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Autore: _ki_    25/12/2012    3 recensioni
Quando Louis rispondeva positivamente alle domande della sua mamma, questa sospirava e gli diceva il giorno in cui avrebbe rivisto la dottoressa. Così Louis capì di dover smettere di dire alla mamma delle fate, dei nani, delle facce negli alberi e anche di Niall. E smise.
Larry. Morte di un personaggio principale. Amen.
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Storia scritta per l’Exchange del #thegays, con un ritardo mostruoso perché sono stata bloccata alla cena dei parenti praticamente fin ora. Doveva seguire il prompt “Louis Tomlinson ha 22 anni, guida la macchina di sua madre, ha un lavoro partime e se la cava, come può. Poi un giorno arriva Harry nella sua vita, tutto cambia.
Louis Tomlinson inizia a prendere le cose sul serio e si innamora, finché non scopre che la sua testa gli aveva giocato un brutto scherzo.” Ma boh, non so se ne sia stata proprio fedelissima. È anche stata betata solo per metà, quindi spero davvero di non aver fatto strafalcioni, ma sono le due e sono troppo stanca per controllare D:

Spero che Roberta, la ragazza per cui è stata scritta la storia, non mi stia odiando per il ritardo e per la bruttezza di questa OS. Mi dispiace? Sono troppo stanca per formulare qualcosa di più articolato T_T Anyway, BUON NATALE A TUTTI, a Roberta in particolare xD, e mi farebbe piacere sapere cosa ne pensiate, anche se semplicemente credete che sia la cosa più brutta che abbia mai scritto. Baci,
_ki_

You gotta give up on try
 
 
Louis non aveva mai pensato ci fosse qualcosa di strano in quello che vedeva. Vedeva bellissime e incantevoli fatine ballare sulle sponde del fiume dietro al parco, volti sorridenti incastrati nella corteccia degli alberi, piccoli gnomi dai denti grandi nascosti nei cespugli dei giardino dietro casa.
A cinque anni aveva un amico, Niall, che era biondo e si vestiva sempre di verde e si definiva un leprecauno e diceva di vivere immerso nell’oro. Lo aspettava davanti alla porta di casa quando la mamma lo portava fuori per andare al parco e passavano tutta la giornata insieme. Louis usciva tutte le mattine con la sciarpa legata stretta al collo, o il cappello calato sui capelli soffici, o i calzoncini corti tenuti su dalla sua cintura preferita blu con Topolino e Paperino, e correva con Niall fino al parco -rimanendo sul marciapiede, perché se no la mamma stava in pensiero- mentre la sua mamma dietro arrancava con il pancione e gli sbuffi e i sorrisi tirati perché aveva ingoiato la sua sorellina e sarebbero dovuti passare un bel po’ di mesi prima che potesse sputarla fuori.
Al parco lui e Niall erano inseparabili, erano Tom e Jerry, Cip e Ciop, le due metà di una mela, culo e camicia- inseparabili. Gli altri bambini li guardavano male e li additavano e così Louis e Niall finivano per passare tutto il tempo da soli, possibilmente vicino al fiume, dove facevano conoscenza con le fate dei boschi e i nani della terra. Louis tornava a casa contento e stanco e raccontava alla sua sorellina Lottie (che non era la stessa che la mamma aveva ingoiato) tutte le meravigliose avventure che aveva vissuto con il suo miglior amico leprecauno.
Poi, però, durante l’estate prima del suo primo anno di scuola, la mamma un giorno decise di non portarlo al parco e lo fece invece salire in macchina. Niall lo vide uscire dal cancello di casa e gli sorrise, ma Louis lo vide, poco prima di svoltare l’angolo, fare una faccia triste e incamminarsi da solo verso il parco.
La mamma lo portò in un grande edificio con le pareti bianche e verdi. Lo fece sedere in una stanza piena di giochi, ma Louis voleva andare al parco e giocare con Niall, non da solo, così se ne rimase immobile su una sedia a fissare la mamma con il broncio. Quando una donna entrò nella stanza si presentò come la dottoressa. Louis conosceva i dottori e le dottoresse: erano persone malvagie, strappavano i denti ai bambini e tagliavano gambe e addormentavano le persone per non farle più svegliare. Lui e Niall avevano giocato qualche volta fingendo di essere dottori e andando a falciare l’erba del parco e rovinare le panchine su cui sedevano le mamme, ma non era uno dei loro giochi preferiti.
Passò il pomeriggio con la dottoressa, costretto a raccontare delle fate e degli gnomi e di Niall e della sua sorellina che la mamma aveva sputato il mese prima e che passava le sue giornate a strillare e piangere e fare la pupù. La dottoressa sorrideva e scriveva su un foglio quello che Louis diceva e poi gli chiedeva di descrivere cosa era disegnato su un foglio ed era così noioso. Louis tornò a casa con il broncio e non raccontò a Lottie niente della sua giornata.
Il giorno dopo Louis chiese alla mamma se sarebbero tornati al parco e la mamma, invece di rispondergli, gli chiese se c’erano gnomi dietro ai cespugli quella mattina. Certo che c’erano, risposte Louis con un’occhiata veloce fuori dalla finestra: gli gnomi dormivano nei cespugli, era la loro casa, come per Louis e la mamma e Mark e Lottie e Fizzy era quella fatta di mura e stanze e coperte. Sua mamma allora, con un sospiro, gli disse che per quel giorno sarebbe andato al parco, ma il giorno dopo sarebbero tornati dalla dottoressa.
Louis passò molto tempo con la dottoressa, con altre chiacchierate noiose e disegni stupidi e lei che scriveva sul suo foglio di carta tutto quello che Louis decideva di dirle e Louis che sbuffava e non desiderava altro che poter giocare di nuovo con Niall sulle sponde del fiume dietro al parco. Il giorno dopo gli incontri con la dottoressa, la mamma gli chiedeva se vedesse ancora gli gnomi, o le fate, o Niall. Niall era sempre lì, davanti casa, ogni giorno, con un sorriso e un saluto e poi un broncio quando pensava che Louis non lo potesse vedere. Quando Louis rispondeva positivamente alle domande della sua mamma, questa sospirava e gli diceva il giorno in cui avrebbe rivisto la dottoressa. Così Louis capì di dover smettere di dire alla mamma delle fate, dei nani, delle facce negli alberi e anche di Niall. E smise.
 
