Fanfic su artisti musicali > Justin Bieber
Ricorda la storia  |      
Autore: animapurpurea    26/12/2012    3 recensioni
Come le diapositive di un vecchio cinematografo, le quali riproducevano la sequenza del loro pathos, il quale veniva man mano coltivato.
Lui era il ritmo e lei battito di una melodia contrastante, la cui forza delle note non poteva essere limitata dalle cinque righe di un pentagramma.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Percorreva il lungo corridoio spingendo il carrello in metallo. La lattea divisa frusciava al contatto con l’aria fredda che sapeva di antisettico.
Camminava guardandosi intorno sconcertato; l’androne si affacciava sui due lati opposti occupati dalle varie stanze.
Dietro quelle porte c’era l’immaginabile: disturbi comportamentali, schizofrenici, vittime di abusi ancora traumatizzate e via discorrendo. Ma la martire che più lo lasciava impietrito era Judith, o quel che restava del suo corpo, dato che esso portava inesorabilmente la firma del suo seviziatore, come l’anima che le era stata strappata via senza anestesia insieme alle palpebre.
Quel lurido depravato e psicopatico del suo carnefice, dopo averla violentata innumerevoli volte, in quel modo, aveva ottenuto ciò che si era prefissato: l’ incapacità della vittima di non riuscire più a chiudere gli occhi, evitando quindi di non abbuiare più le sue colpe, le quali colpe non erano, bensì paura.
La filiforme giovane donna dai corti e ribelli capelli biondi, un tempo attraente, viveva nella sua cella sempre avvolta dall’oscurità perché i suoi occhi erano ormai diventati troppo sensibili alla luce e di conseguenza indossava sempre un paio di occhialini blu, dato che, a ogni contatto, la pelle le faceva male.
Non poteva più piangere, ridere o essere felice normalmente. Infatti il dolore era talmente forte e sconcertante che le faceva trascorrere intere ed interminabili giornate ad urlare; urla cariche di sofferenza, disperazione ed orrore che non sembravano neanche sue, bensì di un animale.

Sembrava piangere sangue.

Justin era spiazzato, non se ne capacitava.
Ma alla cattiveria dell’uomo non c’è limite? Si domandava in preda alla rabbia ogni qualvolta la fissava.
Non si era ancora abituato al suo aspetto, anche se ormai con Judith parlava tutti i giorni. Quel suo sguardo iniettato di sangue, le ferite, gli occhialini che si riempivano di lacrime per la costernazione lo facevano rabbrividire.
Come avrebbe voluto poterle dare un barlume di speranza, di tornare a star bene, o almeno ci aveva provato fino a quando lei stessa non si era suicidata davanti a lui con una gran quantità di sonniferi accumulati e nascosti sotto la lingua.
“Guardami, sono un mostro, non ho motivo di vivere. Una parte di me è ormai deceduta su quel dannato tavolo operatorio per mano di quel bastardo. Avrei voluto non essere mai nata, almeno così avrei potuto evitare tutte queste sofferenze. La paura e il dolore che provo sono interminabili” gli aveva detto in preda ai singhiozzi mentre beveva quell’ultimo bicchiere d’acqua prima di poter essere scossa dalle convulsioni e prima di addormentarsi per sempre senza neanche riuscire a chiudere gli occhi per un’ultima volta.

Ormai erano passati diversi mesi dall’accaduto, ma quell’orribile immagine era sempre viva nella sua memoria. E’ per tipi come quello stronzo malato che sono favorevole alla pena di morte, pensava sconvolto ormai privo di qualsiasi forma di lucidità mentale.

Forse a furia di stare qua dentro sto diventando pazzo anche io?

Era da quasi un anno che lavorava nella clinica, secondo i lavori socialmente utili imposti non appena uscito dal riformatorio.
Per solo un po’ di droga, pensò sbuffando e continuando ad avanzare.
L’idea di andare in un ospedale psichiatrico a servire i pasti ai pazienti o pazzi, come li definiva lui all’inizio, non lo allettò dal principio, ma dopo un po’ si era abituato e aveva cambiato atteggiamento oscurando la sua diffidenza. Si trovava abbastanza bene, in fin dei conti.
Soprattutto grazie al paziente della stanza numero 609 in fondo al corridoio, ovvero una ragazza di diciassette anni di nome Helene, la quale soffriva di un disturbo di sdoppiamento della personalità caratterizzato da un alternarsi continuo di atteggiamenti diversi.

Si immedesimava nel corpo e nella mente di un’altra persona.

