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Autore: dreamlikeview    18/12/2012    8 recensioni
Dal testo:
“Tu” – esordì il padrone indicandolo –“dimmi il tuo nome” – ordinò autoritario.
“L-Louis T-Tomlinson..” – balbettò il giovane dagli occhi azzurri.
Harold si chiese come mai un ragazzo con un nome così sublime, soave, dovesse lavorare per lui.
[Attenzione, contiene Larry esplicito e scene di sesso tra uomini, non eccessivamente spinte.]
Genere: Erotico, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'All about them.'
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Ti verrò a prendere con le mie mani 
Sarò quello che non ti aspettavi 
Sarò quel vento che ti porti dentro 
E quel destino che nessuno ha mai scelto 
E poi l'amore è una cosa semplice e 
Adesso, te lo dimostrerò.
(L’amore è una cosa semplice – Tiziano Ferro)
 
A sette anni dalla conquista della Britannia, Londinium venne fondata dai romani, che portarono nella nuova terra i loro usi e costumi. Nell’Urbe, un cittadino libero romano poteva fare degli schiavi quello che voleva, senza preoccuparsi troppo dei danni fisici e psicologici che essi subivano, infatti, venivano trattati alla stregua di oggetti.
 
Ovviamente, con il passare degli anni, le cose iniziarono a cambiare, tranne in un antico casato, discendente direttamente da una famiglia patrizia romana, gli Styles.
Nel casato Styles, circa nel 1200, si viveva ancora secondo gli antichi usi e costumi romani, e siccome essi erano la famiglia più rispettata dell’intero paese, nessuno si era mai opposto a ciò che ordinavano, tanto che nel giro di pochi anni, il Signor Styles, il pater familias, aveva il controllo su tutta la piccola contea di Holmes Chapel, nel Cheshire, in Britannia.   
Egli, seguendo le antiche tradizioni romane, esigeva sempre nuovi schiavi per divertirsi, quando la sua coniuge, Miss Styles era in periodo di castità. Per questo, tutti i sudditi e tutti i servitori del palazzo avevano paura di lui, di quello che avrebbe potuto fare loro, e si prodigavano per trovargli sempre nuove prede. Ad egli era impedito toccare i figli, per non urtare la sensibilità della sua signora, e questo era un motivo che rendeva prodighi i servitori del palazzo a trovare sempre nuovi schiavi da consegnargli, e se questi mancavano loro, i cortigiani e le cortigiane del palazzo entravano nel terrore per la sorte che li avrebbe attesi.
Questo terrore si ebbe solo fino all’ascesa del giovane Harold Styles, belloccio dai capelli ricci e gli occhi smeraldini, unico erede maschio della casata, maggiore tra i suoi fratelli. Il padre era malato e non riusciva più a portare avanti né il casato né la contea, e tutti gli incarichi finirono sulle spalle del giovane Harold, che non capiva il motivo di tanta paura nei servitori. 
Si fece spiegare, poi, da una cortigiana cosa succedeva quando non v’erano più schiavi disponibili. Harold, indignato dal comportamento del padre, promise a tutti i cortigiani che fino a che il padre non fosse guarito, e avesse ripreso il controllo del casato, con lui al comando non avrebbero dovuto aver paura di niente, perché non li avrebbe costretti a fare niente per lui, se non i loro lavori quotidiani.
Vivevano da qualche mese in pace, e finalmente in quel casato regnava l’armonia, fino a che un nuovo servitore arrivò alla corte degli Styles. Aveva due magneti azzurri al posto degli occhi, i capelli castani spettinati che gli ricadevano delicatamente sul viso, un fisico invidiabile – lo poteva intravedere sotto a quei vestiti troppo sottili - e delle labbra sottilissime, ma piene che il padrone bramò da subito.
Harold si perse nello studiare il giovane da lontano, non si sarebbe mai aspettato un giovane così bello, era abituato a cortigiane e cortigiani decisamente brutti, che non gli dicevano nulla.
“Tu” – esordì il padrone indicandolo –“dimmi il tuo nome” – ordinò autoritario.
“L-Louis T-Tomlinson..” – balbettò il giovane dagli occhi azzurri. 
Harold si chiese come mai un ragazzo con un nome così sublime, soave, dovesse lavorare per lui.
Oh no, si disse, lui non lavorerà. 
Aveva ben altro in mente per quel castano tanto bello che era giunto da lui, per puro caso.
“E dimmi, Louis, cosa ci fai da queste parti?” – chiese indifferente, quando invece moriva dalla curiosità di sapere tutto ciò che riguardasse quel giovane.
“I-io ho bisogno di-di lavorare.. m-mia madre è malata, e-e io sono l’unico maschio in famiglia, s-sono anche il m-maggiore, e-e le mie sorelle s-sono piccole”-balbettò Louis, ancora, provava timore per il riccio, dagli occhi verdi.
