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Autore: thecarnival    23/12/2012    5 recensioni
One Shot Natalizia tratta dalla long: The (he)art of the streap.
Pietro ed Emily si trovano in una situazione del tutto nuova per loro, quasi surreale e con loro c'è un nuovo, piccolo, personaggio.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'Undress my heart.'
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Un sogno di Natale.



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Se anni prima mi avessero chiesto come immaginavo la mia vita nel futuro, avrei risposto senza incertezze: dietro la scrivania del W&W a organizzare matrimoni insieme alle mie colleghe e amiche di sempre, Mina e Giulia. Non avevo ancora capito che quando il destino bussa alla tua porta, più volte e insistentemente, lo fa per un valido motivo: stravolgerti la vita.

Il freddo pungente di dicembre mi costrinse a stringermi ancora di più nel cappotto non appena uscii dal bar; strinsi nella mano destra il pacchetto con le due brioche alla crema che avevo preso e corsi verso casa. Il cielo minacciava neve e io non volevo stare fuori ancora molto e beccarmi un malanno,perciò a passo svelto percorsi i pochi metri che mi separavano dal mio nuovo appartamento: avere un bar così vicino era una cosa buona, soprattutto se si voleva fare colazione in casa.

Aprii la porta con la mano libera e l'aria calda e casalinga mi accolse, mentre sfilavo il cappotto, svelando il mio abbigliamento mattiniero, tuta e UGG: non avevo avuto il tempo e, soprattutto, la voglia di mettere qualcos'altro. Nonostante non vivessi da molto in quella casa, mi ero ambientata in poco tempo e, con naturalezza, andai in cucina per preparare due vassoi: avrei portato a entrambi la colazione a letto. 

Accanto alla brioche posizionai un bicchiere di succo alla pesca in un vassoio e una tazzina di caffè nell'altro e, in entrambi, due non ti scordar di me rubati dal vaso della vicina del piano di sotto. 

Aprii la porta lentamente, perché sapevo che tutti e due odiavano essere svegliati di soprassalto e preferivano il buio, e mi avvicinai al letto. Lasciando il mini carrello accanto al comò, mi accucciai sul letto baciandogli il viso: la fronte, il naso, deviai verso le guance e, quando capii di averlo svegliato dal dolce sorriso che mi regalò, baciai le sue belle e carnose labbra.

- Dov'eri finita? - Bisbigliò per non svegliare l'altro dormiglione al suo fianco. Con un gesto del capo gli indicai i vassoi. - Cosa farei senza di te. 

- Moriresti di fame. 

Mi colse alla sprovvista intrappolandomi tra le sue braccia e baciandomi di nuovo, un bacio diverso da quello di prima, più intimo e passionale, un bacio che fu interrotto da una piccola voce stridula.

- Uffa, però - Alessio si stropicciava gli occhi in un gesto così tenero che mi venne voglia di riempirlo di coccole. - Io ho sonno!

- Lo so, bello di papà, ma la mamma ha voluto farci una sorpresa. 

I suoi grandi occhi azzurri si illuminarono non appena distinsero la brioche e il succo di frutta in quel fitto buio, mi saltò al collo, stritolandomi in un abbraccio e ripetendomi che ero la mamma più bella e migliore del mondo: sarei morta di felicità se Pietro non avesse interrotto il momento coi suoi soliti modi burini. 

- Ora magnamo che c'ho fame.

Aprii le persiane e dei timidi raggi di sole illuminarono la stanza. Alessio saltava sul letto in attesa della sua colazione e quello scemo non faceva nulla per farlo smettere anzi, gli faceva il solletico e scherzava insieme a lui. Rassegnata, avvicinai il carrello al letto e obbligai i miei due uomini a comportarsi bene, mentre porgevo loro le brioche: essere l'unica donna in famiglia era molto difficile, ma per fortuna mi coccolavano come fossi una principessa. 

- Mamma, oggi facciamo l'albero? 

- Sì, tesoro.

Scompigliai il suo caschetto biondo cenere e gli depositai un bacio sulla fronte, facendolo sbuffare: non gli piacevano le coccole, perché, a detta sua,era già grande per i baci e le carezze, lui era un uomo e il tempo delle effusioni era finito.

