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Autore: SkyEventide    25/12/2012    10 recensioni
Nei primi anni del medioevo, in un paese nordico, due giovani, un pagano e un seguace del nuovo culto del cristianesimo, trascorrono la notte del ventuno dicembre, al gelo. Freddo, due diverse religioni, il rischio di morire congelati. Un po' di bontà e un po' di cinismo. Magari anche un miracolo.
Breve one shot natalizia, buona lettura.
Genere: Angst, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In the bleak midwinter ~ Terra come acciaio, acqua come pietra
 

La neve brilla sotto il sole alto. Tanti piccoli cristalli in dune di neve non ancora calpestata.
Sulla cima della collinetta, un abete fronzuto e carico di fiocchi è stato circondato da piante di agrifoglio, con le bacche rosso scarlatto. Da quella parte della salita, la neve è battuta da molti piedi.
Lachlan si avvolge meglio le mani nel pezzo di stoffa; le dita sono rosse e fredde. In piedi, recita gli antichi canti romani del Sol Invictus, sottovoce, adorando l’abete consacrato. I piedi sono chiusi negli stivali imbottiti di pelo, che però ormai sono quasi zuppi, e il pellicciotto cencioso al collo non trattiene gli spifferi di aria gelida.
Tuttavia, mormora la sua preghiera.
Sion, al suo fianco, si china. Ginocchia sulla neve dura e pestata, mani intrecciate. La testa di capelli color carota matura chinata, mentre dedica le sue preghiere a tutt’altro dio. Lachlan corruga appena la fronte.
Non è da solo, il suo amico, c’è qualche altro discepolo della nuova divinità; alcuni di loro, con le tuniche logore e non adatte all’inverno, stanno legando due rami liberi dalle fronde con uno spago, a formare una croce.
Il fiato si condensa in nuvolette.
Pur continuando a recitare il canto in un sussurro, Lachlan distrae la vista nell’osservare quegli individui; una donna scava nella neve con le mani e uno dei due che hanno costruito la croce ne pianta la base nella buca.  Si inginocchiano lì, Sion invece è troppo assorto nella sua preghiera per spostarsi.
Lachlan rivolge di nuovo gli occhi all’abete e agli agrifogli. Si rinnovi l’anno, mormora il suo canto, sorga il sole, si sciolgano le nevi.
L’idillio silenzioso e freddo, tuttavia, si interrompe in fretta; il brusio delle parole viene spezzato da un’esclamazione.
« Cosa fate? » sbraita la voce.
Lachlan si blocca e alza gli occhi, infastidito. Vede, tuttavia, che è un fattore del paese, un uomo anziano; indossa una pelliccia e gesticola verso i pochi che pregano attorno alla croce.
« Via da qui! Non appropriatevi di questo luogo! » Afferra i rami che formano il simbolo cristiano e li toglie dalla neve, spintona la donna che prova a opporsi. Butta la croce sul manto nevoso. « Via, ho detto. »
Lachlan corruga la fronte e abbassa gli occhi su Sion. La sua bocca screpolata è dischiusa, gli occhi sconcertati. Magari vuole protestare. Che stupido. Lachlan gli afferra una spalla e sussurra: « Andiamocene. »
Lo tira in piedi.
Sion boccheggia e si volta indietro, verso i cristiani che come lui abbandonano l’abete, tra sguardi di sbieco, alcuni pietosi, altri di rimprovero. Poi gli punta in faccia gli occhi azzurri: « Tu non hai motivo di allontanarti. »
Danno le spalle agli agrifogli sacri; Lachlan lo fissa storto. No, è vero, non ha motivo di interrompere la venerazione di Yule, ma non lo lascerebbe andare da solo.
Ha i piedi sempre più gelidi, mentre scende per la china bianca, ancora tenendo la spalla dell’amico incupito. Alla destra si stende una piana luminosa, che in primavera e in estate è un campo d’erba, sulla sinistra una staccionata marcia divide la strada battuta da innumerevoli piedi da alberi carichi di neve.
Di fronte a loro, distante dieci minuti di cammino, si intravedono i tetti spioventi di paglia e legno, la stalle e le recinzioni del villaggio.
Cinque passi avanti, una bambina si immobilizza; Lachlan la studia con la fronte corrugata, ne osserva l’abito cencioso, rattoppato con filo spesso, e gli stivaletti consumati, le braccia esili, lo scialle sfrangiato sulle spalle. La bambina scivola piano sulle sue ginocchia, ma troppo incurvata per credere che tenti di nuovo di pregare.
Lachlan stringe le labbra ma non fa in tempo a stringere la presa sulla spalla di Sion che questo è già sgusciato via, con una mano nel suo tascapane. Lachlan sbuffa dal naso e l’aria si condensa.
Sion si è chinato di fronte alla piccola, le mormora qualcosa.
Riesce a intravedere mentre la bimba annuisce e Sion le lascia in mano del pane.
Ah, ecco, lo immaginava. Santi dei.
Lachlan si affretta verso l’altro e lo solleva di forza, senza incontrare alcuna protesta. La bambina si sgranocchia il pane, con gli occhi spalancati, le mani quasi gelate e il viso rosso di freddo.
Lachlan volta Sion a forza, inquadrandolo nella sua pesante casacca nera.
« Vuoi per favore evitare di farti vedere mentre distribuisci cibo? E’ la nostra cena. »
Gli occhi di Sion sono gelidi. « E’ la mia religione. Ci vuole anche qualcuno che salvi quelli come questa bambina. »
« Sì. E mi pare che ci vuole anche qualcuno che ti salvi dalla tua bontà. »
Lo strattona giù per la neve battuta e Sion, anche se con le labbra strette, lo segue docilmente. Lachlan si struscia la punta fredda del naso e si volta: la bimba è ancora lì in ginocchio, a mangiucchiare e custodire il parco pezzo di pane secco.

