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Autore: nevaeh    20/12/2012    6 recensioni
È durante Breakeven che lo vede la prima volta. Indossa una T-shirt nera a mezze maniche, come se i tre gradi all’esterno dell’arena non lo tocchino minimamente; le labbra piene mimano le parole della canzone, mentre con la testa va a tempo: i ricci scuri trattenuti dal berretto di lana rossa – con la T-shirt? – ballano intorno al viso bianco, le luci si riflettono sulla pelle trasparente.
Ambientata al concerto dei The Script del 2008.
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Some Nights partecipa all'iniziativa di Natale Christmas Exchange del gruppo Facebook #THEGAYSHAVEGAYEDAGAIN ed è per Mattia.

Bene, cominciamo col dire che è la prima storia che posto dopo mesi e che ci è voluta la mano di non so quale santo (leggesi: Donatella ♥) per pubblicarla in tempo (o quasi!)
Note generali: non so scrivere le shot a raiting rosso, quindi onde evitare spiacevoli figuracce, ho deciso di buttarmi sul fluff così siamo tutti più contenti e meno schifati; ho rispettato un punto e mezzo dei tre che mi erano stati imposti, ma giuro, caro Mattia, che mi sono sul serio impegnata, quindi...

Spero ti piaccia  ♥.

Some Nights 


The first time I saw you

I knew love at first sight must be true.

Love at the first sight, Michael Bublè

Quando Louis Tomlinson, il giorno del suo compleanno, riceve dal suo migliore amico Stan due biglietti per il concerto del suo gruppo preferito, quasi non riesce a crederci. Si era innamorato dei The Script quasi un anno prima, quando aveva ascoltato, quasi per sbaglio, uno dei singoli con cui le radio londinesi bombardavano i poveri ascoltatori. Così aveva scaricato da un sito pirata qualunque l’album d’esordio del gruppo, aspettando con ansia il successivo. Non riesce a credere, adesso, di essere in un’enorme arena Manchester, cantando le canzoni che ama e conosce a praticamente a memoria in compagnia del suo migliore amico, che i The Script proprio non li sopporta ma che è lì con lui, solo per vederlo felice.

È durante Breakeven che lo vede la prima volta. Indossa una T-shirt nera a mezze maniche, come se i tre gradi all’esterno dell’arena non lo tocchino minimamente; le labbra piene mimano le parole della canzone, mentre con la testa va a tempo: i ricci scuri trattenuti dal berretto di lana rossa – con la T-shirt? – ballano intorno al viso bianco, le luci si riflettono sulla pelle trasparente. Louis rimane incantato per un quale secondo, poi il ragazzo, poco distante da lui, si gira. I due si guardano per un istante, Louis vorrebbe tornare a concentrarsi sul concerto ma proprio non ci riesce. Poi il ragazzo alza una mano in cenno di saluto, ride ma il suono è coperto dalla musica tropo alta. Louis è a disagio, la canzone finisce e ne comincia una molto più movimentata. Stan stringe la presa sul suo polso ed è costretto a girarsi verso il palco, dove degli effetti speciali rendono tutto più magico. Sorride al suo amico, guarda per po’ ma pensa soltanto a quel ragazzo che rideva per averlo beccato a guardarlo. Sente qualcosa all’altezza dello stomaco, si chiede per un secondo se dipenda dall’imbarazzo o dalla voglia di vedere di che colore sono i suoi occhi. Nemmeno per un secondo pensa a quanto sia strano: vuole solo voltarsi verso di lui e vederlo mentre lo prende di nuovo in giro. Stan chiama di nuovo la sua attenzione, Louis si accorge che la canzone è finita e che è cominciata la sua preferita dell’album; le note di Talk You Down invadono l’arena e decide che non è poi così importante scoprire il colore di quegli occhi.