Aveva deciso di frequentare l’Università di Lettere dopo che sua madre aveva trovato nuovamente lavoro. Aveva concluso il liceo con un anno di ritardo e aveva preferito cercarsi un lavoro piuttosto che portare avanti gli studi, perché era un momento delicato dell’economia inglese e lo stipendio di sua madre non bastava più a coprire tutte le spese folli per Lottie, per Fizzy, per le gemelle. Ma ora sua madre aveva trovato lavoro presso l’agenzia di viaggi Cowell and Co., aveva uno stipendio quasi assurdo e Louis, a ventidue anni, poteva permettersi di riprendere gli studi e laurearsi.
Il primo giorno che arrivò al campus, il bagagliaio della vecchia automobile della madre -ora sua- pieno di scatoloni e disordine e speranze, Harry fu la prima persona che incontrò. Aveva i capelli scuri scostati dalla fronte con una molletta rosa ridicola, una maglietta dei Ramones sporca di vernice e le fossette più profonde che Louis avesse mai visto sul viso di una persona.
«Sono il tuo compagno di stanza!» si presentò, un sorriso a trentadue denti e la mano sporca anch’essa di vernice blu tesa verso di lui. Louis, semplicemente, rise.
 
Harry era il compagno di stanza perfetto. Sapeva cucinare, come prima cosa, e Louis era una frana con i fornelli; faceva la lavatrice quando Louis era troppo pigro anche solo per alzare il culo dal letto -quasi sempre-; lo aiutava con i compiti quando erano troppi senza lamentarsi dei suoi; ma, soprattutto, lo sopportava. Divennero migliori amici nel giro di neanche un mese; passavano le giornate al di fuori delle lezioni insieme, mangiavano insieme, andavano al cinema, ridevano. Louis non aveva molti amici all’interno dell’Università e lo stesso sembrava valere per Harry. Nessuno dei due sembrava stancarsi mai di stare assieme all’altro e, anzi, più le settimane passavano, più si ritrovavano a scambiarsi messaggi durante le lezioni, trovarsi a metà strada tra un’ora e l’altra, dormire nello stesso letto.
Louis capì di essersene innamorato quando Harry, per il suo compleanno, sparì per tutto il giorno senza farsi minimamente sentire. Quella sera litigarono per la prima volta, Louis profondamente deluso e ferito e Harry stranamente indifferente. A metà della discussione finirono per baciarsi, stretti l’uno all’altro davanti al piccolo albero di Natale con i rami piegati tutti dalla parte sbagliata. Il giorno dopo Harry si scusò mille e mille volte, sussurrandogli «Ti amo» con il fiato caldo a solleticargli le labbra, e come regalo per il compleanno e per Natale chiuse entrambi in camera per tutto il giorno, solo loro due, il letto e la neve fuori dalla finestra a fare da sfondo a quella giornata perfetta. Louis era sicuro di non essere mai stato più felice in tutta la sua vita.
 
