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Autore: Lulabi    22/12/2012    0 recensioni
George Davis è un uomo solo. Non ha più una famiglia con cui passare il Natale ma conosce Billy, un orfanello, e da questa amicizia nascerà molto di più. Questa storia è dolce e a tratti comica, parla dell'affetto tra le persone e del Natale ed è ambientata negli anni venti e un pò a fine ottocento. A me piace molto e spero che piaccia anche a voi, penso che leggerla fino alla fine non costi nulla e ne valga la pena. :)
Genere: Commedia, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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23/12/1925 – New Orleans

 

Era una Domenica, ma non una Domenica qualunque. Era la Domenica prima di Natale, l'ultima prima di Natale. Nell'aria vi era un fermento mai visto prima. Da qualche anno la vita da quelle parti a New Orleans era cambiata. La tristezza portata dalla guerra era velocemente svanita nel dimenticatoio assieme al ricordo del freddo, della fame e della morte. “Se vuoi vivere l'esperienza più divertente e magica della tua vita visita New Orleans prima di morire” si diceva in giro. E dare torto a tutti coloro che avevano mitizzato questa città era impossibile: le automobili sfrecciavano veloci nella neve appena caduta, i negozi erano addobbati a festa, le persone passeggiavano allegre per le grandi strade, a braccetto o per mano. Si poteva scorgere innamorati che tra una compera e l'altra si scambiavano un bacio felici anche loro risucchiati dalla gioia del Natale. Una cosa però non era cambiata dal periodo della guerra. In tutta la città persisteva un ronzio, anzi un vero e proprio rumore, ma più che altro un suono continuo. In ogni angolo, in ogni strada, da una finestra o una porta accostata proveniva quell'accostamento così nuovo di note, quella melodia frizzante, il jazz. Il jazz era certamente molto diverso dalle terrificanti bombe belliche eppure molti li paragonavano per parità di fracasso. Come per ogni cosa, c'era anche a chi non piaceva proprio il jazz.

Al generale Davis il jazz piaceva. Gli piaceva così tanto che era pronto a difenderlo fregandosene di rovinare la propria reputazione. Il jazz lo faceva sentire ancora giovane, libero, e vivo.

Il generale Davis aveva sessant'anni e aveva vissuto la guerra, ora si godeva la sua vita da vecchietto, e passeggiava. Si teneva allenato camminando per ore intere ammirando come il divertimento e lo spettacolo animassero la sua città. Balli, canti, musica, show... a New Orleans non potevi annoiarti.

George Davis, passava sempre da solo il Natale, ma questo non lo rendeva meno felice. Il poveretto era vedovo del suo unico e grande amore, Marie Elisabeth, ormai da un paio d'anni. L'unica gioia che aveva provato al ritorno dalla guerra e che lo aveva sostenuto alla notizia della morte di suo figlio in trincea, era stata proprio riabbracciare lei: l'amore di gioventù che durava ancora adesso e sarebbe durato per sempre.

George Davis era un uomo positivo, non si arrendeva mai, e non si faceva abbattere facilmente.

-Buongiorno- ripeteva al passaggio di ogni gentil donna. Donne moderne quelle degli anni venti, niente a che vedere con quelle matrone imbalsamate della sua generazione. Ogni tanto se ne intravedeva ancora qualcuna, di matrona, ingessata nel suo corpetto e nell'enorme gonna che ostruiva il passaggio persino per le automobili.

George Davis ammirava le donne post belliche, sicure, libere e con le gonne corte. Ogni sera le ammirava ballare il charleston, oppure rivolgeva loro complimenti al parco, o ancora si fermava a chiacchierare con le coriste dopo la messa domenicale.

George Davis amava le donne, tutte senza nessuna eccezione, tranne che per le vecchie matrone ovviamente. Ma il suo cuore apparteneva ad una soltanto, la sua Marie. Il signor Davis l'andava a salutare ogni giorno, ma non al cimitero bensì al parco della città, dove si erano conosciuti, innamorati e dove avevano passato interi pomeriggi tutte le estati della loro vita insieme.

