I knew you were trouble
Cause
I knew you were trouble when you walked in
So
shame on me now.
Alison
Stoner era una ragazza parecchio strana.
Alison il sabato sera non usciva come i ragazzi della sua
età: le
piaceva, invece, stare tutto il giorno sul suo letto con un pacco dei
suoi biscotti preferiti e un libro appena comprato, scappando dalla
realtà che era sempre stata dura con lei. Alison non aveva
amiche.
Aveva solo una sorella maggiore, che era la persona più
importante
della sua vita. Almeno, fino a quel giorno.
13
dicembre, 7:35
Non
appena si svegliò, Alison capì che sarebbe stato
un altro mercoledì
mattina orribile. Lei odiava i mercoledì mattina. Era quando
Frances, la sorella, non passava la pausa pranzo con lei ma con le
sue amiche. Alison ci aveva provato, a stare con le sue amiche; aveva
provato ad indossare jeans stretti e a vita bassa, a tenere i capelli
sciolti e a parlare di moda e ragazzi. Aveva fallito su tutta la
linea. Così aveva ripreso ad indossare jeans a vita alta, a
sistemare la sua chioma bruna in una coda striminzita e a parlare
solo quando veniva interpellata; riusciva a stare zitta persino per
giorni. Frances, però, aveva preferito fare un accordo e
aveva
deciso di pranzare con lei per tutta la settimana, tranne il
mercoledì. Il mercoledì era il giorno in cui
Frances ridiventava la
ragazza popolare e stimata da tutti, mentre per Alison era il giorno
in cui mangiava una mela nascosta in uno dei bagni sporchi e otturati
della scuola. Quando tutto andava bene.
Come tutte le mattine, si
infilò la solita felpa sformata che nascondeva le sue curve
marcate
e che alcuni avrebbero trovato anche affascinanti, se solo non le
avesse sempre nascoste. Mentre si vestiva con movimenti quasi
meccanici, pensava con timore a quello che sarebbe successo quel
giorno. Sperava che le andasse meglio della settimana prima, quando
si era ritrovata con la testa nella tazza del gabinetto. Al solo
pensiero, le veniva voglia di vomitare. Si nascose gli occhi azzurri
con gli spessi occhiali da vista, ed entrò in bagno con la
pelle
d'oca. Spazzolava i denti uno per uno, con estrema calma, come a non
voler far vedere che fosse terrorizzata nonostante non fosse successo
ancora niente. Continuò a lavarsi i denti molto, forse
troppo,
lentamente, nonostante le urla della sorella che le intimava di far
presto. Aveva parlato con la bocca piena di uova strapazzate, di cui
l'odore era salito su per le scale e si era insinuato nelle narici di
Alison. Lei non faceva colazione. Aveva smesso in seconda media,
quando veniva preso in giro per la sua faccia un po' più
rotondetta
di quella delle sue compagne di classe. Si sciacquò la bocca
con il
collutorio, e al contatto con il liquido verde le bruciò
leggermente
il labbro inferiore fatto a pezzi dai morsi. Finalmente, scese. La
prima persona che vide fu la madre, che non la degnò nemmeno
di uno
sguardo. Non la salutò nemmeno, si limitò a fare
un cenno con la
testa, impegnata a pulire i piatti nel lavandino. Il padre, invece,
la ignorò completamente. Continuò a bere il
caffè e a leggere il
giornale come se lei non fosse davanti a lui. Come se lei non fosse
mai esistita. L'unica che si degnò di darle il buongiorno fu
Frances, dandole un bacio sulla guancia. Aveva sempre pensato che i
suoi genitori preferissero Frances perché lei era
praticamente una
sua brutta copia. Anche Frances aveva i capelli neri e gli occhi
azzurri. Solo che tutti la trovavano bellissima, mentre Alison era
stata eletta “miss cesso 2011” al ballo della
scuola dell'anno
prima.
- Mamma, papà, noi andiamo! - li salutò Frances,
afferrando lo zaino celeste. I genitori, ovviamente, salutarono solo
lei.
13:15
-
Ci vediamo dopo, allora. - la salutò la sorella, prima di
andarsene
con il suo gruppetto di amiche. Faceva sempre così: ogni
mercoledì,
prima di pranzo, la andava a prendere in classe, la salutava e se ne
andava. A quel punto, Alison prendeva la mela dalla borsa, e si
avviava verso il corridoio dove si trovava il bagno. Il problema era
attraversarlo e arrivare sana e salva al suo nascondiglio. Non ci
riusciva quasi mai. Quella mattina, si sentiva più timorosa
del
solito. Si affrettò a prendere la mela, e per poco non
inciampò nei
lacci delle sue converse strappate. Le mani le facevano male,
talmente stava stringendo la mela rossa fra le sue dita. “Non
devo
avere paura” pensò, ingoiando tremante,
“Non possono farmi
niente. O almeno, niente che mi faccia tanto male”.
Incominciò a
pensare di aver sbagliato completamente quando vide Matt Barker
venirle incontro. Matt era il ragazzo più popolare della
scuola, era
stato addirittura il ragazzo della sorella. Era da almeno un anno che
andava avanti quella storia; nessuno sapeva di quello strano rapporto
fra Alison Stoner e Matt Barker. All'improvviso se lo
ritrovò
davanti, con un ghigno stampato sul volto e il nuovo profumo di Gucci
che la investiva in pieno. Per lei, era quello l'odore del diavolo.
-
Bene bene, ma guarda chi si vede...La nostra cara Alison. - le
afferrò il volto con violenza, mentre lei tratteneva le
lacrime. -
Cos'è, ti sei messa un po' di matita?
