Film > The Avengers
Ricorda la storia  |      
Autore: princess_sparklefists    25/12/2012    0 recensioni
Tony aveva deciso che quell'anno il Natale andava festeggiato adeguatamente e ovviamente non c'era modo per gli Avengers, ospiti alla Stark Tower, di sottrarsi dai preparativi.
[Coppie: Tony/Rhodey, Pepper/Natasha]
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

A Natasha il Natale piaceva. Sul serio. Da bambina, in Russia, aveva atteso con ansia l’Anno Nuovo, anche se c’era ben poco da festeggiare, e gli anni allo S.H.I.E.L.D. le avevano insegnato ad amare anche il chiassoso Natale degli americani. Le piaceva l’albero, rigorosamente un vero abete, che gli agenti trascinavano nella hall della base, di solito sotto la meticolosa supervisione di Phil Coulson. Le piacevano le decorazioni, sempre mal abbinate perché ciascuno portava qualcosa da casa. Le piaceva quando gli agenti tentavano di coinvolgerla in qualche canzone natalizia russa che lei non aveva mai sentito. Le piacevano le scommesse sul giorno in cui il direttore Fury avrebbe smesso di guardare i preparativi con falso disinteresse e si sarebbe unito a loro. Le piaceva vedere Maria indossare a Capodanno i magnifici abiti che ogni anno comprava con i soldi delle scommesse. Le piaceva pensare di essere l’unica ad essersi accorta che Maria e il direttore erano in combutta e si spartivano il denaro.
Nonostante questo, ogni volta che mostrava anche il più vago apprezzamento verso le festività, suscitava incredulità e, in alcuni casi, panico. Il mondo intero sembrava essere convinto che lei fosse allergica ai sentimenti. Tony Stark, pur essendo un genio, non faceva eccezione.
Erano tutti nel salone all’ultimo piano della torre a rilassarsi, e, beh, con tutti intendeva lei Clint e il Capitano, l’unico che riusciva a stanare il dottore dal suo laboratorio era Tony, e solo perché era l’ospite. Comunque, in quel momento Tony era entrato e aveva annunciato che quell’anno Natale sarebbe stato festeggiato in grande stile alla Stark Tower.
“Stavo giusto per mandare Pepper a comprare delle decorazioni, qualche idea? Steve?” aveva continuato. Il capitano aveva alzato lo sguardo dal dipinto a cui stava lavorando, una copia a tempera della foto che Coulson gli aveva chiesto la prima volta che si erano incontrati.
 “Non mi viene in mente nulla” aveva risposto, grattandosi la nuca, “Non so se le decorazioni a cui ero abituato sono all’altezza. Scusa”.
“E dai, ghiacciolo umano!” aveva replicato Tony, “Dammi delle soddisfazioni ogni tanto”.
Steve si era scusato ancora una volta, con un sorriso così onesto e contrito che avrebbe spaccato il cuore ad una statua. Però Natasha era quasi sicura che non potesse competere con l’espressione che doveva avere lei in faccia. Le guance le facevano quasi male per il puro entusiasmo. Non poteva fare a meno di immaginare la stanza decorata a festa: fosse stato per lei avrebbe sicuramente appeso del vischio in giro per la stanza, magari una composizione con del pungitopo sopra il divano, e dei fiocchi intorno ai colli delle bottiglie dietro al bancone sarebbero stati carini… l’albero l’avrebbe messo in terrazza, così che tutta la città potesse vederlo. La voce le tremava un po’ quando chiese:
“Non credi potrebbe aver bisogno di una mano, per le scatole e tutto?”.
Tony si era lasciato scappare un risolino, che aveva prontamente mascherato sotto un attacco di tosse.
“Tasha, mia cara, ho la massima stima per voi due, vi affiderei la mia stessa vita, anzi, temo di averlo già fatto in passato, ma ritengo che permettere alla signorina Potts di passare del tempo con la sua fidanzata durante l’orario lavorativo possa dare l’impressione sbagliata ai dipendenti”.
Natasha non poté fare a meno di alzare gli occhi al cielo.
“Non è per stare con lei, l’avrei chiesto anche se si fosse trattato del signor Harold. Forse persino se si trattasse di accompagnare te in persona!”.
Ora Stark stava ridendo senza remore.
“Non la facevo così attaccata al Natale, agente” aveva detto sarcastico in una pausa tra due ondate di risa.
Clint aveva stampato sul viso il sorriso beato di un uomo che sa cosa si nasconde nell’immediato futuro, anche se quel qualcosa era un uomo pestato a sangue. Qualsiasi reazione violenta da parte di Natasha era però stata bloccata dallo squillare del suo cellulare. Pepper.
“Pronto? Tash?”.
“Sì?”
“Passo a prenderti tra dieci minuti, massimo un quarto d’ora, si va a fare shopping”.
Un ghigno malefico si era allargato sulle labbra di Natasha.
“Ah, e qualsiasi cosa dica Tony non starlo a sentire: non ha voce in capitolo. Ti amo”.
Prima che potesse rispondere, la telefonata era già stata chiusa.