Questa patologia era nata in seguito ad uno shock subito circa due anni orsono: un oculista immorale, lo stesso giustiziere di Judith, l’aveva rapita per la particolare bellezza dei suoi occhi, i quali erano grigi, ma affetti da una rara forma di eterocromia che correva come una saetta azzurra in quelle due distese di ghiaccio.
Questo “Collezionista di occhi”, dopo averla stuprata, aveva iniziato un’operazione di trapianto di cornea, asportandole l’occhio sinistro, poco prima che la polizia, in seguito ad estenuanti indagini, irrompesse nel capannone abbandonato in cui torturava le vittime.
Da allora erano iniziati i problemi della giovane: pianti, dolore, crisi di personalità , tormentate notti insonni e terrore.
Non si era mai ripresa, era sola in balia degli incubi, ovvero dei ricordi, che le devastavano la mente.
Malgrado ciò, a Justin non importava perché lei era l’unica persona che avesse voglia di vedere in quella specie di manicomio, per la quale continuava a spostare quel maledetto carrello colmo di pietanze sfatte e, molto probabilmente, anche immangiabili.

Aveva trovato un’amica, forse qualcosa di più.

Sentiva che, quando erano l’una in compagnia dell’altro, lei fosse vera, fosse la vera Helene, libera dal suo esecrabile alter-ego, il quale le stava logorando l’anima.
Nonostante l’occhio di vetro, in totale armonia con il resto del suo candido volto, che occupava la cavità del bulbo sinistro, la trovava bellissima: i lunghi capelli castani dai riflessi ramati che le ricadevano lisci fino alla vita, le lentiggini che le ornavano il naso e le guance rosee, la figura slanciata, i delicati movimenti delle esili mani, il suo meraviglioso sorriso, il quale veniva scatenato dalle sue stupide battute e dalla sua goffaggine, il suo essere spontanea e canzonatrice, soprattutto di se stessa, anche quando non c’era rimedio alla disperata realtà.
Si apriva con lui, gli parlava di tutto riferendogli i pensieri che le si accavallavano in una rete di ansie e sgomenti ingombrandole la testa.
Justin faceva lo stesso, non poteva farne a meno, ma allo stesso tempo non riusciva a riportare ordine tra i suoi sentimenti.

Helene gli dava assuefazione.

………………………………………………………………………………………………………….............

Era il giorno tanto atteso, vale a dire quello della sua dimissione dalla clinica. Era raggiante. Si sentiva bene nonostante le ferite.
Tutti l’avevano salutata orgogliosi ed entusiasti del suo percorso portato a termine con grandi risultati: era tornata l’Helene di sempre.
Tutti, tranne lui; non riusciva a capire dove diamine si fosse cacciato Justin, non era nel suo modo di fare.
Avevano tanto sperato e fantasticato su quel momento che non si sarebbe mai immaginata la sua assenza. Era delusa.
Aveva appena firmato le carte per essere dimessa, in quanto maggiorenne ormai, ed era pronta per tornare nel suo appartamento
. Era pronta per iniziare una nuova vita, tutta dall’inizio, era ottimista, ma la devastava l’idea di non avere Justin al suo fianco, di essere sola, dato che nell’ultimo anno, aveva avuto solo lui e così aveva anche dimenticato il sapore amaro della solitudine e del silenzio, nel quale tentava invano di soffocare le voci della sua mente.
Ogni suo abbraccio, ogni suo sorriso e ogni sua parola la faceva sentire a casa, una casa che non aveva mai avuto davvero, ma evidentemente lei per lui era stato solo un lavoro.

D’un tratto la situazione si capovolse e una nuova ed ambigua sensazione di odio cominciò a plasmarsi dentro Helene; si sentiva ingenua, fragile ed illusa, però non poteva lasciarsi sopraffare dalle emozioni, di conseguenza decise di obliare.

Lo rivide dopo circa un anno in un bar, non era cambiato molto come si poteva notare dai corti capelli castano chiaro plasmati in una cresta rivolta verso l’alto, dal dolce viso di bambino che apriva sul mondo due grandi occhi color miele, dalle carnose labbra a forma di cuore, dal radioso sorriso, dal fisico longilineo e abbastanza erculeo.
Era lo stesso Justin.

Lo aveva riconosciuto dalla sua melodica risata; al suono si era girata di scatto e alla vista aveva avuto un sussulto.
Un suono singolare riecheggiò dentro di lei: quello della tensione unito alla tachicardia che sottolineavano il frantumarsi di tutti i muri che aveva eretto intorno a se stessa e, di conseguenza, l’esplosione dell’ondata di sentimenti che aveva tentato più volte di seppellire.