Quando sull’orizzonte bianco scompaiono anche gli ultimi riflessi rossastri del sole sulla neve, il freddo diventa tale che Lachlan non riesce più a parlare.  Il paese è buio, ci sono solo ancora delle torce accese attorno all’albero d’abete sulla collinetta.
Fermarsi tra un muro e l’altro delle case vorrebbe dire morire assiderati.
Sion è incurvato nella sua mantella, il cappuccio sollevato sui capelli rossi. Non troveranno posto in taverna, non hanno di che pagare, tuttavia Sion è da quella parte che si dirige.
Lachlan lo segue affrettando il passo, comincia a credere che gli dovranno amputare le dita dei piedi se si congelano più di così. Sion però non punta l’entrata dell’edificio, ma una porta laterale. Vi si appoggia e la spinge: è aperta.
Lachlan si sporge all’interno. C’è del fieno accatastato, della legna e qualche pecora, con un odore di neve sporca. Può andare.
All’esterno i fiocchi fluttuano leggeri come cotone e nella stalla filtrano da alcune fessure tra le assi.
Sion si lascia cadere contro al fieno, non lontano dalle pecore, e Lachlan scivola al suo fianco.
La catasta di cibo per le pecore buca attraverso il mantello e il pellicciotto al suo collo non lo protegge a sufficienza. Ringrazia mentalmente Sion per le sue occasionali idee.
Il corpo dell’altro, oltre alle pecore, è l’unica fonte di calore. Lachlan si avvinghia e lo abbraccia, per formare un unico cumulo di cenci e abiti, incassandosi nel fieno. Persino il fiato che Sion gli soffia vicino alla mascella sembra freddo.
Ha le mani intirizzite. Sion ha anche gli occhi e il naso arrossati dal gelo. Gli passa le mani sulla schiena, sotto la pelliccia.
Lachlan batte i denti e fissa il muro di legno scuro.
«Non ti addormentare »soffia.
Sion annuisce in silenzio.
E’ l’ultima notte dell’inverno, la più lunga di tutte.

