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Autore: Sam Lackheart    24/12/2012    2 recensioni
Non sapeva spiegarsi che cosa l' avesse spinto ad accettare l' invito di Alfred. A lui neanche piaceva, il baseball.
Aveva delle regole assurde che lui non voleva neanche provare a capire, ma sembrava davvero che lui ci tenesse molto, e quando voleva riusciva ad essere davvero irritante, con la sua vocina acuta che ben contrastava con la sua fisicità massiccia - per non dire inquietante.
[L' ennesimo polpettone USUK, forgive me.]
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non sapeva spiegarsi che cosa l' avesse spinto ad accettare l' invito di Alfred. A lui neanche piaceva, il baseball.
Aveva delle regole assurde che lui non voleva neanche provare a capire, ma sembrava davvero che lui ci tenesse molto, e quando voleva riusciva ad essere davvero irritante, con le sua vocina acuta che ben contrastava con la sua fisicità massiccia - per non dire inquietante.
"Sei pronto?" chiese, scocciato, appoggiato alla porta del bagno.
"Rilassati, non cominceranno senza di noi. Siamo gli ospiti d' onore!"
L' inglese sospirò, guardando il suo orologio. Era perennemente in ritardo. Doveva aggiungerlo alla lista mentale dei suoi difetti, pensò, appoggiando distrattamente la fronte sulla porta. Prima o poi quel ragazzo l' avrebbe mandato al manicomio. 
"L' eroe è prooooonto!" nonostante l' urlo poderoso di Alfred, Arthur non fu abbasanza veloe da scansarsi dalla porta e, quando quest' ultima si aprì rumorosamente, cadde rovinosamente sul pavimento del bagno, a faccia in giù.
"Oddio! Arthur! Stai bene?" chiese seriamente preoccupato l' americano, porgendogli il braccio per aiutarlo ad alzarsi.
"Idiota di un americano, certo che sto bene, non sono mica un bambino" sbraitò poco elegantemente l' inglese, mettendosi a sedere in fretta, scocciato dalla presenza ingombrante del corpo dell' americano.
"Potresti gentilmente toglierti dalle scatole?! Siamo già abbasanza in ritardo!"
"Arthur ... stai sanguinando" disse pietrificato Alfred, sfiorandogli la fronte.
Arthur si alzò di scatto, specchiandosi sempre più infastidito. Aveva un taglio nella parte superiore della fronte - niente di preoccupante - ma dalla faccia biancastra dell' americano sembava gli avessero staccato un braccio a morsi.
"Solo un taglietto, non muoio mica. Dove sono i cerotti?" chiese, corciandosi le maniche e togliendo il sangue dalla fronte.
Alfred si alzò e prese una piccola valigetta di metallo dall' armadio vicino allo specchio e glielo porse, senza dire una parola. Era la prima volta che lo vedeva così taciturno.
Applicandosi un piccolo cerotto color carne, Arthur non potè fare a meno di buttare un' occhiata sul volto dell' americano: era ancora preoccupato, ma non riusciva a capire il perchè. Poi, come un fulmine, si ricordò di una labile promessa fatta in un giorno come tanti ad una picola colonia spaventata ...
[...]
"Arthur?! ARTHUR!" urlava la piccola colonia: aveva visto Inghilterra entrare di corsa in quella stanza che - da quel che poteva ricordare - non era mai stata aperta.
Non ottenendo risposta, decise di farsi coraggio ed entrare di nascosto. 
La stanza era semi vuota: solo un piccolo lettino al centro, con un armadio ad ogni angolo. Ma l' attenzione del piccolo Alfred era totalmente rivolta al lettino; su di esso giaceva un Arthur pallido, con il petto e le braccia solcate da profonde ferite, mentre sopportava in silenzio le medicazioni di un uomo che Alfred non aveva mai visto prima, chiaramente un medico.
La piccola colonia non sapeva cosa fare: non l' aveva mai visto in quello stato - nessuno l' aveva mai visto così ... vulnerabile, indifeso e senza forze. 