“E quali lavori saresti disposto a fare, per una paga?” – chiese con una punta di malizia nella voce, ora capiva il padre. Se gli schiavi avevano tutti il fisico e la bellezza di quel castano, nemmeno lui si sarebbe tirato indietro facilmente.
“Tu-tutto quello che-che volete, m-mio s-signore...”
Troppo facile, si disse il riccio, sbuffando. Lui voleva le cose più complicate da ottenere.
Era anche per questo che non sopportava essere il padrone. Non era affatto come suo padre. A lui non piaceva comandare a bacchetta sulle persone, ma vero era che se quel ragazzo non si fosse concesso a lui da solo, avrebbe usato la forza e la sua autorità su di lui. 
“Va bene” – acconsentì –“ti occuperai delle mie stanze.” – ordinò alzandosi e lasciandolo lì ancora inginocchiato per terra. Si ritrovò a pensare che sarebbe stato bello averlo sul suo letto, in quella posizione.
Dannazione, la devo smettere – pensò il nobile superando il castano e tornando nelle sue stanze. 
Era stato destabilizzato dall’arrivo di quel ragazzo, non si aspettava minimamente che fosse così bello. 
 
Passavano i giorni, ed Harold guardava Louis entrare ed uscire dalle sue stanze. Da lui si faceva aiutare a vestirsi, a spogliarsi e a lavarsi. Tante, troppe volte che si era sentito toccato da Louis, aveva provato l’irrefrenabile voglia di saltargli addosso e renderlo suo. Sentiva una fortissima attrazione per quel ragazzo che cresceva sempre di più, ogni volta che Louis lo sfiorava, bramava di toccarlo almeno una volta, ogni volta che si ritrovava a fissargli quelle labbra sottili, ma perfette voleva possederle con le sue, ogni volta che incrociava quegli occhi, voleva far suo quel ragazzo a tutti i costi.
Era una fredda sera d’inverno, e Louis era chino per terra intento ad accendere la legna nel focolare delle stanze del giovane padrone, per scaldarle. Indossava una tunica bianca, leggera, che lasciava una sola spalla coperta e l’altra scoperta, ed era fermata da una cintura marrone in vita. Una classica tunica romana. Il padrone lo squadrava da capo a piedi, cercando in lui qualche imperfezione, senza riuscire mai a trovarne. Era dannatamente attratto da lui, e lo voleva far suo, a tutti i costi. 
Si avvicinò al castano e si inginocchiò dietro di lui, cingendolo con le braccia. L’altro sussultò sentendolo, ma restò immobile. 
“Andiamo, non ti piacerebbe avermi..?” – sussurrò con voce roca e sensuale il padrone. Louis scosse la testa terrorizzato. Gli avevano raccontato cosa accadeva in quella casa, una volta, ma gli avevano anche detto che Harold aveva promesso che con lui il terrore che dilaniava tra i servitori era cessato, e comunque, a lui non era mai successo niente di simile. 
“Peccato” – sorrise soddisfatto il riccio –“io si.”
“Co-cosa?” – chiese l’altro, deglutendo. Non voleva essere una delle prede del padrone, lui voleva amare, non essere usato. 
“V-vi prego” – tentò-“d-devo tornare a-a casa dalle mie sorelle..” – supplicò il castano.
“Tranquillo, Louis, non ti farò male” – sussurrò il riccio posando languidamente le labbra sul collo scoperto dell’altro. 
Louis deglutì ancora, e si divincolò dalla presa del suo padrone, cercando di sfuggirgli ma il giovane padrone era nettamente più forte di lui e riuscì ad impedirgli di andare via da lui, vincolandolo a sé.
“No, no.” – sussurrò al suo orecchio facendolo rabbrividire di paura –“non si scappa dal padrone, servetto.”
Doveva solo essere più forte di lui, si ripeteva Louis, doveva scappare, mettersi in salvo. Ma perché diavolo era andato a lavorare lì?
Il padrone gli afferrò i polsi, glieli portò dietro la schiena e lo bloccò. Louis tremava, adesso. Sperava che qualcuno interrompesse il padrone, che interrompesse quello che stava facendo. Lui non voleva, ovvio, ma quel riccio era dannatamente forte, maledizione.
“Così bravo, sta fermo”- continuò a sussurrare, mordendogli la spalla lasciata scoperta da quella tunica bianca troppo piccola per lui, e Louis fremette. 
Iniziava davvero ad avere paura del padrone, chissà cosa avrebbe potuto fargli, lui lo sapeva certo, ma non voleva pensarci nemmeno un attimo. 
“V-vi prego, Harry..” – lentamente il riccio si alzò da terra, tenendolo sempre saldamente tra le braccia.
“Come mi hai chiamato?” – chiese strusciando il suo bacino contro il fondoschiena del castano, che si morse le labbra, ma non smise di tremare di paura.
“Ha-Harold...”  - emise il castano in un sussurro soffocato.
“Mi piace Harry, è eccitante detto da te.”- sussurrò mordendogli l’orecchio.
