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Autore: _Kiiko Kyah    19/12/2012    3 recensioni
Da qui a Natale sono sette giorni.
Questi saranno sette capitoli: dal 19 al 25 dicembre, i fatti di Nancy Brooks, OC parecchio particolare sfornata da poco tempo.
Non temete, non cascherò sul banale, di questo sono sicura.
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Fate qualche cosa per fermarmi. Non so, sparatemi magari.
Dico, ma da dove mi viene la sfacciataggine di fare questa fic a tema "natalizio" mentre sto scrivendo un'altra fic? Mi faccio schifo proprio. E vabbè, abbiate pietà della mia povera anima.
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il migliore dei miei peggiori Natali

Capitolo 1: Nancy the Raven

 
Mugolo. Non sto respirando bene, devo essermi di nuovo raggomitolata nella coperta come se fosse il bozzolo di una farfalla. Apro pesantemente le mie palpebre -che tanto per la cronaca sembrano di piombo-, e mi accorgo che effettivamente è proprio così.
Peccato che da questa crisalide non uscirà una bella farfalla, bensì il solito bruco che deve sbrigarsi se non vuole arrivare in ritardo anche l’ultimo giorno che precede le vacanze di Natale.
 

Tanto per cominciare, io sono Nancy Brooks, anche se mio cugino mi chiama Corvo, e ho quindici anni.
Studio alla Kidokawa Seishū, meglio definibile come la scuola media dei pazzi, dove odio andare. Devo sopportare solo un altro giorno, sono riuscita a farmi promettere che sarò trasferita nella scuola media di mio cugino non appena le vacanze natalizie saranno terminate.

 
Sbuffo mentre spazzolo la massa indefinita dei miei capelli neri, che a me personalmente fanno proprio schifo, ma che tuttavia alle mie amiche fanno impazzire, chissà come mai.
 

Vi chiederete che ci faccia una con un nome americano qui in Giappone.
Facile, tre anni fa, i miei genitori mi hanno letteralmente spedita per posta al mio caro orfanello di un cugino.
(Dio solo sa quanto ci ho messo ad ambientarmi con il cambio di sistema scolastico ...)
So che ora vi state chiedendo chi diamine sia questo cugino.
Ma vi dico solo che la sua chioma sembra un fiore.

 
Finalmente sono pronta, con il giaccone pesante sulla divisa invernale, una sciarpa beige che mi copre il collo e dei “deliziosi” guanti di pelle neri.
«Allora Corvo, pronta per uscire?» mi chiede la voce del mio coetaneo parente che, appena uscito dalla cucina, preparato anche lui, nel frattempo si diverte a scompigliarmi la capigliatura già spettinata di suo con la mano.
Gli tiro un pugno sul braccio.
«Smettila di rompere, tulip.» gli soffio contro, squadrandolo in cagnesco.
«E perché? Mi diverto tanto, a vederti piagnucolare!» replica lui con aria soddisfatta, tanto che ho una dannata voglia di spaccargli la borsa in faccia.
Ma fortunatamente sul mio orgoglio vince come al solito il buon senso e sbuffo di nuovo, più sonoramente.
Usciamo insieme dalla porta e ci dirigiamo fianco a fianco verso il primo tratto di strada, alla fine del quale lui svolterà lungo il fiume per andare nella sua fantastica scuola, l’accademia che io voglio frequentare da quando sono qui.
Dove si trovano tutti i miei amici, dato che alla Kidokawa di amici ne ho giusto un paio.
Vedo una testa rossa avvicinarsi e il suo proprietario, un ragazzo dai spenti occhi smeraldo e la pelle chiara quasi perlata, arriva a noi di corsa, seguito a ruota da un altro, dalla pettinatura color pistacchio, la carnagione ambrata così come gli occhi, anche se questi hanno una gradazione di colore più scura.
Ed entrambi indossano la divisa della scuola di mio cugino.
«Ciao ragazzi!» ci saluta Hiroto, il rosso, con un bellissimo sorriso che, naturalmente, mi fa perdere un battito.
«Ehilà, Hiroto, Midorikawa!» risponde il ragazzo accanto a me con un cenno della mano.
«Come va, Nancy? Mi sembri un po’ giù di morale.» domanda Midorikawa rivolgendomi uno sguardo pieno di gentilezza, cosa abbastanza rara, considerato che di solito è sempre Hiroto a preoccuparsi di me.
«Stavo riflettendo sul fatto che dopo le vacanze di Natale mi trasferirò finalmente alla Raimon.» sentenzio dopo qualche secondo di riflessione; vedo che adesso anche il rosso sta sorridendo di nuovo, tanto che a momenti non barcollo.
 