- Prima andremo al centro commerciale, dobbiamo comprare quello che manca.

La sua boccuccia si aprì in un enorme sorriso sdentato: amava andare in giro per i negozi e fermarsi nel reparto giocattoli, guardare i lego o le macchinine e sperare che Babbo Natale gliele regalasse la notte del ventiquattro.

- Vado a fare una doccia veloce, puoi sistemare tu qui e in cucina, per favore?

Pietro annuì, mentre prendeva Alessio in braccio come fosse un sacco di patate, facendolo ridere e urlare di gioia. Scherzavano sempre in quel modo, a volte invidiavo il loro rapporto così bello, quasi fraterno; io invece, ero quella che lo rimproverava, sculacciava, ma da cui andava a piangere se stava male: la mamma è sempre la mamma. 

- Sissignora. - Mi baciò velocemente sulle labbra – Vorrei venire con te, ma la piccola peste me lo impedisce.

Alessio, arpionato al suo fianco, lo picchiava e gli dava morsi per invogliarlo a iniziare una lotta, come faceva sempre: risi a quella scena.

- Non fa niente, recupereremo presto.

- Lo spero.

Lo baciai di nuovo e fu nostro figlio a dividerci. - Papà, basta con questi baci, andiamo a combattere. 

- Ale, prima o poi capirai che una donna è più importante di tutto il resto.

- Le femmine sono stupide e antipatiche, come Viola.

Riuscii a sentire solo quello perché poi mi chiusi in bagno per una doccia calda e veloce: non potevo perdere tempo o quei due avrebbero distrutto casa.





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Era strano come il tempo trascorresse così veloce. Alessio canticchiava le canzoni natalizie, mentre giocava con i suoi dinosauri, Pietro cercava al computer nuove ricette da provare la notte di Natale e io stiravo le loro camicie; amavo quei momenti in cui tutti e tre stavamo in cucina a fare cose diverse, per i fatti nostri, ma comunque insieme, perché avevamo bisogno di respirare aria di famiglia.

- Cosa mi regala Babbo Natale quest'anno? 

Avevo appena piegato un paio di pantaloni di Pietro, quando la piccola peste aveva lanciato i suoi giocattoli e aveva urlato attirando la nostra attenzione.

- Non lo so. – Fu suo padre stesso a rispondergli – Tu cosa hai chiesto nella letterina? 

Si sedette di nuovo sul tappeto, pensieroso – La pista per le macchinine, i lego di Harry Potter, un viaggio per Disneyland Paris e poi non ricordo.

- Sai che Babbo Natale potrà scegliere una cosa, vero? 

Il suo broncio mi fece sorridere. - Uffa, non è giusto.

- Non vorresti avere qualcuno con cui condividere i tuoi giocattoli? - Provai a chiederglielo perché era da un po' che ne parlavamo con Pietro: volevamo un altro figlio. Alessio però si voltò sconvolto, i suoi occhi lanciavano fiamme.

- Assolutamente no, mamma.

La risata di Pietro risuonò per la stanza – E se Babbo Natale ti regalasse una sorellina?

- Gli dico di riprendersi il regalo.

Mi unii alle risate, non c'erano dubbi sulla sua paternità: aveva la nostra stessa ironia pungente e il sarcasmo tagliente, nonostante fosse ancora piccolo. Lasciai perdere la roba stropicciata e il ferro da stiro e mi avvicinai al mio ometto, mi sedetti accanto a lui e lo riempii di baci, subendo le sue lamentele, ma lasciandosi andare dopo qualche minuto.

- Posso avere anche io le coccole?

Pietro ci raggiunse sul tappeto e mi abbracciò da dietro, baciandomi il collo e, quando vide che Alessio lo stava incenerendo con lo sguardo, si sporse verso lui dandogli un buffetto sulla guancia; nostro figlio non voleva essere baciato o sfiorato, perché diceva di essere adulto, ma era troppo geloso nei miei riguardi, non permetteva al padre di avvicinarsi più del dovuto o gli saltava addosso cominciando una lotta senza fine.