Il povero Louis non sapeva cosa fare, sapeva solo che avrebbe voluto scappare da quella situazione, e sicuramente il giorno dopo avrebbe trovato un altro lavoro.
“Dillo.” – ordinò il riccio, continuando a muoversi contro l’altro che sperava ardentemente che tutto finisse presto.
Louis si morse le labbra, senza emettere suoni, ed Harold s’innervosì. Perché non gli obbediva? Lui era il suo padrone, doveva avere rispetto per lui.
“Ti ho detto di dirlo ancora.” – fece palpandogli una natica. Louis scosse ancora la testa. Okay, era costretto a stare ai suoi comandi, ma non si sarebbe anche umiliato in quel modo ubbidendo a tutti i suoi ordini.
“Louis, non lo ripeterò di nuovo, dillo ancora.” – ordinò con un tono che non ammetteva obiezioni. E Louis deglutì.
Num te leana montibus Libystinis 
aut Scylla latrans infima inguinum parte
tam mente dura procreavit ac taetra,
ut supplicis voce in novissimo casu
contemptam haberens, a, mio fero corde?1
Recitò Louis, in un sussurro. Gli tremavano le mani, aveva paura, sapeva che da un momento all’altro avrebbe provato un dolore assurdo, mai provato prima, eppure recitò i versi del sessantesimo carme di Catullo, come per ritrovare la pace in se stesso, e quale meglio di quello che parlava appunto della cattiveria dell’altro, risultava migliore?
Harold non capì cosa dicesse, ma pensò che avesse qualche rotella fuori posto, e ciò lo fece eccitare ancora di più. 
Louis tentò ancora di dimenarsi, ma provocò solo una maggiore presa da parte del riccio, che si decise a trascinarlo sul grande letto a baldacchino. Il castano continuava a dimenarsi, fino a che il padrone, stufo dei suoi continui movimenti non gli sfilò la corda che teneva chiusa la tunica,e la usò per bloccargli le mani dietro la schiena.
Il cuore di Louis prese a battere ancora più forte. Era davvero così crudele quel giovane? Eppure non gli era sembrato così. A dire il vero, a Louis, Harold era piaciuto sin dal primo momento che l’aveva visto. Quei tratti aristocratici, quegli occhi verde smeraldo brillante, quel fisico perfetto nascosto sotto quei regali indumenti.
E quante volte, in quei giorni l’aveva spogliato? Fin troppe. E quante volte aveva voluto solo assaggiare la sua pelle? Tantissime. Eppure in quel momento il riccio, un po’ per la violenza, un po’ per la prepotenza, gli stava mettendo davvero tanta paura. 
Louis sentì che la tunica gli era stata sfilata via. Provò un brivido di freddo, non appena la sua pelle venne a contatto con le lenzuola fredde del letto. E si ritrovò con la schiena appiccicata al petto nudo di Harold, che nel frattempo si era spogliato. Il cuore prese a battere ancora più forte, temendo il peggio. Il padrone iniziò a muoversi lentamente dietro di lui, per poi penetrarlo con una violenta e decisa spinta. Il servo si morse le labbra per il dolore, e lente lacrime iniziarono ad uscire dai suoi occhi.
“Ora urla il mio nome, ma sensualmente come prima, ripeti con me... Harry..” – gli sussurrò all’orecchio, baciandogli la schiena per tutta la sua lunghezza. Louis parve rilassarsi, e chiuse appena gli occhi, sentendo Harold spingere sempre più forte.
“Harry...” – emise in un sussurro, rendendo mandido di eccitazione il riccio, che continuò a spingere fino a farlo urlare di dolore. Dolore, perché Louis non provava piacere in quella situazione, nemmeno un po’.
Costretto, usato, spogliato, privato di tutto. Ecco come si sentiva Louis in quel momento.
“Ottimo lavoro, servetto.” – sussurrò uscendo da lui, e stendendosi su un lato del letto.
Louis cercò di alzarsi, ma provava troppo dolore, per questo si lasciò cadere accanto al riccio sul letto, chiudendo gli occhi, dai quali continuavano ad uscire lacrime amare, di tristezza. Tra l’altro, aveva ancora le mani legate, e così non sarebbe riuscito ad andare da nessuna parte. Il riccio si era dimenticato di liberarlo, era stato un stupido ad accettare quel lavoro, quando tutti gli avevano sconsigliato la casata Styles.
 
Il giorno dopo, Harold si svegliò sentendosi meravigliosamente appagato.  
Sentiva che finalmente con quel ragazzo aveva trovato la sua dimensione, finalmente tutto aveva un senso per lui. Non sapeva come spiegarselo, sentiva qualcosa per quel servo, tanto che aveva deciso – in una notte – che non l’avrebbe fatto lavorare, troppo bello per poter essere sprecato in umili lavori, decise che l’avrebbe solo fatto suo, ogni volta che voleva, perché lui sapeva che loro si volevano. Si diede dello stupido per non aver assaggiato nemmeno una volta quelle labbra, e se ne pentì, ma pensò che quella notte se l’avesse fatto ancora suo, l’avrebbe sicuramente baciato.
