto di cosa fosse colpevole il suo amico Ishigami. E ora, dopo tutti quegli anni, rivedeva lo stesso dolore sul volto di Yasuko.
‹‹Mi dispiace. Addio, signora Honoaka.››
‹‹Addio, detective. E… grazie.›› rispose con un sussurro, incurvando le spalle. Sentiva il peso del suo delitto riversarsi sulla sua schiena, insostenibile. Il ricordo del grido di Ishigami del giorno in cui lei si era costituita che l’aveva accompagnata ogni giorno degli ultimi cinque anni all’improvviso diventò più vivido che mai, squarciandole la testa. 
   
 
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