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Autore: Keiko    26/12/2012    3 recensioni
Lo faceva solo per emulare suo padre?
No, lo faceva per un altro motivo, ben più semplice. Sapeva fare solo quello. Era stato cresciuto – e addestrato – per diventare Mangiamorte. Nella fierezza di suo padre, nella regalità di sua madre, vi era tutto l’onore di essere scelti dall’Oscuro, non la paura di cadere sotto i suoi colpi. C’era posto per quelli come i Nott, tra le sue fila, per quelli come i Lestrange anche. Non certo per quelli come i Malfoy. Draco era un codardo alla stregua di Lucius: per quello erano caduti in disgrazia.
Loro, invece, avevano il sangue di guerrieri.
Theodore aveva imparato a lanciare Maledizioni Senza Perdono prima di tutti i suoi compagni. Era stato il regalo per il suo tredicesimo compleanno. Sapeva amare? Non si era mai curato di quell’aspetto della vita.
Suo padre sapeva amare?
Nel modo dei guerrieri, quello fatto di abbracci frettolosi e di carezze mancate.
Sua madre sapeva amare?
Con il tiepido calore delle educatrici, quello fatto di parole di incoraggiamento e lodi, in cui un bacio sulla fronte era il premio dopo una giornata di studi, prima di addormentarsi.
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Theodore Nott
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Sweet Revenge © 2012 (24 dicembre 2012)
Disclaimer. Tutti i personaggi di Harry Potter appartengono a J. K. Rowling, agli editori inglesi e ai distributori internazionali che detengono i diritti sull'opera. Questa storia è stata redatta per mero diletto personale e per quello di chi vorrà leggerla, ma non ha alcun fine lucrativo, né tenta di stravolgere in alcun modo il profilo dei caratteri noti.
Nessun copyright si ritiene leso.





A Judy,
per il solo fatto che esiste e che fa parte della mia vita.

 

“If I may what is right some may time to see me bleed”
(“Do Re Mi”, Nirvana)

 

Yule aveva il passo strascicato e pesante quell'anno. Odorava di morte e sangue, e il profumo di biscotti allo zenzero era solo il ricordo di un'altra vita ormai. Ad Hogwarts la neve aveva coperto ogni cosa e il castello era stato spogliato di ogni colore ormai, lasciando il posto a un desolato e spettrale grigiore. Credere che solo un anno prima, in quel periodo, avevano ancora aspettative e sogni di cui parlare, rendeva solo più difficile e doloroso il presente. Hogwarts, da quando Severus Piton ne era divenuto il Preside, non era più la stessa.
Non c'era più distinzione tra dentro e fuori, nessun confine oltre cui essere al sicuro. Nemmeno la Tana o Grimmauld Place potevano ritenersi protetti dall’avanzata dell’esercito di Lord Voldemort e anzi, erano stati i primi luoghi in cui i Mangiamorte avevano fatto irruzione nella speranza di trovare ciò che restava dell’Ordine della Fenice. Non esistevano più luoghi in cui sentirsi al sicuro, e nemmeno Hogwarts la era. Molti studenti erano stati trattenuti a casa, abbandonando la scuola di Magia in vista di una guerra che avanzava con la falcata di una pantera nella notte, veloce e rapida nello strappare carni e portarsi via la vita di qualcun altro, troppo giovane per morire.
Perché ad Hogwarts si moriva. A Londra si moriva.
C’era chi era rimasto e non se n’era andato, chi aveva preferito lottare tra quelle mura in onore di Albus Silente, creando una resistenza che aveva la tenacia di una ragnatela, così capillare ma sottile da potersi lacerare in qualsiasi momento, in qualsiasi punto della sua fitta trama.
Ginevra Weasley era una di questi.