C’è silenzio. A parte il loro fiato, l’occasionale belato di una pecora e qualche rumore dall’interno della taverna, Lachlan non sente nulla. Struscia spesso le mani assieme e sulla schiena di Sion, che ha il viso calcato contro al suo collo, mentre lui si è tirato la pelliccia grigia fin sopra la testa. I capelli biondo slavato gli coprono gli occhi.
E’ per il silenzio notturno che, appena dei passi risuonano vicini dentro all’edificio di legno, Lachlan fa scattare la testa.
Sul muro c’è una porta, fino ad allora ben chiusa; il rumore di un chiavaccio di ferro rugginoso che scorre gratta nelle sue orecchie; anche Sion alza gli occhi e dell’aria fredda entra tra di loro.
Un uomo dai tratti indefiniti compare sulla soglia, troppo in ombra per distinguersi, scende l’unico scalino di pietra e si avvicina alla catasta di legna; è lì che li vede. Lachlan distingue a malapena una luce che si riflette nei bulbi oculari di quell’uomo, mentre li fissa sconcertato.
« Cosa… chi siete? Che fate qui? » sbotta.
Lachlan cerca di deglutire e, con la voce che trema appena per il freddo, mormora: « Ci ripariamo. Non abbiamo dove dormire. »
Sion aggiunge, sottovoce: « In nome di Dio, lasciateci entrare. »
Non avrebbe dovuto dirlo. Lachlan serra la mascella e si trattiene dal colpirlo per la sua cieca fede. Non avrebbe dovuto, perché l’uomo in ombra si raddrizza in tutta la sua stessa. « Siete cristiani? Non voglio vedere nessuno di quei mendicanti, qui dentro. Fuori immediatamente. Fuori! »
Si alzano in piedi all’improvviso, spinti dal tono minaccioso. Appena è in piedi, Lachlan sente l’amico cedere nelle gambe e anche lui le ha abbastanza rigide e intirizzite da faticare nel muoversi, ma l’urgenza di andarsene lo spinge a trascinarsi e a trascinarlo fuori dalla stalla.
Digrigna i denti. Avrebbe potuto dire di non condividere quel nuovo culto che Sion abbraccia. Avrebbe potuto.
Appena mettono piede fuori, faticando a spingere la porta nella neve fresca, si sente un’asta di legno che cade a sbarrare l’entrata. Una folata di aria fredda gli riempie i vestiti.
Il cielo è grigio, non si notano stelle, e la neve cade lenta, sopra altra neve. Bianco ovunque.
Lachlan si volta verso l’altro, rannicchiato ad abbracciarsi da solo. « Idiota » sibila.
Riceve solo uno sguardo cupo, ma orgoglioso, dagli occhi azzurri di Sion, che non risponde.
Devono cercare qualcos’altro, un altro fienile, un altro nascondiglio.
Lachlan prende Sion sottobraccio e si chiude la pelliccia sul viso, per esporre quanta meno pelle gli è possibile alla temperatura fredda. I suoi stivali non possono reggere ancora troppo nella neve fresca, in cui il piede affonda e arranca.
Non fanno molti metri, nella strada bianca: Sion fatica a seguirlo. Riescono ad arrivare nell’ampia piazza, dove a malapena le case di sasso e legno si distinguono, come macchie nere nel buio.
Lachlan sente cedere la propria presa, o meglio, sente cedere ciò che sorregge; si volta, e Sion è caduto in ginocchio. Il suo mantello ruvido è coperto da piccoli fiocchi.
« Sion. » Lachlan si piega, gli prende le spalle. « Alzati in piedi. Alzati. »
Non gli risponde.
Gli volta il viso, e anche con la mano rinchiusa nella stoffa a mo’ di guanto riesce a sentire quanto sia fredda la sua guancia. Ha gli occhi chiusi e le labbra cianotiche.
Lachlan cade in ginocchio a sua volta, gli pare quasi che le proprie articolazioni non rispondano più dei comandi; solleva l’altro per la schiena, gli regge la testa.
« Sion » chiama. « Svegliati. Se svieni qui… »
Sarà come essere due statue gelate e coperte dalla neve.
Non ottiene risposta alcuna.
« Sion! »
No, non sopporterebbe la solitudine, se morisse per il gelo e solo per aver creduto nel suo nuovo dio. Ha la pelle bluastra e marmorea, ed è come se la terra fosse dura come l’acciaio e l’acqua come pietra. L’aria tagliente lo raggela.
Lachlan sente gli occhi bruciare, ma non ha nulla da piangere. Troppo freddo anche per quello.
« Yule » prega sottovoce. « Salvalo. Non è la vigilia dell’inverno che finisce? Salvalo. »
Si preme il viso pallido di Sion contro la spalla, gli avvolge la schiena nella pelliccia.
« Mitra, dio del sole che ritorna. Yule. Salvalo. Ti prego. »
Non ci sarebbe una metafora più eloquente del silenzio per la lama di freddo che lo prende in petto, simile all’ultimo attimo di disperazione.
Lachlan alza gli occhi secchi al cielo coperto, da cui nevica delicatamente.
« Cristo! Dio dei giusti! Se questo è il tuo discepolo, salvalo per la fede che ti dedica! Mi basta uno di voi, uno… uno soltanto. »
Abbassa lo sguardo su Sion, ancora immobile. Così immobile.
Avverte un passo di fronte a sé, piedi leggeri che affondano nella neve fresca e la sfaldano. Lachlan solleva il viso di scatto: è la bambina, quella di quel mattino, magra e smunta, con la sua casacca troppo leggera e lo scialle sulle spalle. Eppure non sembra accusare il freddo.
Li guarda, l’uno e l’altro. Ha ancora il pezzetto di pane stantio che Sion le ha offerto, almeno la parte che non ha mangiucchiato.
Lachlan la fissa e lei, alternando l’occhiata da lui a Sion, sorride.

