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Autore: gothika    08/07/2007    2 recensioni
Ti amai subito, Aurora, sebbene nel mio cuore non vi fosse mai stato posto per l’amore; il mio animo reietto e solitario poteva contare soltanto sull’accidioso scorrere lento del tempo, invidiando con amarezza il passare lesto ed inarrestabile delle emozioni umane. La passione, Aurora, quelle lingue di fuoco che si contorcono e divampano negli animi come fiamme su paglia secca. Il desiderio di toccare il tuo viso senza il timore di sbriciolarlo come cenere di brace.
Genere: Triste, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The  Ghost of You

Semplici insensate memorie.

 

Ripercorro memorie insensate in questa notte di tenebra che è il mio sempiterno giorno.

Vagheggio nei meandri della mia mente vuota, sentendo alle mie spalle unicamente il rumore piccato del tacco delle mie calzature, eleganti e magistralmente lustrate.

Lo smoking di tessuto pregiato si confonde con la fatua caligine che mi attornia, lasciando intravedere unicamente il mio pallore antico, punteggiato di strascichi rossi.

Le tue piccole ultime lacrime di amore che non sono riuscito a lavare via.

Ho ancora nella narici il tuo profumo soave: un turbinio di emozioni che portano il tuo nome.

Aurora.

Un sospiro di vento caldo, un bagliore che ai miei occhi non è permesso ammirare.

Sei stata tu a dannarmi col tuo sorriso timido e gentile.

Tu, a rubarmi il senno con il rossore diffuso delle tue guance morbide e vellutate.

Ed il tuo tocco, fresco e tiepido allo stesso tempo, che faceva scorrere ricordi di brividi inesistenti sulla mia pelle di marmo, effige commemorativa e gelida come lastra di tomba.

Ti amai subito, Aurora, sebbene nel mio cuore non vi fosse mai stato posto per l’amore; il mio animo reietto e solitario poteva contare soltanto sull’accidioso scorrere lento del tempo, invidiando con amarezza il passare lesto ed inarrestabile delle emozioni umane. La passione, Aurora, quelle lingue di fuoco che si contorcono e divampano negli animi come fiamme su paglia secca.

Il desiderio di toccare il tuo viso senza il timore di sbriciolarlo come cenere di brace.

 

Entrai nella tua vita come una scheggia di vetro verde all’interno della mano. Prepotente e sfacciata.

Non mi importava di arrecarti dolore, bramavo soltanto di poterti avere avvinta tra le mie braccia, inerme e remissiva, completamente in balia dell’attrazione fatale che i miei occhi di sole esercitavano su di te.  Divenni, così, la spina di una rosa scarlatta come il sangue che ti dà la vita,

che tu, piccola ninfa, non tardasti a raccogliere. Se solo i miei occhi non ti avessero mai incontrata, adesso tu saresti ancora nel boccio dei tuoi anni, giovane e posata, promessa sposa di un nobiluomo.

 

E invece no. Io, io solo avrei avuto l’ardire di sfiorarti, Aurora. Mia, mia per sempre.

Con carezze languide e lascive che soltanto un esperto amante come me avrebbe potuto regalare.

Non mi aspettavi, non immaginavi nemmeno che un giorno avresti vissuto un sogno dolce come miele, ma anche acre e subdolo, come solo un incubo pregno di livore sa diventare.

Eppure, ti gettasti a capofitto nella soffice tela che con maestria avevo intessuto soltanto per te.

 

Quella sera, ti ricordi, ti invitai a ballare dopo averti a lungo lusingata con gli sguardi più eloquenti potessi rivolgerti. Graziosi complimenti sul tuo nasino vezzoso, sull’arcata delle tue sopracciglia, sul collo da cigno elegante ed immacolato. Fu in quel momento che decisi che ti avrei preso per me.

 

-“Buonasera mia signora, posso avere l’onore di questo ballo?”

Mi avvicinai a te facendomi largo tra la folla senza farmi notare. Ero rapito dalla tua figura, dai tuoi occhi, dalla tua pelle lattea come le piume di splendidi gabbiani sospinti da una brezza leggera.

-“Perdonate signore, ma non conosco il vostro nome…” Quanto eri bella, mia cara Aurora.

La voce armoniosa lievemente indecisa, lo sguardo cristallino curioso ed intraprendente.

Nel tuo piccolo inchino scorsi l’incavo dei seni, la curva del collo e provai l’istinto di prendermi di te ogni cosa fino all’ultima goccia. Ma, esitai, stupidamente incantato dalla tua fragilità.

