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Autore: Whatadaph    26/12/2012    4 recensioni
È il giorno di Natale, ma Albus Dumbledore riesce a pensare solo a tutto quello che ha perduto.
Si può avere nostalgia di tutta una serie di persone che si sarebbe potuti essere ma non si è mai stati? L'anziano uomo pensa di sì, e tutta questa moltitudine di se stessi lo spaventa, anche adesso che è un vecchio saggio con la barba bianca. Forse soprattutto per questo, dato che gli anni trascorsi gli hanno conferito una certa visione d'insieme che la gioventù per natura non possiede.
Buon Natale!
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Silente, Severus Piton | Coppie: Albus/Gellert
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'Licht und Schatten'
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Titolo: Ablösung

Fandom: Harry Potter

Personaggi/Pairing(s): Albus Dumbledore, Severus Snape, Albus/Gellert

Warnings: Angst, Slash

Timeline: Pre-HP1

Note: Il titolo è una parola tedesca che significa redenzione. Questa One-shot può essere vista come uno speciale natalizio della mia long Mehr Licht, ma a dire il vero è leggibilissima anche da chi non conosca la long! 

Carrellate di Angst, Severus come special guest. Spero che vi piacerà!

 

 

 

Ablösung

 

 

 

Si può avere nostalgia di tutta una serie di persone che si sarebbe potuti essere ma non si è mai stati? L'anziano uomo pensa di sì, e tutta questa moltitudine di se stessi lo spaventa, anche adesso che è un vecchio saggio con la barba bianca. Forse soprattutto per questo, dato che gli anni trascorsi gli hanno conferito una certa visione d'insieme che la gioventù per natura non possiede.

 

Questo è assurdo, perché appena chiude gli occhi tutto il suo tempo è ancora fermo a quel singolo istante.

 

Il giovane che era e l'uomo che sarebbe potuto essere sono andati per sempre, ma ci sono giorni dell'anno in cui questa nostalgia si fa sentire con più forza. 

 

Giorni in cui il vecchio pensa al giovane biondo e alla bionda, dolce sorella – ché di biondo è tinta la sua maledizione, a quanto pare. Vede i fili dell'esistenza di Ariana tendersi allo spasimo fino a spezzarsi: e così si è spezzata lei, quel giorno lontano. La può ancora vedere dietro le palpebre socchiuse, come fosse ieri. La guarda fare un passo di troppo ed essere centrata in pieno petto dal rimbalzo di un incantesimo – rivive quel momento di terribile, consapevole silenzio; e poi la dolce sorella resta sospesa per un momento, un lieve sorriso dipinto sulle labbra. Infine si piega e si arrotola ed è per terra. I suoi capelli sono ancora biondi, ma lei non c'è più. 

 

Si accorge una volta di più di contenere in sé più di una persona, diversi volti di se stesso – quei volti che hanno passato il filtro degli anni, sono sopravvissuti alle avversità. Alcuni non sono fra i suoi favoriti, ma sono quel che gli è rimasto e s'accontenta, li tiene di conto.

 

Certe volte vorrebbe solo lasciarsi morire. Ci pensa qualche volta, ma è consapevole che non lo farà senza un buon motivo: la morte non lo spaventa, non più, ma deve mettere a posto alcuni suoi affari, prima di trapassare. Ci sono conoscenze che solo lui possiede, cose che soltanto lui può. Questioni delicate da sistemare. 

 

C'è stato un tempo in cui la morte l'ha spaventato eccome. 

 

Diciott'anni scarsi, il dono di una mente senza eguali, milioni di strade che si spianavano davanti ai suoi occhi. Ed era bastato un momento per rovinare tutto: un istante di tempo incommensurabile aveva portato via il suo futuro. Solo allora aveva compreso la tremenda grandezza della morte, come essa può costringere ogni cosa al mutamento: il potere di strappare tutto in mille pezzi in un barlume di secondo e quello di distruggere persino l'esistenza di chi ancora vive.

 

Con la consapevolezza era maturato il terrore della fine, accompagnato dall'inquietudine di un'esistenza rovinata dalla morte. 

Kendra Dumbledore era stata sua madre: di lei ora restavano solo poche lettere incise sulla lapide, destinate ad essere consumate dal tempo. 

 

Il giovane Albus, dai capelli di volpe, aveva creduto di consumarsi anche lui fra le case grigie di Godric's Hollow, almeno finché non era arrivato lui.

 

Anche adesso tutto il suo tempo è fermo a quel singolo istante. La neve cade lieve oltre le finestre del suo studio, dai corridoi giungono soffocati i rumori, diversificati, della vita nel castello. Fanny bubbola come una colomba sul suo trespolo. 

