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Autore: proteggimidailacrimogeni    26/12/2012    0 recensioni
Un racconto nonsense. Una storia scritta di getto, in fretta e in furia. Il meglio che posso.
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sette in punto. Achille ha gli occhi bene aperti. Tutto è muto. Dalla sveglia, nessun suono. Batte gli occhi una, due, tre volte. Gira finalmente il capo e nota che sul display non compare più nessuna cifra, neppure a intermittenza. Sono giorni che quell’aggeggio è rotto, ma Achille non si decide a sostituirlo. Non è un regalo speciale e non è associato a nessuno più di quanto una sveglia possa essere associata a qualcuno. Non ricorda neanche quando l’ha comprata. Ricorda solo che, un giorno, la sveglia analogica non ha voluto più saperne di suonare al momento giusto. Certe volte, si sentiva un “driiin!” forte provenire dall’appartamento di Achille alle tre di notte e ci si chiedeva cosa avesse da fare, quell’uomo, a quell’ora. Succedeva che la sveglia suonasse alle dieci del mattino, quando l’affittuario era uscito per andare chissà dove e ci si chiedeva perché la programmasse per quell’orario. “Driiin!” a ogni ora, tranne a quella che Achille avrebbe voluto. Nessuno se ne era lamentato con lui, nessuno gliene aveva fatto parola. I vicini erano perlopiù persone discrete, che si lasciavano sfuggire una parola di troppo soltanto alle riunioni di condominio. L’unica pettegola era la signora Perla, che - sfortuna volle - abitava proprio sotto l’appartamento di Achille. Questi aveva saputo che la donna andava in giro per il palazzo a parlar male di lui. Raccontava di strani rumori quando in casa non avrebbe dovuto esserci nessuno. Inventava una ragazza chiusa da giorni tra quelle mura in attesa, ogni sera, dell’uomo bizzarro.
Achille non ha un lavoro fisso. Esce ogni mattina alle otto meno un quarto per far credere ai vicini che sia un manager impegnato o qualcosa del genere. Il pianerottolo risuona di un “buongiorno a tutti” frettoloso e poco infervorato pronunciato dalla sua voce quando egli ha già preso l’ascensore. Sempre vestito di scuro, con le mani ficcate nel fondo del cappotto, cammina a testa alta. Mentre cammina si chiede cosa possa essere stato nelle sue vite precedenti. Scarta subito l’idea del manager, che proprio non gli si addice. Pensa al pizzaiolo, come avrebbe voluto la sua mamma o al chirurgo, come avrebbe voluto il suo papà. S’interroga un minuto buono sulle aspettative che accomunano ogni genitore. Mezzo minuto dopo, mette definitivamente da parte la questione. Facendolo sembrare un fatto casuale, guarda il cielo e pensa che l’astronomo farebbe proprio al caso suo. Quando arriva alla stazione sono ormai le otto e trenta. Si accomoda su una panchina sgombra. Il grande orologio nero che sovrasta ogni cosa indica qualche minuto di ritardo. Sembra essere uscito da un film in bianco e nero, capitato lì per qualche strana coincidenza. Qualcun altro avrebbe pensato a una casualità, ma Achille sa che ogni cosa avviene per un motivo. Il susseguirsi delle stagioni, ad esempio, è assicurato dall’inclinazione dell’asse terrestre. La sua solitudine, ad esempio, è assicurata dall’inclinazione del suo cuore.
A mezzogiorno è fuori dalla stazione per guardare quanto il Sole è alto in cielo. Si sofferma poco su questo particolare. Camminando, continua a ripetersi che l’astronomo farebbe proprio al caso suo. La seconda tappa è l’università. È uno di quei giorni di accoglienza che servono agli alunni degli istituti superiori per potersi orientare meglio nella scelta. Achille scelse di non scegliere, a suo tempo. Avrebbe potuto fare l’astronomo, ma non ne ebbe il coraggio. I soldi per studiare, quelli, li aveva. Il tempo pure. Il coraggio, invece, proprio non si faceva vedere. Non erano gli esami a spaventarlo, l’ambiente universitario e neppure la sessione estiva. Il cielo tutto gli faceva paura. Un passo sbagliato e avrebbe potuto caderci dentro. Così gli era parso quando aveva deciso che non sarebbe diventato niente.
All’una e cinque Achille mangia. Un pasto veloce, ma sempre vario. Un pasto fatto su misura per un uomo solo e misterioso. Eppure, di misterioso non c’era davvero nulla.
Achille non è sempre stato solo. Una sola volta il cuore gli è esploso. Si è sentito una supernova, a causa di Marta, la ragazza dalla pelle bianchissima. Lo scoppio era stato il risultato della loro relazione. Una supernova esplode allo stadio finale della sua evoluzione. Il cuore di Achille era scoppiato quando aveva capito che non avrebbe amato più.
Alle cinque è ora della passeggiata attraverso il viale alberato del parco. I bambini giocano sul verde e Achille cammina sulla strada polverosa. Le scarpe nere cominciano a sporcarsi, ma quello ha occhi solo per i ragazzini che calpestano i fili d’erba mentre si lanciano la palla. Il colore rosso e la forma sferica gli riportano alla mente l’immagine di Marte, sospeso nello spazio. Quegli stessi bambini non possono giocare sul pianeta rosso, pensa Achille. Poi prosegue, con gli occhi vuoti e saltando verso altri pensieri.
Le otto di sera sono fatte per tornare a casa. Dodici ore di lavoro sembrano ragionevoli per un manager. Arrivato nell’androne, Achille scuote visibilmente la testa di fronte al portinaio, controlla che l’ascensore sia vuoto e, dopo aver biascicato un “buona notte” all’aria, sale. Impiega qualche secondo per infilare la chiave nella toppa. Finge stanchezza, mentre richiude pesantemente la porta alle sue spalle. Accende la luce e l’orologio segna le otto e sei minuti.
La recita si conclude. Un’altra giornata volge al termine e la Luna è nello Zodiaco.
<<Benvenuto nell’universo>>.
Achille si carezza il braccio. 
  
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