Pepper la aspettava in garage, fuori dalle porte dell’ascensore. Indossava un tailleur antracite con una camicia avorio e un paio di scarpe nere dai tacchi vertiginosi, una mise molto curata in inquietante contrasto con il pallore del suo viso e le occhiaie profonde. Natasha le accarezzò una guancia.
“Tesoro, sei così stanca”, disse, prendendole gentilmente le chiavi della macchina di mano. La sua compagna si appoggiò a lei, fronte contro fronte.
“Non ti sei ancora ripresa dall’influenza, vero?” continuò Natasha.
“E come faccio a riprendermi, sembra che se mi fermo un’ora gli Stati Uniti debbano fallire” mugugnò Pepper, lasciandosi sostenere solo dall’abbraccio di Natasha.
“Andiamo in macchina, puoi dormire un po’ se vuoi”.
“E tu come ci arrivi a destinazione? Macy’s potresti anche farcela, ma le gallerie di quei due o tre artisti in voga di cui a Tony non importa niente sfido un taxista a trovarle”.
“Fin da Macy’s ci so arrivare”.
“Svegliami quando arriviamo, allora”. Natasha sorrise lieve e mise in moto.
Il viaggio fu per lo più silenzioso, ma un ingorgo di taxi svegliò Pepper quando stavano per arrivare.
Ancora assonnata, la donna biascicò: “Per le decorazioni, devono essere oro e rosse”.
“Uh? Sempre preferito blu e argento, se devo dire”.
“Sì, ma oro e rosse…sai come è fatto Tony, no?”
“Te l’ha chiesto lui?”
“No”, Pepper fece una pausa per sistemarsi i capelli, “ma sai che è così che deve essere”.
“Bé, non mi lamento. Rosso e oro mi pare un ottimo abbinamento”.
Pepper la fissò per qualche secondo, poi si prese la faccia tra le mani e scoppiò a ridere.
“Tutto a posto?” le chiese Natasha, sforzandosi di non staccare gli occhi dalla strada,
“Ho avuto il pensiero più smielata e dozzinale della mia vita! Voglio dormire!”
“Dozzinale?”, Natasha non potè fare a meno di sorridere, “Devi essere grave...”.
Come si aspettava, la risata di Pepper si fece fragorosa. Non riuscì a resistere e le lanciò una rapida occhiata: era rossa in viso, gli occhi lucidi per le lacrime. Eppure ancora toglieva il fiato.
Rimasero in silenzio finché non furono entrate nel parcheggio sotterraneo.
“Scommetto che so cosa hai pensato prima”, disse Natasha mentre cercavano un posto libero.
“Ah, non credo proprio. Era davvero brutta come battuta”.
Natasha si umettò le labbra e le stese in un sorriso divertito. Aveva passato anni a interpretare donne ricche e sceme: poteva definirsi la massima esperta mondiale in cattivo gusto.
“Hai pensato”, scandì lentamente, “che i nostri capelli sono rossi e oro, per cui non può che essere un buon accostamento”.
Pepper sgranò gli occhi e non smise di guardarla male per tutta la manovra di parcheggio. Dato che non dava segni di volersi muovere, Natasha tolse le chiavi dal cruscotto, si piegò oltre il freno a mano e, sostenendosi sulle spalle di Pepper, la baciò. La donna le mise le mani sui fianchi per aiutarla, ma ben presto fece scivolare una mano su per la sua schiena, che rimase lì anche dopo che Pepper si staccò con un sospiro.
“Credo dovremmo andare” mormorò, “Ma stasera ci facciamo un bel bagno rilassante, influenza o non influenza”. Quindi uscì dall’auto. Natasha aspettò alcuni secondi, rimirando la sua camminata elegante e la sensualità con cui la gonna del tailleur fasciava il suo corpo magro, prima di seguirla.


Clint non aveva mai visto alcun attrattiva nel Natale. Certo, poteva oggettivamente capire da dove venisse tutto l’entusiasmo, ma era difficile che si unisse ai festeggiamenti. Probabilmente non aveva mai avuto occasione di affezionarsi alla festa.
Comunque, per quanto lo riguardava, il periodo natalizio era di solito un momento piacevole dell’anno. I suoi colleghi allo SHIELD diventavano più aperti e cordiali, e nella maggior parte dei casi quest’allegria si estendeva eventualmente anche al direttore Fury. Dalla sua postazione rialzata, Clint riusciva sempre a catturare il momento in cui il direttore, convinto di non essere visto, smetteva di fissare gli addobbi con aria truce e si lasciava andare in un sorriso. Scaldava il cuore.
Di solito.
Nel momento in cui Tony aveva proclamato che quello sarebbe stato un Natale indimenticabile, Clint aveva sentito la valanga smuoversi. Sarebbe stato un disastro, se lo sentiva. Una catastrofe di proporzioni epiche, che in confronto Nightmare before Christmas sarebbe sembrato una fottuta Pasqua. Era quasi sicuro che aver sconfitto Loki e la sua armata di Chitauri non assicurasse la loro sopravvivenza a un Natale in casa Stark.