- Papà!

- Dai Ale, è Natale, devi essere più buono.

- Va bene, ma solo un bacino.

Invece di lasciarmi baciare da Pietro, presi mio figlio tra le braccia, tempestandogli il viso di baci perché era così bello, tenero e speciale da farmi impazzire. 

La corrente andò via all'improvviso e dovetti lasciarlo andare. Quando tornò, Pietro non era più con noi: lo chiamammo più volte e solo quando sentii la sua voce provenire dalle scale mi rilassai e tranquillizzai Alessio.

- Ero andato a controllare il quadro elettrico giù. 

- Avvertimi la prossima volta, mi hai fatto prendere un colpo...

Mi sorrise e mi si strinse lo stomaco; dopo tutti quegli anni, i suoi occhi, le sue labbra, la sua presenza mi facevano ancora effetto, come se fosse sempre la prima volta.





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Guardavo le luci intermittenti dell'albero di Natale, assorta in milioni di pensieri e non riuscivo a capire da dove provenisse quella musica stranaforse l'aveva messa su qualche vicino. Non riuscivo a darmi altra spiegazione, in più avevo uno strano mal di testa e presentimento, il solito sesto senso femminile. 

Sbuffai, sgranchendomi la schiena e distendendomi sul divano di pelle nera, ero stanca per qualche motivo a me sconosciuto e non riuscivo neanche a dormire; infastidita da quella situazione mi alzai e solo in quel momento notai Pietro in piedi, poggiato allo stipite della porta, illuminato dalle luci intermittenti dell'albero di Natale, che mi guardava con sguardo serio e attraente nello stesso tempo. In pochi passi gli fui vicina e annullai la poca distanza che ci separava, baciandolo. La mia mano sul suo petto stringeva in modo convulso il maglione azzurro, quello che mi piaceva tanto e che gli risaltava gli occhi; le sue erano strette ai miei fianchi e con un gesto deciso mi avevano fatto aderire completamente al suo corpo. 

Tutto troppo veloce.

In camera da letto quel maglione azzurro che tanto mi piaceva finì per terra, insieme alla mia felpa e agli altri nostri indumenti; mi lanciò sul letto come fossi una bambola e risi quando, imitando il verso di Tarzan, con un balzo fu su di me. La sua passione mista alla sua stupida simpatia era quello che mi aveva colpito fin dall'inizio e che mi piaceva ancora, sempre. 

Gli poggiai un piede sul petto per provocarlo, anche se sapevo benissimo di non riuscirci: non ero mai stata molto sensuale, solo in quel momento mi accorsi di essere già nuda e quanto fosse buia la stanza. Le labbra di Pietro tornarono a torturare le mie, il mio collo, la spalle e un mio seno; mi sfuggì un gemito di piacere e lo vidi sorridere compiaciuto. Dopo tutto quel tempo si stupiva ancora dei miei movimenti e reazioni. 

La sua mano sfiorava il mio fianco, avvicinandosi al mio interno coscia, mi stava uccidendo in quel modo ma sarei morta volentieri tra le sue braccia se... 

Un rumore improvviso lo bloccò, facendo sussultare anche me. 

Erano dei colpi piuttosto forti, come dei colpi alla parete e ci alzammo dal letto per andare a controllare, ma non c'era nulla di strano nel resto della casa; ero molto dispiaciuta per il nostro momento intimo interrotto, lui se ne accorse regalandomi un sorriso consolatore e rifugiandosi in bagno a farsi una doccia. Avrei potuto seguirlo ma avevo paura di risentire quei rumori strani e sospetti.

E così fu, solo che questa volta riuscii a capire da dove provenissero: aprii la porta d'ingresso e trovai un bimbo magnifico con un sorriso sdentato a sventolare la sua piccola manina.

- E tu che ci fai qui, non dovevi essere dai nonni?

Lo presi in braccio, baciandolo e quando lo lasciai respirare mi rispose – Volevo tornare a casa. 

Rimettendolo a terra, mi accorsi di quanto fosse cresciuto, o forse era una mia impressione: non lo vedevo da quasi ventiquattro ore. 