Non è cambiato nulla, si disse crucciata. Le emozioni sono le stesse. Dannazione Helene, sei una cogliona.
Non voleva cadere nella trappola, o forse era solo lei che si complicava la vita con inutili ansie. L’istinto però ebbe la meglio sulla ragione e i suoi piedi si mossero inconsciamente verso il ragazzo.
Justin la riconobbe al primo sguardo, quegli occhi non si riuscivano a dimenticare tanto facilmente.
La giovane prese coraggio e pronunciò un flebile “Ciao” e da lì in poi partirono frammenti di immagini interconnesse di loro due, dei loro sorrisi, dei loro baci e dei loro respiri.

Come le diapositive di un vecchio cinematografo, le quali riproducevano la sequenza del loro pathos, il quale veniva man mano coltivato.
Lui era il ritmo e lei battito di una melodia contrastante, la cui forza delle note non poteva essere limitata dalle cinque righe di un pentagramma.

Si sentiva guarita.

In seguito la divorarono le ombre e da lì pian piano emerse nella luce vellutata.

Era un maledetto sogno cazzo,
pensò Helene non appena le si disnebbiò la mente.
Non ebbe il tempo di denigrarsi ulteriormente che la figura del ragazzo apparso nella visione onirica si presentò davanti al suo campo visivo. Non era poi tanto difficile riuscire a focalizzarlo con un solo occhio all’interno di quella nuvola di bianco che era la sua quadrata cella di isolamento.
Tutto era lattescente: il piccolo bagno sul lato sinistro, la brandina nel centro della stanza, muri e pavimenti rivestiti di mattonelle marmoree, come ad amplificare la sensazione di vuoto dilaniante e il diffondersi del terrore, il quale rimbalzava come una palla sulle pareti.
Justin le si avvicinò cauto, quasi con il timore spaventarla, poi si aprì in un meraviglioso sorriso dicendo: “Buongiorno Hels”
“Ciao” biascicò con la voce impastata dal sonno.
“Come stai?” aggiunse sedendosi al bordo del letto.
La ragazza dagli occhi grigi si sentì morire, voleva piangere. Era sconvolta.
Trattenne il più possibile le lacrime che volevano sgorgare dall’occhio destro, ma non ce la fece.
Iniziarono così a rigarle il pallido volto. Provò a nascondersi sotto il lenzuolo usurato dalle battaglie disputate contro se stessa, ma il ragazzo dagli occhi color miele la scoprì, le prese le mani perdendosi nel suo sguardo affranto per un tempo indefinibile e infine la circondò con le braccia.
La giovane sentiva il suo respiro e il suo battito tanto uguali ai propri.
“Va tutto bene” le disse in tono rassicurante cullandola.
Non cambiò l’espressione pacata e dolce che regnava sul suo viso florido; non era la prima volta che la ragazza aveva un crollo simile.
Helene non voleva sembrare debole, ma non era forte, si circondava soltanto di apparenze.

Invece va tutto una merda perché io non avrò mai il coraggio di dirti che la mia disperata ricerca verso una cura per salvarmi ha prodotto risultati. E credo che il mio esito sia tu.

Maybe you’re the therapy for my illness: you’ll be the rhythm and I’ll be the beat.

Image and video hosting by TinyPic

Corner of souls
Se fa davvero pena, mi giustifico dicendo che ero ispirata e che questo non vi esenta dal recensire, sappiatelo uu lol
Btw questa os è modellata sulla base di un libro che amo e che mi intriga parecchio, ovvero Il cacciatore di occhi di Sebastian Fitztek. Ve lo consiglio vivamente c: (la trama è modificata ovviamente)
Perché Justin? Perché lo adoro e trovo che sia una persona davvero meravigliosa. Sicuramente è molto trasgry in questa veste però mi attirava nei panni di questo personaggio bdfjbshbj
Ppppooooi volevo ringraziare tutti quelli che recensiscono, che stanno seguendo la fan fiction sui one direction e che hanno letto anche l’altra os su Zayn :3
His skin was like a painter's canvas and his smile a flash.
She belonged to him as he to her, they together were sparks, they were united by a bond as strong as the sea.
Spero di aggiornare presto,
Sawadee,
Al.
  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Justin Bieber / Vai alla pagina dell'autore: animapurpurea