Seduta su una branda di fortuna nella Stanza delle Necessità, divenuta il rifugio dell’Esercito di Silente e di numerosi studenti mezzosangue, ripensò alla sua esistenza. Viveva da sette anni un'attesa senza fine, ecco come avrebbe potuto riassumere la sua misera autobiografia. Aveva scalpitato per poter andare ad Hogwarts con i suoi fratelli, poi aveva fatto di tutto per essere smistata tra i Grifondoro lei, che oltre ad aver ereditato il fuoco dei capelli della sua famiglia aveva ereditato anche quello del sangue. Poi aveva dovuto attendere Harry, rincorrerlo con lo sguardo, cercare di farsi notare e scivolare lontano dal ruolo di "sorella del tuo migliore amico" giorno dopo giorno. Le erano passate davanti Patil Calì e Cho Chang prima di capire che Harry, se lo desiderava, doveva prenderselo con le sue forze, sgomitando come quando doveva ritagliarsi un posto tra i maschi di casa prima, e tra gli adulti poi. Rinchiusa tra le mura di Hogwarts, impotente davanti al mondo che cambiava e cadeva in ginocchio sotto i colpi dei Mangiamorte, Ginny si sentiva di nuovo imprigionata in quel limbo costruito in un tempo dilatato, dove nulla sembrava muoversi di un solo millimetro. Si sentiva così, sua madre, quando si fermava per ore a osservare l'orologio attaccato alla parete della cucina, in attesa di essere certa che i suoi figli e suo marito fossero salvi? Probabilmente si, ma lei aveva ereditato da Molly il coraggio e l'impulsività grezza di chi sapeva muovere le mani, oltre che la bacchetta, non certo la pazienza di stare a guardare. Si passò una mano sulla fronte, stringendo gli occhi dal dolore. La ferita era più profonda del previsto, e ci sarebbe voluto un po' perché non le desse fastidio al solo sfiorarla.
“Ehi, hai la faccia scura.”
Neville si sedette al suo fianco, osservandola con attenzione. Ginny abbozzò un sorriso, dandosi una scrollata decisa alle spalle.
“Sto solo facendo un po’ di ordine tra i ricordi. Ci pensi che solo tre anni fa eravamo al ballo insieme?”
Il ragazzo portò lo sguardo sulle proprie mani, posate sulle ginocchia nell’atto di chi si sta per alzare in piedi, tornando poi a guardarla quando riuscì a trovare il coraggio per farlo. Era cambiato, Ginevra l’aveva visto crescere e diventare adulto più in fretta di tutti gli altri. Aveva ereditato un nome scomodo, ma a modo suo Neville era l’altro Prescelto e si era messo alla guida dell’Esercito di Silente sostituendo Harry, aiutato da lei e Luna. Nessuno di loro sarebbe arretrato di un solo passo, sarebbero andati avanti tutti e tre, insieme, sino alla fine.
“Mi dispiace non essere riuscito a fermare Nott ieri sera.”
“È solo un graffio, vedrai che passerà.”
“Sei svenuta dal dolore” la corresse lui senza particolare enfasi, sbuffando le parole rassegnato nel sentirle minimizzare ogni cosa la riguardasse.
“Vorrei esserci io al posto di Harry, ti risparmierei un mucchio di tristezza, vero?”
Ginny non disse nulla, limitandosi ad abbassare lo sguardo, sentendosi colpevole.
“Mi fido di Harry, tornerà. Siamo tutti qui per lui, sono certa che stia bene.”
Le tremava la voce, però, perché sapeva che quelle parole erano solo una favola che si raccontava ogni notte sperando che tutto andasse per il meglio, ovunque Harry si trovasse. Eppure, ormai, iniziava a dubitare che le cose stessero girando dalla loro parte, perché le notizie che arrivavano dall’esterno erano frammentarie e mai rassicuranti. Scontri e morti, troppi, tra i babbani e tra i maghi. Quando sarebbe finita?

 

Theodore Nott camminava spedito lungo i corridoi di Hogwarts, passando tra un dormitorio e l’altro per i controlli prima del coprifuoco notturno insieme ad altri Serpeverde. Tiger e Goyle lo affiancavano fieri, come se non sapessero mai muoversi senza un terzo membro. Lasciato Draco al manor dei Malfoy, non era rimasto altro che mischiarsi agli altri Serpeverde, come fossero un mazzo di carte in cui gli assi dovevano sempre formare una mano vincente a poker. I loro passi riecheggiavano nel silenzio come bombe sganciate in una biblioteca, e persino il frusciare delle tuniche risultava irritante.