- Dov'è papà?

Gli indicai il bagno con un cenno del capo e lui corse verso quella stanza, lasciandomi di nuovo sola con le luci intermittenti dell'albero di Natale; mi distesi sul divano, aspettando che Pietro e Alessio venissero a farmi compagnia. Ogni tanto, in sere o giorni come quelli, mi sentivo strana, come se quella che stessi vivendo non fosse la mia vita, come se le scelte fatte fino ad allora fossero state sbagliate o non giuste. Poi però cercavo di non pensarci e giocavo con mio figlio.





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- Stai bene?

Pietro me lo chiese, mentre stavo chiudendo l'ultima valigia. Annuii senza rispondergli, dato che avevo ancora una strana sensazione addosso; speravo che con il viaggio potesse sparire, anche se dubitavo che rivedendo mia madre potessi sentirmi meglio, ma almeno avrei reso felice Alessio.

- Sei sicuro che andrà tutto bene?

Annuì – Ho parlato con tua madre e ha detto che manderà qualcuno a prenderci all'aeroporto.

- Avrei dovuto pensarci io, ma sono stata impegnatissima.

- Non fa niente. – Mi interruppe con un bacio, distraendomi dalle valigie. – Ti farai perdonare in questi giorni. 

Quel sussurro all'orecchio mi fece il solletico e risi, come quando da bambina mio padre giocava insieme a me e a mia sorella nel lettone matrimoniale, come quando ero davvero felice senza nessuna preoccupazione. Lo guardai negli occhi e sospirai: come avevo fatto a innamorarmene così in fretta? Quando era diventato mio?

- A che stai pensando? - Mi chiese, portando una ciocca dei miei lunghi capelli castani dietro l'orecchio.

- A noi due, ad Alessio, a questo Natale... è tutto troppo perfetto.

Sorrise, lasciandomi un bacio veloce sulle labbra – Lo so, te l'avevo promesso che sarebbe stato un Natale da sogno. 

Chiuse le valigie e le nascose sotto il letto, in modo che nostro figlio non le trovasse prima della partenza, poi mi guardò malizioso e capii le sue intenzioni: scappai prima che potesse prendermi e sedurmi come il suo solito. Lo sentivo chiamarmi tra le risate, mi ero nascosta dietro la porta del bagno e speravo non mi trovasse o me l'avrebbe fatta pagare.

Stavo tremendo e il cuore mi batteva all'impazzata, succedeva anche da piccola quando giocavo a nascondino; mi sporsi su un fianco per controllare dove fosse e gridai spaventata quando mi trovai la sua faccia davanti che mi urlava qualcosa.

Scoppiò a ridere mentre io scivolavo lungo le piastrelle tenendo le mani sul petto, sperando che il cuore non balzasse fuori; era piegato in due e gli diedi un calcio nello stinco, per quanto riuscissi a farlo da quella posizione, per farlo smettere.

- Dovevi vedere la tua faccia. - Rise ancora e mi aggrappai ai suoi pantaloni della tuta, tirandoli giù. Il mio intento era quello di farlo abbassare, non di spogliarlo, ma anche in quel modo mi andava bene. Smise di ridere e si inginocchiò davanti a me.

Mi guardò dritto negli occhi, come se mi volesse parlare solo con il pensiero, il suo sguardo era così intenso che mi scombussolò a tal punto da farmi sentire piccola e fuori posto; mi inginocchiai per essere alta quasi quanto lui e, senza interrompere quella connessione, lo tirai a me baciandolo. 

Le sue mani sulle mie guance mi accarezzavano piano e dolcemente, sospirai sulle sue labbra approfondendo il bacio: era come se fosse la prima volta. 

Dei passi mi fecero aprire gli occhi e mi allontani da lui, solo quando sentimmo la voce di Alessio che ci cercava mi ricordai che non eravamo soli in casa e che non potevamo fare come volevamo in ogni momento della giornata; dovevamo stare attenti che nostro figlio non ci beccasse in atteggiamenti poco consoni.

- Perché la mamma ha gridato, prima?