A dire il vero, era già un disastro. Da quando Tasha e Pepper erano ritornate con le decorazioni non c’era stato un attimo di pace. Al momento, le uniche a cui Tony non aveva imposto di lavorare erano proprio loro, che si erano accasciate sul divano più vicino appena avevano messo piede nella torre: persino il dottor Banner era stato reclutato per l’Operazione Natale. A lui era stato affidato il fondamentale compito di addobbare l’albero. A giudicare da come gli tremavano le mani, i fragili ornamenti di vetro che Pepper aveva comprato non erano esattamente di suo gradimento. Tony, beatamente ignaro della situazione in cui versava l’amico, si mise al suo fianco a commentare il suo lavoro.
“Sapevo di potermi fidare di te per il pezzo forte, l’albero sta venendo benissimo” disse entusiasta, “Però non sento quel certo spirito natalizio. Dovresti provare a fischiettare o qualcosa”.
“Perché non canti tu, visto che non stai facendo assolutamente nulla?” si lamentò Steve, e Clint alzò gli occhi al cielo. Le schermaglie tra Stark e il Capitano Rogers erano il sale della vita, ma al momento tutto ciò che lo separava da un omicidio era la certezza che sarebbe potuto andare a riposarsi appena Steve avesse mosso il suo vecchio culo congelato e gli avesse passato puntine e martello per fissare quella fottuta ghirlanda.
“Senti, Capitan Ghiacciolo, io sto supervisionando, è estenuante” disse Tony, cosa che fece scoppiare il dottor Banner a ridere, “Ehi, mi tradisci anche tu così, Bruce? Bastardo!”. Vedendo che non accennava a smettere di ridere, gli tirò uno scappellotto. Il movimento brusco fece scivolare la pallina che stava appendendo dalle dita di Bruce, che si irrigidì e si assunse immediatamente un’aria costernata. “Scusa!” guaì Bruce, mentre la pallina si frantumava con un gelido tintinnio caleidoscopico.
 “Non è niente, due vetri, credi che dopo essermi liberato di un buco a forma di dio nordico abbia dei problemi con due vetri sul pavimento? Devi rilassarti, devi”, a Tony sfuggì per un attimo il filo del discorso, ma continuò lo stesso a mulinare le braccia sopra la testa per dare enfasi, “Devi sentire lo spirito natalizio nell’aria!”.
Bruce ridacchiò, improvvisamente pensieroso.
“Non è un’impresa facile, a New York”.
“Ma non sei a New York, sei nella Stark Tower, puoi anche non mettere il naso fuori sino al disgelo”.
“Non è che così sia tanto meglio” replicò Bruce, e aveva una strana smorfia sul viso.
Oh, meraviglioso. Il dramma prima di Natale.
Le braccia di Tony, che per sottolineare il punto del suo discorso, qualunque esso fosse, erano ancora impegnate in complesse circonvoluzioni, ricaddero di schianto ai suoi fianchi.
“Bruce, Bruce, non puoi andartene, ho bisogno di te, abbiamo quasi messo a punto quel nuovo-” si fermò di nuovo, scosse la testa stizzito, “Aspetta fino a Natale, almeno. Ti imbarco personalmente sul primo aereo per dovunque ti vada, solo, resta fino a Natale. Lo so che è stressante e io sono stressante, ma ti prego, Natale!”.
Ci fu un attimo di silenzio imbarazzato in cui Clint poteva praticamente sentire i muscoli del dottore tendersi all’estremo per non cedere all’impulso di strusciare i piedi per terra.
“Non avevo intenzione di partire prima di Natale” disse alla fine “Non con tutto l’impegno che ci stai mettendo”.
Tony aveva strani modi per manifestare il suo sollievo, a dire il vero aveva strani modi per manifestare qualsiasi cosa che fosse anche lontanamente assimilabile a delle emozioni, quindi nessuno si stupì davvero nel sentirlo partire con una parlata a mitraglietta, neanche fosse stato più teso di prima.
“Sì, ci stiamo impegnando tutti. Sta uscendo un ottimo lavoro, no? Ora tolgo i vetri OMMIODDIOSANGUE!”.
Steve aggrotto le sopracciglia. “Dio esangue? Da quando ti autocensuri?” chiese, ma Tony non lo ascoltava.
“Bruce, Bruce, ti sei tagliato?” continuò, ormai avvolto in una confortevole bolla paranoide, “Fammi vedere le mani”. Banner lasciò andare un lungo sospiro e gli afferrò le mani, bloccandole fra le sue.
“Tony, è il tuo piede”.
“Eh?”.
“Ti sei tagliato il piede”.
“Oh”. Tony abbassò lo sguardo e arrossì. Clint decise che, per quanto i preparativi natalizi di Iron Man fosse indicibilmente fastidiosi, aver visto Stark genuinamente imbarazzato aveva reso la giornata degna di essere vissuta.
“Credo che farei meglio a recuperare un cerotto”, disse Tony, ripresosi prontamente dal momento di debolezza, “Pepper, uh, ti dispiacerebbe occuparti dei vetri?”.
Interpellata, Pepper brontolò un: “Sì”, e si rigirò sul divano per rimettersi a dormire.
“Non si preoccupi, signorina Potts, faccio io”, intervenne Steve. E immediatamente si avviò verso i cocci.
Clint non poteva crederci.
“Eh-ehm, Capitano?”.
“Sì?” rispose Steve, rivolgendogli uno sguardo confuso.
