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Autore: Ipossia    24/12/2012    1 recensioni
Questa è una storia-regalo. Regalo di Natale, ovviamente. Ciò che leggerete, se avrete voglia di leggere, è un racconto dove i personaggi e la trama sono già intrecciati, quindi forse certe sottigliezze potrebbero essere difficili da comprendere. Per quanto riguarda la storia ufficiale, ci sto lavorando. Ho messo noir come genere perchè è quello che più si avvicina alla storia nella mia testa, poi però alla fine non risulta molto nero. In ogni caso, buona lettura.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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A Bea e alla sua immensa pazienza, Buon Natale. <3


Un corridoio, nero, lungo. Non si vede nulla, ma sai che è un corridoio. Come? Bella domanda.
Continui a correre; stavi correndo? A quanto pare sì. I passi si susseguono, non li senti nemmeno, come non senti la fatica
alle gambe il respiro corto in gola il pulsare del sangue nelle vene. Non senti nulla, corri e basta.

Torni a vedere qualcosa. A percepire, più che vedere. Non sai più se stai davvero vedendo qualcosa o se no.
Vedere. Com’è che si vede? Non lo ricordi più. Freddo, fa freddo. Più della neve, più del ghiaccio, più del nero del corridoio senza fine.
C’è luce ora, ma è luce più fredda di quanto ti aspetti. Ti sei fermato. Quando, non lo sai.
Ti guardi intorno, non c’è nulla. Non si vede nulla. No. C’è qualcosa qualcuno. Non sei più nel nulla ora.
Tu e il qualcosa qualcuno siete da qualche parte. Dove non lo sai, ma da qualche parte. Una città?
Forse. Gente che cammina intorno a voi. Ora non siete più soli. Il qualcuno qualcosa è davanti a te, poi scompare, tra la folla.
C’è qualcos’altro ora, qualcun altro. Lo riconosci. La folla si fa più frenetica.
Lo guardi. Siete in una stanza, vuota, fredda. Ansia. E’ una di quelle stanze che portano ansia.
Alza il braccio verso di te, lo vedi chiaramente, anche se non sai se stai vedendo davvero. Vuoi avvicinarti, vuoi cedere all’invito di quel braccio conosciuto.
Allunghi il tuo braccio. Non fai in tempo. La parete diventa nera, un buco un foro uno squarcio che ingoia anche la luce.
Ingoia la stanza la polvere i mattoni. Ingoia lui. Non fai in tempo a dire nulla,
a fare nulla. Ansia. Paura. Rimani solo tu, ora.

 
Nero. Profondo, avviluppante nero. Muovo gli occhi, cercando di capire dove mi trovo. Qualche secondo, e capisco. Sono nel letto. In camera, la mia camera, e quello che ho fatto era solo un sogno. Un fottutissimo sogno. Respiro, una due tre volte, cercando di riportare alla calma quel battito che malgrado tutto è aumentato un po’ troppo. Passo una mano sulla fronte, scostando di malavoglia qualche ciuffo, mentre la luce della luna si fa strada tra le nuvole infiltrandosi nelle finestre della stanza; illuminando l’arredamento essenziale, gli armadi, le tende, le lenzuola.
 Nyal.
 Il mio sguardo è vagato fino a posarsi su di lui, di fianco a me. Sta dormendo, è ancora notte dopotutto.
Socchiudo gli occhi, facendo avventurare una mano fuori dalle lenzuola per sfiorare la sua guancia, tiepida. La luce soffice della luna illumina quello che sul mio volto dovrebbe essere un accenno di sorriso, seppur con un velo di sonno.
Riporto la mano sotto le coperte, al caldo, tirandole fino a coprirci per bene. Malgrado il riscaldamento, la stanza è comunque fresca, anzi fredda, e il calduccio sotto la coltre di lenzuola e coperte è innegabilmente invitante. Non mi riaddormento però, non ancora. I fumi del sogno sono ancora troppo vicini per avere il coraggio di riprendere sonno. Di notte è più facile abbandonare l’orgoglio, è più facile quando non c’è la luce accecante ad illuminare ogni anfratto.
Muovo la testa sul cuscino, mentre ancora fisso il ragazzo che dorme tranquillo nel mio letto. Ancora mi viene difficile credere che sia venuto con me in Russia. E’ così strano, sapendolo dall’altro capo del mondo rispetto a casa sua. Il sorriso scompare dal mio volto. Chissà se gli manca, casa sua. Socchiudo gli occhi, gli manca sicuramente, soprattutto suo fratello. Ricordo quel periodo passato in America come fosse ieri, quel viaggio di lavoro che mi ha portato a conoscere il ragazzo che ora dorme al mio fianco. Non posso dire di sapere cosa sia la nostalgia, ma posso immaginarlo. Di certo casa mia non è mai stato un posto a cui essere legato, e allo stesso modo per i miei fratelli, ma per lui è diverso.
Gli mancano di sicuro, penso, con un sorriso triste.
Chiudo gli occhi, cercando di riaddormentarmi. Nulla, non c’è verso ormai, sono sveglio.
 
