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Autore: dreamrauhl    26/12/2012    3 recensioni
“mi guardai allo specchio e tutto ciò che provai fu solo disprezzo.”
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1.

 

Mi svegliai di scatto. Le coperte giacevano sul pavimento, freddo e anonimo. Mi stropicciai gli occhi e mi rimase sul dito indice il nero della matita che avevo indossato la sera prima per andare in discoteca con le amiche, non avevo avuto la forza di struccarmi prima di addormentarmi.
Sentivo la testa rimbombare e le tempie esplodere sotto il mio tocco mentre cercavo di massaggiarle. Mi alzai lentamente dal letto, a fatica riuscivo a reggermi in piedi e camminavo barcollando. Entrai in bagno e mi sciacquai la faccia. Due righe di gocce nere scivolarono sul viso, seguendo i lineamenti, accarezzando le forme di quel volto un po' troppo magro per una diciottenne.
Mi guardai e scoppiai a piangere. Tutto ciò a cui riuscivo a pensare era che dopo diciotto anni ancora vivevo una vita che non sentivo appartenermi, che mi stavo rovinando con le mie smanie di apparire come non ero, sicura e bellissima, sempre alla mano e pronta a divertirsi. Giocavo a fare la dura, a ricoprire un ruolo che non sentivo di vestire nel modo più adatto, giocavo a cambiare maschera a seconda della situazione nemmeno fosse Carnevale e avessi l'armadio pieno di bugie, ognuna adatta ad una scusa diversa da inventare.
Mi sciacquai non una ma cinque volte il volto, nemmeno quel gesto riuscisse a cancellare da me gli errori che mi avevano portata ad allontanarmi dai miei genitori, a cercare casa da sola, a trovarmi un lavoro nemmeno finita la scuola.
La mattina frequentavo le lezioni, ero all'ultimo anno di liceo, il pomeriggio lavoravo come segretaria presso uno studio di avvocati e la sera uscivo.
Ma sì, esco un'oretta a bere qualcosa con gli amici e poi torno a casa”, “mi vedo con le amiche al bar”, ogni sera era la stessa storia.
Quell'ora si trasformava in una nottata intera, dal bar andavamo in discoteca, bevevo fino a vomitare e a non ricordare nulla.
Pensavo mi facesse dimenticare la giornata 'no', il 3 in matematica, l'impreparato in storia. Invece no. Ogni giorno andava peggio, ogni giorno mi sentivo un po' più male, un po' più magra, un po' più senza forze del giorno precedente.
Ero solita ripetermi “oggi è andata male, ma ieri è andata peggio; domani andrà meglio”. No: ogni giorno era peggio di quello prima, ogni giorno che sarebbe cominciato allo scoccare della mezzanotte sarebbe stato peggiore di quello appena terminato.
Mi asciugai il viso con l'asciugamano e tenendomi alle porte e ai muri tornai in camera. Aprii l'armadio e presi un paio di jeans e una maglietta. Credetti davvero che avrei trovato qualche bugia aprendolo, ripensando al discorso mentale che mi ero fatta poco prima.
Mi infilai i jeans e dovetti chiuderli con la cintura altrimenti mi sarebbero scivolati lungo le gambe troppo magre, misi la maglietta e mi guardai nuovamente allo specchio, stavolta dalla testa ai piedi.
Una ragazza bionda, occhi marroni e spenti, scrutava la figura riflessa nel vetro. Mi guardai dalle radici dei capelli alle punte dei piedi e tutto ciò che provai fu solo disprezzo.
Fu il disprezzo per quelle gambe troppo sottili, per i piedi un po' storti a causa dei tacchi, per il colorito pallido del volto, per le forme nascoste da magliette troppo larghe. Provai disprezzo per il sorriso finto che subito si trasformò in una smorfia, per le mani timide ed insicure che si appoggiavano leggere sui fianchi larghi.
Non ebbi tempo di pensare ad altro che squillò il telefono. La suoneria era la mia canzone preferita, quindi la lasciai suonare un po' di più. Lessi il nome sul display e fui costretta a rispondere.
Ciao mamma”, dissi svogliata.
Ciao”, rispose lei altrettanto freddamente.
Cosa dovevi dirmi?
E' arrivata una lettera dalla tua scuola, evidentemente non hai ancora cambiato l'indirizzo
La passo a prendere più tardi
Più tardi!? Sono già le quattro del pomeriggio!”, strillò mia madre dall'altro capo del telefono.
Oh cazzo, pensai.
Arrivo subito mamma, lasciami dieci minuti per arrivare”.
Chiusi la chiamata senza neanche lasciarle il tempo di rispondere.

  
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