Okay, sì, sono cotta di Hiroto.
Vi sembra così strano? Dico, l’avete mai visto?
È stupendo, ed è anche l’essere più gentile di tutta la nazione!
La perfezione assoluta.

 
«Se è così, puoi anche evitare di fare un regalo ad Hiroto, quest’anno.» sussurra il migliore amico di quest’ultimo, che lo colpisce sulla testa.
Entrambi pensano che non l’ho sentito, poveri illusi.
Ciò nonostante ignoro completamente la maliziosa insinuazione di Midorikawa e faccio un cenno con la mano in segno di congedo, devo prendere un percorso differente dal loro.
Guardo le teste colorate di quei tre camminare verso il fiume, e mi accorgo di essere furente: anche se questo è l’ultimo giorno, non ci voglio andare, in quella dannata scuola!
 
Arrivo, finalmente -si fa per dire- alla Kidokawa, e mi trascino controvoglia su per le scale fino al mio piano, mi ficco nella mia classe già piena e con tanto di professore e, dopo essermi scusata per il seppur lieve ritardo mi abbandono su quella sedia che affianca il mio banco.
«Signorina Brooks, credo che lei debba dire qualche cosa alla classe.» mi dice con aria indifferente il prof, e io che ero felice di essermi seduta e di potermi lasciare morire per tutta la durata del giorno, dato che essendo l’ultimo giorno non c’è normale lezione, eccomi che sospiro e mi alzo in piedi.
«Per la felicità di tutti» inizio sarcastica «dopo le vacanze di Natale terminerò la terza media alla Raimon Junior High.» annuncio, provocando un brusio misto fra il disinteresse e la sorpresa nei miei compagni «Ma come, non siete felici di non avere più un corvo come me fra i piedi?» questo ultimo commento semi serio fa scoppiare tutti a ridere, costringendo l’insegnante a sbattere forte la mano sulla cattedra per zittire la classe.
 
Finora non sapevo cosa significasse davvero l’espressione “noia mortale”. Adesso, che sto guardando i miei attuali compagni parlare fra loro di regali, torte, alberi, e quant’altro, mi sento come un pesce fuor d’acqua.
 

Il Natale a casa mia non è una gran cosa.
Il 24 dicembre io e mio cugino ci concediamo insieme un bicchiere di vino, ci scambiamo un pensierino, e stiamo alzati fino a mezzanotte sul divano a guardarci un film a noleggio, lui appoggiato al divano e io depositata su di lui, come due fidanzatini, solo che noi abbiamo dei nonni in comune.
Il giorno dopo, il 25, passiamo la giornata con i nostri amici, a fare quello che ci capita.
Spesso io e le mie amiche rimaniamo a guardare i ragazzi giocare a calcio, sempre che Midorikawa non sia nervoso e non abbia voglia di prendermi a pallonate -a volte capita-.
In quel caso, è meglio evitare il calcio -con grande disappunto di Endou, un altro compagno di mio cugino- e andiamo a fare un giro per il centro o a casa di qualcuno.

 
«E così vai alla Raimon da Kiyama-kun, uh?» mi interroga una voce maniaca.
Mi volto e vedo una delle due uniche persone che apprezzo qui dentro: il mio amico biondo Sengoku Akira, che mi sta fissando con i suoi caldi occhi del colore del thè.
«Sai bene che non ci vado solo per Hiroto.» mormoro in risposta.
«Oh, ma allora un po’ è per lui~!» insinua. Io arrossisco come un peperone e lo fisso come si fissa un gradino nel quale sei inciampato.
«Smettila, Akira, o ti spacco la testa.» gli intimo allora.
Il biondo sospira e mi sorride con aria da falso innocente.
«Mi mancherà la mia amichetta americana ... Adoro la tua parlata inglese ... Sei proprio sicura di volertene andare, Nancy-chan?»
«Guarda che mica muoio, cambio solo scuola! E poi, ti ho detto mille volte che non apprezzo il suffisso –chan dopo il mio nome.»
«Uffa, sai che amo il tuo essere così occidentale, ma esageri!» sbotta guardandomi contrariato e chinandosi su di me con occhio offeso, gonfiando le gote.
«Lascia stare Nancy, Akira.» lo rimprovera il tono severo della seconda persona che ammiro alla Kidokawa. I boccoli viola-lilla di Minatsu Hikari sfiorano il mio banco, e quegli stiletti blu scuro che ha al posto degli occhi trapassano Akira da parte a parte.
 