Pietro lo aveva caricato in spalla, portandolo in salotto per giocare con lui, uscendo dal bagno e lasciandomi sola.

- Quando sei grande capirai.

- Ma io sono già grande.

Ero curiosa di quello che si sarebbero detti perché in fondo, dopo tutti quegli anni, ero stupita di come Pietro fosse così bravo a fare il padre; perciò li spiai, appoggiandomi al muretto del corridoio che dava al piccolo salotto: Alessio aveva la testa poggiata sulle gambe del padre, avrei voluto raggiungerli e stare con loro.

- Allora lo capirai quando Viola, la tua compagnetta, ti farà simpatia. 

La smorfia di mio figlio mi fece sorridere. - Lo so cosa vuoi dire: parli di amore. Ma io non ci credo... l'amore è per le femminucce.

- Credi che tuo papà sia una femminuccia? 

Lo prese in braccio, sollevandolo dal divano e iniziando a scherzare in un modo che non approvavo, per questo mi allontanai, non volevo morire d'infarto nel vedere mio figlio penzolare a mezz'aria dalle mani di Pietro, rischiando di rompersi l'osso del collo.

Li amavo così tanto da non sembrarmi possibile, avevo sempre creduto che non potesse esistere l'amore e che, soprattutto, io non fossi in grado di provarlo, invece da quando Pietro era entrato a far parte della mia vita e da quando era nato Alessio, tutto era cambiato, migliorato; a cominciare dal mio modo di vedere le cose. 





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La voce rauca dell'hostess ci consigliava, attraverso l'altoparlante, di allacciare le cinture, di seguire i colleghi che stavano illustrando i metodi di sicurezza e che stavamo per decollare. Ero così eccitata, ma anche preoccupata di tornare in patria, rivedere mia madre e far visitare a mio figlio e a Pietro per la prima volta tutti i luoghi in cui avevo vissuto da bambina. Quest'ultimo guardava fuori dal finestrino, facendo vedere ad Alessio il panorama e le nuvole che pian piano si avvicinavano a noi, assomigliando a della soffice panna montata

- Mamma, mi fanno male le orecchie...

Dopo neanche quaranta minuti di volo Alessio si era steso sul sedile, poggiando il capo sulle mie gambe e lamentando un forte dolore alla testa e alle orecchie; era la prima volta che volava e potevo capirlo perché avevo il suo stesso problema. Gli carezzai la fronte, arricciando i suoi morbidi capelli castani intorno all'indice, era così piccolo e indifeso.

- Mi dispiace tesoro, ma devi resistere.

- Ma mi fa male. 

I suoi occhi lucidi mi strinsero lo stomaco a tal punto che avrei voluto dire al comandante di atterrare subito e farmi scendere; per fortuna intervenne Pietro che lo prese in braccio, distraendolo e consigliandogli di inghiottire ripetutamente, anche a vuoto, in questo modo il dolore sarebbe diminuito.

Dopo qualche minuto, si addormentò in quella posizione, seduto sulle gambe del padre e con la testa poggiata al suo petto: erano bellissimi da guardare. Pietro lo rimise sul sedile, quando l'hostess ripassò per dirci di riallacciare le cinture perché stavamo per atterraresospirai sollevata perché finalmente, scesi da quell'aereo, l'incubo del male alla testa e alle orecchie sarebbe finito.



- Benvenuto a Parigi tesoro.

Alessio aveva la bocca spalancata, i suoi occhi saettavano da un monumento illuminato all'altro: era felice e lo si capiva dal modo in cui saltellava sui sedili posteriori dell'auto e ci ringraziava del regalo più bello che avessimo potuto fargli.

Aveva sempre sognato di andare in Francia, vedere i posti in cui ero cresciuta, parlare la mia lingua e andare a Disneyland Paris; un po' alla volta stavo cercando di realizzare tutti i suoi sogni. 

L'auto si fermò davanti quella che pensai fosse la nuova casa di mia madre; l'ultima volta che ero stata in terra francese avevo diciotto anni e non vivevo certo in un quartiere lussuoso di Parigi. L'autista ci aiutò a tirare fuori i bagagli e portarli in casa: mia madre ci aveva accolto con la sua solita compostezza, riservò un po' più di affetto solo per il suo unico nipote. 

