È una cosetta da poco che ho scritto per l’iniziativa
“Black Madness? Black present!” che abbiamo
organizzato sul forum sasusaku, qui.
Ne ho scritte altre due (quasi) e devo
aggiungerne un’altra. Questa mi sembra l’unica decente però quindi su efp ho deciso che per ora mi limito a usare questa per gli
auguri.
Il prompt è della mia
socia ~
A e r i t h: “Solo l’amare, solo il conoscere conta, non l’aver amato, non
l’aver conosciuto” (Pasolini). Ovviamente non sono riuscita a centrarlo in
pieno, ma lei sarà tanto buona da perdonarmi quando leggerà.
Tanti auguri a tutti!
Io ti seguirò
Alla socia, trottolina pelosa
collega di coccole malefiche.
Anzi, collega in tutto. ♥
Il buio delle prime ore della notte
arretrava dinanzi alle luci che addobbavano le case tutt’intorno. Era
impregnato di voci morbide, a tratti stridule, che rincorrevano risatine
sottili e urla di bambini. Ogni tanto la filodiffusione incespicava, ma nessuno
se ne accorgeva. Erano tutti chiusi in casa, immersi nel bagliore emanato da
qualche candela profumata e dalle luci sistemate nelle ghirlande, sugli abeti.
Sasuke era seduto scompostamente su una
panchina di fronte alla nuova casa di Naruto, i gomiti posati sulle ginocchia,
i polsi tesi, le dita intrecciate. Ciocche scurissime gli coprivano gli occhi,
sembravano della stessa sostanza della notte – il viso di Sasuke pareva
nascosto dietro un mistero infinito, eterno.
Sakura pensò che però il buio della notte
aveva qualcosa da invidiargli: ed era la vita, quel velo di struggimento che si
posava lieve sulla sua pelle chiara, sul fondo dei suoi occhi, e li occultava
con quella sfumatura particolare che si trova solo negli occhi di chi ha amato
per anni senza conoscere alcun limite. Avrebbe voluto avvicinarlo subito,
ridente, con un bastoncino di zucchero tra le dita così dolce da far
dischiudere le sue labbra in un sorriso. Avrebbe voluto parlargli con voce
squillante, minacciarlo con un po’ di scherno e un po’ di serietà, non
lasciargli alcuno scampo e riportarselo dentro, al caldo, insieme a tutti loro.
Sakura invece scoprì che non sarebbe mai
riuscita a fare qualcosa del genere, non quando a frenarla c’era il desiderio
martellante di capire cosa lo trattenesse tanto lontano dal resto del mondo.
Voleva capirlo. Non riusciva più a
ricordarsi un momento della sua vita in cui tentare di capire Sasuke e seguire
il proprio cuore non fossero la stessa cosa.
Gli si avvicinò con passo lieve,
misurato. Sfiorò la seduta della panchina: la pietra era fredda e molto
polverosa. Nonostante lo yukata di panno elegante, si
sistemò accanto a Sasuke ripulendosi un po’ le mani.
«È bello anche qui» considerò, senza
alcuna logica particolare. Non si aspettava nessuna risposta, perciò si
abbandonò ancora un momento all’abbraccio della notte, sospirando – c’erano
braccia più solide e più lievi accanto a lei, ma raramente l’avevano tenuta
stretta come si stringe il cuscino nelle notti insonni. «Avevi bisogno di un
po’ d’aria?»
Sasuke annuì senza voltarsi, incassò
appena la testa nelle spalle.
«Ti sei perso i tentativi imbarazzanti
di Naruto per far bere Hiashi-san», continuò lei, «e
Sai che a un certo punto gli ha detto che i suoi sorrisi sono falsi pensando di
farselo amico, e poi Shikamaru…»
«Non mi interessa».
«Lo so», sfiatò lei, dopo la sua
risposta secca. «È solo che… se continuo a renderti partecipe forse un giorno
diverrai curioso… almeno un po’».
Sasuke sollevò lo sguardo: era ostinato,
forse anche selvaggio, come ferino nel modo in cui tratteneva la rabbia per
colpire meglio. «E come pensi di coinvolgermi in quel mondo, Sakura? Non vedi
che sanno solo ridere e ridere… e coprirsi la bocca
con le dita anche se prima si lamentavano che fossero sporche dei fiori che
hanno posato sulla tomba di un padre o di un fratello o… è raccapricciante».
Sakura si sentì tremare, ma riuscì a
ricomporsi in pochi istanti, raddrizzando le spalle. «Parli così perché non
capisci».
«Potrei dirti la stessa cosa» osservò
lui, con voce fredda.
«Potresti, l’hai fatto tante volte»,
ribatté lei, drastica, prima di abbassare i toni, pronunciare le parole in
quella maniera carezzevole che le veniva naturale solo con lui. «Dimostreresti
che negli ultimi mesi non è cambiato niente, a dispetto di quanto mi piacerebbe
pensare».
Sasuke distolse lo sguardo in un lampo,
voltò il capo dall’altra parte. In qualche istante però si calmò, aveva smesso
di devastarsi i palmi con movimenti febbrili delle dita.