Stava per uscire senza far rumore, ma urtando un piccolo mobiletto cadde a terra, facendo voltare Arthur che, spaventato ed imbarazzato, al limite delle forze, non sapeva cosa dire.
Alfred scoppiò in lacrime - di paura, di delusione e di una tristezza che non aveva mai provato prima - e uscì di corsa dalla stanza, andandosi a rifugiare nella sua stanza, mentre Arthur sveniva a causa del dolore causatogli da un colpo di pistola penetrato troppo in profondità che il medico cercava di estrarre limitando l' emorragia. 
Mai regnò così tanto silenzio nel castello inglese come in quella giornata; la nottata passò tranquilla, interrotta da qualche singhiozzo represso proveniente dall' ultima sala dal primo piano e dai gemiti di dolore provenienti dall' infermeria.
La mattina dopo, pieno di bende e ancora dolorante, Arthur decise di andare a cercare la sua piccola colonia: non era abituato a così tanto silenzio. Lo trovò nella sua stanza, sfinito ma sveglio, a guardare fuori dalla finestra con un' aria di grave tristezza che male si addiceva ai suoi lineamenti paffuti.
"Alfred ..."
"Chi è stato a farti quelle cose?"
"Mi dispiace che tu abbia dovuto vedere tutto questo. Ma devi imparare che quando ... non vivrai più qui dovrai imparare a difenderti, e queste ... cose possono capitare, se non si sta attenti" faticava a parlare a causa delle ferite e di tutto il sangue perso; comunque non era facile spiegare ad un bambino come funzionasse la guerra.
"Oh, no! Io non me ne andrò mai da qui! Mai! Non posso abbandonarti!" disse deciso Alfred, buttandosi tra le braccia del più grande che, sorridendo, lo strinse delicatamente a sè.
"Ti prometto che non sarai più costretto a vedere quello che hai visto ieri. Te lo prometto"
E l' inglese aveva mantenuto la promessa, almeno fino a quando non fu proprio l' americano ad infliggergli la ferita più grande - da quel giorno quella promessa finì accantonata in un angolo remoto della sua memoria.
[...]
"Tutto bene?" chiese l' inglese, mancando però quella volta il tono irritato: si stava davvero preoccupando - rimaneva sempre la sua colonia, e gli aveva fatto una promessa, e per la prima volta riuscì quasi a dimenticare il dolore che proprio lui gli aveva inflitto. 
Per tutta risposta l' americano gli si gettò tra le braccia, stringendolo forte e nascondendo la faccia nell' incavo del suo collo - come faceva quando era piccolo: ma lui era cresciuto, anche se non sembrava rendersene conto, qulche volta, e rimpiangeva segretamente il suo periodo coloniale, quando era al sicuro e con lui. 
L' inglese non sapeva cosa dire, per una volta stupito - e non scocciato - dal contato fisico con l' americano che, con lo sguardo spento, sentiva la vecchia sofferenza rinascere, nonostante l' avesse ormai dimenticata come si dimentica una cicatrice poco visibile.
"Non pensi che sia passato un bel po di tempo? Dovresti iniziare a dmenticarle, certe cose" disse a mezza voce l' inglese, passando delicatamente la mano sull' ampia schiena dell' americano.
"L' avevi sempre mantenuta, quella promessa"
"Non sono onnipotente, e poi neanche tu sei un mestro se si parla di mentenere le promesse"
"Sai, a volte penso che sarebbe tutto più facile se non fossi indipendente. Ma poi mi ricordo di tutte quelle persone che hanno combattuto per la libertà, e mi acorgo di essere estremamanete egoista. Ma il problema di fondo è che l' amore rende egoisti, soprattutto se si parla di amore verso irritanti e scorbutici inglesini maldestri"
Arthur si distaccò di botto dall' americano, guardandolo storto, mentre questi sorrideva, come fosse la cosa più naturale del mondo.
"Io ... non sono maldestro!" urlacchiò, prima di usire dal bagno, seguito a ruota dall' americano che cercava inutilmente di reprimere un sorriso. 
