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Autore: Littlefinger    19/12/2012    1 recensioni
Una nuova avventura per Neil McRoberts. Stavolta il mago-mercenario finisce senza volerlo nel mezzo d'intrighi fra vampiri, mannari e altre creature sovrannaturali in Germania, nel cuore della Foresta Nera.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Neil McRoberts'
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Il treno si muoveva silenziosamente e il paesaggio scorreva veloce fuori dal finestrino, mostrandomi i campi coltivati del Baden-Wurttemberg e delle cittadine da cartolina. Poi altri campi coltivati e ancora, indovinate un po’, campi coltivati. La vista era diventata monotona dopo cinque minuti fuori da Basilea.  Allontanai il capo dal finestrino e mi soffermai a studiare con interesse il posto vuoto davanti a me. Qualsiasi cosa pur di non vedere un’altra fattoria rustica.
     Il mio compagno di viaggio - se tale poteva definirsi - era meno loquace di uno scaldabagno rotto e ciò non aiutava a migliorare l’atmosfera. Aveva passato tutto il viaggio a completare cruciverba e schemi di sudoku e mi aveva rivolto la parola solo quando non era riuscito a risolvere un diciassette verticale. Tanto per la cronaca, non ci ero riuscito nemmeno io.
     «Perché non abbiamo usato un Portale?» domandai, sperando di avviare una conversazione che mi avrebbe risparmiato un altro viaggio noioso. I Portali sono il metodo più veloce ed economico per viaggiare. Congiuri un paio d’incantesimi e… POOF!... ecco a disposizione uno strappo nella realtà che ti porta direttamente a destinazione. Ovviamente bisogna conoscere un po’ di magia per poterli usare, non è roba per tutti. Ci vuole un buon mago, me ad esempio.
     L’uomo alzò le spalle. «Pensa a goderti il viaggio, Neil McRoberts.» rispose senza alzare gli occhi dalla rivista.
     «Se vedo un altro campo mi sparo in bocca.»
     «Con quale pistola?» Mi indicò il cruciverba con la penna e aggiunse: «Sette orizzontale, soldato romano. Dieci lettere.»
     «Mario Silla. Caio Leonio. Pippo Pipponio, che ne so, non ho mai conosciuto dei romani. Piuttosto, perché non abbiamo usato un Portale? Saremmo già arrivati e non avremmo speso un soldo.»
     «Legionario.» disse, ignorando le mie lamentele.
     Mi misi a ridere. «Non li sai usare!» esclamai, fra una risata e l’altra.
     «Non sono un mago come te, umano.» Posò la rivista sulla gambe e mi fissò. «Tra l’altro questa mancanza non mi ha impedito di catturarti, no?»
     Ricambiai lo sguardo e dovetti chinare il capo per farlo. Il mio interlocutore era alto poco meno di un metro e sessanta e la sua posizione sprofondata nel sedile non lo rendeva certo imponente. Del resto, tutto il suo aspetto trasudava  frivolezza e superficialità. Indossava un capellino dei Boston Celtics che gli copriva i capelli rossi, la barbetta incolta gli dava un senso di trasandatezza, acuito dalle occhiaie scure e dalle stropicciature sulla camicia bianca. I pantaloni di velluto verde brillante passavano quasi inosservati a causa della vistosa fibbia della cintura, che era appariscente non tanto per la sua forma, quanto per il fatto che fosse d’oro; le scarpe nere senza lacci avevano due fibbie identiche. L’abbigliamento veniva completato da una giacca verde che per il momento si trovava sul portabagagli, insieme al suo bastone da passeggio.
     Quando lo incontrai, la prima cosa che mi venne in mente fu “mio caro, oggi non è San Patrizio”. In tutta sincerità, chiunque avrebbe pensato che fosse uno sbandato - o un tipo insolito, nel migliore dei casi - e non certo un leprecauno mercenario con le palle cubiche.
     «Sei stato fortunato.» mentii. In realtà, ero curioso di sapere perché ero ancora vivo.
     Il folletto inarcò un sopracciglio, poi scosse la testa, riprese la rivista di enigmistica e tornò a concentrarsi sul giochino. Era chiaro che avrei passato un’altra ora a rimuginare su cosa era successo il giorno prima e su quello che mi aspettava a Friburgo.