Si era completamente
dimenticata che la sera prima Frances l'aveva truccata un po', giusto
per passare il tempo. Non aveva pensato a struccarsi, nemmeno a
lavarsi la faccia.
- Lo sai che questo non ti aiuterà a diventare
più bella? - strinse di più le sue guance, con
più forza. -
Rispondi, lo sai?
Alison tentò di parlare, ma non le usciva il
fiato dalla bocca. Al suo posto, un mezzo singhiozzo risuonò
nel
corridoio completamente deserto.
- Hai la memoria corta, eh? - le
tirò uno schiaffo con la mano pesante che si ritrovava,
talmente
pesante da farla cascare per terra. - Quante volte ti ho detto di non
piangere davanti a me?
Afferrò i capelli bruni con forza,
costringendola ad alzarsi leggermente. Sentiva la testa urlarle dal
dolore. Dopo minuti interminabili, le lasciò di colpo i
capelli e la
buttò contro il muro. Matt stava iniziando a divertirsi.
Iniziò con
colpi leggeri, quasi come se volesse capire se fosse morta o no. Poi
i calci aumentarono, ed Alison credette per tutto il tempo di sentire
l'intestino sballottare dentro di lei da una parte all'altra. Sentiva
il rumore dei capillari che si frantumavano sul naso, sulle cosce,
sulle braccia martoriate. Matt si buttò su di lei,
tempestandola di
pugni, perfino mordendola sul collo, ma lei non lasciò che
una sola
lacrima le cascasse dagli occhi lucidi. Lo lasciò continuare
a
tirare schiaffi sonanti e manate, e non emise un solo suono. Solo
quando lui se ne andò, lasciandola tremante sul pavimento
freddo e
bianco, si permise di piangere un po'.
16:00
Quando
suonò la campanella della fine delle lezioni, Alison emise
un
sospiro di sollievo. Si sistemò la borsa sulla spalla, i
lividi
nascosti dalla felpa enorme, e si affrettò verso l'uscita da
scuola.
Anche solo camminare le faceva male, ma ormai non ci faceva quasi
più
caso. Per lei, era un dolore assolutamente normale. Dal muretto di
pietra vicino al cancello, intravide la sorella ridere e scherzare
con un gruppo di ragazzi, tra cui c'era anche Matt. Alison distolse
lo sguardo; non era in cerca di problemi, in quel momento. A sua
volta, Frances la vide, salutò il suo gruppo di amici e la
raggiunse
con un sorriso splendente. In meno di un secondo, la risata
cristallina di Frances riempì il cervello di Alison, senza
lasciare
spazio per altri pensieri.
- Dobbiamo sbrigarci, abbiamo ospiti
oggi a cena. - spiegò la sorella, afferrando la sua mano
tremante.
- E chi sarebbero? - chiese, senza molto interesse. E' il tipo di
domande che si fanno solo per fare conversazione, non perché
ci
interessino davvero.
- Vecchi amici di papà. Se ho capito bene,
vivono a Bradford o lì vicino.
- Capisco. - rispose solo,
completamente indifferente. Non sarebbe cambiato nulla. Sarebbe
rimasta sempre la figlia invisibile. Frances aprì il portone
di casa
senza dire niente, facendo scattare la chiave nella serratura. Alison
la guardò con gelosia, pensando che i suoi genitori avevano
dato la
chiave di casa solo a lei, ad Alison no. Non sapeva se fosse per
mancanza di fiducia o per totale disinteresse. Salì in
camera, senza
mangiare nulla nonostante non avesse pranzato. Le era passato
l'appetito. Si chiuse nella sua stanza dipinta ancora di rosa, e
buttò lo zaino per terra con un tonfo sordo. Si
appoggiò al
davanzale della finestra osservando i nuvoloni neri e carichi di
pioggia. Quando pioveva, spesso si sedeva vicino alla finestra ed
osservava l'acqua cadere, infrangersi sulle macchine e sui passanti.
A volte, desiderava poter anche lei cadere e scivolare giù.
19:00
-
Alison, vai ad aprire? - le urlò la madre dalla cucina. Era
una
delle poche volte in cui le rivolgeva la parola. Solo quando doveva
fare qualcosa. Alison si avvicinò alla porta con passo lento
e
strascicato, le scarpe che inciampavano nel lungo tappeto persiano.
Le costava un'enorme fatica anche solo allungare il braccio per
aprire la porta. Le si pararono davanti un signore dalla faccia
simpatica, una donna bassina e un ragazzo che poteva aver all'incirca
la sua età. Il ragazzo aveva i capelli scuri tenuti su con
il gel, e
gli occhi nocciola erano circondati da cerchi neri marcati, con
pesanti borse sotto le palpebre. Nonostante questo, Alison non
potè
far a meno di pensare che fosse un bel ragazzo. Il volto del signore
esplose in un magnifico sorriso, e le afferrò la mano ossuta
con
gentilezza.
- Piacere di conoscerti. Tu devi essere la figlia di
Bob. Frances, vero? Bob mi ha parlato così tanto di te.
L'accenno
del sorriso di Alison si spense del tutto quando sentì il
nome
Frances.
- A dire il vero no, io sono Alison. - chiarì, la voce
leggermente tremante. Notò un accenno di confusione sul
volto di
quel signore.
- Non sapevo avesse un'altra figlia.