«Negli ultimi anni ho fatto la stessa
cosa, Sasuke-kun. Lo so, non era morto nessuno, ma tu non c’eri e per me era… era come camminare sempre col fiato della morte sul collo.
Ogni notte mi chiedevo se fossi stato abbastanza forte da sopravvivere a un
altro giorno, ma soltanto quando ero sola. Davanti agli altri tu per me eri il
motivo per cui mi allenavo, eri solo la mia forza e non anche la mia debolezza.
Non sai quante feste ti sei perso nel villaggio e io ho riso a ogni festa.
Qualche volta ridevo grazie a un po’ di sake, qualche
volta mi veniva naturale. Ma tutto questo non lo facevo perché ne sentissi il
bisogno o perché ne avessi voglia…»
«È sbagliato Sakura».
«Lo facevo perché le persone che mi
erano vicine avevano bisogno di vedermi ridere», continuò a spiegare lei,
intenta. «Lo so, a guardarli tutti ora, chi ride, chi si apparta in un
angolino, chi pensa alla nuova ragazza o a qualche amico…
lo so, sembra che conti soltanto l’amore di oggi, come se l’aver amato in
passato qualcuno che ora non c’è più non conti niente…»
«Sakura…»
«Ma non è così. Conta. Solo che non c’è
niente di male a mettere tutto da parte ogni tanto».
«Questo lo dici tu», ribatté lui,
compunto.
«E per te non conta niente quello che
dico io?» Sakura trattenne il fiato quando gli pose quella domanda. Le
tremarono le gambe nell’istante stesso in cui si alzò di scatto dalla panchina.
La certezza che non avrebbe ricevuto alcuna risposta rischiava di scavarle un
buco dentro, di svuotarla di ogni speranza. Si sentiva sfibrata, nuda in un
campo di spine in cui ogni spina era uno dei silenzi di Sasuke.
Riuscì a fare pochi passi prima di
lasciarsi fermare dalla sua voce.
«Sakura».
L’aveva già sentito una volta quel tono.
Era basso, definitivo come la morte e come le promesse di Sasuke. Era anche
gentile, vicino, vicinissimo. Sasuke il suo nome gliel’aveva soffiato sul collo
come una notte di tanti anni prima.
Lei fece per voltarsi, senza sapere bene
cos’altro fare. Voleva solo abbracciarlo, chiudere gli occhi, sospingere il
viso contro la sua pelle. Ma lui fu più veloce. Le bloccò il viso con una mano
rapida e la costrinse nella stessa posizione di poco prima, con lo sguardo
rivolto davanti a sé.
«Tremeresti così se avessi messo da
parte il passato?»
Sakura scosse il capo, tentando di
cacciare indietro le lacrime, divisa tra ricordi che facevano male: con uno era
come pungersi sulla punta di un arcolaio dopo aver tessuto una tela
meravigliosa, con l’altro era come lasciarsi penetrare da una lama
affilatissima, spietata.
Saperlo dietro di sé le ricordava il
modo in cui l’aveva ringraziata e il modo in cui aveva tentato di ucciderla.
Nel momento in cui Sasuke fece per ritirare la mano dal suo viso, tuttavia, Sakura
capì quale fosse l’unico ricordo in cui era giusto indugiare senza farsi troppo
del male. Capì – ed era come se l’avesse sempre saputo – capì quale ricordo
fosse vero, in quale ricordo ci fossero solo loro due, distanti dai problemi
del mondo, dalla pazzia complice di un dolore insopportabile.
Sakura,
grazie.
«Non ti allontanare», gli disse, e non
sembrava una preghiera ma un ordine soffice, a cui non si può sfuggire per
l’inesorabilità della sua dolcezza. Sakura posò una mano sulla sua,
sospingendola contro il proprio viso nonostante fosse gelida, nonostante i
brividi. Arretrò di un paio di passi fin quasi a sfiorargli il petto con le
spalle. Afferrò il braccio che Sasuke aveva abbandonato lungo i fianchi, ne
saggiò la morbidezza della pelle sul polso e gli carezzò il dorso della mano.
Intrecciò le dita alle sue e si lasciò circondare rifugiandosi nella piega del
suo gomito, piano. Attraverso la stoffa dello yukata
sentì i suoi polpastrelli gelidi che premevano appena sul suo ventre.
«Se non posso tornare dentro a ridere
insieme agli altri almeno stammi un po’ vicino», alitò, quasi insidiata, ma
solo per finta.
Sasuke restò immobile, il respiro
tranquillo. «Non devi farlo per i tuoi amici, Sakura».
Le
persone che mi sono vicine hanno bisogno di vedermi ridere.