 

Lo show è appena finito quando Louis è costretto a uscire dall’arena per rispondere al cellulare. È ancora esaltato dopo l’ultima canzone e vorrebbe rimanere sotto il palco a chiacchierare con i suoi amici mentre la folla si dirada, ma il suo cellulare che lampeggia un inquietante “Mommy” e il – poco – spirito di autoconservazione che ancora gli rimane lo spinge ad uscire con la calca di fan entusiasti che affolla il parcheggio. La conversazione dura solo pochi minuti, sua madre vuole accertarsi che vada tutto bene e che abbiano preso la camera in un ostello di Manchester, che non abbia bevuto e che si sia divertito. Lo nota di nuovo mentre sta rimettendo il cellulare nella tasca dei pantaloni. Indossa una felpa con la zip, comunque troppo leggera per il clima invernale inglese, tra le labbra troppo piene per essere quelle di un ragazzo stringe il filtro di una Marlboro bianca e ride con una ragazza bellissima, forse una fidanzata o un’amica speciale. Louis rimane a guardare incuriosito la scena, fermo nel parcheggio gelato che piano piano si svuota; si accorge che la ragazza si sta allontanando in compagnia di un giovane con le braccia scoperte interamente colorate di strani tatuaggi e che lui lo sta guardando di nuovo. Stavolta si limita a sorridergli, mentre si avvicina. Louis rimane impalato fino a quando non sente la voce del ragazzo che articola un “Ciao” abbastanza divertito. Ha una voce gutturale che, si rende conto il ragazzo, è abbastanza sensuale. Ha buttato il mozzicone per terra e sta buttando via il fumo bianco dal naso.

- Ciao. – si limita a rispondere Louis, abbastanza in imbarazzo. Si rende conto che il tipo che ha davanti non può avere più di sedici anni, e questo, d’un tratto, lo trasforma da desiderabile e leggermente patetico.

- Mi stavi guardando prima. –

Louis arrossisce, scuote la testa come se non gli importasse più di tanto, ma non risponde. Lo stava guardando, ed è già abbastanza imbarazzante senza ulteriori appunti.

Il ragazzo di fronte a sé ride, forse notando il colore delle sue guance, infila le mani nelle tasche dei jeans neri – perché mi stavi guardando? – e Louis si rende conto che, nonostante tutto, il ragazzo è completamente ubriaco.

- Quanti anni hai, ragazzino? – trova allora il coraggio di chiedere.

- Quanti me ne dai? – la domanda voleva essere forse sensuale, ma la voce appena strascicata del ragazzo la rende solo patetica; Louis tuttavia non può non arrossire ancora un po’ mentre scuote la testa.

- Fatti venire a prendere da qualcuno. – lo liquida, perché può essere anche carino, ma è un bambino alla prima sbronza e lui non ha assolutamente voglia di rovinarsi la serata. Si gira e incamminandosi verso l’arena, non saranno passati nemmeno dieci minuti da quando ha lasciato il suo amico per uscire a rispondere al cellulare. Si volta un secondo, solo pe curiosità, ovviamente,  per vedere il ragazzino ubriaco e figo alle prese con le chiavi di una macchina. Louis sbuffa, cammina per qualche metro ancora più veloce verso l’entrata dell’arena, poi si blocca. Valuta per un secondo la prospettiva di vivere con la consapevolezza di aver contribuito alla prematura dipartita del ragazzino col berretto rosso e un po’ imbarazzante; giunge alla conclusione che non ne vale poi così tanto la pena e, dopo un sonoro sbuffo, si gira e torna sui suoi passi.

- Ce l’hai la patente? – chiede, cominciando anche un po’ a rabbrividire per il freddo.

Il ragazzo scuote la testa, - so guidare lo stesso, mi ha insegnato mia sorella. – afferma però poi, con un nuovo sorriso.

- Non mi dire… - borbotta Louis, poi si avvicina e con fin troppa facilità gli toglie le chiavi dalla mano. Il ragazzo protesta debolmente, cercando addirittura di sottrargliele. Louis le nasconde in una tasca e lo guarda – come ti chiami? –

- Harry. – risponde quello, abbandonando ogni proposito.

- Bene, Harry: chiama un taxi, un parente o chi ti pare e fatti venire a prendere. –

Harry sbuffa – non sono affari tuoi, - gli fa notare, scocciato – e ridammi le chiavi. –

- Sono affari miei se ti vai a schiantare contro un albero e devo vivere con i rimorsi per i prossimi settant’anni. –

Il ragazzo, Harry, ridacchia – hai una prospettiva di vista molto lunga, vedo. –

- Vai a casa. – ribadisce l’altro.

