Prologo
L'eternità
era sui nostri occhi e sulle nostre labbra, la felicità
nell'arco delle ciglia; e non v'era parte, anche misera, di noi che non
fosse di natura celeste.
(Cleopatra: atto I, scena III)
William Shakespeare
Venni
al mondo in una calda mattina di Luglio, a Grove Hill, mentre la Guerra
di Secessione infuriava nella Pennsylvania meridionale, nella contea di
Adams. Il ventitreesimo giorno del mese del 1863. Quel giorno
entrò nella storia della nazione americana per una delle
più sanguinose battaglie mai combattute sul suo suolo. La
battaglia di Gettysburg. Morirono poco meno di cinquanta mila uomini.
Avrebbe potuto esserci anche mio padre lì. Ma lui si
salvò. Doveva essere un bravo soldato, uno dei migliori. Mio
padre non lo conobbi mai durante la vita. Era un nobile, uno dei grandi
proprietari terrieri latifondisti del Sud. Un uomo importante. Il suo
nome era Damon Salvatore, appartenente a una famiglia di antichi Conti
italiani. Toscani, se non erravo. Non aveva certamente tempo da
investire in me e mia madre. Una ragazzetta di provincia, figlia di un
semplice locandiere. Quando il taverniere, perché non avrei mai
osato appellarlo nonno o parente – il solo pensiero mi disgustava
alquanto e mi disgusta ancora oggi,- scoprì che mia madre era
incinta, la buttò fuori di casa, per strada, preda di ingiurie e
maldicenze, nell’afa di quell’estate eccessivamente calda.
Mia madre vagò tra le strade della sua città, al pari di
una vagabonda, sino a ritrovarsi, quella mattina – quel
ventitré di Luglio,- dinanzi all’entrata candida di una
chiesa. Si accasciò sugli scalini di marmo e le consorelle la
portarono dentro, aiutandola a partorire. Non fu semplice. Nacqui
prematura e nel parto, a causa delle cattive condizioni in cui versava
la mia genitrice, sorsero delle complicanze ineluttabili. Al mio primo
vagito corrispose l’ultimo respiro di mia madre che si spense
vestita di cenci e con i lunghi capelli ramati – tanto luminosi
da attrarre un eccelso signore,- resi
stopposi e crespi. La sua fiamma non fu mai luminosa e quella
cattiveria, quella mancanza d’amore, fu ciò che la fece
divenire miserabile. Da qual giorno vissi lì e fui amata da
quelle sorelle misericordiose e pure di cuore. Mio padre ricevette il
congedo e ritornò a casa, alla sua Mystic Falls, dove lo
attendevano un padre a cui nulla importava di lui e un fratello che,
invece, lo amava tanto. Fu un suo amico – per meglio dire un suo
compagno di bevute e scorribande,- a riferirgli che la bella fanciulla
che l’aveva incantato era stata cacciata di casa e aveva dato
alla luce un pargolo. Mio padre mi cercò, ben attento a non
farsi scoprire dal proprio, e risalì a me con una
facilità di cui mi stupisco ancora oggi. Passeggiando per il
centro di Grove Hill mi scorse mentre comperavo il pane. Avevo quattro
anni. Non appena scoprì chi io fossi, vista la straordinaria
somiglianza tra noi due, tornò ogni giorno a trovarvi sino a
quando una mattina non lo trovai più. Non mi rivolgeva alcuna
parola e la me bambina non si accorgeva nemmeno della sua esistenza. Mi
osservava da lontano, mentre compravo ciò che mi
commissionavano. Da quel 16 Ottobre 1864 non rividi più mio
padre, se non in punto di morte. Crebbi semplicemente, tra giochi,
commissioni e piccoli servigi domestici. Sino a quando un male non mi
colpì, annientando tutta la mia gioia di vivere. La malattia
divenne più grave, intensa, contagiosa. Scappai dal monastero
per non infettare gli altri. Eravamo una grande famiglia, li
consideravo i miei fratelli e le mie sorelle. Non potevo permettere che
accadesse qualcosa di male a loro, che non lo meritavano affatto. Mi
rifugiai sotto il ponte di Grove Hill, accanto al James River che
scorreva sempre blando e pacifico. Mio padre mi trovò lì,
semisvenuta. Quasi morta. Non era cambiato. Era sempre
l’avvenente ventiquattrenne che avevo incontrato quel giorno
nella piazza cittadina. Era sempre lo stesso. Non sapevo cosa
l’avesse spinto a ritornare, forse l’abbattimento della sua
vecchia casa in rovina, forse il richiamo della famiglia, - sebbene
questa seconda opzione fosse troppo poetica anche per una giovane
innamorata dell’amore come lo ero io. Mi diede il suo sangue, per
curarmi, ma morii comunque, gravata da una malattia troppo più
forte di me. Divenni un vampiro. Esattamente dodici anni dopo averlo
incontrato per la prima volta. Mio padre mi fece nutrire – non
avrebbe mai sopportato vedermi morire una seconda volta. Da allora
divenni una creatura della notte, una predatrice, un’assassina.
Un essere dannato. L’innamorata delle tenebre.
Il mio nome è Marion Salvatore e questa è la mia storia.
Angolo dell’autrice
Buon giorno a tutti e benvenuti
nella mia prima fan fiction. Mi sono sempre domandata come sarebbe
stato Damon, che per me è l’anima dello show, se avesse
avuto un figlio o una figlia. Sarebbe stato un padre affettuoso? Oppure
accondiscendente? O un po’ combinaguai? E così è
nata questa storia. La protagonista sarà Marion, come avrete
capito, affiancata dai due fratelli Salvatore. Questa storia
sarà principalmente Marion/Jeremy, Delena e Klefan. Alcune scene
saranno ambientate nel passato, ma si ambienterà principalmente
verso la fine della terza stagione. Spero vogliate lasciare un
commento. Un bacio a tutti, Elena_Salvatore.