Si girò verso la sua destra, dove Louis dormiva ancora. Non aveva avuto il coraggio di mandarlo via quella notte, ed ora lo osservava dormire beato. Il viso adesso era rilassato, non contratto dal dolore come la notte prima, i capelli gli ricadevano sul viso sbarazzini, e gli occhi chiusi erano velati da un alone rosso intorno. Gli liberò immediatamente i polsi e l’altro si rilassò impercettibilmente. 
Prima il destro, poi il sinistro, e gli occhi del servo si aprirono trovandosi proiettati in quelli smeraldo del padrone, e il castano sentì un brivido di terrore lungo la schiena. 
Scosse velocemente la testa, e si alzò dal letto, sentendo dolore al fondoschiena, ma non se ne curò riprese la sua tunica e la indossò in fretta e furia, e dopo un rapido saluto uscì da lì.
Harold non ci pensò due volte, si alzò in piedi e lo seguì fuori afferrandolo per le spalle, facendolo fremere di paura, ancora una volta.
“Voglio solo parlare con te, torna dentro, per favore.”
Louis annuì, e lo seguì di nuovo dentro, sperando di poter presto andar via e trovarsi un nuovo lavoro, magari che non prevedesse cose del genere.
“Senti, forse ho sbagliato il modo con te, ieri, ecco... ero accecato dalla voglia di renderti mio... davvero, ma non voglio assolutamente che tu stia male per questo o che te ne vada, mi piaci, ecco.” – confessò il riccio, con un sorriso, e Louis non poté fare a meno di sorridere notando le fossette ai lati delle guance del ragazzo e un lieve rossore sulle sue gote.
Non rispose comunque, si limitò ad annuire e ad abbassare la testa, in segno di rispetto. In fondo, lui era il servo ci doveva sempre essere per lui, non era un membro importante che meritasse rispetto.
“Louis?” – chiamò.
“Sì?”
“Puoi chiamarmi Harry, e darmi del tu?”
“Come volete... cioè, vuoi.”
E Harry, finalmente, sorrise davvero.
 
“Ille mi par esse deo videtur,
ille si fas est, superare divos,
qui sedens ad versus identidem te
spectat ed audit
dulce ridentem, misero quod omnis 
eripit sensus mihi, nam simul te, 
Lesbia, aspexi, nihil est super mi
< postmodo vocis >
Lingua sed torpet, tenuis sub artus 
flamma demanat, sonitu suopte
tintinant aures, gemina teguntur
lumina nocte.
Otium, Catulle, tibi molestum est;
otio esulta nimiunque gestis; 
otium et reges prius et beatas
perdidit urbes.” 2
Recitò il giovane Louis all’orecchio del compagno, Harold, che era stato lui stesso a chiedergli di recitargli quel carme.
Il riccio iniziò a baciargli languidamente il collo, salendo fino alla mascella, per poi scendere ancora sul collo, la spalla, il petto. E Louis stavolta fremeva di piacere. In quei giorni, successivi a quella sera di terrore per Louis, i due avevano iniziato a fare l’amore, ogni notte fino ad addormentarsi l’uno dentro l’altro, e più andavano avanti più i due non potevano fare a meno l’uno dell’altro. Un sentimento che li stava uccidendo dentro, perché più cresceva e più i due non riuscivano più a stare senza l’altro, e la cosa poteva diventare asfissiante per i due. Ma per quel momento non l’avrebbero fatto.
Harold riprese il percorso tracciandogli una scia di baci su tutta la lunghezza del petto, arrivando fino all’inguine, e Louis si bloccò immediatamente. Sentiva anche lui l’eccitazione crescere dentro di sé, insieme a quella di Harry e quando il riccio tornò sulle sue labbra, le baciò con prepotenza, e possessione, marchiandole con i suoi denti, facendo capire al castano che lui era solo suo, e di nessun altro. E Louis annuiva, cercava le sue labbra, lo baciava, affondava le mani nei suoi capelli, lo stringeva forte. 
“Sai che mi piaci da morire quando citi Catullo?” – fece il riccio, accarezzando i capelli del compagno guardandolo da sopra di lui. Puntò i suoi occhi in quelli di Louis e gli sorrise prima di baciarlo, senza dagli il tempo di rispondere.
Ad Harold piaceva dominare. E per questo non permetteva a Louis di fare nulla.
Durante il giorno lo lasciava nella camera, spesso chiusa a chiave, per paura che potesse sfuggirgli, e praticava l’amministrazione della contea e del casato, mentre Louis passava le mattine a pulire, riordinare e rassettare la stanza. 
E Louis non sopportava più questa situazione, per quanto credesse di amare Harold, non sopportava il fatto che lui avesse una vita, e lui no. 
Si sentiva combattuto. Da una parte, era lusingato da questo trattamento, perché voleva dire che l’altro ci teneva a lui, e voleva tenerlo lontano dai disagi pubblici, dall’altro lato si sentiva un oggetto.