“A quanto
pare neanche lui” pensò la ragazza. Fece per
parlare, ma suo padre
la spinse da un lato e, con un sorriso di quelli che non aveva mai
rivolto ad Alison, salutò calorosamente i suoi amici. Il
ragazzo,
intanto, entrò dentro casa senza lasciar trasparire nessuna
emozione. I suoi occhi si fermarono per un secondo su Alison: la
ragazza sentì il suo sguardo bruciarle addosso, spogliarla
completamente e lasciarla nuda e inerme di fronte a lui. Ma
durò
solo un secondo. Poi il moro riprese a guardare la parete con occhi
vacui. In meno di un minuto, il gruppetto venne raggiunto dalla
sorella e dalla madre; Alison si fece da parte quando notò
di non
fare assolutamente parte di quel quadretto così intimo e
amichevole.
Le faceva sempre male notare di non essere mai considerata nella sua
famiglia; si sentiva come una vecchia tendina di cui tutti conoscono
l'esistenza, ma che tutti ignorano. Ecco, come si sentiva Alison. Li
guardava abbracciarsi, parlare fra di loro felici, ogni tanto il
padre dava qualche pacca affettuosa sulla spalla di Frances,
guardandola con amore. Con lei non l'aveva mai fatto. Si era
così
tante volte scervellata per capire cosa ci fosse di tanto sbagliato
in lei da essere così disprezzata, così non
amata, ma non aveva mai
avuto risposto. Alla fine, si era solamente rassegnata al fatto di
non essere mai abbastanza per nessuno. Iniziò a tormentare
il
tappeto con la punta dei piedi, cercando di nascondere il rossore per
la vergogna che le si era dipinta sul viso. Sentì dei passi
pesanti,
probabilmente di anfibi, e una seconda ombra si materializzò
di
fianco alla sua sul tappeto rosso. Alzò gli occhi di scatto,
incontrando quelli del ragazzo. Notò che la pupilla aveva
riempito
lo spazio di quasi tutta l'iride, e aveva un qualcosa di spaventoso
negli occhi, qualcosa che le fece rizzare i peli sulle braccia
pallide. Il ragazzo non accennava a parlare: si limitava a fissarla
intensamente, senza nessun accenno di pudore. Passarono secondi
interminabili così, ciascuno a guardare dentro all'altro,
come se
riuscissero a vedere tutta la loro vita in un semplice sguardo. E,
per un secondo, Alison vide nei suoi occhi un bambino piccolo che
giocava con il cavallo a dondolo appena comprato.
- Ragazzi,
venite a mangiare! - la voce della madre riempì lo spazio
che si era
creato fra di loro, spezzando l'incanto. Il moro le scoccò
un'ultima
occhiata, prima di voltarsi e dirigersi verso la cucina. Alison si
affrettò a seguirlo, ancora sconvolta da quell'incontro
così
strano. Strano, eppure bellissimo. Si infilò al suo solito
posto,
proprio di fronte a quello del ragazzo. La mamma le aveva
già messo
il piatto di pasta davanti; ovviamente, non si era ricordata che lei
odiava la pasta con il pesto. Iniziò a giocare con le
linguine nel
piatto senza mangiarle, nonostante lo stomaco le tremasse sotto la
maglietta. Era tutto il giorno che non toccava cibo, e non avrebbe
neanche cenato.
- Allora Yaser, come vanno gli affari? - chiese
subito suo padre, dando inizio ad un discorso su quanto fosse
difficile guadagnare in modo onesto in quei giorni. Alison si perse
nei suoi pensieri su quel moro così strano, in sottofondo i
discorsi
sulla politica e le voci della madre e di quella signora che
ridacchiavano per un qualche scandalo sulla celebrità del
momento.
Prese a fantasticare, come sempre, su come un giorno sarebbe scappata
per non tornare mai più indietro, con i suoi che l'avrebbero
supplicata di perdonarli. E lei li avrebbe completamente ignorati,
come stavano facendo loro con lei. Un giorno avrebbe avuto anche lei
una vita diversa. Se Alison avesse immaginato cosa sarebbe
significato più in là “vita
diversa” avrebbe passato quella
serata chiusa in camera sua, senza mai conoscere quel ragazzo.
Purtroppo, però, non era andata così.
Un calcio sotto il tavolo
la fece sobbalzare di scatto, facendole sfuggire la forchetta dalle
mani. Il moro la fissava con due occhi impenetrabili, e con un gesto
secco le fece cenno di uscire fuori. Alison annuì, confusa,
e si
alzò tremante. Seguì il ragazzo fuori di casa,
gli adulti troppo
impegnati a parlare per accorgersi di loro. L'aria fredda la
investì
in pieno ed una smorfia le si formò sul viso, mentre lo
“sconosciuto” non accennava ad essersi accorto del
freddo
pungente, sebbene fosse solo in maniche corte.
- Non hai freddo? -
la domanda sorse spontanea dalle labbra di Alison. Il moro si
girò,
come se si accorgesse solo in quel momento della sua presenza. Si
infilò una sigaretta fra le labbra prima di parlare.
- Quando ti
fai di cocaina il freddo è l'ultimo dei tuoi problemi.
La ragazza
non rimase assolutamente scandalizzata. In un certo senso, quasi
ammirava i tossico dipendenti. Almeno loro avevano trovato un modo
per fuggire dal dolore. Osservò il fumo della sigaretta
formare
spirali davanti a lei, prima di svanire nel nulla. A volte se lo
chiedeva, come fosse drogarsi.
- Ti è mai capitato – iniziò,
respirando a fatica per l'emozione – di sentirti
indesiderato? Di
non sentirti mai abbastanza?