- Alessio comment ça va?- Dopo averlo abbracciato, gli fece una radiografia. - Tu es trop maigre. Emilie, tu le nourris? *

Ovviamente non poteva mancare una critica nei miei confronti che ignorai.

- Bonjour maman.** - Le sorrisi, cercando di nascondere il mio disagio. – Puoi sforzarti di parlare in italiano per favore? Sai benissimo che né Pietro né Alessio ti capiscono. 

La sua smorfia mi fece innervosire e mi trattenni dall'urlarle contro, soprattutto perché mio figlio mi guardava con gli occhi lucidi e felici di chi non sapeva cosa aspettarsi da un momento all'altro.

- Venite, – disse l'arpia a un certo punto, – vi mostro la vostra stanza. 

- Dove dormirò io, nonna?

Le prese la mano, mentre salivamo i gradini di parquet che ci separavano dalla zona notte, e mia madre gli sorrise, rispondendo che avrebbe dormito nella camera più bella che avesse mai visto, e in effetti lo era.

- Wow. 

- Mi hai rubato le parole dalla bocca. 

Lasciai la borsa sul comò ai piedi dell'enorme letto a baldacchino e mi guardai intorno: non avevo mai visto una camera da letto così grande, lussuosa e bella; non potevo credere che avrei dormito là dentro su quel letto, che avrei toccato quelle lenzuola preziose e quei cuscini morbidi. Era tutto troppo... troppo per me. 

- Credevo che esistessero solo nei film queste cose.

Pietro era ancora più sconvolto di me e risi nel vedere la sua espressione sbigottita quando si affacciò dalla finestra e notò lo splendido panorama. Gli fui subito vicino e mi accorsi che aveva tutte le ragioni per esserlo: mia madre aveva fatto addobbare gli alberi del giardino sul retro, erano meravigliosi.

- Chissà com'è la camera di Alessio.

- Chissà com'è morbido il letto.

Urlai felice quando mi prese in braccio e mi lanciò sul materasso: era molto comodo e le coperte profumavano di lavanda e agrumi; mi sembrava d'essere una principessa. Non pensai più all'arredamento della camera quando i baci sul collo di Pietro risvegliarono alcuni sensi che cercavo di tenere repressi. Lo allontanai perché non era il caso di farsi prendere dalla passione in quel momento, con mia madre in giro per casa e con Alessio troppo attivo e felice. 

- Questa notte non mi scappi.

Mi minacciò, mentre raggiungevamo la camera di nostro figlio.

- Lo spero.

La mia risposta lo sorprese a tal punto che non si accorse di una mezza colonna con un vaso sopra e rischiò di farlo cadere: scoppiai a ridere per la comicità della situazione. Pietro che cercava di tenere ferma la colonnina mentre il vaso era in bilico, la sua faccia tra il preoccupato e l'accaldato; l'avrei ricordato per sempre.

- Mamma, guarda che bello il mio letto.

Alessio saltava senza sosta e, guardandolo meglio mi accorsi che indossava un cerchietto con delle corna verdi.

- Ale, non saltare. - Pietro era appena entrato, quindi aveva messo a posto il vaso. - Tra un po' dobbiamo uscire, vai con la mamma a prepararti.

Si fermò solo quando vide lo sguardo duro del padre e si sedette, sbuffando, al centro del letto.

- Dove andiamo? 

- E' una sorpresa.



Alessio amava le sorprese, perciò rimase per tutto il viaggio in auto in silenzio a guardare le strade e cercando di capire dove lo stessimo portando; quando l'auto si fermò in prossimità della Torre Eiffel urlò felice, saltandomi addosso e strozzandomi quasi. Pietro mi salvò da quell'abbraccio omicida, prendendolo e mettendoselo sulle spalle.

- Wow come sei alto. 

Scherzai, accarezzandogli la gamba destra; mi sorrise e strinse le mani del padre. - E adesso dove andiamo? 

- Non possiamo dirtelo. 