Harry fa un passo incerto verso di lui – non senza le chiavi dell’auto di mia sorella. – tende una mano, lunga e sottile.

Louis prende la chiave, ci giocherella per un po’ ma non gliele restituisce: - e in cambio? –

- In che senso? – Harry sgrana gli occhi, confuso forse per l’alcol.

- In cambio delle chiavi io cosa ottengo? –

Harry scoppia a ridere, si passa una mano dietro alla nuca forse per la prima volta un po’ in imbarazzo. Dura poco, però, perché subito una luce maliziosa illumina i suoi occhi – puoi guidare tu fino a casa mia. – propone.

Louis sorride mentre lo segue tra le poche macchine presenti nel parcheggio.

Verdi.

Ha gli occhi verdi.


When I see stars, when I see stars,

that's all they are.

When I hear songs,

they sound like a swan,

so come on.

Some nights, F.U.N.

L’auto è vecchia ma bollente rispetto al parcheggio sotto zero. Louis ha preso la patente da solo sei mesi, quindi è concentratissimo quando esegue la manovra per uscire dal parcheggio, ma quando sono finalmente sulla strada si rilassa e accende anche la radio. Ha mandato un messaggio a Stan, dicendo che si sarebbero visti direttamente in hotel perché aveva incontrato un amico delle medie. Per un po’ guida col silenzio nell’abitacolo, a un certo punto il respiro regolare di Harry al suo fianco gli fa pensare che si sia addormentato; non ne sarebbe stupito più di tanto, comunque. Quando si gira, però, trova quegli occhi verdi che lo scrutano.

- Non mi hai detto come ti chiami, comunque. – la voce è sempre sensuale, ora quasi ridotta a un sussurro stanco.

- Louis. –

- Francese? –

Il ragazzo si stringe nelle spalle, guardando la strada – probabilmente era il nome di un attore di qualche telefilm adolescenziale. –

Harry ride – che bello!  “Ciao a tutti, sono Louis e mi chiamo come l’attore di qualche film adolescenziale!” – lo sbeffeggia, imitando malamente la sua voce notevolmente più delicata. Louis accenna un sorriso tamburellando con le dita sul volante, guidare lo annoia perché è un tipo che si distrae facilmente e poi magari dimentica di mettere una freccia o di guardare agli incroci.

- Dove stiamo andando? –

- Holmes Chapel. Se esci dal centro abitato poi ci sono i cartelli. – lo avvisa Harry, che poi continua, trattenendo uno sbadiglio – quindi ti piacciono i The Script. –

- Già. –

- A me non particolarmente, ero lì con mia sorella e il suo ragazzo. Cioè… un paio di canzoni sono carine, ma non è il mio genere. –

Louis annuisce, apre la bocca per rispondere ma si accorge che il ragazzo accanto a sé si è addormentato. Il viaggio dura quarantacinque minuti, che passano velocemente grazie alla radio in sottofondo. Harry russa e Louis alza il volume scocciato. Probabilmente Stan lo ucciderà per averlo lasciato praticamente da solo, in effetti lui non aveva alcuna necessità di improvvisarsi salvatore degli adolescenti ubriachi. Per un attimo pensa di dover avvisare anche Hanna, che è la sua migliore amica e che ha una cotta per lui da anni, ma poi pensa che probabilmente starà dormendo. Forse le chiederà di uscire e le racconterà tutto, quando tornerà a casa. Si gira per un istante e guarda il ragazzo addormentato, le braccia conserte e il berretto di lana calato completamente sugli occhi; si dice che avrà qualcosa di simpatico da raccontare venerdì al pub a Doncaster e cambia stazione fino a trovare una vecchia ballata degli Oasis che canticchia mentre legge distrattamente “Welcome to Holmes Chapel”.

- Harry? – si schiarisce la voce un attimo, ha messo le quattro frecce ed è fermo all’imbocco della strada principale della città. Il ragazzo accanto mugugna qualcosa e cambia posizione – Harry, siamo arrivati. –

- Ok. –

Louis sbuffa, allunga un braccio e gli toglie il berretto dagli occhi – se non mi dici dove abiti non posso accompagnarti. – gli ricorda. Harry apre gli occhi, annuisce e si mette composto sul sedile, cercando di riacquistare la cognizione dello spazio.