Pronunciò quelle parole così piene
di significato per lei fissando il cielo stellato, il cuore che le
martellava nel petto.
- Ogni giorno. - rispose il ragazzo,
buttando la sigaretta a terra.
- Come fai a sopportarlo? -
domandò, gli occhi piantati nei suoi. Le sembrò
di vedere una
scintilla brillare per un secondo nelle sue pupille.
- Io sono
Zayn. - si avvicinò ad Alison, porgendole la mano. Lei
gliela
strinse, un po' dubbiosa.
- Alison.
- Alison. - ripetè, con un
sorriso sulle labbra. Per un istante, la ragazza pensò che
quello
sarebbe stato un nuovo inizio. Non sapeva che sarebbe stato l'inizio
dell'oblio.
14
dicembre,
15.03
Alison
iniziò a camminare avanti e dietro nella sua stanza,
indecisa come
non mai. Era da mezz'ora che scriveva e cancellava il suo numero sul
cellulare, le unghie ormai inesistenti. La sera prima, quando Zayn le
aveva dato il suo numero dicendole “chiamami
domani”, era rimasta
con la bocca spalancata per la sorpresa. Si era soprattutto chiesta
per quale motivo avrebbe dovuto chiamarlo, ma poi lui aveva sorriso
per la prima volta durante tutta la serata, e la sua mente non aveva
avuto spazio per altri pensieri. Non gliene importava nulla che lui
fosse un drogato; l'aveva solo spiazzata un po' il modo in cui ne
parlava quasi con leggerezza, quasi orgoglioso. O forse era solo una
sua impressione.
- Pronto?
Alison emise un gridolino al suono
di quella voce. Guardò il cellulare: aveva per sbaglio
premuto il
verde.
- Emh, Zayn? - la sua voce apparve così debole e
imbarazzata, quando lei avrebbe voluto sembrare una figa, una al suo
livello. Però non lo era.
- Ciao, sei Alison? - lo chiese con un
tono di voce cordiale, nessun accenno di sgarbatezza. Alison
annuì,
prima di ricordarsi che non era di fronte a lei ma al cellulare.
-
Sì, sono io.
Sentì dall'altro capo del telefono un mugolio, come
se si fosse fermato a riflettere. Non parlò per talmente
tanto tempo
che Alison controllò più volte di non aver chiuso
la chiamata.
-
Vieni a casa mia, verso le cinque. - lo disse con un tono
così serio
da far capire che non era una richiesta. Era un ordine.
- Ma...tu
non abiti a Bradford, scusa? - la confusione stava prendendo il
sopravvento sulla ragazza, sempre più intontita da tutte
quelle
stranezze.
- No, abito a Londra da solo da almeno un anno. -
rise, come se fosse la cosa più divertente che avesse mai
sentito
fino a quel momento.
- Oh, okay. Dove abiti? - prese un pezzo di
carta da un quaderno e una penna.
- Bond Street, il sedici. Alle
sei. - Alison scrisse l'indirizzo sul foglio, leggermente agitata.
Poteva considerarlo un...amico? Sì, il suo primo e unico
amico.
-
Ci vediamo, allora.
- Ti aspetto.
18.03
Alison
si scaldò le mani con il fiato, inutilmente. La misera
sciarpa e il
cappello di lana che si era infilata non bastavano a proteggerla dal
freddo, e aveva le mani talmente intorpidite da non avere quasi
più
sensibilità. Aveva preso il pullman più vicino a
casa sua, senza
dire niente ai genitori; non che glielo avessero chiesto. Solo
Frances le aveva fatto un po' di domande, alle quali lei aveva
risposto sempre sinceramente. Tuttavia, la sorella le era sembrata
dubbiosa quando l'aveva vista uscire dal portone di casa. Addirittura
le era sembrato di sentire “stai attenta”. Forse
era stata
un'allucinazione.
Alison guardò un'altra volta l'enorme palazzo
grigio che si ritrovava davanti, che si intonava perfettamente alla
tristezza di quella Londra caotica e rumorosa. Scorse velocemente la
lista di nomi sul citofono, la maggior parte dei quali scritti a
penna o cancellati. Quando arrivò a Malik, premette il tasto
con un
leggere imbarazzo. Subito una voce meccanica disse “chi
è?”, ma
al solo pensiero che dietro quella voce ci fosse Zayn ad Alison
saltò
il cuore nel petto.
- Sono Alison.
Il rumore della porta che si
apre, lo sfruscio delle sue scarpe sul tappetino, il suono
dell'ascensore che si apre. Pochi secondi e si ritrovò
davanti al
moro che, con una sigaretta accesa e gli occhi iniettati di sangue,
la fissava dalla soglia di casa sua. Si scansò senza dire
niente per
farla passare, e per un istante le loro mani si sfiorarono. Un forte
odore di fumo e di birra investì in pieno Alison, abituata
al
profumo di buono e di cioccolato della sua camera. Il pavimento era
completamente ricoperto di vestiti o pacchetti di sigarette vuote; le
bottiglie di birra erano state raccolte tutte quante e disposte in un
angolo del corridoio. Erano almeno una ventina. Alison
tossicchiò,
grattandosi la testa. Zayn le fece cenno di entrare in quello che
doveva essere il salone; il divano era strappato in diversi punti,
mentre un traballante albero di natale era stato sistemato al centro
della sala, leggermente spelacchiato. La prima cosa che Alison
notò
furono le tende sfilacciate e macchiate, probabilmente, da alcool.
Zayn, senza dire niente, le passò davanti, la sigaretta
ancora
accesa.