Il suo broncio mi fece sorridere, ma sapevo che gli sarebbe passato vedendo quello che lo aspettava: ai piedi della torre stavano addobbando un enorme e maestoso albero di Natale; Pietro lo aveva saputo su internet ancora prima di partire e aveva condiviso con me l'idea di portare nostro figlio lì, insieme ai parigini, ad addobbare l'albero, sapendo quanto amasse farlo. 

La sua piccola boccuccia si trasformò in uno splendido sorriso sdentato quando vide l'abete e capì quello che avremmo dovuto fare; Pietro lo fece scendere e, dopo aver dato la manina a entrambi, ci avvicinammo a passo svelto verso la méta, impazienti di accontentarlo.

- E' bellissimo. 

Mi strinsi ancora di più a Pietro, mentre Alessio appendeva le palline ai rami più bassi.

- E' romantico. - Mi rispose, baciandomi una guancia – Non credevo potessi cambiare in questo modo.

Feci spallucce e lo abbracciai, guardando nostro figlio fare amicizia con altri bambini, era tutto così meraviglioso da non sembrarmi vero.





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La mattina di Natale mi aveva sempre emozionato, sin da bambina; spesso non dormivo la notte al pensiero che Babbo Natale avrebbe messo tutti quei regali sotto l'albero e poi sarebbe andato via, innanzitutto perché ero curiosa di scartare il mio regalo, in secondo luogo perché avevo il timore che rubasse qualcosa da casa nostra, essendo comunque uno sconosciuto. 

Alessio era come me.

Quando scesi al piano di sottolo trovai seduto sulla poltrona a fissare i regali; gli scompigliai i capelli, dopo avergli dato il bacio del buongiorno.

- Dovresti bere il tuo latte o si fredda.

- Quando li posso aprire?

Anche Pietro ci raggiunse, sedendosi accanto a lui, e mi guardò, cercando un mio consenso e, non appena lo ebbe, gli porse uno dei tanti pacchetti.

- Adesso. 

L'urlo di Alessio fece precipitare il maggiordomo e mia madre in salotto, affannati dalla corsa e preoccupati. Quando si accorsero che stavamo aprendo i regali si rilassarono, tornando alle proprie faccende; pregai mia madre di restare con noi per condividere quel momento importante e non se lo fece ripetere due volte.

Gli occhi azzurri e vivaci di mio figlio guardavano meravigliati il pacchetto appena scartato e, quando realizzò che quei Lego fossero davvero i suoi, iniziò a saltellare per la stanza, ringraziando tutti: era stato un regalo di mia madre.

- Grazie nonna, grazie, grazie, grazie.

- Babbo Natale mi ha detto di dartelo al posto suo.

Dovevo ammettere che mia madre con Alessio si comportava in maniera diversa: era gentile, buona, amorevole; non lo era mai stata con me e con mia sorella e di questo ne ero felice perché avevo paura che trattasse mio figlio con la stessa freddezza con cui aveva cresciuto me, ma per fortuna non era così

- Questo te lo manda la zia da New York. 

- Non sapevo che Eléonore partecipasse al momento regali. – Dissi a mia madre che mi sorrise entusiasta nel vedere il suo primo e unico nipotino scartare, curioso e felice, i pacchetti. - Che cos'è Ale? 

- La pista, quella che volevo io. - Corse ad abbracciarmi – Grazie mamma, è tutto bellissimo.

- Manca ancora il nostro regalo. - Pietro si alzò dal divano, tirando fuori dal centro dell'albero una busta bianca. - Aprila con attenzione e leggi cosa c'è scritto.

Le mani di Alessio tremavano per l'emozione, perciò lo presi in braccio, mettendomelo sulle ginocchia e aprii la busta insieme a lui. In fondo era un regalo per tutta la famiglia.

- E' tutto in francese. - Una parola in particolare attirò la sua attenzione e sgranò gli occhi – EuroDisney! Andremo a Disneyland? 





Mi guardavo intorno meravigliata, non ero mai stata in un posto del genere, non avevo mai visto castelli, principesse e giostre giganti; adesso capivo perché mio figlio aveva espresso, così tante volte, il desiderio di visitare quel posto.