Un lieve tepore gli riscalda la schiena. Lachlan muove appena le dita e, sorprendentemente, i polpastrelli hanno sensibilità.
Sgrana gli occhi. E’ quasi sdraiato sul terreno, stringe ancora Sion: il viso dell’altro è pallido, ma sulle gote c’è del rossore, il che gli garantisce che è vivo. Ancora vivo, fino all’alba.
Quando poi alza gli occhi, infreddolito ma non raggelato, vede… quello che ha intorno. O meglio, quello che non ha intorno.
Un cerchio perfetto, con loro come centro, definisce un'area nella piazza; un cerchio dove non c’è neve, si vede invece la terra scura, umida, dove l’unica erba che cresce è fredda e coperta da piccoli fiocchi di ghiaccio.
Sciolta, scivolata via in rivoli d’acqua, che inzuppano anche i suoi abiti, quando i tetti spioventi del villaggio, le staccionate e le colline sono coperte da almeno un metro di neve luminosa e sfumata d’azzurro, nella luce soffusa del sole che nasce. Non c’è più traccia della bambina.
«Lachlan… »
Abbassa gli occhi. Sion ha sollevato le palpebre.
Lachlan sorride e tutta la rigidità del suo corpo si allenta come il ghiaccio sciolto. A fatica, l’altro ruota il collo e osserva, sgranando un poco gli occhi, il cerchio di calore che li circonda. «Questo… cosa…? »
«Ho pregato »sussurra Lachlan.
Non sa quale dio lo abbia ascoltato, se Yule, Mitra o Cristo.
«E sono stato esaudito. »
Forse tutti loro assieme.
Il sole gli abbaglia gli occhi.






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Un ringraziamento a Viola e Alice per l'aiuto nella rilettura, e anche al gruppo facebook Dstributore Automatico di titoli per l'aiuto nella scelta del titolo stesso. =ç=
Il periodo preciso in cui si ambienta la storia sono gli anni prima del 1000, Alto Medioevo, in un paese che potrebbe essere la Finlandia come il nord della Scozia, dove il cristianesimo ha ritardato a diffondersi. Pregano la nascita di Cristo nonostante sia il 21 perchè solo successivamente la data ufficiale del Natale è stata spostata al 25, all'inizio si sovrapponeva alle feste molto più antiche del culto di Yule (a cui erano sacri abete e agrifoglio) e del Sol Invictus (festa romana) e Mitra.
Spero vi piaccia. **
I commenti sono graditissimi, vi amerò per sempre.

Kupò.
   
 
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