Al parco, George dava da mangiare ai piccioni e parlava con gli alberi e i fiori pronunciando sempre il suo nome “Marie, Marie, Marie”. Il signor Davis non era pazzo. Era piuttosto simpatico e originale.

Purtroppo in inverno i piccioni se la davano a gambe, gli alberi restavano nudi e raggrinziti e i fiori preferivano sorgere nel deserto piuttosto che nella terra ghiacciata. In inverno il signor Davis percorreva la città senza meta e di tanto in tanto si imbatteva in qualche orfanello affamato.

-Ehi tu, ragazzo- gridò un giorno alle spalle di un bambino coperto di stracci.

-Dico a te- intimò agitando in aria il bastone da passeggio.

Il bambino si era voltato senza fare una piega -Ehi tu, ragazzo- aveva imitato il vecchio camuffando la voce e assumendo un espressione contrita.

 

Il signor Davis non era sembrato divertito, anzi come quasi mai gli capitava sembrava davvero infuriato.

-Vieni qui- ordinò

Il ragazzo si avvicinò con le mani dietro la schiena. Al signor Davis bastò far voltare l'arrendevole bambino per accertarsi che questo gli aveva rubato il portafoglio.

-Non è come sembra- aveva detto il bambino impaurito -Questo è un regalo per voi- fece un sorriso sghembo mostrando i denti neri e porgendo all'uomo il suo portafoglio di pelle nera.

-Un regalo?- disse ad alta voce il signor Davis che pensieroso si toccava la barba bianca e i baffi all'insù.

Il suo volto assunse un aria minacciosa ma contro le aspettative il signor Davis si mise a ridere, rise a crepapelle e il bambino fece lo stesso. Si conoscevano, eccome. Billy provava a rubargli il portafoglio tutti i giorni e tutti i giorni tornava alla casa dei trovatelli con le stesse scarpe sgangherate, un bel po' di pane e cinquanta dollari di mancia. Ormai quello era diventata una routine per loro, un gioco. George e Billy erano amici, come potevano essere amici un vecchio generale solitario e un orfano di dieci anni. George dava a Billy qualche soldo e racconti avventurosi in cambio di poter assaporare della persa gioventù. George amava giocare e ridere.

-Allora George, cosa mi racconti oggi?- chiese Billy mentre si sedevano sulla fredda panchina del parco.

-Ti racconterò di un Natale di parecchi anni fa, io ero giovane a quell'epoca e fu una giornata molto divertente perché il Natale a casa mia non era mai normale.

-Perché?-chiese il bambino con gli occhi attenti fissi sull'uomo.

-Fai il bravo, lascia che ti spieghi dall'inizio. Era il 25 Dicembre del 1875, io avevo dieci anni proprio come te adesso.

“-George Davis, sono le undici e un quarto, sarà meglio che ti lavi quelle tue mani nere come il carbone e che indossi l'abito delle feste, è un ordine- aveva gridato la nonna Gertrude in cima alle scale.

George ubbidì come un soldato al suo generale. Stava risalendo le scale dell'enorme casa dei nonni per raggiungere il bagno quando un bisbiglio proveniente da salone lo richiamò.

-pss, pss. Ehi tu, ragazzo- la voce rauca del nonno William era la prima cosa che una persona conosceva di lui poiché stava sempre con la faccia ficcata nel giornale quotidiano. La seconda cosa che si notava del nonno era una vampata di fumo che si intravedeva salire su verso il soffitto. Se non si fosse saputo che per il settanta percento del suo tempo giornaliero William Davis fumava la pipa qualcuno avrebbe potuto pensare che li, dietro la carta, qualche pezzo del nonno o lui tutto intero stesse andando a fuoco. Il salotto prima del pranzo si trasformava in una sauna puzzolente, forse era una strategia del nonno per tenere lontani gli scocciatori.

-Vieni qui George

-dimmi nonno- il ragazzino aveva un rapporto speciale con l'uomo, un complicità dovuta al loro carattere, entrambi amavano scherzare e far disperare la nonna.