 

Dentro l'animo del vecchio, tuttavia, vive un ricordo ancora giovane: un atrio fresco, una voce improvvisa, una prima impressione che lascia sbigottiti. Il giovane biondo e sottile, così brillante, l'improvvisa e nuova sensazione di aver trovato un animo affine al proprio – finalmente, finalmente.

 

La luce ha ucciso il buio e si è soffocata nell'ombra.

 

Qualcosa che era nato in fretta, e in breve aveva trovato il suo culmine: ambizione, desiderio di gloria, paura della morte e ardire di sconfiggerla. Amore: un sentimento troppo potente, che l'odio non sconfiggeva ma rispetto al quale era in egual misura, almeno per lui. L'amore fa fare cose pazze, ma questo Albus l'aveva capito solo in seguito. A quel tempo, durante quei due mesi di follia, contava solo Gellert.

 

Qualcuno bussa alla porta, due colpi secchi e decisi. 

 

Albus solleva lentamente il mento e sbatte un paio di volte le palpebre, dietro le lenti a forma di mezzaluna dei suoi occhiali. 

 

Un tempo portava occhiali a forma di piccoli ovali. Un tempo aveva capelli di un intenso color rame che raccoglieva con un laccio sulla nuca: Gellert aveva detto che somigliavano alla coda fulva di una volpe, un giorno. L'aveva detto nella luce gialla di una mattina d'estate, mentre entrambi erano sprofondati fra le spighe di quel campo di grano  – così lontano, così vicino.

 

Si prepara a indossare il primo dei suoi volti, quello del preside garbato e gentile, geniale e piuttosto strampalato. Quello che va fuori dalle righe perché la sua autorità glielo concede: qualunque stranezza gli verrebbe perdonata, perché lui è Albus Dumbledore, con tutta la patina dorata che trapela dal suo nome. 

 

Sa perfettamente chi attende fuori dalla porta, così come sa che non è solo. "Entra pure, Severus," concede in tono cortese, unendo le punte delle dita e appoggiandovi la fronte, i gomiti premuti contro il piano in mogano della scrivania.

 

La porta si apre con un esile scricchiolio, e sulla soglia compare Severus Snape, arcigno e nero come un pipistrello – compreso in quel lutto che non smette neanche il giorno di Natale. Lo segue un ragazzino pallido: non più di dodici anni, espressione atterrita e tremebonda. Albus ricorda nome, cognome e volto di ciascuno dei propri studenti, quindi non ha problemi a identificare all'istante il ragazzo. 

 

Jackson Melbourne, Tassorosso del secondo anno.

 

Severus – avvolto nel suo mantello nero, le braccia incrociate – getta a Jackson un'occhiata trasudante gelo, e il ragazzino cessa di tremare all'istante.

 

Albus sorride incoraggiante alla volta del piccolo Tassorosso, che sussulta e appare ancor più spaventato. Quindi il preside piega leggermente il mento, scoccando a Severus uno sguardo interrogativo.

 

L'insegnante di Pozioni fa una smorfia con la bocca, mantenendo i suoi occhi fissi e imperscrutabili. "Melbourne è stato colto in flagrante mentre rubava dalle cucine," comunica stentoreo. "Mi aspetto che venga punito, preside."

 

"Suvvia, Severus." Intenerito, Albus sbircia il ragazzino di sottecchi. "È Natale. Non è un reato così grave desiderare del torrone in più."

 

Jackson getta ai due adulti un'occhiata di sottecchi, con la faccia di chi non riesce a credere alla propria fortuna. Subito dopo, torna a fissare i propri piedi. Probabilmente, riflette Albus, Severus lo avrà apostrofato con ripetute minacce di inumane torture lungo tutto il percorso dalle cucine fino al suo ufficio.

 

"L'accesso alle cucine è vietato agli studenti," gli fa notare ancora il docente.

 

"Verissimo." Non può far altro che convenire. "Ma ritengo che si possa fare un'eccezione, data la festività del giorno." Strizza l'occhio al ragazzino, mentre le labbra di Severus si contraggono preda dell'irritazione. 

 

"Preside…"

 

"Puoi andare, Jackson."

 

Il ragazzino tira su la testa di scatto e non se lo fa ripetere due volte. Il tempo di biascicare un saluto imbarazzato e già si è dileguato, chiudendosi la porta alle spalle. Il rumore dei suoi passi di corsa sui gradini di pietra della scala a chiocciola mobile riecheggiano fino alle loro orecchie. 

 

"Accomodati, Severus."

 

L'altro emette uno sbuffo simile a una risatina sarcastica prima di sedersi rigido di fronte alla sua scrivania. "Preside, la tua indulgenza diventa eccessiva."