Solo quando realizzò questo, capì di essere davvero un oggetto. Harold seguiva gli usi e costumi degli antichi romani, e i servi, gli schiavi, i ceti inferiore in generale erano trattati come oggetti, e il padrone poteva farne ciò che voleva.
Ed ecco che si sentì ancora combattuto tra l’amore e l’odio verso quel riccio dai modi a volte gentili, altre volte duri.
Louis non sapeva cosa fare, voleva evadere da quella situazione che, si disse, l’avrebbe portato a soffrire come non mai in vita sua.
E mentre Louis realizzava questo, Harold continuava a baciarlo, senza accorgersi che il suo giocattolo preferito era altrove con la testa. D’altro canto, entrambi prima o poi si sarebbero resi conto, che quello un gioco non era.
E ancora una volta il riccio affondò dentro il servitore, che ansimava insieme a lui. 
I loro cuori, senza che loro lo sapessero, battevano all’unisono, mentre facevano l’amore.
In un urlo smorzato dalle labbra dell’altro, i due amanti vennero quasi contemporaneamente, l’uno sopra l’altro, beandosi dei sapori delle labbra dell’altro.
 
Il giovane padrone, con il passare del tempo, sentiva qualcosa di forte crescere dentro di lui. 
Non si spiegava come mai fosse così. Quando era in sua compagnia, sentiva un calore espandersi all’altezza del petto, e sentiva lo stomaco vuoto, come svuotato da tutto quello che c’era dentro.
E fu per questo motivo, che iniziò a farlo uscire dalla stanza. 
Spesso si era sentito in colpa per averlo lasciato solo nelle stanze a non fare niente, e dopo un bel po’ di tempo, si era convinto che fargli fare quello che voleva era la soluzione migliore.
Tutti nel palazzo sapevano che Louis fosse il “compagno da notte” di Harold, e quando lo videro di nuovo in giro per il castello, ritenerono giusto portargli rispetto, in modo che lui avesse messo una buona parola con il padrone. E Louis si sentiva in imbarazzo vedendo tutti trattarlo in modo diverso, e in un certo senso, questo era peggio che restare tutto il giorno nelle stanze del padrone, senza far nulla.
Ma la batosta, più grande per lui, arrivò quando ad un banchetto furono invitate delle nobildonne, e Louis si sentì invaso da una profonda gelosia. Harold poteva comandare i suoi gesti, i suoi compiti giornalieri e notturni, ma non poteva comandare i suoi sentimenti, e Louis da questi era ucciso, tormentato.
Quella notte, gli sembrò carino farglielo notare. A modo suo però fino a quel momento, i due avevano comunicato tramite i carmi catulliani, che il servitore aveva imparato durante i suoi vari lavori. Non a caso, nonostante fosse un servitore, vantava di una vasta cultura. Conosceva l’antica Grecia, sapeva che la contea dove lavorava discendeva direttamente dai romani, e di questi ultimi conosceva tutti gli usi e i costumi, e in particolare era stato affascinato dalla poesia di Catullo, per questo conosceva bene e a memoria quelle poesie che ora riflettevano il suo stato d’animo.
Quando Harold tornò in camera, si sorprese di trovarvi già Louis, ma non gli diede affatto fastidio.
Sorrise avvicinandosi a lui e premendo le sue labbra contro le sue.
“Oggi quale mi citi..?” – sussurrò mordendogli il labbro inferiore e tirandolo appena, per poi baciarlo meglio e premere le sue mani dietro la schiena del liscio, attaccando i loro petti, dentro i quali i cuori presero a battere all’unisono.
Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.” 3– citò il giovane, mentre il giovane lo stendeva sul letto, spalmandosi su di lui.
“Sei così tormentato?” – sussurrò mordendogli l’orecchio, e Louis sentì un calore espandersi nel basso ventre, mentre Harold iniziava a torturarlo di baci, lambendo la sua pelle, marchiandola con le sue labbra con segni violacei che segnavano il suo passaggio sul suo corpo, così che gli altri, tutti gli altri, capissero che Louis apparteneva solo ad Harold, cosa che non valeva per l’altro. Chiunque poteva fare quello che voleva con lui, senza che il castano potesse essere geloso, anche se in realtà da quel pomeriggio era logorato dalla gelosia.
E i loro corpi, quella notte, si unirono ancora. La necessità l’uno dell’altro era sempre più evidente, solo loro erano gli stolti che non capivano cosa provassero in realtà.
L’acqua sotto i ponti avrebbe dovuto scorrere ancora per un bel po’, prima che Harold Styles, il padrone e Louis Tomlinson, il servo capissero di amarsi davvero.