“Le puntine…”.

 
Bruce non era più abituato a festeggiare il Natale. Tra una cosa e l’altra, anche quando era in una comunità che osservava la festività, il 25 Dicembre finiva sempre per passare come un giorno qualsiasi. Ovviamente, a New York dimenticarsi del Natale era fuori questione. A occhio e croce avrebbe detto che il martellamento natalizio era iniziato verso metà ottobre. Ora che le feste erano alle porte la gente si faceva di giorno in giorno più frenetica, e lui si trovava a provare una bizzarra nostalgia per la sua vita alla macchia. Anche con tutta l’ansia e il senso di abbandono che si era portato dietro.
Doveva ammettere che in realtà aveva desiderato di andarsene da molto tempo prima di Natale. Era stufo di svegliarsi con i muscoli già tesi e stanchi. Era stufo di passare le giornate in laboratorio perché fuori da quell’ambiente asettico si sentiva così indecentemente inutile. Ma ormai aveva promesso a Tony che avrebbe aspettato.
A proposito di attese, le sette e mezza potevano essere considerate un orario di risveglio normale: poteva alzarsi senza che qualcuno gli facesse il terzo grado sul suo stato emotivo e allo stesso tempo godersi un paio d’ore di pace.
Appena sceso in cucina per fare una parca colazione, constatò che la sua mattinata avrebbe anche potuto essere pacifica, ma non avrebbe ottenuto un momento di solitudine.
“Ben svegliato, dottore”, lo salutò Steve, già intento a lavare i rimasugli della colazione.
“Buongiorno, Capitano. È avanzato del the?” chiese Bruce, notando il bollitore ancora sul fornello.
“Uh, sì, ma sarà freddo… te ne faccio dell’altro!”.
“Lascia stare” rispose Bruce, e afferrò una tazza dallo scolapiatti. Prima che riuscisse a mettere le mani sul bollitore però, Steve l’aveva già requisito.
“Insisto”, disse Rogers.
“Non c’è bisogno, davvero”, rispose Bruce
“Oh, per la fottuta miseria”, sbottò Tony, facendo il suo ingresso nella cucina, “State litigando ed essendo gentili ed è troppo tardi per questa merda”.
Steve e Bruce si scambiarono un’occhiata perplessa.
Poi Rogers disse: “Vorrai dire troppo presto, è mattina, nel caso il tuo sfasatissimo orologio biologico non te lo avesse ancora comunicato”.
“Non dirmi che sei stato in laboratorio tutta la notte” aggiunse Bruce.
Tony rivolse loro uno sguardo vacuo.
“Uno” iniziò, sollevando un dito e squadrandolo per un po’ come se non sapesse esattamente cosa lo avesse spinto a farlo, “non sono sfasato. Per niente. E due, no, ho pianto tutta la notte e mi sono ubriacato perché ho problemi a relazionarmi con quelli a cui tengo e ho paura di essere abbandonato. Che vuol dire che più o meno è colpa tua, Bruce”. Fece una lunga pausa indeciso se ci fosse un ulteriore terzo punto o meno.
“E tre, voglio un dannato caffè”.
 
Sembrava che dopo l’esplosione natalizia del giorno precedente l’umore fosse precipitato in una voragine. Facevano eccezione Pepper e Natasha, che si stavano godendo le vacanze riempiendosi di tenerezze, per il resto Clint sembrava a un paio di ciuffi verdi di distanza dal diventare a tutti gli effetti il Grinch, Tony aveva recuperato il tempo perduto e si era chiuso in laboratorio, e, quando Bruce era entrato per lavorare, era stato sfacciatamente ignorato. Così lo scienziato finì per andare a stendersi sul divano, vicino al Capitano Rogers alle prese con la mastodontica impresa di recuperare una settantina d’anni di pop culture. Non ci mise molto ad assopirsi, anche perché Friends non l’aveva mai entusiasmato.
Quando Steve parlò, Bruce non era del tutto sicuro di non esserlo immaginato. Per stare sul sicuro grugnì un generico: “Eh?”.
“So di non essere certo ai livelli degli chef che può assumere Tony, ma mi farebbe piacere contribuire in qualche modo ai preparativi di Natale. Allora, ti dispiacerebbe?”.
“Mi dispiacerebbe cosa? Scusa, temo di essermi addormentato più o meno a metà della sigla…”, disse Bruce, sfregandosi gli occhi.
“Ho chiesto a Pepper di farmi cucinare il pranzo di Natale, alla condizione che trovassi un aiutante”.
“Ah, in tal caso…”. Bruce si stiracchiò. “Non sono un mago dei fornelli, ma farò quel che posso”.
Steve si rilassò e sorrise.
“Grazie mille, non avrei saputo a chi altri chiedere”.
Bruce tentò brevemente di immaginarsi il resto del team dietro ai fornelli: sarebbero stati ottimo materiale per uno show comico, decise.
“Sì, penso siano più abituati a sventare una minaccia a livello mondiale piuttosto che a cucinare” scherzò, e provò una punta di soddisfazione a vedere Steve ridere.
“Avrebbero tutti comprato in rosticceria…” continuò.
“O preparato un thermos da dieci litri di caffè” soggiunse Steve.