- Zayn. - lo bloccò per un polso, con un'audacia che
nemmeno lei credeva di possedere. - Per quale motivo mi hai fatto
venire?
Zayn la fissò per diversi secondi, gli occhi totalmente
inespressivi e vuoti. Si liberò il polso dalla sua presa e,
molto
lentamente, avvicinò la sua mano alle sue guance pallide e
smagrite.
La accarezzò a lungo, con le sue dita fredde e affusolate,
mentre
Alison sentiva la pelle d'oca farsi strada sulle sue braccia. Zayn
smise di accarezzarla con la punta delle dita e appoggiò
tutto il
palmo sulla sua pelle, lasciando che le dita si intrufolassero sotto
i capelli mori, lasciando che il pollice le massaggiasse lentamente
la testa. Alison chiuse gli occhi azzurri come il cielo, ma il
ragazzo con la mano libera le tolse gli occhiali e la costrinse a
guardarlo. Il suo tocco stava diventando più prepotente,
più
'violento', eppure era la cosa più dolce che avessero mai
fatto per
Alison. Vide le sue labbra screpolate farsi sempre più
vicine, fin
quando non vide solo quelle. Un attimo di esitazione, prima di posare
le sue labbra su quelle rosee e piene di lei. Alison sbarrò
gli
occhi nel sentire la sua lingua umida entrare nella sua bocca; era
una sensazione così nuova per lei, così strana.
Era incapace di muoversi, non riusciva neppure a far finta di muovere
le labbra. Era semplicemente rimasta così, in balia di quel
ragazzo
di cui sapeva a malapena il nome, lasciandosi baciare da un perfetto
sconosciuto.
20.06
Alison
si chiuse la porta alle spalle con più determinazione del
solito. Di
solito, lei lasciava che la porta si chiudesse da sola, non se la
sentiva neppure di chiuderla mettendoci un po' di forza. Quel giorno,
Alison Stoner aveva chiuso la porta spingendola con tutta la sua
energia. Si sentiva cambiata; esteticamente, era rimasta uguale. Se
si fosse guardato il suo viso, non si sarebbe visto nulla di cambiato
da quel pomeriggio. Eppure, dentro di lei, qualcosa era cambiato.
Qualcosa, si era irrimediabilmente danneggiato oppure, come credeva
lei, migliorato. Dopo quel bacio fuori programma, lei e Zayn avevano
parlato a lungo di qualsiasi cosa. Avevano parlato della vita di
Alison e dei suoi mercoledì infernali, del suo essere la
figlia
ignorata, dei suoi sabato sera passati a casa da sola. Avevano
parlato dei genitori di Zayn, del suo essere ribelle, del suo volere
più libertà. Avevano parlato della droga. Avevano
parlato di
politica. Avevano parlato di amore. Avevano parlato di vita. E
avevano parlato di rivedersi il giorno dopo.
Alison entrò in
bagno senza neanche togliersi il giubbotto e il cappello e si chiuse
a chiave. Si spogliò completamente, togliendosi anche gli
indumenti
intimi, e rimase nuda davanti allo specchio a contemplarsi.
Guardò
per interi minuti ogni suo minimo particolare: si osservò il
neo che
aveva sulla clavicola, i seni quasi inesistenti e mascolini,
l'ombelico profondo, le curve morbide dei fianchi, le braccia
spigolose, i lividi sulle gambe scheletriche. Senza smettere di
guardarsi, afferrò la forbice posata sulla cassettiera e,
con enorme
attenzione, iniziò a tagliare i capelli lunghi fino a
metà schiena.
Le ciocche brune cadevano per terra, mentre lei continuava a tagliare
e a tagliare fin quando non arrivarono sì e no al collo.
Notò che
le donavano un'aria più misteriosa, più oscura.
Appoggiò gli
occhiali sul lavandino e prese i trucchi della sorella in mano. Non
aveva idea di come si usassero. Cominciò a passare la matita
nera
nella palpebra inferiore stando attenta a non infilarsela
nell'occhio. Soddisfatta del risultato, continuò a provare
eyeliner
e ombretti vari. Sembrava una di quelle bambine piccole che si
divertiva a giocare con i trucchi della madre. Trasformò le
labbra
innocenti in un paio di labbra rosso fuoco, provocanti. L'azzurro
degli occhi sembrava più splendente circondato da ombretto
nero e
trucco pesante. Per la prima volta in vita sua, Alison si piacque.