 
E fu durante una festa organizzata dal padrone del casato, che Louis dimostrò la sua totale gelosia nei confronti dell’altro. Harold gli aveva gentilmente chiesto quella mattina di citare un carme catulliano in suo onore, come faceva tutte le notti. Louis si vergognava oltremodo di recitare i versi davanti a tutti, con lui era diverso. Erano intimi, erano solo loro due, e lui lo deliziava con questi, ma parlare davanti a tutta quella gente sarebbe stato decisamente imbarazzante per il povero servo.
Ma il padrone lo aveva convinto usando molta persuasione su di lui, e purtroppo, Louis aveva ceduto facilmente. Alle sue provocazioni non riusciva a resiste, mai.
Per questo si era trovato in piedi su un piedistallo, rosso d’imbarazzo in viso ed un carme che premeva di uscire da dentro.
Il riccio era avvinghiato ad una dama, e con lei aveva ballato tutta la sera, ci aveva fatto il cascamorto, e Louis aveva giurato che i due si fossero baciati a lungo in un angolo della sala, per questo non si era trattenuto e aveva esposto il suo stato d’animo a lui tramite quello, davanti a tutti.
“Dicebas quondam solum te nosse Catullum, 
Lesbia, nec prae me velle tenere Iovem.
Dilexi tum te non tantum ut vulnus amicam, 
sed pater ut gnatos diligit ed generos.
Nunc te cognovi; quare etsi impensius uror,
multo mi tamen es vilior et levior.
<< Qui potis est? >> inquis. Quod amantem iniuria talis
cogit amare magis, sed bene velle minus.” 4
Tutti rimasero a bocca aperta, specialmente il padrone del casato. Harold era così stranito da quella dichiarazione che si disse che non era possibile, non poteva essere geloso.
Ma Louis, dentro di sé, al posto di Lesbia avrebbe voluto dire “Harry” come lo chiamava lui, e al posto di Catullo avrebbe dovuto dire “Louis”, e si sentiva ancora una volta usato, trattato come un oggetto, umiliato.
Ringraziò chinando il capo in avanti e scese dal piedistallo, uscendo definitivamente dalla sala. Si sentiva davvero male, e non voleva farsi vedere in quello stavo. Stava per scoppiare a piangere e sapeva anche perché. Aveva avuto la conferma di quello che temeva, aveva avuto la conferma che lui per Harold era solo l’oggetto notturno, e si stupiva, in quel momento, del perché non l’avesse ancora buttato via, come un oggetto rotto.
Corse fino alle stanze del riccio, dove raccattò quel poco che aveva delle sue cose e le infilò in una sacca consunta. La sua sacca con la quale era arrivato. Si disfece dei sontuosi abiti prestatigli da Harold e riprese la sua vecchia e consumata tunica bianca e la rindossò. In quel gesto, dopo essersi guardato, ricordò anche il perché non volesse più metterla. L’ultima volta che l’aveva messa, il padrone lo aveva violentato, e si rese conto che anche le volte successive non furono altro che violenza nei suoi confronti, perché lui lo amava. Louis si era innamorato, purtroppo, ed il padrone lo trattava come un oggetto, come era uso in casa Styles.
Per questo doveva scappare da lì, doveva tornare a casa sua, e trovare altri lavori, magari dove i suoi sentimenti non erano ignorati, il suo cuore non spezzato e il suo corpo non violato. 
Ma non mise nemmeno piede fuori dalle stanze, che si trovò il riccio davanti. Scosse la testa e fece per superarlo, ma questi lo bloccò prendendolo per un braccio, e portandolo di nuovo dentro alle stanze.
Louis lo guardò, supplicandolo di non fargli altro male più di quanto non stesse già facendo, ed Harry lo guardò negli occhi, vedendo per la prima volta le lacrime sul viso di Louis.
“Ma tu piangi..” – emise in un sussurro accarezzandogli la guancia, per togliere via le lacrime –“mi dispiace..”
“N-non importa, s-sto andando via..” – balbettò Louis.
L’altro alzò un sopracciglio, guardandolo minaccioso. Louis arretrò fino al muro, cercando di sfuggirgli, per evitare di stare ancora più male.
“Cosa..? E perché vuoi andare via?” – chiese l’altro. Era da un po’, notava Louis, che non ordinava nulla a lui, lo trattava quasi come un suo pari, quasi perché lo trattava ancora come un oggetto.
Louis non riuscì a trattenersi, stava esplodendo. Erano mesi che si teneva tutto dentro, e come un vulcano che eruttava dopo un periodo di quiescenza lungo, Louis esplose.
“Ti sei mai sentito come un granello di sabbia?” – chiese, l’altro scosse la testa –“immagina il mondo come un'intera distesa di sabbia e che ogni persona sia un granellino di sabbia; ti confonderesti, e alla fine sarebbe più facile tutto, una folata di vento e via senza problemi.” –continuò.
“Stolto, i granelli di sabbia sono tutti uguali” – ribatté l’altro.