     Come cambiano velocemente le prospettive di vita di un mercenario ricercato da uno o più clan di vampiri. Due giorni prima mi trovavo a Nizza e passeggiavo tranquillamente per la Promenade des Anglais, gustandomi un cono gelato con tre palline al cioccolato. Se c’è il cioccolato, perché scegliere altri gusti? Comunque, ero là che mi godevo un’ultima passeggiata sul lungomare prima di tornare nuovamente al mio esilio in Sardegna. Vivere come un fuggitivo, nascosto in un qualche buco nelle montagne, era fin troppo stressante e ogni tanto avevo bisogno di un’iniezione di vita: una passeggiata in Costa Azzurra, un salto a Las Vegas o una visitina al Moulin Rouge. Ero immerso nell’assaporare il delizioso gelato, quando il simpatico figuro mi era comparso davanti. Non comparso dal nulla, intendiamoci. Camminava nella direzione opposta a me e quasi ci eravamo scontrati. Stavo per tirar fuori la magnifica battuta citata prima, ma l’uomo aveva alzato il bastone da passeggio e me l’aveva puntato allo stomaco.
     «Neil McRoberts» aveva detto «mi chiamo Finn e tu sei mio prigioniero.» Per rafforzare le parole mi aveva pungolato col bastone e una scarica elettrica mi aveva percorso da capo a piedi, facendomi rizzare i capelli. Non era nulla di letale, ma era stata abbastanza dolorosa per farmi capire che era meglio non reagire. Chiaro e conciso.
     «Chi sei?» avevo chiesto, un po’ stupidamente. Perdonatemi se non sono un brillante conversatore dopo essere stato “taserato”.
     «Sei sordo o idiota?»
     «Sei un leccapiedi di Greta Zimmerman?» avevo domandato, non proprio gentilmente. Greta Zimmerman era la matriarca di un clan di vampiri che avevo incontrato un anno prima e, come ogni donna, una volta conosciutomi non aveva più potuto fare a meno di me, o forse mi voleva solo perché l’avevo pesantemente insultata; fatto sta che aveva sguinzagliato un certo numero di sgherri sulle mie tracce e per quel motivo mi ero rintanato in Sardegna.
     «Non sono il leccapiedi di nessuno. Sono un lavoratore indipendente.» aveva risposto il leprecauno. «Non prendertela, è solo una questione di lavoro. Nulla di personale.»
     «Ovviamente.» Fra colleghi si ci capiva. «Mi chiedo come mai un folletto della corte irlandese lavori per un clan di vampiri.»
     Aveva alzato le spalle in segno di noncuranza. «L’unica cosa importante è questa. Puoi venire con me tranquillamente e in due giorni saremo a Friburgo dove ti consegnerò alla vampira. Oppure puoi provare a reagire. In tal caso ti strapperò un arto a caso. E poi un altro ancora, fino a quando non ti deciderai.»
     «Ho solo quattro arti.» avevo replicato.
     «Allora dovrai decidere in fretta.»                     
     Dato che mi trovavo in treno in sua compagnia e col giusto numero di arti, vi lascio indovinare quale sia stata la mia risposta. Non c’era verso per uno come me di sfuggire a un membro di una corte fatata. Inoltre non mi aveva ucciso, per cui il suo lavoro era solo di portarmi da Greta e ciò significava solo una cosa: la vampira mi voleva vivo.
     Perché? Non lo sapevo, ma era comunque un’ottima notizia.
     Rimanere vivo – e con braccia e gambe intatte – era il miglior scenario che potessi sperare per fuggire. Non morire oggi, per fuggire domani. Inoltre, una volta completato il suo contratto, il leprecauno mi avrebbe ignorato e un gruppo di vampiri era molto più alla mia portata.
     Finn mi aveva portato l’aeroporto ed eravamo volati a Ginevra, dove avevamo preso un treno per Friburgo, con cambio a Basilea.        Era raro trovare un folletto che non era in grado di usare la magia per viaggiare. Quasi quanto uno che lavorasse come mercenario per dei comuni mortali. Ok, un vampiro non è un comune mortale, ma secondo le fate è ciò che c’è di più infimo nel mondo magico, per via della loro origine.