“O cucinato col lanciafiamme”.
“Dopo aver abbattuto un uccello con le frecce”.
Ormai stavano ridendo tutti e due come degli spiritati.
“Ahahah, molto divertente”. L’ingresso di Clint li interruppe. “Spero riteniate altrettanto esilarante occuparvi di questo bietolone scandinavo. Io vado a dormire. Sì, so che sono le quattro del pomeriggio”.
“Ehi, non sono un vegetale!” furono le prime parole di Thor, che entrò al seguito dell’arciere. Le sue labbra erano letteralmente piegate all’ingiù come quelle di un fumetto. Faceva quasi tenerezza, per essere un mostro di due metri. Non che Bruce potesse permettersi di fare commenti a proposito.
Steve andò incontro al dio con un sorriso sorpreso. “Thor, che ci fai qui? Sono felice di vederti” disse, porgendogli una mano e dandogli un’amichevole pacca sulla spalla. Thor rispose con sin troppo entusiasmo, e la badilata che assestò sulla schiena di Steve fece tossire il supersoldato furiosamente per un minuto buono. Era sorprendente quanto del ragazzetto ossuto e malaticcio di Brooklyn che il Dottor Erskine descriveva nei suoi appunti fosse rimasto nella postura e nell’atteggiamento del Capitano Rogers.
Bruce si fece avanti per dare a sua volta il benvenuto al loro compagno di squadra.
Thor aveva un ghigno entusiasta stampato in faccia.
“La Lady Jane mi aveva menzionato questa gioiosa festa del Natale che voi celebrate qui a Midgard, e da allora ho desiderato vedere le celebrazioni con i miei occhi, ma mai avrei immaginato una simile gloria” proclamò stupefatto.
“Oh, bé,” Steve si morse il labbro, “in realtà dovrebbe essere una festa più tranquilla…è Tony che è megalomane”.
“Ma anche per le vie ho potuto ammirare stupendi ornamenti!”.
“New York è megalomane”, intervenne Bruce, “Sarà il caso di chiamare gli altri, non è educato che non ti salutino neanche”.
In quel momento un urlo trapanante e doloroso, da sfrangiarsi le corde vocali, si levò dai meandri più oscuri della Stark Tower. La testa di Thor schizzò sull’attenti come quella di una lepre.
“Fratello mio, chi ti minaccia pagherà!” tuonò, e si lanciò di corsa verso la fonte dell’orrendo ululato. Immediatamente Steve assunse una posizione da combattimento e la faccia di un bambino che per la prima volta è stato convinto a prendere una medicina con l’illusione che potesse trattarsi di sciroppo alla frutta. Bruce sapeva cosa stava pensando: ti prego, fa che sia un altro fratello. Invece, dopo alcuni minuti, Thor rientrò nella stanza preceduto da Loki, che a intervalli più o meno regolari lanciava ansiose occhiate alle sue spalle, verso Natasha e la sua pistola. E il suo sguardo omicida. Un po’ distaccata dal gruppo, ma in corsa per recuperare arrivava Pepper, che era andata a recuperare Tony e se lo stava trascinando dietro con una furia di berserker.
“Il tuo amico il dio nordico ci è precipitato in casa – senza alcun preavviso…” gli stava dicendo, senza neanche guardarlo in faccia.
“No, mi ha mandato un messaggio tramite Jane. Sono quasi sicuro di avertelo detto”. Tony corrucciò la fronte, intento a cercare riscontro della sua affermazione nella sua nebbiosa memoria.
“Il quasi ti frega” ringhiò Pepper, aumentando la stretta sul suo braccio per enfasi, “e si è portato dietro quel debosciato di suo fratello. Sai, quello che si crede il Napoleone dei ghiaccioli”.
Gli occhi di Tony si spalancarono, ma non per la sorpresa. A velocità infinitesimale, soppesò se fosse meglio essere onesti o fare finta di niente, e decise che in ogni caso le sue probabilità di sopravvivenza erano praticamente nulle.
“Erm…potrebbe aver menzionato una simile eventualità. Potrebbe” disse, sperando che Pepper si ricordasse che aveva bisogno di entrambe le mani per disegnare le sue macchine e mandare avanti le Stark Industries.
A salvarlo fu l’intervento di Thor: “Si calmi, Lady Pepper, quello che Stark dice corrisponde a verità, ho portato il mio amato fratello con me perché ho sentito storie mirabolanti sulla magia del Natale, e su come ispiri pensieri fraterni in ogni cuore. Ho sperato che essa possa salvare Loki, un’impresa da cui gli dei di Asgard sono usciti sconfitti”.
Pepper mollò la presa e assalì Thor, scuotendolo per le braccia.
“Garantisci tu? Che non ucciderà nessuno, che non tenterà di conquistare il mondo? Puoi assicurarcelo? Sul tuo onore, la tua testa, il tuo nome?” gli strillò in faccia, la voce sempre più acuta e straziata. I suoi occhi erano lucidi, ma decisi, ed erano piantati in quelli azzurri e calmi dell’asgardiano.
“Terrò a bada mio fratello, mia signora”, rispose Thor dopo una lunga pausa. Pepper però ancora tremava; le labbra sbiancate per il morso che le chiudeva.