-“Le presentazioni tra i vari giri di valzer che vorrete concedermi.”

Ti abbagliai con un sorriso cordiale, lasciando scintillare brevemente la fila precisa di denti perlacei ed occultando sapientemente il vessillo esecrato della mia condizione.

Capii di aver già vinto non appena avvertii la tua minuta mano guantata appoggiarsi sulla mia.

 

Fu un volteggiare leggiadro e suadente il nostro, lungo tutta la sala da ballo.

Non riuscivo a respirare, giacché il tuo profumo mi circondava come una bruma primaverile.

-“E così qual è il vostro nome?” Ti strinsi più forte la mano mentre ti facevo piroettare lentamente tra i pizzi del tuo vestito ricamato. Tu abbassasti gli occhi, indifesa, lasciando che il sangue fluisse rapido alle tue guance, imporporando la pelle di un colorito roseo che mi fece mancare un battito.

-“Aurora, Aurora Darvey. E voi siete…” Me lo domandasti con un sorriso audace, che subito dopo nascondesti alla mia vista, ed una strana luce degli occhi che non scorderò mai: eri attratta da me perché ero un mostro, non perché tu mi amassi seriamente. Ricambiai affabilmente il tuo sorriso.

-“Sono Victor Havenort. Finalmente ho ritrovato l’aurora che tanto mancava ai miei occhi.”

Dissi quelle parole con voce modulata, che si tramutasse in un brivido, che ti corresse lungo la schiena. Ma, mio dolce amore, erano tanto vere quelle parole, così care al mio cuore che non le ho mai dimenticate. Neppure ora, che sono separato da quel giorno da una distanza di secoli.

 

Ti accompagnai nel giardino curato dopo numerose ballate e tu continuasti a seguirmi mansueta, ignara dell’oscuro destino che ti attendeva al riparo da occhi indiscreti. Tenevo la tua mano nelle mie, mentre ti conducevo verso il vetusto salice piangente e mi battevo contro me stesso.

Non avrei mai voluto farti del male, tuttavia eri così dolce, Aurora, così calda tra le mie dita smorte che non potei evitare di soccombere al mio fato crudele e senza pietà.

 

Affondai le mie lame d’avorio nel tuo incarnato pallido quasi impercettibile nelle fauci dell’ombra.

Avvertii il tuo cuore vibrare come impazzito, regalarmi copiosamente flutti di linfa vitale mentre le tue forze a poco a poco venivano meno. Sospirasti quando le mie labbra devote svolsero il loro pellegrinaggio lungo la clavicola. Non ti rendevi conto del male che quel piacere ti infliggeva.

Continuai a mordere e suggere il sangue con risonante lentezza, gustando ogni singola goccia con tutta la potenza dei miei sensi sviluppati. Era il paradiso, Aurora. Eri il mio peggiore inferno.

 

Quando non vi fu più niente da bere, quando le tue difese furono totalmente sgominate ed il tuo cuore come un coraggioso guerriero si apprestava ad esalare l’ultimo respiro nella valle del tuo petto, provai un’immensa pena per te e per me stesso. A mio modo, ti amai Aurora.

Come amo ogni singola vittima nell’arco di una notte: come amo la dama di corte, la cortigiana, la mendicante. Mi innamoro ogni singola notte e svolgo il mio ruolo di amante senza eccezioni.

 

Nondimeno tu, perfida strega, mi hai ingannato con i tuoi gesti misurati ed ingenui: ti sei insinuata nella mia mente come un pensiero fisso che non riesco a cancellare dal muro dei ricordi.

Mi implori di amarti ogni notte, ti impossessi del volto delle vittime che mieto senza vergogna.

Vorrei odiarti, Aurora, ma mi scopro a desiderarti follemente: vorrei ancora una volta saggiare il candore della tua pelle aromatica, la seta dei capelli, il sapore divino del tuo sangue.

 

Sei la mia dannazione, potente quasi come quella che mi affligge da sempre.

Ti prendi gioco di me, stuzzicandomi con queste memorie insensate ed inutili.

Non posso riaverti Aurora perché ho reciso per te il filo della vita; ora sei un ricordo, un dolore nei cuori di chi hai lasciato su questa terra a camminare tra i raffinati carnefici della razza umana.

 

 

Sono le nottate senza luna come questa che mi fanno pensare a te, amore di una notte.

Al fatto che di te non è rimasto che un fantasma sbiadito, come aliti di fumo nella coltre della notte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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