***
 
Chiudo lo sportello della credenza, mentre la stanza comincia a scaldarsi. Il sole è appena sorto e io sono in piedi da un po’. L’edificio è quasi vuoto, anche se il nostro lavoro non è dei migliori pure i mercenari hanno diritto ad un paio di giorni di riposo sotto Natale. Almeno quelli sotto il mio controllo, anche se sarebbe meglio dire sotto il controllo di mio fratello; è lui che comanda questa divisione, almeno ufficialmente. Non credo che gli assassini a servizio di mio padre se la passino meglio, lui non festeggia il Natale. Noi tre, i fratelli Kreziskij, lo avevamo sempre festeggiato di nascosto, almeno fino al giorno del tradimento di Coz. Dopo, silenziosamente, tutto è andato perdendosi nel freddo dei corridoi svuotati, nella polvere delle stanze, nelle giornate private del rosso fuoco della capigliatura del nostro fratello più piccolo.
Sbatto l’altra anta con forza, cercando di non pensare. Non queste cose, almeno.
Oggi è il 23 dicembre. Mancano due giorni, a Natale.
Ho acceso il caminetto del salotto, prima, visto che il riscaldamento non basta a scacciare il freddo portato dalla neve. Due giorni fa ha cominciato a nevicare, imbiancando i territori già abituati al gelo. Quello stesso giorno abbiamo discusso, io e Nyal. Anche se più che discussioni le nostre sono un camminare in bilico su una corda, come due equilibristi. Solo che non c’è una rete di sicurezza, qui. Non c’è un pubblico che ti applaude lo stesso se cadi, non c’è suspence o attesa. C’è solo paura. Paura di perdere qualcuno ormai diventato troppo importante.
Aaaah, passo una mano sul viso, poi sulla fronte alzando le ciocche bianche che mi scivolano sugli occhi. Cose positive, devo pensare a cose positive. Certo, il sogno di stanotte non aiuta.
Apro di nuovo l’anta della credenza, prendendo il pacchetto di biscotti con gocce di cioccolato. Ecco, l’ultimo tocco al vassoio della colazione, con latte, succo, e tè bollente. A scelta ovviamente, insieme alle fette di torta e i biscotti. Perfetto, è tutto pronto.
Porto il vassoio al tavolo, quello alto, lì vicino. Mi siedo, mentre tutto è avvolto dal silenzio. E’ così strano, quando al piano di sotto non c’è nessuno che fa rumore, che fa cadere qualcosa, che sbraita contro gli inefficienti, che si allena per un qualche motivo. Nemmeno Kaunas c’è. Se ne andato pure lui, o almeno è quello che penso. E’ un sacco di tempo, troppo, che non torna. Dovrebbe essere oltreoceano, ma nessuno ha avuto più sue notizie da quando è partito. Sono rimasto solo io, dei tre fratelli di Noril’sk. Prendo un biscotto, dandogli un morso, distratto.
Un fruscio leggero, alla porta. Mi volto accennando un sorriso, mentre Nyal si avvicina, sbadigliando, il pigiama ancora addosso, che cade in modo perfettamente largo sul suo corpo esile. Fragile. Stringo gli occhi, mentre mi torna in mente il sogno, di nuovo. Lui si è avvicinato, seguendo l’odore della colazione. “’Giorno Ser..”
“Ti sei alzato presto stamattina.” Dico, poggiando il gomito sul tavolo. Lo osservo, mentre con uno sbadiglio annuisce e si siede nello sgabello di fianco.
Spalmato sul tavolo, si allunga per prendere un biscotto, annuendo ancora assonnato alle mie parole. Allungo il braccio, precedendolo e rubandogli il cibo ad un soffio dalle sue dita, beccandomi uno sguardo assassino. Sorrido, divertito, mangiandomi il biscotto davanti a lui. Sembra tutto così normale. Era solo un sogno, devo smetterla di preoccuparmi. Un sogno così reale.. alla fine, per quanto possiamo amare qualcuno finiremo sempre per distruggerlo, in un modo o nell’altro.
“Lo avevo puntato io..” mi dice, imbronciato, mentre io nel frattempo mi alzo portando la tazza di tè alle labbra. La mia colazione è finita: anche se siamo in vacanza, sono esentato solo dalla parte prettamente fisica del nostro lavoro..rimane ancora molto da fare, scartoffie da firmare, gente da controllare. A Tomsk non si va mai in vacanza, soprattutto se si è a capo di un’associazione mercenaria. Beh, non a capo. Diciamo appena sotto. La sedia struscia sul pavimento in marmo, mentre non posso fare a meno di notare lo sguardo deluso di Nyal. Lo so, lui vorrebbe più tempo per noi. E lo vorrei anch’io. Solo che non si può, non senza correre qualche rischio. Sorrido, triste, avvicinandomi e prendendogli il mento tra due dita, facendogli alzare il viso. Gli stampo un veloce bacio sulle labbra morbide, solleticandogli le guance con qualche ciuffo dei miei che sfugge alla coda bassa.
“Devo andare ora, se ti serve sai dove sono.” Assottiglio gli occhi, allontanandomi quel tanto che basta per osservare i suoi occhi per bene, come faccio ogni mattina. Azzurri, con la loro solita sfumatura gialla vicino la pupilla che li rende tanto affascinanti. Ci guardiamo per un po’, nessuno dice nulla. Poi, velocemente, mi allontano, con un ultimo sorriso sulle labbra mentre esco dalla cucina, verso quello che dovrebbe essere l’ufficio di Kaunas, ma che in realtà è una specie di salotto in stile antico, con alcolici in ogni angolo, ogni credenza. A Kaunas piacevano, sì. Anche troppo, a volte. Stringo le labbra al pensiero, brutti ricordi.
Ora che mi ricordo, oggi devo anche fare una chiamata al mio informatore di fiducia. Cominciamo bene.
 