“Un granello di sabbia per quanto uguale a un altro è diverso, per origine, per provenienza, alla fine non sono uguali. Ci sarà sempre il granello di sabbia che prevarrà. Ti sei mai chiesto perché prendendo un mucchietto di sabbia in mano e lasciandola cadere poco a poco, alcuni granelli restino attaccati e altri no?” – Harold non rispose, scosse solo la testa lentamente, guardando negli occhi l’altro. 
“Perché quelli che restano attaccati, rappresentano le persone forti, mentre quelli che cadono le persone deboli, io sinceramente non so a quale categoria appartengo, perché dipende dalle situazioni, a volte riesco ad essere forte e a non cadere, ma da quando mi sono innamorato, sono caduto, come un granello di sabbia al vento, perché con l'amore è così, non sei più la stessa persona, ti senti debole davanti all'altro, ma non perché tu sia debole, è perché l'amore, renderebbe debole anche l'uomo più forte del pianeta. Ed io, sono innamorato, Harold.” – confessò –“sono caduto, mi sono innamorato della persona sbagliata.” – ripeté fissandolo negli occhi.
Il riccio deglutì. Louis non aveva mai parlato, se non per citargli Catullo, o per ansimare insieme a lui, ed ora... cos’era quel discorso? Una dichiarazione? 
Scosse la testa, vedendo che il riccio non proferiva parola e si sottrasse alla sua vista, tentando di riaprire la porta, ma l’altro fu più rapido, e lo fermò facendolo aderire alla porta di legno e posando le sue labbra sulle sue, in un bacio che non voleva far prevalere l’uno sull’altro, ma un bacio che aveva un altro significato. Un bacio carico di significati, un bacio pieno d’amore. Ecco, con quel bacio Harold gli diceva che lo ricambiava perfettamente. Si era reso conto, finalmente, di amare Louis fin dal primo momento che l’aveva visto, ed era per questo motivo che aveva fatto di tutto pur di ottenerlo. 
“Sono anch’io un granello di sabbia caduto, sono anch’io innamorato, sono innamorato di te, Louis.” – confessò baciandolo ancora.
E Louis si ritrovò a pensare di volere altri mille di quei baci.
Una sua mano timidamente volò fino al capo di Harold, insinuandosi nei suoi capelli ricci e morbidi, saggiandone la consistenza, gli fece inclinare la testa su un lato, e approfondì quel bacio. Il riccio si stupì che Louis finalmente stesse prendendo iniziativa, e ne fu felice. Si lasciò trasportare fino al letto, dove il castano lo adagiò, continuando a baciarlo sempre con maggiore foga, sempre più a fondo. Gli tolse la casacca in un baleno, e tastò per l’ennesima volta quel petto scolpito che aveva il suo padrone, e scese a baciarlo lentamente passando sul collo, mentre il compagno veniva scosso da forti brividi colmi d’eccitazione. Louis non si spiegava come avesse fatto a non accorgersi prima di quell’effetto che gli faceva. E gli sfilò i pantaloni troppo stretti per lui, e lo baciò ancora forse per la millesima volta da quando si conoscevano. 
“Dimmi che sarai solo mio..” – gli sussurrò Harold, ribaltando le posizioni, in una supplica velata. E il castano annuì, iniziando ad ansimare, quando sentì la mano del compagno esplorare il suo corpo fino all’inguine, per poi tirare su la tunica e sfilarla elegantemente, lanciandola altrove.
“Solo tuo, solo tuo..” – sussurrò all’orecchio dell’altro, dandogli un leggero morso. L’altro lo baciò sorridendo, segno che aveva ottenuto ancora una volta, la risposta che voleva.
 “E-e tu?”- ebbe il coraggio di chiedere l’altro, cercando di non cedere subito ai tocchi dell’altro, cercando di conservare quel po’ di dignità che gli restava, sebbene l’avesse persa tempo orsono.
Il riccio deglutì, ma si riprese subito, riprendendo a baciarlo.
“Sì, sono solo tuo.” – confessò.
E Louis non poté far altro che essere contento di ciò, finalmente Harold non lo trattava più come un oggetto, ma ricambiava pienamente i suoi sentimenti. 
E fecero ancora l’amore, per la millesima volta, ma forse quella era la prima volta; perché per la prima volta loro due si amavano alla pari, non c’era un padrone ed un servitore, non c’era nobiltà e ceto inferiore, non c’era prepotenza su debolezza, c’erano solo Harry e Louis uniti in un solo corpo, per la prima volta consci dei loro sentimenti.
 
“Vivamus, mea Lesbia, atque amemus,
rumoresque senum severiorum 
omnes unius aestimemus assis.
Soles occidere et redire possunt;
nobis cum semel occidit brevis lux,
nox est perpetua una dormienda. 
Da mi basia mille, deinde centum, 
dein mille altera, dein secunda centum,
deide usque altera mille, deinde cenutm; 
dein, cum milia multa fecerimus, 
conturbabimus illa, ne sciamus, 
aut ne quis malus invidere possit,
cum tantum sciat esse basiorum.5
Citò il castano, baciando ancora ed ancora le labbra del riccio, che lo guardava con gli occhi colmi d’amore.