     Il treno si fermò in un piccolo paesino e una coppia di mezz’età si sedette di fronte a noi. Ci guardarono per un attimo, lanciandoci occhiate incuriosite. Se Finn sembrava uscito da uno spot per incoraggiare il turismo in Irlanda, anche io non scherzavo, in quanto ad abbigliamento. La felpa rossa che avevo comprato all’aeroporto lasciava intravedere la camicia a motivo floreale che indossavo sotto e  poco s’intonava con la tuta che avevo comprato per sostituire i pantaloncini corti. Naturalmente, Finn vinse la sfida, guadagnandosi la maggior attenzione della coppia.
     «Salve!» li salutai allegramente. Almeno avrei avuto qualcuno con cui parlare. «Anche voi diretti a Friburgo?»
     «Ich spreche kein Englisch.» rispose la signora, scuotendo la testa.
     Immaginai significasse “non parlo inglese”. Oppure “non rompermi le scatole, scocciatore”. Il risultato comunque era  lo stesso.
     «Toglimi una curiosità.» dissi, rivolgendomi nuovamente a Finn. «Com’è che un membro di una corte fatata si abbassa a lavorare come mercenario?»
     «Noia.» rispose. Chiuse la rivista e la tirò sul portabagagli. «Dopo i primi millenni, la politica e gli intrighi delle corti diventano monotoni. Scene trite e ritrite.»
     «Sì?» Parlava di millenni come si trattasse di mesi o settimane. Se la storia del non sapere congiurare un Portale mi aveva fatto venire qualche dubbio sulla sua forza, quelle parole fecero sprofondare la speranza di poter fuggire prima che lui se ne andasse. Assumendo che se ne andasse  prima che Greta mi uccidesse.
     «Un giorno viaggiavo per l’Inghilterra, nei pressi del villaggio che oggi si chiama Dover, e m’imbattei in una battaglia. La costa era occupata da decine di navi, dalle quali scendevano uomini in armatura. Dalla spiaggia altri uomini, con i corpi dipinti, si affannavano per ributtarli in mare.»
     «L’invasione della Britannia da parte di Giulio Cesare.» Primo secolo Avanti Cristo e il tizio l’aveva vista di persona. Non era la prima volta che parlavo con esseri per cui il tempo è cosa di poco conto, ma nessuno di quelli aveva minacciato di smembrarmi.
     Il folletto annuì. «C’era qualcosa nell’aria che mi aveva incuriosito. Catturato, meglio. Il rumore delle armi, le urla dei guerrieri. L’odore del sangue e del sudore che impregnava l’aria. All’improvviso sentii il bisogno di combattere, di lanciarmi nella mischia.»
     «Il richiamo della guerra.» mormorai, sottovoce. Capivo perfettamente, visto che anche a me era successa una cosa molto simile.
     «Ero talmente estasiato da quell’atmosfera» continuò, senza dar cenno di avermi sentito «che nemmeno mi accorsi di aver raccolto uno spadone ed essermi lanciato contri i romani. Combattei e uccisi fino a quando gli invasori ricacciarono i britanni nell’entroterra. Ero ricoperto di sangue.» Aveva stretto i pugni e le nocche erano sbiancate. «I Lord delle corti fatate risolvono le proprie contese per vie subdole. Qualcuno ama usare la magia, ma quello è l’unico mezzo vagamente diretto che si permettono di usare. Il combattimento fisico è disprezzato come poche altre cose.»
     «Sono troppo altezzosi per sporcarsi le mani.» dissi, annuendo. «Se ora mi stai portando da Greta è perché ho fatto un lavoro simile per conto di un Lord dell’Areu Afadau , la corte sarda.»
     Finn sorrise. «Lo so.  Ti avevo sotto tiro da una decina di giorni, ma non volevo attaccarti mentre eri sotto la loro protezione.»
     Ovviamente. Altrimenti, chissà che casino sarebbe successo. Sarei stato anche curioso di vedere una guerra aperta fra corti, ma solo se non ne fossi stato la causa.
     «Comunque, ritornando al discorso di prima, quel giorno capii che combattere era la mia strada. Da allora ho solo fatto quello, in giro per il mondo.»