Il silenzio teso venne infranto da Natasha, che rimise la sicura alla sua pistola.
“Garantisco io” disse, riponendo l’arma alla cintura, “Con le mie pallottole”.

 
Thor non aveva ovviamente mai festeggiato il Natale. Eppure, quando Jane gliene aveva parlato, aveva sentito qualcosa risuonare dentro di sé. Non era solo entusiasmo per una nuova festa e più alcool, come Loki si era affrettato a commentare sarcastico. Era una sensazione che non riusciva a spiegare. Si era informato anche sull’aspetto religioso della Natività, cosa che gli aveva assicurato un paio di occhiate storte dai suoi compatrioti e aveva fatto letteralmente rotolare Loki dal ridere. Lo aveva colpito, la celebrazione per un bambino. C’erano state altre feste in quel giorno, prima del Cristianesimo, ma per lo più erano dedicate a temibili dei del Sole, non a un cosino appena nato. Certo, quel bambino era anche il figlio di Dio, ma, come dire, per una razza di dei fisici non era poi così impressionante. Era solo un bambino. Si era anche chiesto se la storia fosse un parto della mente umana o se come gli dei nordici erano stati ispirati dal suo popolo ci fosse in un pianeta nel multi verso anche un essere simile a Gesù. Se non fosse stato per le mille responsabilità, sarebbe andato a cercarlo.
In ogni caso, era stato contentissimo che Tony avesse accettato di ospitarlo per Natale. Vivere in prima persona le feste con i suoi nuovi amici era la cosa migliore che potesse immaginare, anche se il Padre di Tutti aveva preteso che non si separasse da suo fratello Loki.
Era stata una grande delusione, scoprire come per i midgardiani la ricorrenza si fosse tramutata quasi solo in un’occasione per ricevere regali. In televisione la cosa era addirittura ai limiti del paradossale, con rubriche su come scegliere il dono più adeguato alle proprie conoscenze. Come riciclare i presenti più assurdi senza offendere nessuno. Discussioni su quale fosse il limite oltre il quale i bambini diventavano dei mocciosi viziati. Regali, regali, regali. In seguito, però, avevano iniziato a sorgergli dei dubbi. Era per questo che era andato a parlare con Tony.
“Credi che dovrei, mh, comprare qualcosa a ognuno di voi? E a Jane, immagino”, chiese, cercando si stare al passo con Tony che galoppava verso il laboratorio.
“Non credo. Non troveresti più quasi nulla di carino. Non hai soldi. Hai scoperto cos’era il Natale due mesi fa. In ogni caso Jane è dall’altra parte del mondo per vai a sapere quale esperimento da fantascienza”, rispose l’uomo famoso per la sua improbabile armatura volante. “Vieni, ti faccio vedere una cosa che ho appena finito”, continuò poi, e aprì la porta del laboratorio, “Stai attento a non fare danni… anzi, non toccare nulla, è meglio”. Per sicurezza, Thor incrociò le braccia e seguì Tony come un cucciolo intimorito. Sul tavolo di lavoro stava una grossa scatola di semplice cartone, con a fianco un rotolo di carta da regali e dei nastri.
Thor si morse la lingua, incerto su quanto fosse appropriato fare domande su un simile argomento, ma alla fine chiese: “Perché un solo pacco?”.
“Oh? Nemmeno io posso permettermi di costruire un regalo per ciascuno, mi dispiace. Questo è per Rhodey, il mio…”. Le parole gli morirono in gola.
“Compagno d’armi” propose Thor, ma subito si corresse “Cioè, intendevo migliore amico”.
“Uh, no, più tipo il mio ragazzo. O qualunque sia il termine che due uomini oltre i quaranta dovrebbero usare i certi casi”. Tony scosse la mano, come a dire che non era davvero importante.
“Ah, capisco”, si interessò Thor, capendo al volo che invece lo era, eccome, “Per la persona più speciale. Dovrei costruire qualcosa anche io alla mia Lady Jane”.
Tony alzò gli occhi al cielo, gli era impossibile sprecare del sarcasmo anche in un momento di debolezza emotiva. Gli stava venendo il naso rosso per la commozione, ma gli fece comunque presente che la dottoressa Foster era impegnata in India, e che non si poteva pensare che tornasse prima di Natale, con il lavoro impegnativo che faceva. Alla fine del suo lagnarsi, le lacrime gli rigavano le guance.
“Non stai piangendo per Jane” disse Thor, senza neanche sforzarsi di chiedere. Tentò impacciatamente di abbracciare Tony, ma l’uomo si ritrasse per asciugare il pianto.
“La cosa peggiore”, sospirò tra i singhiozzi, “è che se fosse riuscito a dirmelo prima, avrei potuto spedirgli il regalo, e forse sarebbe anche arrivato entro Natale. Invece, no. Ieri notte alle quattro!”.


Tony non aveva mai festeggiato davvero il Natale.
Di solito, il pezzo forte della giornata consisteva di lui, Pepper e una cena troppo costosa di cui nessuno dei due mangiava più di qualche boccone.