“Dobbiamo controllare il dormitorio Grifondoro, è l’ultimo che manca” decretò Goyle superando i compagni con la bacchetta spianata, pronto a torturare nuovamente qualcuno di quei pivelli che osavano opporsi a loro. La sera precedente aveva avuto quell’onore Nott, schiacciando come un moscerino l’ultima dei Weasley e Gregory scalpitava al solo pensiero di potersi fare un po’ di giustizia dopo anni in cui le cose finivano sempre con il rivoltarsi contro di loro. Il Destino stava girando la ruota, e loro erano finalmente i padroni di Hogwarts, così come avrebbe dovuto essere sin dall’inizio della loro avventura a scuola. Se avesse potuto mettere le mani su quella larva di Paciock, sarebbe stato probabilmente il più bel Natale degli ultimi sette anni.
“Ehi Goyle, calmati.”
Il Prefetto era Theodore, e benché la sorveglianza dovesse essere eseguita in gruppo e mai da soli, era certo che avrebbe avuto meno problemi in una ronda in compagnia solo del proprio Patronus, anziché con i due compagni. Erano della stessa pasta di Malfoy, loro: ragazzini viziati, figli di Purosangue a cui avevano insegnato che il sangue veniva prima di tutto. Che era una legge inviolabile di secoli, e che quelli come la Granger, o i simpatizzanti dei Mezzosangue come i Weasley, dovevano semplicemente essere cancellati dal mondo. Ci sarebbe davvero stato un giorno in cui maghi e streghe sarebbero stati solo Purosangue?  Lanciò un’occhiata ai compagni, la bacchetta ben salda in pugno. Se la casta dominante doveva avere esponenti della stregua di Tiger e Goyle, forse avrebbero rischiato l’estinzione prima del tempo. Theodore Nott era sempre stato uno studente modello, un Serpeverde dall’indole astuta, dall’ambizione guidata dalla certezza nelle proprie possibilità, piuttosto che dalla certezza del suo nome. E i fatti gli avevano dato ragione. Gli avevano appuntato al petto la spilla da Prefetto, dicendogli di andare e far rispettare il volere di Lord Voldemort lungo i corridoi della scuola. Non era finito come Malfoy a chiedere l’elemosina per sopravvivere ancora qualche ora. Perché? Se lo chiese, ma aveva riflettuto a lungo sul motivo di quella fiducia quasi cieca nelle sue capacità. Anche lui, come Draco, era figlio di un Mangiamorte, ma suo padre non aveva rinnegato l’Oscuro Signore, ritrovandosi sbattuto ad Azkaban. Sua madre era morta anni prima, quando ancora doveva iniziare a frequentare Hogwarts. Quello che ricordava di lei era solo il suo forte profumo di lavanda, i capelli corvini portati raccolti sulla nuca sino a tirarle il viso in un’espressione dura. Era amato? Si, ma nel modo in cui poteva essere amato il primogenito di Purosangue, costretto a studiare per portare avanti il nome della propria famiglia, e null’altro. Le ambizioni personali dovevano convergere tutte lì, nel bene della gabbia famigliare. Ripensò a suo padre, ripercorrendo l’istante dell’ultimo addio, in cui il passaggio di testimone era stato il suo sguardo fiero, che non aveva subito cedimenti nemmeno durante la cattura.
Va’ e fa’ quello che non potrò fare io, sembrò dirgli.
Lo faceva solo per emulare suo padre?
No, lo faceva per un altro motivo, ben più semplice. Sapeva fare solo quello. Era stato cresciuto – e addestrato – per diventare Mangiamorte. Nella fierezza di suo padre, nella regalità di sua madre, vi era tutto l’onore di essere scelti dall’Oscuro, non la paura di cadere sotto i suoi colpi. C’era posto per quelli come i Nott, tra le sue fila, per quelli come i Lestrange anche. Non certo per quelli come i Malfoy. Draco era un codardo alla stregua di Lucius: per quello erano caduti in disgrazia.
Loro, invece, avevano il sangue di guerrieri.
Theodore aveva imparato a lanciare Maledizioni Senza Perdono prima di tutti i suoi compagni. Era stato il regalo per il suo tredicesimo compleanno. Sapeva amare? Non si era mai curato di quell’aspetto della vita.