     Mi feci scappare un gridolino di giubilo, molto simile a quello di una dodicenne che ha appena visto la boy band del momento. Avevo appena conosciuto il mio idolo: non solo era un folletto con le palle icosaedriche che faceva il mio stesso lavoro, era pure un’enciclopedia vivente dell’arte della guerra. Glielo dissi e si mise a ridere.
     «Nessuno mi ha mai dato dell’enciclopedia.» ribatté. «Ma se pensi di comprarti la salvezza adulandomi, stai sbagliando.»
     «Non lo farei mai, non sarebbe professionale. Del resto, però, non posso nemmeno rinunciare al mio diritto di fuga.»
     «Ti ricordo che la promessa di smembramento è ancora valida.»
     Poggiai la testa sul sedile. Aveva ragione, esercitare il mio diritto di fuga avrebbe portato risultati spiacevoli. «Puoi dirmi almeno perché Greta mi vuole vivo?»
     Scosse la testa. «Anche se lo sapessi, non te lo direi. Sai bene che sarebbero informazioni confidenziali.»
     Naturalmente, Finn era un professionista, però chiedere non costava nulla. Mi lasciai andare e chiusi gli occhi. Tanto non potevo fare nulla fino a quando non mi avrebbe consegnato alla vampira, quindi tanto valeva approfittare del resto del viaggio per riposarmi. Se la corrente è troppo forte è preferibile lasciarsi trasportare piuttosto che nuotarle contro.
 
     Mi svegliai quando Finn mi scosse violentemente la spalla.
     «Siamo arrivati, Neil McRoberts.» disse. Aveva indossato la giacca e teneva il bastone appeso al braccio.
     Mi alzai e mi stiracchiai, dopo aver sbadigliato con esagerazione. Mi diressi verso l’uscita del vagone con il leprecauno che mi seguiva. Scesi a terra e mi guardai intorno, incerto sul da farsi.
     «E ora?» chiesi.
     «E ora attendiamo il nostro contatto.» disse Finn. Anche lui si guardava intorno.
     Si pensa sempre che la vita del mercenario sia come nei film: inseguimenti a tutta velocità, esplosioni, combattimenti di karate e nemici dietro ogni angolo. La realtà è molto più monotona. Grazie al cielo, aggiungerei, visto che non ho una controfigura per le scene pericolose. Spesso – molto spesso – l’unica cosa che un mercenario può fare è aspettare.  Aspettare un obiettivo, aspettare un nuovo contratto, aspettare che vengano a prenderlo in stazione. Così è la vita.
     Quando finalmente la folla che occupava la piattaforma si dissipò verso i sottopassaggi, una persona si avvicinò.
     «Josephine!» salutò Finn.
     Io invece rimasi a bocca aperta e riuscii a borbottare un titubante: «Riccioli d’Oro?»
     La donna mi guardò, piegando la testa di lato, e sorrise. «Gandalf!» disse. «Hai perso il tuo bastone?»
     Finn ci guardò entrambi e disse: «Vi conoscete?»
     «In un certo qual modo.» risposi. La mia esperienza con Riccioli d’Oro – pardon, Josephine - era cominciata con un breve flirt e un invito a cena e si era conclusa aggrovigliati a terra – non nel senso buono – dopo esserci vicendevolmente minacciati con della armi da fuoco.
     «Ci siamo incontrati  l’anno scorso a una festa.» aggiunse Josephine, rimanendo nel vago.
     Non mi sembrava particolarmente infastidita dalla mia presenza, per cui mi arrischiai a dire: «Il giorno dopo non ti ho chiamato, perché non mi hai lasciato il tuo numero.»
     Finn continuava a guardarci col sorriso sulle labbra. «Ora possiamo andare?»
     «Un auto ci attende.» rispose. «E non lascio mai il mio numero agli uomini che mi fanno addormentare.» aggiunse, rivolta a me.
     BAM! Riccioli d’Oro uno, Neil zero.
     La seguii nel sottopassaggio, mentre Finn arrancava dietro di me, zoppicando e aiutandosi col bastone da passeggio. Sì, zoppicava. Ho dimenticato di raccontarvi questo piccolo particolare. Esatto, sono stato catturato da un vecchietto, venti centimetri più basso di me e pure zoppo. Per favore, non ridete.