A volte Rhodey si univa a loro, sempre che la nazione potesse fare a meno di lui per un paio di giorni. Più facile che si fermasse dopo aver sventato la sua ennesima serata autodistruttiva a base di alcool e party. Ubriacarsi da far schifo in un luogo pubblico era in genere il modo migliore per essere sicuri di averlo ospite a cena. Peccato fosse anche quello che faceva nascere più sensi di colpa. Non era mai riuscito a capire se qualcuno ai piani alti ci tenesse molto a mantenerlo in vita o se Rhodey fosse semplicemente fatto così. Non sapeva quale delle due opzioni fosse peggio. Quell’anno, sembrava essere uno degli anni buoni. Rhodey aveva prenotato l’aereo per New York da una settimana e lui aveva deciso che doveva essere l’anno migliore di tutti. Festa in grande.
Invece eccolo lì, neanche passato il mezzogiorno e già con un bicchiere di rum in mano, Pepper che gli urlava contro per il rum, Bruce che stava cuocendo a fuoco lento perché pensava fosse colpa sua, Clint appollaiato sulla terrazza di attracco della tuta nonostante il clima proibitivo e Jane e Thor che scoprivano le gioie di Skype. La cosa peggiore forse era sentire la conversazione fra il Capitano e Loki, perché Tony era matematicamente sicuro che, in un’altra occasione, li avrebbe trovati esilaranti. Probabilmente li avrebbe sponsorizzati come duo comico. Ora invece lo irritavano e basta.
“Vedi, e ora incastri le due lame così”, stava dicendo Steve, “e poi fai una leggera pressione qui, finché non scatta…”. Alzò lo sguardo dal coltello elettrico, lo smontò e lo porse a Loki. “Dai, ora prova tu”, gli disse con un sorriso luminoso, “Così poi mi aiuti a tagliare l’arrosto per pranzo”.
Natasha alzò un sopracciglio. “Steve, sei sicuro che non ci sia un compito più adatto al nostro ospite?” chiese, nella sua migliore voce angelica, “Uno che non includa lame, oggetti contundenti o movimenti improvvisi, ad esempio”.
“Su, Tasha, non dovresti essere così ansiosa il giorno di Natale” replicò Steve “Sono sicuro che non vuole nuocerci e-”. In quel momento Loki, nel suo tentativo di rimontare l’elettrodomestico, fece scivolare le lame una contro l’altra, provocando un rumoraccio sibilante da far drizzare i peli sulla schiena. “-non che gli convenga provarci, senza un’armata di Chitauri al seguito”, concluse Steve. L’asgardiano lasciò andare una lieve risata, ma per precauzione rivolse un dolce sguardo liquido da cucciolo al Capitano. “Scusa, non ho ben capito” disse Loki, “Credo sia meglio se fai tu”.
“Ma, no dai, da’ qui, ancora una volta”, disse Steve, sfilandogli la base del coltello di mano e riconsegnandogliela per il verso giusto, “Ecco, ora hai tutto dritto, pensi di farcel-“.
“Ah, merda, mi sono tagliato” replicò Loki, fissando inorridito il rivolo di sangue che gli usciva dal pollice.
Steve, ovviamente, andò nel panico.
“No, no, stai calmo, adesso cerchiamo un cerotto e… e poi proviamo di nuovo col frullatore, ok? Oggi non lo puoi usare, ma è divertente, è davvero una grande invenzione, dovresti vedere quanto ci metteva la signora Barnes con la mezzaluna quando ero bambino!”, disse, a velocità supersonica.
Tony decise che ogni limite era stato superato, e che qualcuno doveva fermare quella farsa.
“Steve” sbottò, alzandosi dal divano per fronteggiare il Capitano, “lo sta facendo apposta”. Loki lo fulminò con lo sguardo, una smorfia contrariata dipinta sul volto. Un gesto stizzito e un lampo di luce e il suo dito era di nuovo perfettamente sano. Tony poteva quasi sentirlo pensare: “Guastafeste”. Se ne sarebbe fatto una ragione, non era dell’umore di attaccar briga. Riprese il suo rum.
Lo lasciò cadere quando JARVIS annunciò all’interfono: “Signore, il Colonnello James Rhodes desidera essere annunciato. È già sull’ascensore”. Tony si precipitò fuori dalla stanza verso le porte scorrevoli dell’ascensore. Rhodey non arrivò che qualche minuto dopo: Tony fece in tempo a maledire i suoi stupidi ascensori, così lenti, insopportabili. Ma quando le porte si aprirono, la sua mente si svuotò e si gettò d’impulso tra le braccia dell’altro.
“Rhodey”, disse, sull’orlo del pianto isterico, “che ti è saltato in mente? Lo sai che non mi piacciono le sorprese”.
“Lo so, lo so” rispose James, carezzandogli la testa, “Sono stato fortunato. È una lunga storia”.
“Vorrei dire che non mi importa, ma non è vero”, disse Tony, e chiuse le labbra di Rhodey in un bacio.
“Dopo pranzo?” propose Rhodey, staccandosi e spingendolo verso la sala. Tony si mise a posare lunghi baci umidi sul collo dell’altro uomo.
“Avrei altri programmi per dopo pranzo” mugolò, la testa affondata nella piega della spalla di Rhodey.
“Approvo”.