Suo padre sapeva amare?
Nel modo dei guerrieri, quello fatto di abbracci frettolosi e di carezze mancate.
Sua madre sapeva amare?
Con il tiepido calore delle educatrici, quello fatto di parole di incoraggiamento e lodi, in cui un bacio sulla fronte era il premio dopo una giornata di studi, prima di addormentarsi.
Per lui c’era solo la guerra, e un ideale da proteggere. Una guerra che per lui era iniziata sin dalla sua nascita, quando suo padre era convinto che l’Oscuro sarebbe tornato. Tutto, negli anni della sua infanzia, era stato scandito nell’attesa del suo ritorno. Se avesse dovuto riassumere la sua vita, Theodore Nott avrebbe potuto utilizzare un’unica, frustrante parola: attesa.

 

Non avevano rinunciato ai decori natalizi. Benché non ci fosse nulla da festeggiare, la Sala Comune di Grifondoro era stata ricoperta di agrifoglio, rami di pino, addobbi che passavano dal rosso all'oro – a sottolineare l'appartenenza alla propria casa – e vischio. Ginny, Neville, Seamus e gli altri non avevano rinunciato al Natale né si erano piegati all'imposizione che proibiva agli studenti di festeggiare, così come di lasciare la scuola per le vacanze invernali. Le lettere di protesta di genitori in rivolta, di maghi terrorizzati all'idea di non rivedere i propri figli, erano scivolate nel limbo dell'indifferenza. Ognuno cercava di salvare ciò che aveva di importante. I più furbi non avevano iscritto i propri figli ad Hogwarts, o avevano chiesto il loro trasferimento a Beauxbatons o Durmstrang che, per quanto dura, non era direttamente in mano ai Mangiamorte, sperduta in mezzo al nulla e sufficientemente lontana dal cuore pulsante della battaglia. Ad Hogwarts, però, erano rimasti in tanti. Molti avevano protestato e si erano opposti alle decisioni dei genitori, altri, semplicemente, erano stati lasciati lì con la stupida illusione che Hogwarts non sarebbe stata toccata dalla guerra. Ancora, c'era chi già sapeva come avrebbero girato gli avvenimenti sotto la guida di Severus Piton, e aveva lasciato volutamente i propri figli a dare manforte ai Mangiamorte all'interno dell'istituto. Ginevra era una di quelli che aveva deciso di restare per combattere. La bacchetta si muoveva rapida e con precisione, mentre le ultime ghirlande adorne di candele si sollevavano sopra le teste degli studenti, illuminando a giorno la Sala Comune.
“Non ci puniranno, Ginny?”
Era uno dei ragazzini del primo anno, di cui non ricordava il nome. Le sembrava così stupido, come comportamento, ma l'Esercito di Silente le portava via ogni minuto di libertà, e i momenti di condivisione con i compagni di casa erano nulli. Sorrise incoraggiante al suo interlocutore, dando un ultimo colpo alla bacchetta.
“L'abbiamo deciso con Neville e i ragazzi più grandi, ci assumeremo noi la responsabilità. È Natale, impedirci di festeggiarlo non lo cancellerà dal calendario.”
Il ragazzino non sembrò convinto, ma si limitò a guardarsi attorno rapito, riscaldandosi dal tepore che la Sala Comune emanava, ritrovandovi forse un po' del calore di casa propria, di un camino sempre acceso e pannocchie calde cotte sul fuoco vivo.
Quando il passaggio si aprì, Ginny non fece caso a chi potesse essere. Pensava alla professoressa McGrannitt e ai controlli di routine che precedevano il coprifuoco, assicurandosi fossero tutti ai loro posti per proteggerli dai pericoli, come quello in cui era incappata Ginny la notte precedente cercando di scoprire come arrivare all'ufficio di Silente.
Perché si, sarebbe per sempre rimasto l'ufficio di Albus Silente e mai sarebbe diventato quello di Severus Piton, per lei.
“Infrazione numero uno, vero Prefetto?”