     Glissai sulla mia brutta situazione e ripensai al mio incontro con Riccioli D’Oro. A Cagliari – l’avevo incontrata durante lo stesso lavoro in cui avevo mortalmente offeso Greta Zimmermann – avevo dato per scontato che lavorasse per la persona che dovevo uccidere, ma se si trovava qua evidentemente lavorava per Greta. Non sapevo quanto essere felice per la novità: anziché esserci una donna che mi odiava, ora ce n’erano due.
     La osservai mentre mi camminava davanti. Era poco più alta di Finn e aveva un fisico paffutello, con le curve nei punti giusti. Indossava un paio di jeans e una camicetta bianca aderente. Le scarpe da tennis chiudevano il quadro e la etichettavano  come casual e sportiva.
     Si vedeva chiaramente che non aveva armi da fuoco, però al fianco, appesa alla cintura, teneva una bacchetta da direttore d’orchestra. Era il vettore con il quale incanalava gli incantesimi d’attacco. “Vettore” è un tecnicismo con il quale s’indica qualsiasi cosa – oggetti, parole o movimenti – si usi per aiutarsi nel lanciare un incantesimo.
     Sapevo che era un vettore perché a Cagliari ne avevo subito le conseguenze. Inoltre, chi va in giro con una bacchetta da direttore d’orchestra? Quanto è probabile dirigerne una mentre si passeggia in città?
     «Dove andiamo?» domandai.
     «Lo saprai a suo tempo.» rispose Finn, dandomi una spinta. «Pensa a camminare.»
     Uscimmo dalla stazione e Josephine ci accompagnò fino a un auto. Aprì la portiera posteriore e ci fece accomodare, mentre lei si sedeva accanto al guidatore. A un suo cenno, l’autista mise in moto e s’immise nel traffico.
     «La mia signora è molto soddisfatta, Mr. O’Shea.» disse Josephine.
     «Lo sarò anche io quando avrà trasferito il pagamento sul mio conto .» replicò Finn.
     «Quanto deve darti?» domandai, curioso di sapere il mio valore di mercato.
     «Silenzio.» borbottò il leprecauno, mettendosi a guardare fuori dal finestrino.
     Evviva, un altro viaggio ai confini della noia per Neil McRoberts. Spero che la prossima volta mi catturi uno di quei chiacchieroni logorroici che quando iniziano la smettono solo se gli punti un fucile alla testa.
     Per fortuna, non ci mettemmo molto ad arrivare. L’auto si fermò dopo un paio di minuti e ripartì non appena fummo sul marciapiede.
     «La  mia signora ci attende qua.» disse, facendoci strada.
     L’edificio di fronte era un albergo a parecchie stelle. Un’elegante tettoia in vetro accompagnava i clienti fino all’ingresso vero e proprio, dove uno zelante portiere ci salutò. Una volta dentro, Josephine ci fece segno di attendere e andò alla reception. Scambiò qualche parola con un uomo e poi ci chiamò. Prendemmo un ascensore che ci portò direttamente all’interno di una suite.
     «Siamo arrivati.» disse la donna. Di fronte a noi si trovano due mie vecchie conoscenze.
     «Finalmente ci ritroviamo, Mr. McRoberts.» disse Greta Zimmermann. Era seduta su una poltrona, con le gambe incrociate. Dietro di lei c’era una donna che avrebbe fatto la sua bella figura nella Swimsuit Issue di Sport Illustrated. Cominciavo a credere che Greta selezionasse i vampiri del suo clan tramite concorsi di bellezza.
     «Avrei preferito incontrarti in un’altra occasione, non so, magari mentre affondavi nelle sabbie mobili.» risposi con la mia solita gentilezza.
     Un uomo era accanto al camino, appoggiato sulla mensola. Ai suoi piedi era accovacciato un lupo dal pelo fulvo.
     «Non so quanto ti convenga offenderla.» disse Robert Von Kempf.  Era un mio vecchio amico dai tempi di Xiam, la città-stato centro del sapere mondiale. Avevamo studiato insieme, ma a differenza mia, lui aveva completato gli studi ed era diventato uno degli massimi esperti mondiali di storia germanica. Alto, biondo e con gli occhi azzurri era l’archetipo del tedesco, anche se la vita sedentaria dello studioso cominciava a mostrare i primi segni sul suo corpo. Inoltre, era il capobranco di uno dei più grandi gruppi di mannari d’Europa.