- Vai dritto e svolta dopo la piazza, sulla destra e poi segui la strada. Io sto al 71b. – l’ordine viene impartito velocemente e a voce bassissima, poi Harry torna a sonnecchiare e Louis cerca di seguire le istruzioni alla lettera; Harry abita in una villetta bianca con la porta nera, uguale alle altre trenta poste a schiera, la finestra che da sul giardino curato è socchiusa e la luce all’interno è accesa.

- Siamo arrivati. – annuncia Louis, scuotendo nuovamente l’addormentato. Harry esce dalla macchina sbattendo rumorosamente lo sportello; Louis lo imita, improvvisamente spaventato. Come ci torna, adesso, a Manchester?

- Ci vediamo. – Harry alza una mano in segno di saluto e gli prede le chiavi della macchina, avviandosi poi verso il cancello.

- Aspetta! –

Harry si gira – cosa? –

- A che ora è il treno per Manchester? – chiede, sinceramente preoccupato.

- Cosa ti fa credere che un paese di ottocento abitanti abbia una stazione? – Harry ridacchia, apre il cancelletto e si volta – vieni, dai. – sospira, allora. Louis rimane per un attimo indeciso, controlla l’orologio e rendendosi conto di quanto sia tardi lo segue dentro. La casa è piccola e ordinata, un gatto dorme in una cesta accanto al divano del soggiorno e una donna con i capelli neri raccolti scompostamente sulla testa lo imita distesa sul divano. Harry le si avvicina e prende un libro che giaceva abbandonato sul petto della donna, posandolo sul tavolino e le sistema la coperta di pile fino al mento; Louis rimane sulla soglia fino a quando Harry non gli fa segno di seguirlo per le scale. La sua camera è piccola, con dei vestiti gettati casualmente sulla sedia girevole della scrivania e una cartella traboccante di libri dall’aria rovinata.

- Vai ancora a scuola. – nota Louis, cominciando a gironzolare per la stanza, curioso. Harry annuisce sedendosi sul letto già sfatto, si toglie le scarpe e la felpa, recupera un paio di pantaloni del pigiama dal cassetto del comodino.

- Tu no? –

- Mi sono diplomato a Luglio. – risponde orgogliosamente Louis. Non avrebbe mai creduto di poterci riuscire, in effetti nessuno ci avrebbe mai scommesso un penny.

- E adesso cosa fai? –

- Cerco di capire cosa voglio fare della mia vita. –

Harry sorride, spogliandosi senza troppi imbarazzi – ha un senso. E fin ora come sta andando? – si informa.

- Ho scoperto di avere un’attitudine come chaperon. Potrei coltivare questo talento. – Louis continua a guardare fotografie e disegni attaccati alla parete, si sofferma su una mensola su cosi sono poggiati oggetti praticamente inutili e una medaglietta di cartone. La prende e la mostra al proprietario.

- Preziosa. –

- Immagino di sì. – Harry si alza e prende la medaglia, colorata maldestramente e con il suo nome scritto in bella grafia.

- Per cos’era? –

- Una gara di canto, in prima elementare. –

Louis strabuzza gli occhi, meravigliato – canti? –

- Senza impegno, ogni tanto. Più che altro mi piace ascoltare musica nuova. – torna al letto e si distende; Louis nota che ha ancora il berretto tra i capelli.

- E cosa ti piace ascoltare? –

Harry si stringe nelle spalle – di tutto, la mia insegnante di canto mi da dei pezzi nuovi ogni tanto. – risponde, - mi piace il jazz. – aggiunge, poi.

A Louis il jazz fa venire un po’ sonno, ma non lo dice; - anch’io canto. – annuncia, invece.

- Bello. Cosa? –

- Un po’ di tutto. Forse prima o poi parteciperò ad X Factor. Andrebbe meglio della carriera da autista, immagino –

Harry sbadiglia, - Interessante. Ti venderesti così così per la celebrità?

Louis non ci aveva mai pensato, ma si ritrova ad annuire – voglio solo che qualcuno mi dica che sappia cantare. –

Harry, con gli occhi chiusi, sorride – questo posso dirtelo anch’io: canta. – lo sprona.