Sono amici d’infanzia, forse per questo vanno entrambi così d’accordo con me.
Il problema è che tra loro fingono di non sopportarsi ...
Tanto più che io so che si amano da impazzire, anche se non lo ammetteranno mai.

 
«Grande, è arrivata la regina di ghiaccio. Come va, Sua Maestà?» ribatte a tono il biondo, rispondendo alle stilettate con uno sguardo a dir poco fulminante.
«Io benissimo, sguattero.» dice lei fingendo di prenderlo sul serio «Vorrei solo che la smettessi di importunare la mia principessa prediletta.» io roteo gli occhi; fortunatamente, nessuno dei due litiganti sembra accorgersene ...
«Hikari, non sei divertente!»
«Hai cominciato tu!»
Sbuffo troppo rumorosamente per non farmi sentire, e i miei amici si girano verso di me con aria preoccupata.
Oh, no ...
Manco a dirlo, parte una serie infinita di scuse per quanto siano stati noiosi con il loro bisticcio, su quanto siano dispiaciuti, e cavolate varie. Invano mi sforzo di tranquillizzarli, ma quelli partono con l’accusarsi a vicenda ...
Non so se mi mancheranno, quando me ne andrò.
So solo che adesso li guardo con occhio stanco, li vedo supplicare perdono come farebbe un cane che ha sporcato in salone, osservo come si fissano in cagnesco ogni due minuti.
Li adoro, è questa la verità.
«Ragazzi.» li chiamo, e loro dirigono la loro completa attenzione sulla mia voce «Perché non venite anche voi, a festeggiare il 25 dicembre con i miei amici?»
Gli occhi di Akira si illuminano, capisco che sta gioendo all’idea di incontrare finalmente Hiroto Kiyama di persona, giusto perché vuole capire se ha il ‘giusto sex appeal’ per essere il mio amore segreto, mentre quelli di Hikari esprimono più che altro quanto lei sia scettica. Sa perfettamente che mio cugino probabilmente non apprezzerà la loro presenza, così come Gouenji, uno dei nostri amici, che prima di iscriversi alla Raimon frequentava la Kidokawa, proprio come me, e non ha ricordi proprio meravigliosi di questo posto.
«Ma Nagumo-kun che dirà?» mi domanda infatti.
«Chiederò a lui e agli altri di regalarmi la vostra presenza come premio per averli finalmente raggiunti alla Raimon. Se me lo negano, vado e buco tutti i palloni che trovo nel loro amatissimo club di calcio.» aggiungo, sorridendo divertita.
 
Passa il tempo, ed è ora di tornare a casa. Varco la porta, il cuginetto è già lì, vedo il rosso dei suoi capelli in soggiorno.
 

Nagumo Haruya ha un buon cuore, sotto la sua scorza dura.
Non si direbbe, però il mio tulip preferito ha anche qualche lato positivo.
Non sono sicura se accetterà, in caso non lo faccia non solo straccerò il cuoio dei palloni, magari riesco anche a potargli un po’ il tulipano rosso che si trova sulla testa.
Preparati, my dear Haruya, ho delle forbici da giardiniere e non ho paura di usarle.

 
«Per me va bene.»
Lo fisso, leggermente attonita: a dire la verità, soltanto la verità e nient’altro che la verità, io avrei giurato che avrebbe detto di no. Magari, mi ha letto nel pensiero e all’idea della potatura ha acconsentito ...
Oppure, magari, ha voluto davvero farlo perché mi vuole bene, in fondo.  
«Fattelo bastare, come regalo di Natale.»
E ti pareva. Sorrido con delicatezza; si tratta di profondità abissali all’interno del suo cuore, tuttavia io conto qualche cosa. Chissà come mai è possibile, ma penso che questa consapevolezza mi basterà e avanzerà come regalo da parte sua anche per l’anno prossimo, anche se credo proprio che non glielo dirò nemmeno sotto tortura.
«A proposito di regali, ho idea che Hiroto voglia un rametto di vischio da te, quest’anno.» avvampo, e il mio sorriso scompare in un battito di ciglia.
«Damn tulip, don’t say such a thing!» urlo con tutto il fiato che ho in gola, iniziando a rincorrerlo per tutta l’ampiezza della stanza. Saliamo e scendiamo di corsa dal divano, urtiamo con violenza il televisore rischiando di farlo cadere ed il telecomando, così come qualche cuscino, vengono da me tirati nel puro tentativo di farlo secco.
L’inseguimento continua finché non arriviamo in cucina, dove finalmente riesco a stenderlo: afferro un mestolo di legno e inizio a colpirlo un po’ ovunque cercando di farli il più male possibile.
«You’re a stupid, damn, dumb tulip!» continuo a ripetere in preda alla rabbia, cacciando un ringhio sordo di tanto in tanto, senza nemmeno accorgermi che sto parlando nella mia lingua madre.
Non sopporto che quello stupido mi prenda in giro sulla mia cotta pazzesca per Hiroto, si tratta di una cosa seria. Quando lo fa Midorikawa è un conto, dato che lui prende in giro anche Hiroto e non lo fa con cattiveria, quando lo fa Akira è un'altra cosa ancora, sono consapevole del fatto che lo fa solo perché è un maniaco ... ma quando lo fa Haruya, è come una dichiarazione di guerra!
«Ohi! Calmati, sai che non ci capisco una parola di ingles— Ahia!» non riesce nemmeno a difendersi, il povero tulipano rosso, che non invocherà mai pietà, perché il suo carattere non lo consente.
Temendo di colpirlo troppo forte e magari di fargli qualche graffio, mi fermo; siamo praticamente l’una sopra l’altro, sul pavimento della cucina, io con il mestolo nella mano che tengo alzata dietro di me, e i miei capelli color carbone sfiorano leggermente i lineamenti di mio cugino, che mi fissa per niente sorpreso dallo sguardo ancora furente con il quale i miei occhi violacei stanno osservando i suoi, che non tardano a riprendere la loro cadenza strafottente.
«Tu sei una pazza da rinchiudere sotto chiave, lo sai questo vero?» mi domanda sorridente, e io caccio un sospiro talmente profondo da fargli arrivare il mio respiro sul volto. Abbasso il braccio e con esso il mestolo mentre assottiglio gli occhi trasformandoli in due fessure.
«Tulip ... Credo che prima o poi ti trancerò lo stomaco.» affermo sadica, leccandomi le labbra al solo pensiero di sfogarmi un po’. Per un secondo temo di pensare davvero ciò che sto dicendo, poi capisco che è la mia rabbia a parlare, non Nancy Brooks.
«Senti un po’ ...» inizia prendendomi per i polsi e mettendosi seduto, senza però cambiare del tutto la posizione: sono sempre in ginocchio intorno alle sue gambe, per intenderci, una situazione che se non fossimo parenti definirei terribilmente da pervertiti. Akira farebbe qualsiasi cosa per esserci, se solo sapesse.
«C-cosa?» chiedo, arrossendo debolmente.
Non ci posso fare nulla, uno stronzetto come Haruya ha il suo fascino, e io sono pur sempre una ragazza, diavolo!
«Ti sei mai chiesta perché ti chiamo sempre “Corvo”?»
Quella domanda mi impensierisce non poco.
«Per i miei capelli, suppongo.» rifletto a voce alta dando uno sguardo al cielo in maniere riflessiva, appunto. Lui stringe la presa intorno ai miei polsi.
«Sbagliato.» mormora con il suo solito sorriso, che per essere definito ha bisogno di una aggettivo a sé, che so, magari “Tulip”. «Lo faccio perché tu sei proprio come un corvo. Sei scura e misteriosa, per questo nessuno può capire bene come sei fatta ... quando ti imbarazzi, ti nascondi dietro le tue ali corvine ... e quando ti arrabbi, sei capace senza rimorso di cavare gli occhi alla gente a forza di beccate.»
Un brivido mi percorre la schiena mentre quello stupido rosso mi accarezza le guancia e scivola via da sotto di me.
 

Nagumo Haruya, questa me la paghi.
Ma hai ragione.
Sono un corvo, in tutto e per tutto, e me ne accorgo ora che sei tua a dirmelo;
questo fa di me più corvo di quanto già non fossi ...
Con questa consapevolezza nel cuore, mi presento di nuovo.
Ciao. Io sono Nancy Brooks, ma potete chiamarmi Nancy the Raven.

 
 
 
Ciao. Sono Anna, e mentre scrivo una fic ne penso un’altra.
Sappiate che non è affatto colpa mia se mi vengono in mente tutte queste cose!
Dato che il mio Natale è stato rovinato a metà, adesso mi sfogo con una specie di favoletta che durerà da adesso fino a Natale, sopportatemi.
Mi dovevo sfogare in qualche modo, e la mia fiction in corso non è abbastanza.
Quindi, spero nell’apprezzamento di qualcuno.
Tanti cari saluti alla vaniglia e alla fragola.
  
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