     Alzai le spalle e feci per chiedergli cosa ci facesse qua, ma Finn m’interruppe.
      «Ecco il suo amico.» disse, dandomi una spintarella verso Greta. «Il nostro contratto è concluso.»
     «Bene.» replicò Greta. Fece un cenno alla donna alle sue spalle, la quale si diresse verso un tavolino su cui era posato un portatile. «Ottimo lavoro Finn. La fata e il mago in meno di un mese.»
     «È stato facile.»
     «La fata?» esclamai, preoccupato. C’era solo una fata in comune fra le nostre conoscenze. «Hai preso Chiara?» Mi mossi minacciosamente verso la vampira, ma Riccioli d’Oro si mise in mezzo e mi bloccò.
     «I soldi sono stati trasferiti.» disse la donna, mentre spostava il portatile in modo che Finn potesse vedere lo schermo.
     «Hai preso Chiara?» ripetei, alzando la voce.
     Chiara era una mia collega, un’amica, che aveva partecipato al lavoro dello scorso anno. Greta non aveva nessun motivo di prendere anche lei, se non per fare leva su di me. Il Lord delle fate che mi aveva commissionato il lavoro mi aveva avvertito che la vampira aveva messo una taglia sulla nostra testa. Un terzo uomo aveva partecipato all’azione, ma Greta non l’aveva visto; l’ultima volta che l’avevo sentito era nel Golfo di Aden a giocare al cacciatore di pirati.
     «Ovviamente. » rispose la vampira.
     Avevo cercato di aiutare Chiara. Appena avevo saputo che i vampiri volevano le nostre teste, l’avevo contattata per darle una mano a nascondersi, ma lei era testarda come poche e aveva rifiutato qualsiasi aiuto: “so cavarmela da sola”, “non sei mio padre”, “Al massimo dovrei essere io ad aiutare te” e via dicendo. I fatti le avevano dato torto, ma del resto la mia situazione non era migliore.
     Finn si allontanò dal computer e sorrise soddisfatto. «Bene. Se non c’è più bisogno dei miei servigi, io andrei via.»
     Finalmente. Così avrei potuto pensare a qualcosa di produttivo. Quando il folletto mi passò accanto lo presi per un braccio e gli dissi: «Come posso contattarti?»
     Il leprecauno sorrise. «Dubito tu possa permettermi di assumermi.» Si divincolò dalla mia stretta senza troppi problemi e entrò nell’ascensore, mentre fischiettava Molly Malone.
     «Accomodati.» disse Greta, con un tono che rendeva l’affermazione un comando più che un invito. «Dobbiamo parlare.»
     «E se non volessi?» risposi. Feci per allontanarmi, ma Josephine mi spinse verso uno dei divani.
     «Suvvia, Neil.» intervenne Robert alzando le mani. «Non fare il bambino.»
     «Tu che diamine ci fai qua? Pensavo fossi un amico.» dissi, mentre mi sedevo. Comunque, aveva ragione. Non aveva senso fare il bambino: Greta aveva indubbiamente bisogno di me. Altrimenti mi avrebbe già fatto uccidere e non avrebbe usato Chiara come leverage. Assumendo che quello era lo scopo, visto che non ne ero certo.
     «Sono qui per mediare l’incontro.» replicò Robert, stizzito. «Greta ha una proposta da farti.»
     «Non si tratta con i terroristi.»
     «Mr. McRoberts» disse Greta «mi spiace aver usato questi metodi per farla venire qua, ma se l’avessi invitata per un lavoro, mi avrebbe creduto?»
     Sorrisi. «Ovviamente no, non sono un idiota.»
     Robert inarcò un sopracciglio.
     «Sì, sono un idiota, ma non fino a quel punto.» Lanciai uno sguardo verso Riccioli d’Oro e la vidi sorridere. «Difficilmente avrei creduto che la persona che mi manda contro una squadra di sicari, fosse interessata a una discussione pacifica.»