La voce nasale di Goyle si era propagata per la Torre di Grifondoro come una bestemmia. I ritratti gridavano impazziti, schizzando da un quadro all'altro complottando, gridando all'infrazione di ogni regola morale e scritta, fuggendo sino a uscire dalla stanza nel tentativo di raggiungere l'ufficio di Minerva. Ginny fissò i tre arrivati, riuscendo a distinguere le richieste di aiuto della Donna Grassa soffocate dai singhiozzi per l'umiliazione di essere stata sconfitta da Nott, che con facilità aveva imbavagliato la custode di Grifondoro lasciando così la via libera all'interno della Casa.
“Non dovreste essere qui” si limitò a scandire Ginevra, lentamente, rinsaldando la presa sulla bacchetta. Neville era ancora alla Stanza delle Necessità, Seamus al piano superiore a tranquillizzare i ragazzi del primo e del secondo anno, raccontando loro qualche storia inventata sulle prodezze di Harry quando nemmeno sapevano se fosse ancora vivo.
“Non dovresti pensare al Natale” decretò Goyle facendosi avanti minaccioso, nel tentativo di intimorirla.
“Fuori. Non potete stare qui dentro, è contro il regolamento.”
“È un Prefetto” disse Tiger indicando Nott “può fare quello che vuole.”
Le labbra di Ginny si incresparono in un sorriso serafico, mentre impugnava la bacchetta puntandola prima contro Goyle, poi contro Tiger. In rapida successione li schiantò, allontanandoli dalla Torre.
Lui, è un Prefetto. Non voi due, razza di pecore ammansite. Prima Malfoy, poi Nott... mi piacerebbe sapere se avete anche un cervello che funziona senza supporto.”
Theodore Nott sapeva, e con ogni probabilità stava cercando di capire cosa stessero facendo in giro per Hogwarts di notte. E se c'era una cosa che aveva imparato Ginny in quei primi mesi di scuola, era che era dannatamente furbo. Per certi aspetti, le sembrava che avesse l'intelligenza di Hermione e la freddezza di un qualsiasi Mangiamorte adulto, di quelli che per Hogwarts ormai si vedevano girare per i corridoi senza problemi. Era un avversario pericoloso, perché a differenza di Malfoy lui non aveva timore ad usare la bacchetta. Ed era un eccellente mago. L'aveva sperimentato solo la sera prima, quando era stata cruciata per essere stata trovata fuori dalla Torre dopo l'orario del coprifuoco. Neville non era riuscito a proteggerla, era rimasto a guardarla nascosto dietro una statua mentre si contorceva sulle pietre gelide del corridoio dell'ultimo piano, non lontani dalla Stanza delle Necessità. Non aveva gridato, si era morsa il labbro sino a farlo sanguinare, ma non aveva potuto farlo. Cedere al dolore avrebbe significato richiamare l'attenzione dei suoi compagni, e sicuramente farli uscire allo scoperto. E non potevano permettersi errori. Lei non doveva essere l'anello debole di tutta quella storia. Sarebbe morta, piuttosto, ma non avrebbero fallito a causa sua.
“Utilizzo della Magia inappropriato” sentenziò Nott senza estrarre il suo libro nero da sotto la tunica, continuando a fissarla.
“Cruciare un altro studente invece è lecito, immagino.”
“È stata legittima difesa. E vi trovavate fuori dalla Torre quando avreste dovuto essere a dormire da un pezzo. Avrei potuto fare rapporto, ma ho preferito darvi... un'altra possibilità. Sono qui per questo. Dov'è Paciock?”
“Non lo so” gli rispose lei in tono asciutto.
“Il nostro controllo di stasera è per assicurarci che abbiate imparato la lezione. È nel dormitorio? Salgo a controllare e se è tutto a posto me ne vado.”
“Non capisco perché stai parlando al plurale, lo sai?”
“C'era anche lui con te ieri, no?”
“Ero da sola.”
Doveva prendere tempo, cacciare via Nott dalla Torre e assicurarsi che non trovasse Neville prima di lei. Sapeva dove cercarlo, ma per farlo doveva avere il tempo di uscire e salire sino al quarto piano, e di lì prendere il passaggio segreto per raggiungere l'accesso all'ufficio di Silente.