-Allora è così ragazzo. Ti fai comandare da quella culona!- proferì fingendosi deluso e riferendosi all'enorme massa posticcia dietro al sedere a cui non sapeva dare un nome e che sua moglie come tutte le altre donne di quel tempo usavano indossare sotto l'abito con lo scopo di ottenere una forma ad “esse” assai di moda.

George non potè obiettare, la nonna entrò di corsa nel salone con la mazza della scopa e la agitò furiosa.

-Ah si? Culona a me? Ma come ti permetti vecchio rimbambito. E tu, George, sparisci da qui prima che il fumo annebbi anche il tuo di cervello.

George scoppiò a ridere e corse su per le scale lasciando il nonno al suo destino, sopportare la furia della nonna. Ma daltronde se l'era cercata.

Il pranzo di Natale in Casa Davis era ricca di cibo e di commensali. C'erano i bis nonni, i nonni, i genitori, zii, cugini, fratelli e pure qualche donna incinta che valeva per due.

La cuoca dei nonni a Natale cucinava dalle sei del mattino fino alle dodici, poi veniva congedata lasciando puntualmente qualche cosa al caso. Quella volta la cuoca si era dimenticata di comprare il pane.

-Ma dico, insomma. Come si fa a dimenticarsi del pane. È una cosa incredibile. William- gridò una volta la nonna.

-Wiiliiaam!

-Wiiiiiiiliiiiiiiiiaaaaaaaaaaam!!!!!

Solo dopo un paio di chiamiamoli amabili vocalizzi il nonno si decideva di dar retta alle noie della nonna.

-Dimmi mia cara.

-Va a comprare il pane e non farti vedere finché non hai una bella pagnotta fumante.

-Un cane, e dove lo trovo all'ora di pranzo nel giorno di Natale un cane?- quando gli faceva comodo il nonno si fingeva sordo.

-William Davis, sarà meglio per te che non mi combini pasticci- disse la nonna infilandogli il cappotto e la tuba. Il nonno prese il bastone da passeggio e sospiro sconsolato -ma dove lo trovo un cane- ripeté tra se e se mentre usciva dalla porta.

Senza il nonno il pranzo di Natale era cominciato, in qualche modo, tra le urla della nonna che proibiva ai gemellini Sam e Will di correre per la casa con il piatto di pasta in mano, il pianto della piccola Sarah che non voleva stare in braccio alla zia zitella Marjorie mentre si affogava di champagne, e Robert il papà di George che si ostinava ad ascoltare musica di cento anni prima obbligando tutti i commensali ad un tormento uditivo che gli faceva scoppiare il cervello.

Si erano fatte ormai le quattro del pomeriggio, il pranzo era finito da ormai un paio di ore, e non c'era stato poi tanto bisogno del pane. Ma il nonno? E già, il nonno. Tutti si erano dimenticati di lui, soprattutto la nonna, ma non George.

-Il nonno ha trovato il cane?- esordì nel silenzio del salone. Gli uomini erano intenti a bere wiski e a parlare di politica mentre le donne si scambiavano consigli di bellezza e di ricamo.

Oh no, il nonno!- esclamarono tutti presi da un improvviso panico.

-Non avrà trovato il pane?- chiese la nonna

-Non saprà decidersi tra lo sfilatino e le pagnotte- disse convinta la zia Marjorie

-Non avrà con se il denaro- presunse papà Robert

-Non avrà trovato un forno aperto- sospirò mamma Clara

-Non avrà voglia di farsela a piedi- disse il piccolo Will

-Non ricorderà la strada di casa- si preoccupò la zia Wanda

-Sarà morto- esclamò il piccolo Sam

-Coooooosa?!?!?- tutti in coro scattarono in piedi, si creò un trambusto: chi andava di qua, chi andava di là, chi saliva le scale a prendere la borsetta e chi scendeva le scale a prendere il cappotto. -Andiamo a cercarlo- fu l'ultima cosa che si sentì prima di un parlottare indistinto e confusionario.

La famiglia Davis cercò il nonno per tutto il pomeriggio ma non lo trovò.

-Mio marito- pianse la nonna affogando il naso nel fazzoletto ricamato.

-Un momento c'è un posto dove non lo abbiamo cercato. Sono sicuro che si trova li- aveva detto Richard.