15
dicembre, 7:40
Frances
non si era mai sentita tanto spaesata come in quel momento. Non era
sua sorella. Non poteva essere sua sorella, quella ragazza con il
sedere mezzo scoperto, i capelli corti e spettinati e il viso
nascosto sotto strati di trucco. Non poteva essere l'Alison che solo
due giorni prima si era messa a piangere davanti a lei
perché non si
sentiva abbastanza, perché non si era mai sentita
abbastanza. Quando
l'aveva vista quella mattina, si era trattenuta dall'urlarle addosso;
per un secondo, non l'aveva addirittura riconosciuta. Con
quell'espressione strafottente dipinta in faccia, le cuffiette
infilate nelle orecchie, gli occhiali sostituiti dalle lenti a
contatto che sinceramente non ricordava avesse mai comprato, le era
venuto un colpo al cuore. Non le aveva neanche rivolto la parola. Si
era limitata a fare un cenno con la testa a 'mo di buongiorno e a
scendere le scale facendo bolle con la big babol. Frances non
riusciva a ricordare a quando risalisse l'ultima volta che l'aveva
vista con la cicca in bocca. L'aveva seguita per le scale
sconcertata, un occhio che si fissava le ballerine e l'altro che
osservava ogni suo minimo movimento. Guardandola camminare, aveva
notato che le scarpe da ginnastica le uscivano fuori dai piedi ad
ogni passo. Quando aveva appoggiato la mano sul corrimano, le erano
saltate agli occhi le unghie dipinte di nero, ed il pollice era
circondato da un anello di legno. Un leggero movimento dei capelli,
l'occhio di Frances catturò anche l'immagine di un paio di
orecchini
lunghi con delle croci. Alison scese l'ultimo scalino muovendo la
testa a ritmo e si avvicinò al frigorifero strisciando i
piedi sul
parquet. Frances guardò con rabbia i suoi genitori, che non
si erano
neanche degnati di alzare la testa per guardare in faccia la loro
figlia minore, per vedere come si era ridotta in un giorno passato
con quel mezzo drogato. Sì, Frances lo sapeva chi era. Tutti
nella
scuola conoscevano Zayn Malik, con le sue pillole che vendeva ogni
venerdì pomeriggio nel cortile della scuola. E bastava
guardarlo in
faccia, per capire che tipo era: uno sfaccendato, un tossico che
voleva portarsi via la sua piccola Alison.
- Insomma, non vi
degnate più nemmeno di dire buongiorno? - la madre e il
padre
alzarono la testa di scatto verso Frances, sorpresi. Poi si voltarono
in direzione di Alison. In una frazione di secondo, la ragazza vide
sul viso della madre scorrere un milione di espressioni: confusione,
sorpresa, incredulità, di nuovo confusione, rabbia,
indecisione.
Aprì la bocca per parlare, ma prima di aver detto una sola
parola
l'aveva già richiusa. Sembrava che si stesse scatenando una
guerra
dentro di lei. Il padre, invece, rimase per un istante indifferente.
Poi strabuzzò gli occhi, e diventarono talmente grandi che
Frances
temette che gli scoppiassero. Erano così grandi che la
ragazza
riusciva a contare i capillari che contornavano le sue pupille.
Alison non li guardò nemmeno, rimise il cartone del latte in
frigo e
lo richiuse con una botta secca.
- Alison... - il padre mormorò
quella parola con un filo di fiato, ma in quel silenzio tagliente
rimbombò come un urlo. La ragazza alzò la testa
con uno scatto, gli
occhi infuocati dal rancore.
- Com'è, adesso ti sei accorto che
esisto?
Prima che potesse dire qualsiasi cosa, Alison era già
fuori dalla porta, incredula per essere riuscita a rispondere
all'unica persona che temesse veramente.
Frances li guardò
incredula rimanere lì come stoccafissi, senza fare nulla,
senza
rincorrerla.
- Ma si può sapere cosa diavolo vi prende? Eh,
porca puttana? - lanciò il panino alla marmellata sul
pavimento
lucidissimo, urlandoli contro tutta la sua frustrazione. - E' tutta
colpa vostra, tutta. - e senza guardarsi indietro, si chiuse la porta
alle spalle. I genitori si chiesero soltanto se avesse parlato
davvero la loro Frances, dalla cui bocca non era mai uscita una sola
parolaccia in tutta la sua vita.
13.17
Alison
si guardò un'ultima volta attorno, mentre attraversava il
corridoio
che l'avrebbe portata in sala mensa. Si sentiva osservata e, per la
prima volta, le piaceva. Amava sentire gli sguardi posarsi su di lei,
non con ostilità, ma quasi con ammirazione; adorava i
bisbiglii che
si creavano quando passava davanti ad un gruppetto di persone;
provava lusinga quando scopriva uno dei ragazzi più popolari
della
scuola guardarle il sedere. Le piaceva. Non si sentiva più
la
secchiona evitata da tutti, si sentiva una normale adolescente nel
suo paio di jeans che le scoprivano l'orlo degli slip neri. Si
sentiva un'altra Alison.
- Alison, possiamo parlare? - la sorella
l'agguanto per il polso, l'evidente fiatone a causa della corsa che
aveva fatto.
- A proposito di quale argomento? - rispose, con tono
annoiato. Oh, come le piaceva fare la parte della ragazza
menefreghista.
- Mi prendi in giro? Cosa sono questi?
- le prese una ciocca di capelli neri, quasi con disgusto. - Cosa
sono questi pantaloni? Dove diavolo sono finiti i tuoi occhiali?
-
Di quali occhiali stai parlando? Oh, forse di quelli della vecchia
Alison.
- marchiò la parola “Alison” con
più enfasi del dovuto.
Frances la guardò, negli occhi un pizzico di tristezza.
-
Sappi che non si può diventare una persona diversa in solo
una
sera.
- Non mi interessa che cosa ne pensi tu o cosa ne pensano
gli altri. Non ritornerò come prima. - cambiò
direzione andando
verso i bagni, correggendosi mentalmente. “Non mi interessa
che
cosa ne pensi tu, ma cosa ne pensano gli altri sì”.
16.02
Alison
si trascinò fuori da scuola con la sua nuova espressione
scocciata
dipinta in faccia, la borsa che strisciava sugli scalini luridi ad
ogni passo. Anche se non come quella mattina, tutti la guardavano di
sottecchi, curiosi di nuovi particolari, di più dettagli. In
particolare, un ragazzo robusto la guardava furente vicino al muretto
di mattoni, osservando ogni suo movimento. “Come si
è permessa”
pensava “di vestirsi in questo modo. Quella puttanella ancora
non
ha capito chi comanda”. Salutò velocemente i suoi
amici, buttò il
mozzicone di sigaretta per terra accompagnato da uno sputo, e si
avvicinò con passo veloce ad Alison. La mora neanche lo
notò, o
fece finta di non vederlo: continuò a guardare davanti a
sé, gli
occhi coperti dalle ciocche ribelli dei suoi capelli. Senza neanche
più fingersi indifferente, Matt serrò la sua mano
intorno al polso
esile della ragazza.