 
Per quanto la partita fosse esaltante - almeno per Alfred - Arthur non disse e mosse un dito per tutta la partita, lanciando solo qualche occhiata bieca ai suoi vicini e sospirando rumorosamente ogni tanto - ma cosa poteva fare un inglese sospiro di irritazione contro la confusione americana di uno stadio di baseball?
"Potresti anche far finta di divertirti, sciocchino! Mica ti ho portato qui per vederti con questo muso"
"Cos' altro c' è da fare? Dovrei mettermi ad urlare come un ossesso come fai tu?"
"No, ma almeno goditi l' intervallo, ti prometto che non urlerò"
Per farlo contento cercò di concentrarsi sulle immagini che il grande schermo vomitava - pubblicità di birra e strani video su cani obesi - quando scoppiò un turbinio di cuoricini e labbra rosa schoking e per poco non gli venne un infarto.
"Ma che cos'è?"
"Kiss cam" disse veloce l' americano, concentrandosi come se fose la cosa più importante del mondo. Arthur non riuscì a ricordare l' ultima volta che l' aveva visto ... così.
Di scatto l 'americano si voltò, troppo in fretta per lasciar tempo all' inglese di distogliere lo sguardo. Aveva una strana quanto inquietante luce negli occhi, che non faceva presagire niente di buono.
Appena Alfred ammiccò verso lo schermo, Arthur sentì la paura impossessarsi del suo corpo: girandosi, confermò tutti i suoi sospetti, ritrovandosi davanti la sua faccia ingrandita che lo fissava con lo stesso sguardo allibito.
Dallo schermo vide che Alfred si era avvicnato al suo orecchio
"Scusa, ma non c'è proprio tempo per il romanticismo, il pubblico ci vuole" sussurrò, prima di avventarsi sulle sue labbra, ancora contratte in un' espressione perplessa e vagamente irritata.
Lo stadio esplose in un boato assordante mentre l' inlglese cercava inutilmente di liberarsi dalla morsa dell' americano. Da quando era diventato così forte?
"E dai, è stato solo un bacetto innocente ..." cercò di dire Alfred tra le lacrime, mentre cercava di starre dietro a quella furia inglese che si faceva strada tra la folla fuori dallo stadio.
"Un bacetto innocente?" sbraitò Arthur, avvicinandosi pericolosamente al suo volto "Un bacetto innocente?" ripetè a bassa voce, per non farsi sentire da nessuno "Devo ricordarti che mi sono ritrovato la tua lingua in posti della mia bocca che non pensavo neanche esistessero?"
"Esagerato ... E poi non ti facevo così puritano, insomma, ne ho sentite delle belle da Francis quando facvi il pirat-"
"NON NOMINARE QUEL VINOFILO DEL CAZZO!" urlò in libertà, adesso che erano arrivati nel parcheggio deserto dove poteva sfogarsi come si deve "Sono già abbastanza irritato"
"E quando non lo sei?" chiese tranquillo Alfred, avvicinandosi alla macchina.
"Sei così irritante che ti strozzerei" sibilò Arthur, incrociando le braccia.
"Mi strozzeresti?"
"Con tutta la forza che ho"
"Quindi ..." cominciò l' americano, voltandosi di scatto "Se io mi avvicnassi, diciamo, così ..." prese i fianchi dell' inglese e li avvcinò delicatamente ai suoi " E se mi mettessi alla tua altezza" abbassò il volto fino a ritrovarsi davanti la faccia porpora dell' inglese "L' unca cosa che ti verrebbe in mente sarbbe quella di strozzarmi?"
"Di ucciderti, seppellirti e strozzarti" rispose serio l' inglese, deviando lo sguardo turchese di Alfred "Ovviamente non in questo ordine"
"Peccato, perchè a me viene in mente un' altra cosa ..." gli sussurrò all' orecchio, mentre lo spingeva verso il muro più vicino, con una risata cristallina che ben contrastava con i balbettii confusi di Arthur. 
No, il baseball non gli piaceva nenche un pò. 
Ma in fondo, e solo in fondo, il dopo partita era stato ... piacevole
  
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