“Adoro quando mi baci, lo farei per anni...”
“Lo sto facendo...” – sussurrò l’altro, baciandolo ancora, intervallando baci carichi di dolcezza, a baci carichi di passione, così come lo era la loro relazione.
Dopo essersi baciati a lungo, Louis si appoggiò sul petto di Harry, ed iniziò ad ascoltare i battiti del suo cuore.
Gli piaceva stare appoggiato al suo petto ad ascoltare i battiti del suo cuore.
Sapeva che quella melodia, era la migliore.
Non perché fosse stata composta da un grande musicista, ma solo perché era una melodia spontanea, la melodia dell'amore.
Da un po’ di tempo, infatti, il padre di Harold era guarito miracolosamente, permettendo così ai due di potersi godere la loro relazione in tutta calma e tranquillità. Harold girava tranquillamente per la contea mano nella mano con Louis, era uno Styles, del resto, non poteva essere toccato da nessuna diceria. 
E sebbene in quegli anni l’omosessualità era condannata da tutti, gli Styles, essendo intoccabili, potevano permettersi anche questo privilegio. Nulla poteva impedire all’amore di quei due giovani di esistere.
 
 
Traduzioni: 
1. Forse ti ha generato, con un cuore tanto crudele e disumano, una leonessa sui monti della Libia o Scilla, che latra nel fondo degli inguini, così da considerare con disprezzo, ahimè, tu, dal cuore troppo feroce, la voce di chi ti supplica nell’estrema infelicità? (Catullo, Carme 60)
2.Quello mi sembra essere pari a un dio, quello – se è possibile – mi sembra superi gli dei, che sedendo di fronte a te, senza posa ti guarda e ascolta mentre dolcemente sorridi, questo a me infelice strappa tutti i sensi: infatti, non appena ti vedo, Lesbia, non ho più voce per dire parole. La lingua è torpida, sottile nelle membra infiamma si insinua, di un suono interno ronzano le orecchie, di duplice notte sono coperti i miei occhi. L’amore ti rovina, Catullo! Nell’amore troppo esulti e ti ecciti: l’amore già in passato re felici e città ha mandato in rovina. (Catullo, Carme 51)
3. Odio e amo. Perché io faccia questo tu forse domandi. Non so, ma sento che avviene e ne sono tormentato. (Catullo, Carme 85)
4. Dicevi un tempo di avere come amante il solo Catullo, Lesbia, e di non volere neppure Giove come amante al posto mio. Ti amai allora, non come un uomo ama la propria amante, ma come un padre ama i suoi figli e generi. Ora so bene chi sei, perciò anche se ardo più violentemente d’amore, pure per me sei molto meno preziosa e meno importante. 
“Come è possibile?” Tu dici. Perché un simile tradimento costringe chi ama ad amare di più, ma a volere meno bene. (Catullo, Carme 72)
5. Viviamo, Lesbia mia, e amiamo, e i mormorii dei vecchi troppo uggiosi non stimiamoli, tutti insieme neppure un asse. I soli possono tramontare, e poi rinascere: per noi, una volta che è caduta questa breve luce c’è una sola notte eterna da dormire. Dammi mille baci, e ancora cento, poi altri mille, e poi ancora cento, poi senza  posa mille e poi altri centro;  poi quando molte migliaia  ne avremo sommati, li mescoleremo per non sapere (quanti siano), o perché qualche maligno non ci faccia il malocchio, sapendo quanti sono i nostri baci. (Catullo, Carme 5)



NO, JIMMY PROTESTED!

Ehm, okay okay. 
Non è morto nessuno, no? Mi volete ancora bene?
Ehm.. è nata ieri mattina in libreria, cercavo dei libri e mi sono trovata tra le mani un libro sugli usi e i costumi romani.
E amatemi ho unito l'antichità con i miei Larry, quindi io sono molto molto soddisfatta, anche se è una delle OS più corte che abbia mai scritto, 6 misere pagine, ma è intensa non credete? 
Catullo!!! Amo Catullo, e.. non potevo non metterci i suoi carmi. E' stato difficile? Ho messo anche le traduzioni, sono buona su, volete l'analisi del periodo? LOL
Sto tergiversando come al solito.
Sapete che non sono brava con i rapporti uomo/uomo e per me questa è fin troppo spinta, quindi.. chiedo venia se quelle parti fanno schifo ç_ç
Spero vi sia piaciuta, questa è una delle mie Larry preferite, quindi.. 
Beh dai, spero solo che la mia beta Appa abbia fatto un buon lavoro, pf. Mèèè ti voglio bene <3
E.. basta mi dileguo che voglio farmi la doccia oh <3
Ah, vi saluto sulle note di.. 

Jingle bells, Modest smells, El goes away. Louis smiles, Harry loves , Larry all the way, hei! ♥
inventata da me, bitch pf. 
As always, A massive thank you to all my little fans, I love you. c:
*woosh*

 
   
 
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