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Autore: micho    19/12/2012    7 recensioni
"...assaporare la pace è qualcosa a cui non sono abituato..."
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Connor Kenway
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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RICOMPENSA

 
 
 
 

Estate 1783

 
 
     C’è una vista magnifica da questa scogliera, ma assaporare la pace è qualcosa a cui non sono abituato... e i miei sensi così acuti non mi danno tregua. Il suono di un respiro lieve come un alito di vento e il piegarsi di uno stelo d’erba e la mia mano reagisce a un comando ancestrale. Posso sentire ogni increspatura del cuoio che riveste l’impugnatura del tomahawk e ogni fibra del mio corpo è pronta a combattere o a fuggire, mentre il prezioso umano ragionamento si assoggetta riluttante al crudo istinto di sopravvivenza...
     — Scusa, Connor. Il mio gattino è scappato, lo cerco da stamattina e nessuno ha tempo di aiutarmi. —
     Si tratta di questo, dunque? Un... gattino in fuga? A questo si ridurrà l’esistenza di uno che ha braccato uomini come animali, rischiato la vita più volte di quanto dovrebbe essere consentito, distribuito morte a piene mani e parlato con gli spiriti? Non c’è manto bianco di neve che io non ricordi rosso di sangue, nessuna goccia di pioggia o raggio di sole che non mi riporti alla mente un’estenuante imboscata o una fuga precipitosa. Ho ammazzato mio padre e il mio più vecchio amico, dannazione! Per quella libertà in nome della quale non ho fatto altro che obbedire e obbedire... E ora dov’è la mia ricompensa? La mia gente è dispersa, le loro terre sono state vendute e se anche lo spirito ha detto che ciò che ho fatto è stato importante io sento di aver fallito.
     Non ho neanche trent’anni e quando il tempo peggiora all’improvviso le troppe cicatrici mi fanno male...
     — Mi dispiace... non dovevo disturbarti... — Maria, la figlia di Ellen, arrossisce e un attimo dopo sta correndo via.
     Chiudo gli occhi e sospiro. Non c’è rimasto proprio niente in fondo a questo mio cuore maledetto?
 
 
     — Maria, hai ricamato i polsini per l’abito di Catherine? Devo andare a consegnarglielo.—
     — Sì, mamma, margherite gialle e foglie verdi. E’ sul tavolo da lavoro. —
     — Oh, sì, scusa, eccolo. E i nastri? Li hai divisi per colore? —
     — Sì, mamma, la scatola è al suo posto. —
     — Accidenti, ma il filo giallo dov’è? —
     — E’ finito, mamma. Ne tingerò dell’altro domani. —
     — Brava bambina, grazie. Oh, salve Connor! —
     Ellen mi si fa incontro con un abito tra le mani, scendendo i gradini del portico, seguita dalla figlia che non ha occhi che per la palla di pelo arruffato che tengo in braccio. Ora la piccola belva fa le fusa, ma non si è fatta scrupoli di rifilarmi un bel po’ di graffi e morsi profondi durante le fasi più concitate della cattura.
     — Grazie, Connor. — dice Maria tendendo le mani e afferrando il gatto. — Ma... è stato lui a farti quelli? — chiede notando i segni sanguinanti sulle mie mani.
     — Ho faticato un po’ a convincerlo che doveva tornare a casa. — rispondo con un sorriso. — Ho incontrato puma più arrendevoli. —
     Un lampo d’orgoglio passa sul viso di Maria e poi i suoi occhi si fanno severi. —Vergonati! — dice rivolta al micio. — Graffiare e mordere Connor... sei proprio un ingrato! Non lo sai che è solo grazie a lui che abbiamo questa casa in questo bellissimo posto?—
     I pensieri cupi di qualche ora fa avevano cominciato a sbiadire mentre mi mettevo in caccia del fuggitivo, ma ora sono spazzati via in un momento. Che sia la gratitudine di questa gente almeno una parte della mia ricompensa?
     — Maria. — dice Ellen. — Devo andare da Catherine. Fai tu la padrona di casa: offri a Connor un tè e occupati delle sue ferite. — Mi strizza l’occhio. — O forse sarà meglio qualcosa di più forte, per aiutarlo a sopportare il dolore... — e si allontana in uno svolazzare di gonne.
     La ragazzina lascia andare il gatto, che si va prontamente ad acciambellare su un davanzale assolato, e mi afferra per un braccio, trascinandomi sotto il portico e spingendomi su una sedia, poi sparisce dentro casa. Quando ritorna, posa sul tavolo una bottiglia di brandy parecchio polverosa, un bicchiere, il flacone del disinfettante e una pila di bende. Stappa la bottiglia con piglio deciso e versa nel bicchiere un dito di liquido ambrato, poi, dopo aver dato un’occhiata più attenta alle mie mani, aumenta la dose di un altro dito.
     — Bevi. — dice seria. — Spero di non farti troppo male. —
     Dal davanzale, il gatto mi lancia uno sguardo di sfida.
  
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