“Lo so”, rispose Tony, e sorrise. “Vieni”, disse, “devi conoscere gli altri. Ti piaceranno. E gli piacerai”. Fece una smorfia. “Probabilmente più di quanto gli piaccia io” scherzò.
“C’è anche Capitan America?”, chiese Rhodey.
“Ovvio che sì, non si può mica lasciarlo fuori ad affrontare il mondo da solo: è come un cucciolo di labrador. Bé, un cucciolo di labrador che ha appena scoperto il microonde e pensa sia un’invenzione straordinaria”.
“Che stiamo ancora facendo qui?”.
“Ehi!”
“Lo sai che scherzo” disse Rhodey, scuotendo la testa, “E, tra parentesi, il microonde è incredibile. Guardati, saresti già morto di fame se avessi dovuto cucinare qualcosa su una cucina normale”.


Steve aveva ricordi sfocati di come passava il Natale da bambino. Si ricordava di quel gelo crudele che lo tormentava nelle notti d’inverno, peggiorando la sua tosse cronica. In chiesa, alla Messa, faceva forse ancora più freddo: quei vecchi muri erano stati costruiti per essere più solenni che ospitali. Il giorno di Natale era un alternarsi di momenti glaciali e momenti di tepore: la Messa, il pranzo con i vicini e, infine, la cena, magra e impregnata di quel senso di malinconia proprio della conclusione delle feste. Steve ricordava i lauti pranzi con una certa commozione, anche se non aveva mai amato ingozzarsi, il suo stomaco non avrebbe retto. Erano un’occasione di stare assieme. Sapeva che la ricca tavola che veniva imbandita per il pranzo di Natale era resa possibile solo dalla collaborazione e dai sacrifici di quasi tutto il palazzo. I regali erano un indicatore più veritiero dello stato delle finanze familiari: gli bruciavano le orecchie per la vergogna a pensare a certe orrende scenate che aveva fatto per i suoi miseri doni. Per fortuna, era maturato in fretta, ed era stato un adolescente molto meno viziato. In quel periodo la sua aspirazione massima era ricevere un set di strumenti da disegno, ma di solito il regalo con cui si divertiva di più erano i libri. I suoi si assicuravano di fargliene trovare sempre almeno uno sotto l’albero, così da toglierselo dai piedi nel pomeriggio, quando le donne erano impegnate a rassettare e gli uomini a discutere e bere. Con i pochi dollari necessari all’acquisto di un libretto d’avventura o un fumetto, potevano liberarsi di lui e Bucky sino all’ora di cena. I due si accoccolavano sotto una coperta, per scaldarsi a vicenda, quindi Steve leggeva a voce alta per entrambi. L’ultimo anno prima di arruolarsi, Bucky aveva scherzato che Steve gli regalava una storia, e lui contraccambiava evitandogli un’influenza. L’inverno era sembrato un po’ più freddo quando si erano dovuti separare.
Ora, per quanto efficiente il sistema di riscaldamento della Stark Tower potesse essere, gli era sembrato che il gelo gli fosse entrato nelle ossa, di doverselo portare dietro fino al giorno della sua morte. Anche con tutti gli sforzi che lo SHIELD aveva sostenuto per farlo ambientare, il XXI secolo non era casa sua.
Fino a quel giorno. Ma seduto lì, a capotavola perché Tony aveva insistito, capiva che tutto quello che il ghiaccio gli aveva tolto, poteva riconquistarlo, e, in alcuni casi, l’aveva già fatto. Il suo posto nel mondo non era scomparso settanta anni prima, era solo cambiato: in quel momento era lì a quel tavolo. Con il dottor Banner che, terribilmente spaesato in quella tavolata numerosa, gli aveva già passato tre volte il sale invece dell’acqua. Con Tony, che aveva un’aria deliziata dipinta sul viso, e più beveva più frequentemente si alzava per baciare il colonnello Rhodes, che da parte sua non si impegnava neanche la metà del solito per tenerlo calmo. Con Natasha che non abbassava mai la sorveglianza su Loki, neanche quando Pepper faceva del suo meglio per distrarla. Con Thor che discuteva tonante con suo fratello le imprese della Lady Natasha, che a suo parere rivaleggiavano con quelle della Lady Sif, beandosi del misto di terrore e ammirazione sulla faccia di Loki. Con Clint che, per tutte le sue arie da misantropo, alla fine era stato sconfitto dall’atmosfera natalizia al momento di scambiarsi i regali, e ora cantava una carola stonata per recuperare i tre giorni di malumore precedenti. Una compagnia mal assortita, ma era così che funzionavano le famiglie, o no?

 
 
 
N/A: innanzitutto tanti auguri a tutti, spero abbiate passato un Natale pieno di gioia. O almeno un 25 dicembre caotico ma soddisfacente, se come me non avete particolarmente a cuore la religione cattolica e le sue ricorrenze. In ogni caso, vi ringrazio per aver letto questa storiella. Il titolo deriva dalle Cronache di Narnia (duh, questo già lo sapevate). In una versione precedente aveva un senso, ma pur avendo rimosso quegli elementi che gli davano significato, non sono riuscita a trovarne uno migliore, quindi ve lo tenete così.
   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > The Avengers / Vai alla pagina dell'autore: princess_sparklefists