 

"È Natale, Severus." Albus sorride sghembo e per un momento si sente ancora quel ragazzo dai capelli di volpe. "Dovremmo tutti essere più buoni."

 

Quel ragazzo è morto molto tempo fa.

 

"Già." La voce di Severus suona amara, ma ne ha ben donde. Anche lui rimpiange un se stesso che sarebbe potuto essere, una vita che avrebbe potuto vivere, una giovane ragazza che avrebbe potuto salvare. 

 

Il primo Natale senza Ariana l'ha spaventato. Aberforth si era completamente chiuso nel proprio dolore: dopo il pugno che aveva assestato al naso di Albus durante il funerale, i loro contatti erano stati ridotti al minimo indispensabile. Abe passava il proprio tempo a badare alla sua capra, tutto immusonito, gli occhi colmi di una sofferenza cocente e di accusa, ogni volta che il suo sguardo si posava su di lui. Albus, dal canto suo, studiava senza sosta, cercando disperatamente fra le pagine dei suoi libri qualcosa che gli strappasse via dall'animo tutti i brutti ricordi che riguardavano Gellert, lasciando al loro posto soltanto quelli felici.

 

Bathilda Bagshot si presentò a casa loro, la mattina di Natale del 1899. La vista della donna fece sentire Albus come se qualcuno gli avesse stretto con forza il cuore in un pugno, violentemente: c'erano stati troppi momenti di quei due mesi in cui Bathilda si era affacciata dalla soglia della stanza di Gellert, domandando se gradissero del tè. 

 

La sua presenza gli ricordava l'assenza di Gellert, e quanto fosse sbagliato soffrirne. Albus odiava Gellert: l'avrebbe ucciso se gli si fosse parato di fronte – ma al tempo stesso continuava ad essere consapevole che non avrebbe mai potuto amare nessun altro. 

 

Aberforth lo sapeva. Lo sapeva perfettamente, e lo odiava per questo. Era una cosa che non riusciva proprio a perdonargli, come non riusciva a perdonare se stesso per aver provocato Gellert, in quel giorno così lontano e così vicino. Certe volte, nelle lunghe notti insonni, passate a cercare disperatamente un colpevole, Albus odiava il fratello. Odiava anche la madre per essere morta, Bathilda per avergli presentato Gellert, suo padre Percival per essere finito ad Azkaban. I ragazzi Babbani che avevano fatto del male ad Ariana.

 

A volte odiava se stesso, e desiderava uccidersi.

 

Bathilda portò il pudding di Natale e l'agrifoglio e pure le focaccine. Abe evitava accuratamente di rivolgere la parola ad Albus, che dal canto suo tentava di fare gli onori di casa senza troppi risultati. 

 

Il Natale non doveva essere così triste.

 

"Ricordi quanti anni sono passati." Si ritrova a dire il preside.

 

Severus guarda dritto di fronte a sé. "Perfettamente." La sua voce è inespressiva. "Dieci anni."

 

"Sai cosa significa, vero?"

 

Albus indossa un altro dei suoi volti, quello più sincero. Il volto del vecchio che è diventato, che è cresciuto poco alla volta sulle ceneri del giovane che è morto. Da qualche parte esiste ancora – nei sogni, in qualche luogo fra il sonno e la veglia – ma è stato perduto. 

 

Mentre attende una risposta, solleva le dita: dal suo trespolo Fanny spicca il volo e con un frullo d'ali si posa sulla sua mano, cantando dolcemente mentre oltre i vetri della finestra la neve cade più fitta. 

 

"Che il ragazzo sarà a Hogwarts, il prossimo anno." Esala Severus a denti stretti.

 

"Proprio così." Albus annuisce, soprappensiero, accarezzando le piume scarlatte e dorate della fenice. Alza gli occhi su Severus. "Sono anni importanti quelli che ci aspettano." L'altro gli rivolge uno sguardo scettico, ma ancora una volta Albus non ci fa troppo caso. "Buon Natale, Severus."

 

"Buon Natale, Preside."

 

Entrambi hanno un se stesso che sarebbero potuti essere, una vita che avrebbero potuto vivere, una giovane ragazza che avrebbero potuto salvare. 

 

Entrambi hanno ancora molto da fare e una redenzione da compiere.

 

 

 

 


 

 

 

 

 

Note dell'Autrice

 

Okay, è Natale. Non avrei dovuto scrivere così tanto Angst.

Ma che devo farci, Grindeldore è Grindeldore :3

Buon Natale! 

Daphne

 

PS: Ogni commento è più che gradito ;)

 

 

 

 

 

 

   
 
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