***
 
Mi passo una mano sulle tempie, stanco. Mi serve qualcosa di fresco, mi serve una pausa. Anzi, per oggi posso finire prima. Guardo l’orologio appeso al muro, quello indietro di due minuti. E’ quasi ora di cena.
Fuori è buio ormai, e la neve ha cominciato a cadere, fitta. Se continua così prima o poi mi toccherà pure mettermi a spalare per liberare l’ingresso. Non che mi serva, ora come ora. La casa è abbastanza grande da sopravvivere anche senza uscire, dopotutto. E poi non c’è nessuno.
Decido di lasciar perdere la neve, per il momento. Lo schienale della poltrona è così comodo..ma mi devo alzare, su. Le carte sono ancora tutte sulla scrivania, dove ho intenzione di lasciarle per un bel pezzo. Oggi ho impiegato più di metà giornata al telefono, ascoltando lamentele, richieste, voci fastidiose. Tutte cose che non mi hanno procurato altro che un mal di testa fastidioso. Tuttavia ora ho quello che mi serve.
Sorrido al nulla, affabile, mentre penso che dovrò aspettare ancora poco. Poco davvero.
Le mani sui braccioli, faccio leva e mi alzo, andando verso la porta ed uscendo senza guardarmi indietro.
Avrà già mangiato, Nyal? Probabilmente mi ha aspettato anche oggi, fin quasi ad intiepidire il bollente.
Ormai sa che è inutile chiamarmi finché non ho finito ciò che sto facendo. E’ brutto, sì, ma non ci si può fare nulla.
La porta dell’ufficio sbatte quando esco, infastidendomi più del solito. I corridoi sono freddi e silenziosi, e i passi rimbombano quasi mentre vado verso la cucina. Ad ogni passo sento aumentare un profumino davvero invitante, quindi sorrido, mentre apro la porta della stanza. E’ pronto.
Un paio di piatti, posate, e varie portate leggere, tutto su un angolo del grande tavolo del salotto, davanti al caminetto dove bruciano gli ultimi pezzi di legno. Nyal è lì, seduto in quell’angolo, che fissa il fuoco quasi morto. Rimango a guardarlo, senza farmi sentire, un sorriso accennato sulle labbra. Sembra tutto così tranquillo. I ciocchi inceneriti collassano tra loro, si muovono, sbuffano mentre il fuoco si illumina un poco.
Entro, mi avvicino. Mi sente, lui, e si volta, mentre nel suo volto si dipinge un sorriso, di quelli che sai non potrai mai imitare. Troppo sinceri, pensi. Troppo veri, forse. Il mio  sorriso si allarga un poco, mentre con la mano corro a spettinargli i capelli, come faccio sempre. Scosto la sedia in mogano, vecchia, e mi ci siedo, guardando quindi il tavolo. Il profumo prometteva bene, sembra tutto buonissimo. Di certo se cucinassi io non ne uscirebbe qualcosa di commestibile. Nyal batte le mani tra loro, e io lo imito con un accenno di sorriso. Era un’abitudine troppo divertente per lasciarla solo a lui.
“Itadakimasu!” Dice, annuendo e prendendo la forchetta. Ora che guardo bene c’è anche il Kulebjaka tra i piatti. “Prijatnava apetita.” Dico io, in russo. Certo, d’accordo le mani, ma il giapponese no. Che poi Nyal non lo è nemmeno. Prendo anch’io le posate e comincio a mangiare, osservando il fuoco pensieroso, mentre la testa comincia a pulsare meno. Come sospettavo, bastava un po’ di relax. E un po’ di Nyal. Sorrido, il cibo mi aspetta.
  
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