- Che ti avevo detto? Pensi di essere più
carina così? Eh? - mormorò queste parole al suo
orecchio,
stringendo di più la presa sulla sua pelle. Alle narici di
Alison
arrivò una vampata di tabacco, che la costrinse a
starnutire.
-
Non vedo come possano essere affari tuoi. - di nuovo spuntò
fuori,
il coraggio inaspettato di quella nuova Alison; l'impertinenza mai
uscita dalla bocca di quella ragazza si stava liberando tutta
insieme. A Matt gli si gonfiarono le vene del collo.
- Tu, piccola
p...
Ed eccola. Dopo tanti mesi di soprusi, di maltrattamenti non
meritati, di violenze fisiche e psicologiche, eccola. Dopo insulti,
botte volate sul suo gracile corpo, pianti silenziosi rannicchiata in
un angolo del bagno, eccola. La sua vendetta, finalmente arrivata. Il
rumore portò al silenzio generale dell'intero cortile, tutti
voltati
verso di loro. Tutti che guardavano la piccola Alison rinascere. Matt
si portò una mano sulla guancia, sulla faccia un'espressione
di
sorpresa, di spavento. Per un secondo, Alison ci vedette anche
rassegnazione. Senza dire nulla, le guance in fiamme dall'emozione,
il cuore rianimato da quella scarica di adrenalina, riprese la sua
“sfilata” verso casa, un magnifico sorriso stampato
sul volto.
Non notò nemmeno Frances che la osservava in mezzo al suo
pubblico,
con una lacrima sulla guancia pallida, e la consapevolezza di aver
perso per sempre sua sorella.
18.00
Alison
sentì le sue mani mulatte percorrere i suoi fianchi da sotto
la
maglietta, le dita che si infilavano sotto il suo reggiseno. Si
aggrappò alla sua schiena come se potesse essere la sua
ancora di
salvezza, non sapendo che proprio quell'ancora l'avrebbe fatta
affondare negli angoli più bui dell'inferno. Lui
l'appoggiò sul
letto con delicatezza, senza smettere di posare le sue labbra morbide
sulla sua clavicola, sul suo seno, sul suo ventre piatto. Le
sfilò
con poca difficoltà il maglione, e per diversi secondi
osservò la
sua pelle lattea ed invitante, la fossetta su uno dei due fianchi,
una voglia vicino all'ombelico. Riprese a baciarla con più
foga, con
più disperazione, mentre Alison non faceva altro se non
ascoltare il
ritmo del suo cuore, irregolare e spaventato. Giaceva immobile sotto
il suo tocco, gli occhi puntati sulla luna che si intravedeva dalla
finestra aperta. Quando anche lui si spogliò completamente,
lei
continuò a guardare la luna. Quando si unì a lei
con un solo, secco
movimento, lei continuò a guardare la luna. Quando le
lacrime
mischiate al mascara iniziarono a scorrerle sulle guance,che non
sembravano più tanto innocenti, continuò a
guardare la luna.
15
agosto, 21.00
Da
alcuni mesi a quella parte, Frances aveva preso l'abitudine di
stendersi sul letto in pieno pomeriggio a pensare. Appena prima di
fare i compiti, prima di uscire, dopo cena, Frances si chiudeva in
camera, si allungava e chiudeva gli occhi. I problemi si rincorrevano
prepotenti nella sua testa, quasi volessero litigare su quale fosse
il più grande, enorme e problematico. Ma, sebbene Frances lo
negasse
a sé stessa, lei sapeva perfettamente quale fosse. Ogni
tanto,
andava in soffitta, chiudeva la vecchia porta polverosa, e passava
giorni interi ad osservare foto della sua infanzia, a memorizzare
sorrisi, ad assorbire risate. Osservava una piccola Alison felice
alla vista dei regali di Natale, e la confrontava mentalmente con
quella specie di morto vivente che girovagava per casa sua, che
dormiva nella camera di Alison, che mangiava allo stesso posto di
Alison. Le piaceva illudersi che quella fosse solo un'impostora, una
sporca imbrogliona che si fingeva la sua sorellina, quando la sua
sorellina era sempre la stessa sorridente, innocente Alison. Altre
volte, piangeva. Si buttava sul letto e singhiozzava fra le lenzuola,
dandosi la colpa per tutto quello che era successo, per tutto quello
che stava succedendo. In rare occasioni, invece, si arrabbiava. Con i
suoi, con Alison, con tutti. E, più di tutti, con quel Zayn,
quell'impasticcato, quel sudicio stronzo che aveva trasformato la
persona più pura di questo mondo in una come lui. In una
drogata.
-
Alison, io esco stasera. - entrò nella camera aperta,
leggermente
intimorita dalla sua reazione. Lo stereo trasmetteva a tutto volume
della musica metal, che Frances trovava infernale.