Tutta la famiglia seguì il papà di George fino al posto indicato, una carovana di venti persone si fermò nel quartiere malfamato di New Orleans proprio davanti ad un insegna Storyville, il quartiere a luci rosse re dell'intrattenimento in città.

Il nonno uscì da un locale tutto felice e con la testa per aria.

William Davis, ti sembra il modo questo? Abbandonare il pranzo di Natale per venire a divertirti nei bordelli!! Non mi sono mai vergognata tanto in vita mia!- proferì la nonna offesa.

-Ma no cara non è come sembra, ero in giro per la città, ho bussato a tutti i canili della zona ma erano chiusi. Non volevo tornare a casa senza il cane che mi avevi chiesto. Poi ne ho visto uno vagabondo e l'ho seguito mentre pensavo ad un modo per convincerlo a venire a casa con me. Mi ha portato fino a qui e alla fine visto che c'ero mi sono fermato a pranzo, c'erano delle cameriere tanto gentili, e non avevano il sedere enorme come il tuo- sorrise amabilmente.

-Pane, ti avevo chiesto il pane- gli urlò la nonna nell'orecchio -Va be, è Natale- sospirò ritrovando la calma -Si torna a casa famiglia Davis.”

-È una storia bellissima signor Davis- Billy si piegò in due dalle risate.

-Si è vero- rispose l'uomo con una punta di nostalgia.

-Signor Davis guardi- Billy indicò verso una distinta matrona che si dava le arie agitando il suo abnorme didietro.

-culona- sussurrò il signor Davis ripensando a suo nonno.

-culona- gridò Billy per tutto il parco trattenendo le risate con una mano. La donna si girò di scatto e li fulminò con lo sguardo gelido. Per qualche minuto non fecero altro che ridere di gusto.

-Beh ora è tardi caro, è quasi ora di pranzo. Ecco tieni- Gli porse cento dollari -Mi raccomando porta il pane ai tuoi fratelli orfani e passa un buon Natale.

-Grazie signor Davis, buon Natale- Billy prese il denaro e gli diede un abbraccio.

L'uomo si avviò sotto gli alberi spogli per tornare a casa dove avrebbe passato un natale da solo, senza confusione.

-Signor Davis, George- Billy lo raggiunse -vuole venire a pranzo alla casa dei trovatelli? Li può trovare anche una specie di nonna come la sua, e una zia Marjorie, e poi ci siamo noi bambini che siamo un po' come Sam e Will e lei.

George Davis pensò qualche attimo a quell'offerta. Non passava un Natale con la famiglia da molto tempo ormai,erano tutti malati, infermi o morti. Restava solo lui.

-Grazie Billy accetto volentieri- gli avrebbe fatto bene un po di sana compagnia confusionaria.

Billy portò il suo amico George alla casa dei trovatelli, George offrì a tutti un lauto pasto, come non se ne vedevano mai da quelle parti.

La sera di Natale avevano tutti la pancia piena e senza forze stavano adagiati su un divano o sul pavimento a soffrire di allucinazioni da troppo cibo.

George era l'unico ad essersi accorto che stava nevicando. La neve candica cadeva leggera e spessa e si posava sul suolo imbiancando uno splendido panorama che sarebbe rimasto nel suo cuore per sempre. George Davis guardando la bellezza della vita dalla finestra prese una decisione: non aveva più la sua famiglia ma aveva la possibilità di regalarla a questi trovatelli, di donar loro una vita vera.

 

25/12/1960- New Orleans

 

Billy Davis aveva ormai quarantacinque anni. La sua vita era ricca di impegni. Dopo la seconda guerra era tornato dalla moglie Diana e dai suoi due figli George e Georgina.

Era il gorno di Natale e Billy l'avrebbe passato con la sua famiglia. Scese le scale del George Davis Institute di cui ormai era direttore e chiuse la porta dopo aver salutato gli orfani intenti a scartare i regali che gli aveva donato.

Ora quello che gli importava era raggiungere la sua famiglia e passare un altro meraviglioso Natale con il suo papà George Davis.

  
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