“Paciock era nascosto dietro una delle armature. Batteva i denti come un bambino. Dovresti trovarti compagni migliori, Weasley, anziché continuare a stare con i perdenti. Oh, giusto, tu provieni da una famiglia di perdenti.”
Fu questione di un istante soltanto, e la bacchetta gli sfuggì dalle mani, schizzando a qualche metro da lui.
“Prima di sputare sentenze, pensa ai tuoi di compagni. Io so sceglierli benissimo, credimi.”
“Vuoi schiantarmi o mandarmi fuori a forza? Non puoi farlo.”
“Posso cruciarti, almeno potrei vendicarmi per quello che mi hai fatto ieri sera.”
“Non lo faresti mai. Non ne hai il coraggio. Sei una Grifondoro, sei una di quelle persone che mettono l'onore prima di tutto. Non attaccheresti mai un uomo disarmato.”
In guerra e in amore tutto è permesso, Ginevra.
Peccato lei non fosse avvezza alla guerra e l'amore l'avesse solo morso ai lati, scartandone il centro, il nocciolo più dolce e friabile, accontentandosi delle briciole. Le tremavano le dita, e rinsaldò la presa, ma sul viso di Nott comparve un sorriso di vittoria. Il labbro superiore pronunciato, rispetto a quello inferiore, gli conferiva un aspetto da leprotto, e quell'immagine le riportò alla mente la Tana e le lotte per preservare da conigli selvatici e gnomi l'orto di casa.
“Non sei un boia e nemmeno un aguzzino. Te lo si legge in faccia. Per cosa combatti?”
“Non sono affari tuoi. E sino a prova contraria sono io che ho la bacchetta in mano, non tu.”
La puntò dritta al cuore, ma vedeva che si muoveva dal polso alla punta in gesti ondulatori. Non avrebbe saputo uccidere nemmeno una mosca. Per essere degna di Harry avrebbe dovuto imparare ad uccidere?
“Potresti andartene, che ne dici?” gli chiese lei, indicando la porta della Torre alle sue spalle ancora aperta.
“Non senza la mia bacchetta.”
“Te la riconsegnerò domani mattina. Quinto piano, terza scala, davanti al ritratto della fragata di maghi francesi.”
Nott la fissò per alcuni istanti, poi le voltò le spalle e fece per uscire dalla Sala Comune. Di corsa, sino quasi a sbattergli addosso, arrivò Neville, gesticolando animatamente e parlando in tono concitato, abbastanza alto da essere udito da entrambi, arrestandosi a pochi passi dal Serpeverde con aria colpevole.
“Ce l'abbiamo fatta, Ginny! Abbiamo scoperto come entrare nell'ufficio di Silente!”
La ragazza sgranò gli occhi, incapace di dire nulla. Neville fissò Nott per alcuni istanti, poi portò lo sguardo su Goyle e Tiger a terra, fuori dalla torre. Era così euforico che li aveva saltati a pié pari, senza nemmeno prestare loro attenzione, realizzando di avere davanti Theodore Nott solo quando ormai il danno era fatto, quando Ginny aveva abbassato la bacchetta lungo il fianco in segno di resa.
“Ricordati di portarmi la mia bacchetta, Weasley.”
Ginny lo fissò uscire dalla Torre e attese che il quadro della Signora Grassa ritornasse al proprio posto.
“Mi dispiace, non sapevo ci fosse lui o...”
“Non potevi saperlo. È venuto a controllarci, dice di aver visto anche te ieri sera. E dopo quello che ha sentito dubito si fermerà. Per un po' è meglio se non andiamo alla Stanza delle Necessità.”
“Ma è assurdo! Gli altri hanno bisogno di noi!”
“Ci penserà Luna. Nott non è stupido, ci controllerà almeno sino a quando non capirà cosa stiamo facendo. E non possiamo mettere a rischio l'ES.”
“Hai ragione. Ha parlato di un appuntamento?”
“La sua bacchetta. Devo riconsegnargliela domani.”
“Vuoi una mano?”
“Tranquillo, sarà questione di un attimo.”