- Non te l'ho
chiesto. - rispose con la solita sgarbatezza, prendendo un'altra
boccata di fumo dalla sigaretta accesa. La sorella guardò
ormai
stanca la camera ridotta in condizioni pietose. L'armadio era
praticamente vuoto, considerando che tutti i vestiti erano sparsi per
terra; ovunque c'erano confezioni vuote di yogurt e pacchetti di
sigarette; a Frances sembrò di intravedere un sacchetto di
pasticche
sotto un paio di jeans, ma preferì non indagare. Si sentiva
un'orrenda puzza di liquore e fumo, il tutto mischiato a un forte
odore dolciastro di profumo da donna. Gli occhioni spenti di Alison
fissarono sprezzanti la sorella, un segnale che Frances prese come un
chiaro invito fuori dalla sua camera. La guardò, sperando
che si
voltasse, che le urlasse addosso, perfino che le lanciasse qualcosa.
Sperava ardentemente che la mandasse a fanculo, giusto per vedere la
sorella reagire, per vederla vivere. Ma Alison si limitò a
osservare
le spirali di fumo che le ricordavano tanto quelle del suo primo
incontro con Zayn, e Frances se ne andò, definitivamente
arresa.
23.50
Alison
prese un altro sorso dalla bottiglia di vodka quasi vuota.
-
Merda, è finita. - urlò sopra la musica sparata a
tutto volume, ma
Zayn era troppo impegnato a sniffare la sua striscia di coca mentre
guidava. Gli alberi erano solo una macchia di colore dal finestrino,
a causa della velocità di centocinquanta chilometri orari.
- Mi
senti? - urlò ancora, il cervello che le sembrava
pesantissimo da
sopportare nel cervello.
- Porca puttana, stai un po' zitta. -
fece una manovra appena prima di essere colpito da un camion, una
mano ancora impegnata dalla bottiglia di rum. Alison si
ammutolì,
troppo concentrata a mettere a fuoco gli oggetti che la circondavano
sotto l'effetto della droga. Non riusciva a capire se quello che
vedeva dal finestrino fosse un gatto oppure un cervo. Tutto le
sembrava così surreale e bello quando si faceva; era questo
quello
che le piaceva. Il fatto che bastasse annusare quella polvere
sottilissima, anche leggermente pungente, per dimenticare per un po'
la realtà, per vivere nel suo paradiso personale, la faceva
sentire
bene. I colori distorti dalla sua mente, la facevano sentire bene.
Perfino il sesso in macchina con il suo ragazzo, strafatti e ubriachi
come sempre, la faceva sentire bene. Quella vita, la faceva sentire
bene nonostante tutto.
- Dove andiamo stasera? - chiese, un
leggero senso di nausea all'inizio dello stomaco.
- Porca troia,
Al, vuoi stare un secondo zitta? - urlò, le vene del collo
gonfie
all'inverosimile. I suoi occhi completamente neri e ottusi furono
l'ultima cosa che vide, prima di un altro tipo di nero che sembrava
non finire mai.
- Una commozione cerebrale, dite? - una voce
ovattata arrivò al cervello di Alison; sembrava famigliare,
tuttavia
non riuscì a capire di chi si trattasse.
- Già. - questa volta,
invece, era una voce del tutto nuova.
- E il ragazzo?
- In
carcere. Guidava strafatto di cocaina, senza contare che era
già
conosciuto nel giro per via del suo spaccio di pasticche davanti a
diverse scuole di Londra.
- Alison?
- Credo che sia meglio
aspettare che si svegli.
Ed Alison non aveva assolutamente nessuna
intenzione di svegliarsi.
Dieci
anni dopo
Alison
si stiracchia leggermente, i raggi del sole che filtrano attraverso
le tapparelle abbassate male. Guarda l'orologio: le sei e mezza. Si
svegliasempre alla stessa ora da quando è nata Lily; istinto
materno, le hanno detto. Lei la trova solo la forza dell'abitudine di
essere svegliata sempre dal solito pianto soffocato. Si volta
dall'altra parte del letto, pensando di meritarsi almeno un'altra ora
di sonno. E' mercoledì mattina, uno dei suoi giorni
preferiti. E' il
suo giorno preferito, perché il mercoledì Liam
porta a scuola i
bambini, Liam cucina, Liam pulisce la casa, Liam aiuta Lily e Luke a
fare i compiti. E' il suo giorno preferito perché
è il giorno di
Alison. E' il suo giorno libero. Adesso, Alison ama stare nel letto
la mattina a guardare il marito dormire; ad Alison piace guardare i
film di Natale abbracciata ai suoi due figli, mangiando pop corn al
caramello che lei odia, ma che gli altri tre adorano. Amale visite
dei suoi genitori, sebbene il suo rancore nei loro confronti non si
esaurirà mai. Ama un po' di più le visite di
Frances, che portano
nel suo cuore tranquillità e gioia. Ama svegliarsi nel cuore
della
notte ed entrare nella piccola cameretta che ha dipinto appena otto
anni fa di giallo, un colore che le mette allegria. Le sembra che sia
passata un'eternità. Ama accarezzare le guance paffute e
sempre
rosee di Luke mentre dorme, ed osservare come le lunghe ciglia di
Lily le accarezzino il viso, il piccolo petto che si alza ed abbassa.
Ama dipingere, in particolare il sole. Ama l'estate. Ama accoccolarsi
la notte al petto di Liam, gli incubi che la tormentano ancora. E' il
piccolo prezzo da pagare per avere una vita quasi perfetta. Quasi
perfetta per lei.
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Sì, sono di
nuovo qui a rompervi le balls, e con un os particolarmente depressa. Ce
l'avevo in mente in modo assolutamente diverso, ma poi è
uscita sta cacata e vabbè c.c spero possa piacervi comunque
c: