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Autore: juniper_goblinfly    19/12/2012    0 recensioni
Quasi tre anni, tre maledettissimi anni. A tormentarlo erano tornati gli incubi e sembrava quasi che la cicatrice dolesse nuovamente. Se solo fosse morto assieme ai suoi compagni...
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Erano partiti presto quella mattina, la missione era fondamentale e non potevano fallire. Guardava i volti dei suoi compagni, sorridenti nonostante ogni giorno prendessero la vita di centinaia di persone. Ormai quella era la normalità, i fucili imbacciati, i miscoli e i sensi tesi pronti a captare il minimo pericolo. Quanto erano giovani, avevano la vita davanti ma avevano deciso di partire per l'inferno, condividendo gli ideali si erano ritrovati lì, sconosciuti in una terra a loro sconosciuta. Uno dei ragazzi gli diede una pacca sulla spalla e john gli sorrise amaramente; non era più come loro da troppo tempo, troppo. Era come se vivesse in apnea, era come se non respirasse. Un dolore sordo, al di soto dello sterno, spingeva e lo opprimeva; sentiva le mani sporche di sangue, viscose. Le guardò istintivamente, sfregandole tra di loro mentre riusciva a vedere chiaramente goccie scarlatte cadere da esse, numorese, per andare a formare una piccola pozza ai suoi piedi. Il furgone frenò bruscamente riscuotendolo da quell'incubo.
Scese per ultimo, guardandosi attorno. Come poteva essere? Conosceva esattamente quel posto nonostante non ci fosse mai stato, impossibile.Scosse la testa, non poteva distrarsi; i suoi amici e compagni erano già andati avanti e a parte il rumore dei loro passi pesanti, forse troppo, non si sentiva altro. Strano, troppo. C'è chi ama la quiete prima della battaglia, ma sono quelle persone che non l'hanno mai provata sulla loro pelle; no, il silenzio era la cosa peggiore.
Ormai li aveva raggiunti, si voltano e gli sorridono facendogli cenno di sbrigarsi e lui corre, ora sorride anche lui. Era quella la vita che amava, ne era asuefatto, non poteva fare a meno dell'adrenalina, del senso di libertà ma il sorriso sfumò presto. Un luccichio alla sua destra, altri a simistra e dietro i suoi cari compagni, loro che riuscivano a tenerlo lontano dai guai, lo facevano ridere e lo confortavano quando stava male.
Era rimasto immobile, al centro di quella pianura circondata da alberi, da dietro i quali erano spuntati quegli stessi ribelli che avrebbero dovuto fermare. Sorrise, cadendo sulle ginocchia.
<< Andatevene...>>
Allunga una mano verso di loro, che lo guardano con gli occhi spalancati, il loro capitano. Riesce solo a vederli scappare, i più coraggiosi cercano di respingere quei dannati, molti cadono come lui e poi solo il sapore della terra in bocca. Trova la forza di girarsi sulla schiena, cedeva sfuocato e il respiro si faceva via via più flebile. Era un medico, sapeva cosa voleva dire una ferita del genere ma non rimpiangeva nulla. Preme una mano sulla spalla, solo in quel momento il dolore cominciò a diffondersi in tutto il corpo, terribile e lancinante, desiderava solo che finisse presto. Ancora quella sensazione, come se fosse già accaduto tutto ciò.
Stringe la mano libera sull'erba mentre osserva l'altra, o almeno ci prova. Piccole goccie rosse gli cadono sul viso, riviveva quel momento sul furgone, ma ora il sangue era reale ed era il suo.
Silenzio.
Calore attorno a lui.
Fiamme.
Come erano arrivati a quel punto? E perchè la morte non era ancora arrivata?
Volti conosciuti sopra di lui e mani che lo sollevano e lo portano via. Allora stavano bene. Sorride, stavano bene, solo qualche ferito, o almeno così pensava.
<< Grazie...>>
Lo avrebbero sentito? Forse no, ma non aveva la forza di parlare, voleva solo chiudere gli occhi e abbandonarsi, lasciarsi andare. Nero, era tutto nero e attorno a lui c'era il nulla eppure vedeva. Era sospeso in un qualcosa di impalpabile e allo stesso tempo denso, la sua paura.
Si guarda attorno e all'impovviso cade.
Cade per un tempo che gli parve infinito, poi, si fermò. Non si era fatto male e nemmeno la ferita doleva più, era morto? No, non ancora.
<< NO! >>
Si mette a sedere di scatto, sul letto, con la testa che gli pulsava, le urla nelle orecchie e il puzzo di sudore e fumo nelle narici. Si morde un labbro lasciandosi cadere nuovamente sui cuscini e affondando le unghie su quella maledetta cicatrice, fino a farsi male, fino a quando un'altra mano non scosta la sua. Viveva solo da quando Sherlock... Si volta e pianta i suoi occhi in altri due di un color ghiaccio che gli provocarono un tremito. Si irrigidisce, sente per un momento il cuore fermarsi.
Tre anni.
Tre maledettissimi anni.
<< John, sono tornato >>
Lo sguardo stupito di poco prima viene scacciato dalla rabbia. Gli salta addosso premendogli una mano contro la gola e facendolo cadere violentemente a terra. Sherlock sbatte la testa, lo guarda calmo mentre il dolore si spande dalla nuca. Lo avrebbe lasciato fare, se lo meritava.
<< TU! Sono tornato? Tutto qui?! Ho passato anni terribili, te ne rendi conto?! Io...Come fai ad essere qui!?>>
Leva un pugno in alto, per colpirlo, ma lo ferma a un centimetro dal suo viso. Voleva delle spiegazioni e a troppe domande.


  
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