- Adesso? –

- E quando? – il ragazzo apre gli occhi, le iridi verdi sono languide per l’alcol e il sorriso che gli rivolge è caldo: Louis deglutisce e scuote la testa.

- Magari un’altra volta. –

- Cosa ti fa credere che ci vedremo ancora? –

Louis coglie la sfida nel suo sguardo, capisce che il ragazzino sta flirtando con lui; - forse ci rivedremo ai provini di X Factor, un giorno. – propone, imitando il suo sorriso malizioso. Sono distesi entrambi supini sul letto a una piazza e mezza, le mani dietro la nuca e gli occhi chiusi. Rimangono in silenzio per un po’, poi Harry riprende a parlare: - canto solo perché attira le ragazze e… be’, i ragazzi. – sorride di nuovo, con quelle labbra che sono troppo belle e troppo rosse per essere vere. E Louis si ritrova ad arrossire, perché lui il coraggio per dire una cosa del genere non ce l’ha mai avuto. Non può non notare, certo, come troppe volte si trovi con un gonfiore inopportuno negli spogliatoi dopo gli allenamenti di calcio con la squadra della scuola, anche se non ci ha mai dato troppo peso. È troppo giovane, d’altronde, per farsi problemi del genere. E poi comunque Hannah gli piace, nonostante tutto.

- Molto… moderno, come pensiero. –

Harry ride per il suo imbarazzo, soddisfatto – un po’ come il tuo, no? –

- In che senso? –

- Avrò anche mal di testa, ma è vero che prima mi stavi guardando, al concerto. – gli ricorda.

Louis apre gli occhi e lo guarda per un secondo, nota che non è tanto imbarazzato quanto più lusingato – non ti stavo guardando. –

- Sì, invece, e va bene. Anch’io ti stavo guardando. – Harry sorride, si gira su un fianco.

- Mi hai apertamente riso in faccia! – protesta il più grande, allora.

- Vero, ma solo perché sembravi un bambino colto in flagrante con le mani nel vasetto del miele. – ridacchiano entrambi, sottovoce. Louis comincia ad avere sonno ma vuole continuare ad ascoltare quella voce profonda e bellissima.

- E come li conquisti i ragazzi? – chiede allora divertito e rilassato.

Harry si mette seduto rimanendo in silenzio per qualche istante, poi apre la bocca e intona un paio di versi una vecchia canzone di Bob Dylan che non parla d’amore, ma è cantata con tanta passione che Louis si ritrova a trattenere il fiato fino a quando nella stanza non torna il silenzio assoluto.

- Wow. – mormora poi, incapace di dire altro.

Harry ridacchia e torna disteso – scommetto che adesso potei chiederti qualsiasi cosa e tu me la concederesti senza battere ciglio. – scherza.

- Non esagerare. Credo che dovresti davvero fare il provino. –

Harry scuote la testa, poi ammicca – lascia stare, ti rovinerei la piazza! –

- Sbruffone! – lo prende in giro Louis, allora. Nuovamente il silenzio piomba nella stanza, ma il ragazzo si rende conto di star bene, lì, lontano da tutto. Non c’è niente che sia giusto o sbagliato nel modo in cui guarda il ragazzino che sonnecchia lì accanto, non esistono orologi che gli ricordino che arriverà un nuovo giorno e dovrà tornare alla sua vita. Non si chiede cosa sia o cosa gli piaccia, semplicemente sospira e chiude gli occhi, mentre un piccolo brivido gli percorre la schiena.

- Probabilmente lo farò. – mormora il più piccolo, d’un tratto, - il provino, intendo. -

- Per provarci con Simon Cowell? –

Harry ridacchia, – così ci incontriamo di nuovo. – risponde invece.

- Sì, magari nei bagni. –

- Perché no, sarebbe romantico. – lo prende in giro Louis, scuotendo la testa.

Harry si avvicina a lui, le sue labbra perfette gli sono così vicine che potrebbero toccarlo in qualsiasi momento. Louis ha improvvisamente male allo stomaco, ma in un modo bello che gli fa venire voglia di avvicinarsi a sua volta; - probabilmente se ti ricontrassi ti darei un bacio. – sorride Harry.