     «In realtà è una cosa che riguarda tutti noi.» disse Robert. «Sono stato io a convincere Greta a non ucciderti. Di nuovo.»
     «Grazie.» risposi. Era la seconda volta che Robert mi dava una mano con dei vampiri. «Quello che non capisco però è tutta questa complicatezza. Non bastava contattarmi e parlare?»
     «Non eri rintracciabile.» Robert si sedette e posò una mano sulla testa del lupo, che gli si era accucciato accanto.
     Alzai le spalle. «Non ci tenevo a farmi nuovamente sparare da un gruppo di vampiri.» Sorrisi, rivolto a Greta. «Probabilmente  i cadaveri di quei cinque stanno ancora sulla spiaggia. I granchi saranno così grassi da non riuscire più a muoversi.»
     La vampira ignorò il mio commento, ma notai che strinse il bracciolo della poltrona.
     «Quindi avete pensato bene di sguinzagliarmi contro il super-folletto mercenario?» continuai. «Non me l’aspettavo da parte tua, Robert.»
     «Usare Finn è stata una mia idea.» intervenne Josephine.
     «Sì?»
     «Ho immaginato che la corte fatata sarda ti avesse messo sotto protezione, per cui difficilmente noi avremmo potuto trovarti.»
     La ragazza era in gamba. Per un mago umano era molto difficile - per non dire impossibile - infrangere  l’incantesimi di protezione di un lord delle fate, quindi l’unica maniera per rintracciarmi era quella di usare vie traverse.
     «Finn O’Shea non sarà molto abile con la magia, ma è il migliore quando si tratta di dribblare le protezioni delle corti fatate.» aggiunse Josephine.  «Una volta che ti ha trovato gli è bastato aspettare che facessi una di quelle tue folli uscite dal rifugio.»
     «Che ci posso fare se non mi piace vivere rintanato in un buco.»
     La donna scosse le spalle. «Problemi tuoi.» Si girò verso Greta e rimase in attesa.
     «Adesso però dovete dirmi cosa mi ferma dal farvi tutti saltare in aria.» Ora che Finn era andato via, ero abbastanza certo che nessuno di loro potesse tenermi testa in un combattimento. Riccioli d’Oro poteva anche essere una brava maga, ma non era al mio livello. A Cagliari, Greta era fuggita con la coda fra le gambe nonostante avesse con sé altre cinque vampire. La sua amica che avrebbe potuto fare, distarmi indossando un bikini?
     A supporto delle mie parole, evocai una piccola palla di fuoco e la feci girare intorno alla mano.
     «Per favore, Neil…» disse Robert. Il lupo si era sollevato sulle zampe e mi stava ringhiando contro.
     «Sto aspettando.»
     «Io mi guarderei  alle spalle.» aggiunse Greta.
     Non feci in tempo a voltarmi che sentii qualcosa premermi contro la nuca; qualcosa di molto simile alla canna di un fucile d’assalto. La palla di fuoco svanì come neve al sole. Non è salutare irritare chi ti tiene sotto tiro.
     «Siamo qua per discutere, Mr. Roberts.» continuò. «Se avessi voluto ucciderla, sarebbe già morto da un pezzo.»
     Con la coda dell’occhio vidi che a tenermi sotto tiro era la modella di Sport Illustrated. «Fossi in te non lo farei, zuccherino. Il rinculo di quell’arma ti farebbe volare fuori dalla finestra.» Teneva sotto braccio un modello del G3, un grande e pesante fucile d’assalto di grosso calibro che veniva usato per azioni a lungo raggio, non certo in un ambiente chiuso.
     «Vogliamo provare?» replicò la ragazza. La voce emanava abbastanza sicurezza dal farmi desistere da qualsiasi azione folle. Non volevo rischiare di venire fatto a pezzi da una raffica  di quel cannone.
     «Neil…» ripeté Robert ancora una volta, ma con un tono più duro. Stava cominciando a irritarsi. E nessuno vuol vedere Robert Von Kempf adirato.
     «Va bene, va bene.» mi arresi. Non aveva senso prolungare ulteriormente la diatriba. Ci sarebbero state altre occasioni per rimettermi in parità. «È chiaro che vogliate farmi fare qualcosa. Sentiamo.»
