The Ghost of
You
Semplici insensate memorie.
Ripercorro
memorie insensate in questa notte di tenebra che è il mio sempiterno giorno.
Vagheggio
nei meandri della mia mente vuota, sentendo alle mie spalle unicamente il
rumore piccato del tacco delle mie calzature, eleganti e magistralmente
lustrate.
Lo
smoking di tessuto pregiato si confonde con la fatua caligine che mi attornia, lasciando
intravedere unicamente il mio pallore antico, punteggiato di strascichi rossi.
Le
tue piccole ultime lacrime di amore che non sono riuscito a lavare via.
Ho
ancora nella narici il tuo profumo soave: un turbinio di emozioni che portano
il tuo nome.
Aurora.
Un
sospiro di vento caldo, un bagliore che ai miei occhi non è permesso ammirare.
Sei
stata tu a dannarmi col tuo sorriso timido e gentile.
Tu,
a rubarmi il senno con il rossore diffuso delle tue guance morbide e vellutate.
Ed
il tuo tocco, fresco e tiepido allo stesso tempo, che faceva scorrere ricordi
di brividi inesistenti sulla mia pelle di marmo, effige commemorativa e gelida
come lastra di tomba.
Ti
amai subito, Aurora, sebbene nel mio cuore non vi fosse mai stato posto per
l’amore; il mio animo reietto e solitario poteva contare soltanto
sull’accidioso scorrere lento del tempo, invidiando con amarezza il passare lesto
ed inarrestabile delle emozioni umane. La passione, Aurora, quelle lingue di
fuoco che si contorcono e divampano negli animi come fiamme su paglia secca.
Il
desiderio di toccare il tuo viso senza il timore di sbriciolarlo come cenere di
brace.
Entrai
nella tua vita come una scheggia di vetro verde all’interno della mano.
Prepotente e sfacciata.
Non
mi importava di arrecarti dolore, bramavo soltanto di poterti avere avvinta tra
le mie braccia, inerme e remissiva, completamente in balia dell’attrazione fatale
che i miei occhi di sole esercitavano su di te.
Divenni, così, la spina di una rosa scarlatta come il sangue che ti dà
la vita,
che
tu, piccola ninfa, non tardasti a raccogliere. Se solo i miei occhi non ti
avessero mai incontrata, adesso tu saresti ancora nel boccio dei tuoi anni,
giovane e posata, promessa sposa di un nobiluomo.
E
invece no. Io, io solo avrei avuto l’ardire di sfiorarti, Aurora. Mia, mia per
sempre.
Con
carezze languide e lascive che soltanto un esperto amante come me avrebbe potuto
regalare.
Non
mi aspettavi, non immaginavi nemmeno che un giorno avresti vissuto un sogno
dolce come miele, ma anche acre e subdolo, come solo un incubo pregno di livore
sa diventare.
Eppure,
ti gettasti a capofitto nella soffice tela che con maestria avevo intessuto
soltanto per te.
Quella
sera, ti ricordi, ti invitai a ballare dopo averti a lungo lusingata con gli
sguardi più eloquenti potessi rivolgerti. Graziosi complimenti sul tuo nasino
vezzoso, sull’arcata delle tue sopracciglia, sul collo da cigno elegante ed
immacolato. Fu in quel momento che decisi che ti avrei preso per me.
-“Buonasera mia signora, posso avere
l’onore di questo ballo?”
Mi
avvicinai a te facendomi largo tra la folla senza farmi notare. Ero rapito
dalla tua figura, dai tuoi occhi, dalla tua pelle lattea come le piume di splendidi
gabbiani sospinti da una brezza leggera.
-“Perdonate signore, ma non conosco il
vostro nome…”
Quanto eri bella, mia cara Aurora.
La
voce armoniosa lievemente indecisa, lo sguardo cristallino curioso ed
intraprendente.
Nel
tuo piccolo inchino scorsi l’incavo dei seni, la curva del collo e provai
l’istinto di prendermi di te ogni cosa fino all’ultima goccia. Ma, esitai, stupidamente
incantato dalla tua fragilità.
-“Le presentazioni tra i vari giri di
valzer che vorrete concedermi.”
Ti
abbagliai con un sorriso cordiale, lasciando scintillare brevemente la fila
precisa di denti perlacei ed occultando sapientemente il vessillo esecrato
della mia condizione.