E forse è perché Louis è fuori dal tempo e non si preoccupa niente, che risponde –e ora non lo faresti? – e sorride anche lui, con lo stomaco attorcigliato e la testa che un po’ gli gira, ma per l’eccitazione.

Harry non risponde, fa incontrare solo brevemente le loro labbra in quella che è soltanto una promessa, ma Louis decide che può farsela passare.

 

È solo quando viene svegliato dal suono dell’aspirapolvere che Louis si rende conto di quello che è successo. Sente freddo, è completamente vestito ed è disteso accanto a un ragazzino bellissimo e con i capelli ricci coperti da un berretto di lana. Sorride, si passa una mano tra i capelli cercando di sistemare il ciuffo decisamente troppo lungo che gli copre un occhio e che non gli è mai piaciuto ma va di moda, e sbadiglia. Esce in fretta dalla cameretta, dove Harry è ancora addormentato e ha voglia di lasciargli un biglietto con su scritto qualcosa di simpatico o di malizioso, sarebbe carino anche solo un “mi devi un bacio! J x”, ma decide che è superfluo ed esce di casa salutando imbarazzatissimo la donna con i capelli neri che sta rigovernando la cucina. Chiama Stan, poi raggiunge la prima fermata di autobus e si siede aspettando di poter tornare all’ostello.

 

 When the skies are grey and all the doors are closing
and the rising pressure makes it hard to breathe
well, all i need is a hand to stop the tears from falling.
I will find him, will find him next to me.Next to me, Emelie Sande

Louis è nervoso, troppo nervoso. Il suo insegnante di canto, un uomo di quarant’anni con un paio di imbarazzanti occhiali da vista, non riesce a tenerlo fermo sulla sedia per più di cinque secondi e ormai si è convinto a lasciarlo camminare avanti e dietro per pochi metri.

- Non vorrei essere ovvio, - sbuffa – ma potresti fare un solco. –

Louis guarda il pavimento, come a volersi davvero accertare delle sue condizioni, poi sbuffa a sua volta. È contento di avere al suo fianco, in un giorno così importante, l’uomo che l’ha seguito nella sua passione da quando era piccolo. In quel momento, però, con l’agitazione che quasi se lo sta mangiando, vorrebbe ucciderlo per tutta quella calma.

- Come fai a essere così… distaccato? –

L’insegnante, John, si stringe nelle spalle; - non sono io che partecipo al boot camp. – gli fa notare, con un sorriso.

- Dovresti essermi vicino, almeno emotivamente. – il ragazzo si passa una mano tra i capelli lisci, combattuto tra la voglia di urlare e quella di scappare. John rimane impassibile, gli passa una bottiglietta d’acqua sigillata che Louis svuota in qualche secondo.

- Perché non respiri lentamente? –

Louis lo guarda, sinceramente divertito – training autogeno? Io sto morendo di ansia e tu mi consigli il training autogeno? –

- Mi sembra anche piuttosto appropriato. – commenta quello.

Louis scuote la testa – magari no. –

- Magari vai in bagno, ti lavi la faccia. –

Il ragazzo da un’occhiata all’orologio: mancano ancora trenta minuti alla sua ultima audizione. Annuisce ed esce a grandi passi dalla sala, dove tutti gli aspiranti concorrenti stanno aspettando il proprio turno. Chiede le indicazioni a una ragazza dello staff con le mani nelle tasche dei pantaloni e la voce tesa, poi si sforza di sorriderle e prosegue fino a una porta in fondo al corridoio con scritto “Bathroom”; la porta non è chiusa a chiave.

- Ooops! – borbotta, quando si accorge che la stanzetta è già occupata. Louis rimane imbambolato per il riflesso nello specchio. I capelli sono diventati più lunghi, è cresciuto in altezza ma indossa un berretto di lana che gli copre quasi completamente i ricci scuri, come l’ultima volta. Non potrebbe non riconoscerlo, con quelle labbra troppo piene per un ragazzo e i tratti perfetti del viso.

Harry si gira e Louis ricorda come in un flash la sua voce profonda e sensuale; ha un brivido, poi parla e dice solo – Ciao. – ma per entrambi è abbastanza. E si sorridono.

***

   
 
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