Harry era perfetto anche come fidanzato. Lo svegliava tutte le mattine con un bacio sulle labbra e la colazione perfetta di sempre, il sorriso e le fossette e gli occhi caldi e, davvero, Louis non credeva fosse possibile aver trovato una persona così stupenda.
Stan, il suo migliore amico del liceo che si era trasferito a Manchester per lavorare, venne a trovarlo a Gennaio, curioso di conoscere quel ragazzo che Louis nominava ogni due minuti durante le loro conversazioni via Skype.
«Quello è Harry» gli disse Louis mentre pranzavano in mensa, indicando il suo ragazzo. Stan voltò il viso, ma al posto di un sorriso contento gli donò un’occhiata perplessa.
«Dove?»
«Lì, vicino a quel tipo con i capelli arancioni e la felpa viola. È appena» Louis rise mentre quello sbadato del suo ragazzo faceva cadere per terra metà dei vassoi per il pranzo. «È così imbranato. Dai, con il cappellino di lana, ha appena distrutto i vassoi di metà campus. Non puoi non vederlo».
Ma Stan non lo vide. E Harry, da parte sua, non si fece vedere fino a quando Stan non ripartì in macchina per tornare a casa.
«Volevo farti conoscere Stan! Sareste andati subito d’accordo» si lamentò Louis quella sera, abbracciato a Harry sul piccolo divano della loro camera, la TV accesa e qualche film inguardabile ad illuminare i loro visi.
«Oggi avevo un esame importante, te l’avevo detto» gli rispose Harry, stringendosi nelle spalle. Louis in realtà non ricordava nessun esame, ma Harry si piegò per baciarlo, con le labbra soffici e calde e il sorriso perfetto e gli occhi che urlavano ti amo e Louis dimenticò tutto quello che avrebbe voluto dire.
 
Quando era piccolo e vedeva ancora le fate e gli gnomi e i volti negli alberi, Louis non era ben visto dai suo compagni di scuola. Aveva un amico, Liam, che si divertiva ad assecondarlo, ma con il passare degli anni Liam cominciò a trovare il comportamento di Louis infantile e, dopo un po’, Louis smise di parlarne anche con lui, cercando di adattarsi solo a ciò che erano in grado di vedere tutti. Aveva funzionato, per un po’, e da quando aveva fatto amicizia con Stan sembrava non fosse più in grado di vedere cose anormali.
Con Harry cambiò tutto.
Se ne rese conto qualche settimana dopo la visita di Stan. Era intento ad ascoltare una lunga e noiosa spiegazione di un altrettanto noioso professore e a desiderare di poter essere ancora in camera con Harry, al caldo sotto le coperte di quello che ormai era il loro letto. Quando la parete dietro il professore di aprì, illuminando con una fioca luce azzurrognola l’intera stanza, Louis per poco non si soffocò con la sua stessa saliva. Diete un’occhiata ai volti del suo compagni di classe, cercando qualche traccia di stupore o paura o qualsiasi cosa. Quando non trovò nulla che non fosse noia, capì di essere fottuto.
Gli sembrò di impazzire. Aveva associato quelle visioni a qualcosa di scorretto, qualcosa di sbagliato nella sua mente. Aveva cominciato ad odiarle con la stessa passione che da piccolo gli permetteva di raccontare a Lottie, tutte le sere dopo i pomeriggi al parco, di piccole sirene spiritose tra le acque del fiume e gufi parlanti e Niall. La sera stessa, mentre tornava nella stanza sua e di Harry cercando di scacciare dalla mente quel buco, quella luce, quell’ansia che lentamente aveva cominciato a strisciarli su per la schiena come un serpente velenoso, ebbe la conferma che il suo cervello aveva definitivamente di nuovo qualcosa che non andava: seduto davanti alla sua porta, a gambe incrociate e un sorriso radioso ad illuminargli il voto arrossato, c’era Niall. Mentre il biondino lo salutava come se niente fosse, come se non fossero passato più di dieci anni dal loro ultimo incontro, un «Ehi amico, come butta?» armonizzato con una voce ancora da bambino, Louis tirò fuori le chiavi e con mani tremanti aprì la porta della stanza per chiudercisi dentro.
Quella sera, Harry lo trovò seppellito nelle coperte del letto, il volto arrossato dal pianto e la lingua arrotolata, incapace di formare una singola frase di senso compiuto.
 