A volte gli attimi possono trasformarsi in ore, e questo Ginny lo sapeva bene. I minuti di ritardo ad ogni attesa sembravano dilatarsi sino ad inglobare un intero giro del quadrante dell'orologio.

 

“Sei in ritardo.”
“Dovevo evitare di farmi vedere dai tuoi colleghi” decretò lei restando distante da Nott, a sufficienza per non poter essere toccata come se il solo respirare la stessa aria potesse ucciderla.
“Ti restituirò la bacchetta ad un sola condizione: dimentica quello che ha detto ieri Neville.”
“E perché dovrei?”
“Perché altrimenti non riavresti la tua bacchetta?”
“Dirò che me l'hai rubata e passerai un mucchio di guai. Una di quelle cose al cui confronto il mio Crucio sembrerebbe una carezza.”
“Non mi importa.”
“Io riavrei comunque la mia bacchetta e tu, nella migliore delle ipotesi, diventeresti pazza.”
Ginny lo squadrò attentamente, cercando una via di fuga. Sapeva di essere in un vicolo cieco, una preda con le spalle inchiodate al muro e solo la certezza di avere le ore contante, ma cosa poteva fare?
“Un patto è un patto, non lo tradiresti mai” decretò la rossa in tono deciso.
“Sono un Serperverde.”
“Non sei Malfoy.”
Theodore sollevò il sopracciglio, senza allontanarsi dalla propria posizione, continuando a studiarla con il chiaro intento di metterla in difficoltà. Sapeva di avere la situazione in pugno, e che in qualsiasi modo girassero le cose, il vantaggio sarebbe comunque stato suo.
“Non faresti prima a dirmi cosa avete intenzione di fare? Se avessi voluto avrei cruciato Paciock e avrei fatto rapporto su quello che è accaduto ieri sera e quella precedente. Invece non l’ho fatto.”
“Lo farai comunque, no?”
“In cosa credi, Ginevra?”
Si rese all'improvviso conto, come se l'avessero presa a schiaffi, del modo in cui il suo nome assumesse un tono così ben arrotondato e perfetto, tra le labbra di qualcuno che non era sua madre quando la rimproverava. Non era abituata a sentirsi chiamare a quel modo, e ne rimase colpita, spiazzata.
Una vecchia tradizione diceva che chi conosce il nostro vero nome può avere pieno potere su di noi, e quella storia che odorava dell'antica magia druidica le era affiorata alla mente come un chiaro segnale che lei non poteva più indugiare oltre, tra le spire di un serpente più astuto di lei.
“Fa' come ti pare.”
Gli allungò la bacchetta, e il suo sguardo si posò sull'avambraccio nudo del ragazzo, l’incarnato pallido privo di segni. Come se le avesse letto nel pensiero, Theodore sollevò anche l'altra manica.
“Credevi avessi il Marchio vero?”
“Sei figlio di un Mangiamorte, credevo che...”
“Puoi servire l'Oscuro senza il Marchio, se credi in lui. Ma tu non mi hai risposto ancora, però.”
“Non sono affari tuoi.”
“Sarò la tua ombra, Ginevra. Ovunque andrai, non avrai un attimo di respiro.”
“Pensi che non lo sappia?” gli disse lei puntando i piedi e raddrizzando la schiena, cercando di essere il più stabile possibile, per poi riprendere il discorso senza staccare lo sguardo da quello di lui.
“Perché non lo fai?”
“Cosa?”
“Perché non mi denunci e non mi porti da Piton.”
“Finché non so perché lo fai tu, che senso ha condannarti a morte?”
Lo fissò atterrita, sentendo il terreno vacillarle sotto i piedi. Sentì in modo distinto una placca della sua corazza sollevarsi, lasciare spazio a un qualcosa che non era né nero né bianco, ma una linea indistinta di grigio. A pensarci, Nott era sempre stato così: la linea grigia, priva di spessore, di Serpeverde. Finché c'era stato Malfoy a dominare la scena come uno stupido re cieco, lui era rimasto uno dei tanti, un nessuno in particolare. Quando Draco se n'era andato e il suo posto lasciato libero, anche la casa di Salazar aveva finalmente avuto un erede degno, al pari di Harry per Grifondoro. Ginny lo guardò attentamente, cercò di focalizzarsi sul viso di Theodore, poi si girò su sé stessa e si allontanò, senza aggiungere altro.