E
io…
Sakura si voltò lentamente verso di lui,
le sue dita le scorrevano sul mento senza che lei dovesse ancora guidarle. «Ma
io voglio sorridere, almeno
sorridere, voglio trovare qualche ragione per farlo e non voglio sentirmi in colpa…». Sakura rifugiò per qualche momento il viso sul suo
petto, poggiò la fronte contro il suo collo, lo sfiorò con le ciglia, le
palpebre chiuse, la punta del naso. Quando si sollevò ancora un po’ per
poggiargli le labbra sulla pelle, si ritrovò a strofinarle contro quelle di
Sasuke. Pensò distrattamente che forse era stato lui a baciarla, lo sentiva nel
modo in cui lui aveva preso a indugiare sul suo labbro inferiore. Con dita
leggere come ali di farfalla la intrigava e la invitava a inclinare il viso
fino a quando non lo posò sulla sua spalla. Sakura sorrise sulla sua bocca,
senza nemmeno rendersene conto. Le venne naturale, come il pensiero che
riusciva a respirare un poco meglio quando si nutriva della sua stessa aria. Le
permise di scoprire qualcosa di ammaliante, ma che in fondo aveva sempre
intuito: c’era una devastazione tale in lui che gli ricordava costantemente
quanto il mondo fosse spregiudicato; eppure Sasuke era ancora capace di far
sorridere qualcuno.
«Vorrei riuscirci con la stessa
facilità». Quando Sakura riaprì gli occhi lo trovo un po’ accigliato.
Desiderava
farlo sorridere con la stessa facilità, ma le sembrava una possibilità così
remota da appartenere solo al mondo vaghissimo dei sogni.
«Vi date una mossa? Fra poco si aprono i
regali!» li richiamò Naruto da lontano, con le mani a fiasco intorno alla
bocca. Prese anche a sventolarle per essere certo di farsi notare.
«Arrivo» gli urlò in risposta Sakura,
passandosi le mani sullo yukata per rimediare a
qualche piega di troppo. Quando sollevò di nuovo lo sguardo si accorse che
Sasuke era già un po’ lontano. E camminava verso la porta in cui era sparito
Naruto, verso la festa.
«Dove vai?»
Sasuke sbuffò, voltandosi solo a metà.
«Non eri venuta a lamentarti con lo scopo di trascinarmi dentro per
sfinimento?»
«Più o meno, sì, ma…»
«E allora muoviti».
Sakura accelerò il passo per portarsi di
nuovo al suo fianco. «Ma adesso stai andando troppo di fretta» si lamentò,
suonando quasi petulante perfino a se stessa. Gli afferrò il polso per
assicurarsi che stesse a sentirla, ma si rese conto che lui era già fermo, in
attesa di spiegazioni. «Come mai hai cambiato idea così velocemente?»
«Non ho cambiato idea» rispose,
riuscendo anche a guardarla con condiscendenza.
«Prima non volevi entrare», gli fece
notare lei, ragionevole.
«Sakura» lo sentì pronunciare il suo
nome un po’ immusonito, con lo sguardo obliquo, posato altrove. «Io lo so cosa
significa rincorrere per anni qualcuno», disse, quasi sfinito per lo sforzo di
farle quella confidenza, «lo so come va a finire. Quando lo trovi…
non è che vuoi essere inseguito per invertire finalmente i ruoli, però vorresti
che ti seguisse, almeno per una volta» mormorò, quasi perso.
Sakura non faticò a vederlo camminare
per le strade di Konoha e lungo viali sconosciuti con
solo la figura di Itachi negli occhi. Non aveva fatto altro che inseguirlo, per
odio e per amore, fin quando l’odio e l’amore non erano diventati la stessa
cosa, e allora lui era stato quasi sul punto di soccombere. Fin quando non
aveva fatto l’ultimo passo verso Itachi, prima di arretrare un po’ senza
aspettarsi che lui lo seguisse almeno l’ultima volta.
Itachi però l’aveva fatto, e si erano
salvati entrambi.
Quello che Sakura stentava a vedere era
un’immagine nuova, soave: gli occhi di Sasuke posati costantemente su di lei,
con la promessa taciuta, intesa, che l’avrebbe seguita per il resto dei suoi
giorni.
«Quindi io entro e tu mi segui senza
sparire all’improvviso?» considerò lei, compiaciuta, senza riuscire a impedirsi
di abbracciarlo.
Sasuke non si mosse, e soltanto dopo qualche
istante le posò lentamente le mani sulle braccia. «Guarda che la festa è
dall’altra parte», disse, col viso un po’ rosato e i richiami squillanti di
Naruto nelle orecchie.
Sakura si allontanò tentando di darsi un
contegno: non si era accorta che non fossero soli e soprattutto non sapeva come
fosse possibile che all’improvviso la festa non le sembrava dentro, ma ovunque.
Si avviò con Sasuke verso l’entrata con
passo sostenuto senza dirgli altro. Riuscì a godersi anche qualche minaccia e
un paio di uscite tendenziose di Naruto, che a quell’ora trovava lo spirito di
far notare al suo presunto migliore amico che non sapeva nemmeno dove mettere
le mani quando una ragazza lo abbracciava, mentre Sasuke di tutta risposta gli
faceva notare che se si ricordava l’occhio nero di un paio di giorni prima
poteva almeno capire che lui sicuramente sapeva dove mettere le mani quando
qualcuno sparava idiozie.
Intanto però continuava a seguirli
entrambi.
E Sakura, scrutando di nascosto nei suoi
occhi per un’ultima volta, notando come li guardava, si chiese se per caso la
festa non fosse addosso a lei e a Naruto.