Quando Louis, dopo mille preghiere e mille indecisioni e la paura fortissima di essere abbandonato anche da Harry, gli spiegò tutto quanto, partendo da Niall e passando alla dottoressa e finendo con Liam, Harry si dimostrò per la persona fantastica che era: lo capì. Lo capì e lo consolò e gli disse che avrebbero sistemato tutto e che sarebbe sempre stato al suo fianco. E poi, mentre Louis tirava su col naso e si rendeva conto di quanto fortunato fosse ad aver incontrato una persona come Harry, l’oggetto dei suoi pensieri gli donò un leggero bacio sulla fronte, mentre da dietro la schiena tirava fuori un anello. E alla fine, quella sera, Louis pianse ancora più forte. Di gioia.
 
Louis non aveva mai pensato ci fosse qualcosa di strano in Harry. Certo, non lo aveva mai visto chiacchierare per i corridoi o in mensa o fuori dalla porta della loro stanza o da qualsiasi altra parte con qualcuno; certo, non gli aveva mai sentito parlare di una famiglia, di vecchi amici, di una vecchia casa; certo, ogni volta che qualche conoscente di Louis veniva a fargli visita Harry spariva misteriosamente per tutto il giorno. Ma, insomma, Louis non si era mai fatto troppe domande su ciò: assumeva semplicemente che Harry fosse una persona timida e riservata e che con Louis facesse soltanto un’eccezione.
Per questo, quando arrivò l’estate e con essa la fine dei corsi e la loro relazione compì la bellezza di nove mesi, Louis decise di non organizzare una festa, ma optò invece per qualcosa di più intimo.
«Vestiti leggero e fidati di me» fu l’unica spiegazione che diede al suo ragazzo, prima di trascinarlo in macchina e guidare fino al mare.
Fu la giornata perfetta. Louis conosceva una piccola baia pressoché ignota ai più, dove la sabbia era fine e le onde leggere e il sole stupendo. Fecero il bagno, mangiarono frutta e panini distesi su asciugamani colorati e risero, scherzarono, si amarono. La sera, quando Louis era così stanco che avrebbe potuto dormire per giorni su quell’asciugamano pieno di sabbia e pezzi di frutta, Harry lo pregò di fare il bagno di mezzanotte e lo trascinò a largo, sfidandolo a nuotare sempre più in là.
Lo baciò tra le onde quando ormai i piedi di Louis non riuscivano più a sentire la sabbia sotto la pelle e poi, con quel sorriso perfetto e le fossette profonde e gli occhi luminosi, gli accarezzò un’ultima volta il viso, prima di sparire.
Per Louis fu come una secchiata d’acqua gelida in pieno volto. Si girò e rigirò tra le onde, gli occhi spalancati all’inverosimile, mille domande a offuscargli la vista. Urlò il nome di Harry ricevendo in risposta solo il silenzioso sciabordio delle onde, mischiato al suo respiro affannato che s’infrangeva nel buio della notte. Troppo a largo per riuscire a distinguere la spiaggia, troppo spaesato per cercare dei punti di riferimento, troppo stanco per la giornata appena trascorsa, Louis risentì nella testa la voce di Liam, come un’eco, che «Le cose che vedi, Louis, nella realtà non esistono» gli sussurrava maligna. E poi, mentre un’onda gli bagnava il volto stanco e arrossato, Louis cominciò a fare dei collegamenti: la riservatezza di Harry in tutto ciò che non riguardasse la sua relazione con Louis, l’improvviso ritorno delle visioni, Stan che non riusciva a distinguerlo nonostante fosse benissimo identificabile tra la folla.
Le lacrime cominciarono a salirgli agli occhi mentre le onde si facevano più impetuose, l’acqua più gelida e le gambe più stanche. Louis si guardò ancora intorno, disperato, gridando il nome di Harry e sperando in qualcosa che non sarebbe successo. Sentì un crampo irrigidirgli una gamba mentre un’onda lo trascinava verso il basso e poi, quando fece per dare una potente bracciata e ritornare a galla, le dita della mano entrarono nel suo campo visivo: niente anello.
Emise un gemito disperato, chiedendosi solo a quel punto che senso avesse continuare a lottare. Era stata tutta una sua immaginazione. Harry non esisteva. I sentimenti che provava per lui non erano mai esistiti se non nella sua testa. Che senso aveva continuare ad aggrapparsi ad una vita che non aveva mai portato niente di buono? Sarebbe stato così semplice, smettere di lottare, lasciarsi trascinare in fondo dalla corrente e non riemergere più. Smettere di respirare.
Louis lottò un’ultima volta contro le onde, aspettandosi qualcosa, aspettandosi qualcuno. Fece un ultimo, lungo respiro, i polmoni che bruciavano, il sangue che bolliva, il cuore a pezzi. E poi, semplicemente, smise.
 
   
 
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