Capii
di aver già vinto non appena avvertii la tua minuta mano guantata appoggiarsi
sulla mia.
Fu
un volteggiare leggiadro e suadente il nostro, lungo tutta la sala da ballo.
Non
riuscivo a respirare, giacché il tuo profumo mi circondava come una bruma
primaverile.
-“E così qual è il vostro nome?” Ti strinsi più
forte la mano mentre ti facevo piroettare lentamente tra i pizzi del tuo
vestito ricamato. Tu abbassasti gli occhi, indifesa, lasciando che il sangue
fluisse rapido alle tue guance, imporporando la pelle di un colorito roseo che
mi fece mancare un battito.
-“Aurora, Aurora Darvey. E voi siete…” Me lo
domandasti con un sorriso audace, che subito dopo nascondesti alla mia vista,
ed una strana luce degli occhi che non scorderò mai: eri attratta da me perché
ero un mostro, non perché tu mi amassi seriamente. Ricambiai affabilmente il
tuo sorriso.
-“Sono Victor Havenort. Finalmente ho
ritrovato l’aurora che tanto mancava ai miei occhi.”
Dissi
quelle parole con voce modulata, che si tramutasse in un brivido, che ti
corresse lungo la schiena. Ma, mio dolce amore, erano tanto vere quelle parole,
così care al mio cuore che non le ho mai dimenticate. Neppure ora, che sono
separato da quel giorno da una distanza di secoli.
Ti
accompagnai nel giardino curato dopo numerose ballate e tu continuasti a seguirmi
mansueta, ignara dell’oscuro destino che ti attendeva al riparo da occhi
indiscreti. Tenevo la tua mano nelle mie, mentre ti conducevo verso il vetusto
salice piangente e mi battevo contro me stesso.
Non
avrei mai voluto farti del male, tuttavia eri così dolce, Aurora, così calda
tra le mie dita smorte che non potei evitare di soccombere al mio fato crudele
e senza pietà.
Affondai
le mie lame d’avorio nel tuo incarnato pallido quasi impercettibile nelle fauci
dell’ombra.
Avvertii
il tuo cuore vibrare come impazzito, regalarmi copiosamente flutti di linfa
vitale mentre le tue forze a poco a poco venivano meno. Sospirasti quando le
mie labbra devote svolsero il loro pellegrinaggio lungo la clavicola. Non ti
rendevi conto del male che quel piacere ti infliggeva.
Continuai
a mordere e suggere il sangue con risonante lentezza, gustando ogni singola
goccia con tutta la potenza dei miei sensi sviluppati. Era il paradiso, Aurora.
Eri il mio peggiore inferno.
Quando
non vi fu più niente da bere, quando le tue difese furono totalmente sgominate
ed il tuo cuore come un coraggioso guerriero si apprestava ad esalare l’ultimo
respiro nella valle del tuo petto, provai un’immensa pena per te e per me
stesso. A mio modo, ti amai Aurora.
Come
amo ogni singola vittima nell’arco di una notte: come amo la dama di corte, la
cortigiana, la mendicante. Mi innamoro ogni singola notte e svolgo il mio ruolo
di amante senza eccezioni.
Nondimeno
tu, perfida strega, mi hai ingannato con i tuoi gesti misurati ed ingenui: ti
sei insinuata nella mia mente come un pensiero fisso che non riesco a
cancellare dal muro dei ricordi.
Mi
implori di amarti ogni notte, ti impossessi del volto delle vittime che mieto
senza vergogna.
Vorrei
odiarti, Aurora, ma mi scopro a desiderarti follemente: vorrei ancora una volta
saggiare il candore della tua pelle aromatica, la seta dei capelli, il sapore
divino del tuo sangue.
Sei
la mia dannazione, potente quasi come quella che mi affligge da sempre.
Ti
prendi gioco di me, stuzzicandomi con queste memorie insensate ed inutili.
Non
posso riaverti Aurora perché ho reciso per te il filo della vita; ora sei un
ricordo, un dolore nei cuori di chi hai lasciato su questa terra a camminare
tra i raffinati carnefici della razza umana.
Sono
le nottate senza luna come questa che mi fanno pensare a te, amore di una notte.
Al
fatto che di te non è rimasto che un fantasma sbiadito, come aliti di fumo
nella coltre della notte.