- Voglio andare lì sopra e là dentro. Poi voglio fare la foto con Topolino e poi...

La risata di Pietro mi strinse lo stomaco in una morsa: accidenti quant'era bello. - Con calma faremo tutto, non preoccuparti. 

- Mamma, hai una faccia! Stai male?

Negai – E' tutto meraviglioso qui.

- Lo so. 

Saltellava felice, stringendo le nostre mani. Scambiai uno sguardo d'intesa con Pietro, anche lui aveva una strana luce negli occhi, come se quel luogo fosse un mondo a parte, un sogno che stavamo vivendo tutti insieme: sarebbe stato un peccato svegliarsi proprio in quel momento ma almeno avremmo avuto la consapevolezza di averlo vissuto tutti e tre insieme.

- Voglio salire qui. - Batté i piedi, facendo i capricci

- Non puoi, non sei alto abbastanza, vedi?

Mi avvicinai a quei due che litigavano come se entrambi avessero sei anni e spiegai, da buona madre, la situazione; Alessio sembrò capire e, dopo avermi presa per mano, ci dirigemmo verso il castello di Cenerentola e il Disney Store. 

- Sei una buona mamma.

 Il sussurro di Pietro mi fece sorridere e rabbrividire; eravamo in fila, attendendo il nostro turno, per il castello. Lo guardai per qualche secondo, era così bello da togliere il respiro e lo baciai: un bacio leggero e casto perché eravamo pur sempre circondati da bambini. Quando mi staccai un raggio di sole mi colpii in viso, costringendomi a chiudere gli occhi; riaprendoli quello che vidi mi sorprese e destabilizzò.

Non ero a Disneyland, non c'era nessuno accanto a me, ero da sola nel mio letto. 

Nessun Pietro e, peggio ancora, nessun Alessio: era stato tutto un sogno, uno dei più belli che avessi mai fatto.











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Non sono a casa mia ma sono in vacanza dai miei parenti paterni, sto rubando la connessione di mio cugino e non so quanto tempo ho, perciò scusate gli spazi e la brutta impostazione: non ho tempo!


Ok, devo scappare o mi date il tempo di spiegare un po' di cose?
Sì, era un sogno e NO NON SI INSERISCE IN NESSUNA PARTE DELLA STORIA. Non è un missing moment ed Emily non sa dell'esistenza di questo sogno.
Però ci sono tanti indizi sparsi che spero abbiate colto ma che non vi dirò. (sì sono cattiva! u.u )
Dunque, non so bene cosa dire senza essere odiata ma dai, si capiva che era un sogno: i suoi sbalzi d'umore, la musica proveniente dal nulla, i rumori strani, il tempo e i luoghi che saltano di continuo...
Forse non è una versa e propria OS sul Natale ma volevo dare una visione diversa di Emily e Pietro, introducendo una nuova figura – Alessio. PECCATO SIA UN SOGNO. *risata sadica *
Ma la vera domanda è, perché Emily ha fatto questo sogno? Cosa rappresenta ogni parte? E chi è Alessio, o meglio, cosa è?
Passiamo alla parte più tecnica/noiosa:
* Come stai Alessio? Sei troppo magro. Emily, gli dai da mangiare?
Nonostante il nome di Emily sia americanizzato, sua madre la chiama con l'accento francese.
** Ciao mamma.
(Non studio francese, perciò se sbaglio è colpa di google!)
Non sono mai stata a Parigi e non so se per Natale fanno un albero ai piedi della torre Eiffel ma, essendo questo un sogno di Emily, tutto le è concesso, tanto sono solo proiezioni del suo subconscio. (Inception docet!)
E basta.
Grazie mille a Elle per aver avuto la pazienza di correggere questa fluffosità!
Vi auguro un bellissimo, dolcissimo, grassissimo Natale: mangiate, cantate, state con le vostre famiglie, uscite e divertitevi con i vostri amici; insomma, fate tutto ciò che io non potrò fare perché sarò dai miei parenti paterni (bleah!)
Alla prossima e :

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