     «Nulla d’impossibile.» disse Greta. Fece un gesto della mano e Zuccherino prese il portatile che aveva usato prima e me lo portò. Il mitragliatore gigante era scomparso e ora la signorina pareva molto più aggraziata. Si sedette accanto a me e mi mostrò il computer.
     Sul monitor c’erano alcune foto che sembravano essere state fatte per delle cartoline: paesaggi bucolici della Foresta Nera e alcune panoramiche di un villaggio così rustico e caratteristico che sembrava essersi fermato nel tempo. Non ero un esperto di fotografia, ma le foto erano chiaramente scattate da lontano con un obiettivo telescopico, segno che i curiosi non erano i benvenuti.
     «Mi volete mandare in vacanza?» domandai.
     «Devi rubare un oggetto per nostro conto.» rispose Robert. «Da quel villaggio.»
     Sorrisi. «Dov’è l’inghippo?»  chiesi. Solitamente  non si scomoda un mago del mio livello – modestia a parte – per un compito che potrebbe eseguire qualsiasi ex-militare.
     «Nessun inghippo.» intervenne Greta. «Devi semplicemente capire quale sia l’oggetto.»
     Cominciavo ad irritarmi anche io.  «Ma è uno scherzo? Mi state prendendo in giro?» esclamai. «Che diavolo vuol dire? Devo rubare un oggetto per voi, ma non sapete cosa sia? Devo indovinare? Oppure portarvi ogni oggetto da ogni casa fino a quando non sarete soddisfatti?» Feci per alzarmi, ma Zuccherino mi trattenne per la spalla. Forzai un attimo, ma era come se ci avessero posato sopra un’incudine. Evidentemente Zuccherino poteva finire su Sport Illustrated non solo per la Swimsuit Issue, ma anche per un servizio sulle donne più forti del mondo. Mi riaccomodai senza fare troppe storie.
     «È un artefatto magico. Molto potente.» disse la vampira.
     «Capisco.» borbottai, anche se non capivo affatto. «Qualche altro indizio? È un pugnale magico? Un anello? Sono sempre degli anelli!»
     «Non lo sappiamo.» Robert tagliò corto. «Il suo padrone è abbastanza furbo da non mostrarlo in giro.»
     «Come si chiama il padrone?»
     Robert fece un segno di diniego. «Non sappiamo nemmeno questo.»
     «Di bene in meglio.» borbottai. «Ora mi direte che non sapete nemmeno dove si trova il villaggio.»
     «A una sessantina di chilometri a nord-est.» disse Zuccherino. «Nel mezzo della Foresta Nera. Ho fatto io stessa la ricognizione.» La signorina dunque era una tipa tosta. La immaginai in mimetica nella foresta, sdraiata in un buco fangoso, coperta di foglie e rami, passando qualche ora a scattare fotografie. Tutto a un tratto mi venne difficile chiamarla Zuccherino.
     «Bene, almeno non dovrò vagare per l’Europa alla sua ricerca.» dissi. «Comunque mi sembra un’impresa impossibile. E perché non sapete chi sia il padrone dell’oggetto?»
     «Sappiamo chi è, ma non sappiamo il suo nome.» disse Greta. «Voglio quell’artefatto per avere un po’ di leva su di lui.»
     «Vogliamo.» la corresse Robert.
     «Interessante.» dissi. «Quindi vi serve il mio aiuto per mettere alle corde questo tizio? E se rifiutassi?»
     Greta sorrise. «Useremo la tua amica fatina per fare leva su di te.»
     Ovviamente. «Abbiamo una foto di Mr. X? Così magari posso identificarlo.»
     Zuccherino armeggiò con il touchpad del portatile e mi mostrò una foto, che però non ritraeva il misterioso uomo, ma un arazzo, il cui stile ricordava i mosaici bizantini. Vi erano raffigurati un drago e un cavaliere che combattevano.
     Mi misi a ridere. «È uno scherzo? Mi state prendendo in giro.»
     «Magari.» disse Robert. «Vorremmo tutti che fosse uno scherzo, ma non è così.»
     «Il nostro nemico, e il tuo obiettivo, è un drago.»
     Signori, colpo di scena. Il mio prossimo bersaglio era una creatura mitologica.
   
 
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