Theodore Nott era un avversario pericoloso, ne aveva visto la grandezza dietro l'interlinea delle parole. Ginevra Weasley non era una stupida, e sapeva riconoscere quelli provenienti dal suo stesso ceppo. Non erano fatti della sostanza dei sogni, loro, ma costruiti dai fatti e dalle proprie azioni. Combattevano la stessa guerra, ma per cosa? Per la prima volta Ginny si pose quella domanda, e non riuscì a trovare una risposta valida che le desse la forza di affrontare Hogwarts anche quel giorno.

 

Yule e poi Imbolc (*), e ancora l'inverno, più freddo e pungente che mai. Sembrava non dovesse mai arrivare la primavera, e Theodore continuava a incrociare il suo cammino con quello di Ginevra troppo spesso. Si era accorto che, a differenza della Granger, la più giovane dei Weasley non amava chiudersi in biblioteca e perdersi tra libri e pergamene, ma finiva con il trovarsi sempre in prima fila per difendere qualche compagno. Tra una lezione e l'altra, non la lasciava un attimo, marcandola stretta sino quasi a farla precipitare dalla propria scopa. Ipoteticamente, la loro si era trasformata in una partita di Quiddich massacrante, a detta di Ginny.
“Ancora non ti sei stancato?”
“Di cosa?” chiese lui sorridendo, fingendo di non capire. Theodore aveva un sorriso da ragazzino, tra le labbra che gli conferivano l'aria di un cucciolo e qualche neo di troppo a chiazzargli l'incarnato pallido. Di un Mangiamorte, aveva la determinazione e l’indifferenza davanti alle lacrime.
“Di seguirmi ovunque, mi stai sfiancando.”
“È passato solo un mese e mezzo da quando è iniziata, ti facevo più tenace. E comunque non saranno le suppliche a farmi desistere. Fai quello che devi fare, così tronchiamo qui questa pagliacciata.”
“Va' al diavolo, ti stancherai prima di quanto tu non  voglia credere.”
Fece per superarlo, ma quella volta, in modo inaspettato, Theodore la trattenne, afferrandole il polso. Avvertì i muscoli contrarsi sotto la sua presa, e l'allentò lasciandola immediatamente libera.
“Perché lo fai? Avresti potuto combattere fuori da Hogwarts, con i tuoi fratelli. Lo sanno tutti che la tua famiglia è disposta a farsi ammazzare da un momento all'altro. Se sei rimasta è perché tieni i rapporti con l'esterno?”
Ginny sentì il viso avvampare e le gambe quasi cederle.
“Credi cosa?
“Tu sai dove si trova Potter, vero?”
Colpì più veloce la mano, che non la bacchetta. Ginevra calò con forza il palmo sulla guancia del ragazzo, avvertendola gelida al tocco. Esisteva qualcosa di umano in lui? All'improvviso le sembrò di avere dinnanzi una spietata macchina da guerra, quasi il proseguimento di Hermione. Prima di diventare sua amica e conoscerla davvero, si era convinta che non provasse emozioni, che fosse un concentrato di nozioni, testi stampati, rune e pozioni. Credeva non avesse cuore, o anima, e si era dovuta ricredere. Quello che le stava dinnanzi in quel momento, sembrava invece non dare il minimo peso alle parole, ma uno come lui avvezzo a frequentare le biblioteche conosceva l'esatto significato di ogni vocabolo utilizzato. Per quel motivo ferivano doppiamente.
“È per Potter o per la tua famiglia?”
“Per tutti e due.”
“Perché non sei andata con lui, se ti fa soffrire a questo modo?”
“Tu sei mai stato innamorato?”
Ci rifletté un istante, portandosi le mai al mento per assumere un'espressione pensosa che risultò quasi una presa in giro, per Ginny.
“No, direi di no.”
“Non sai nemmeno cosa significhino le promesse.”
“Prova a spiegarmelo tu, se pensi di saperlo.”
“Io non lo so, cerco solo di farlo giorno dopo giorno nel modo che mi sembra il più corretto. È  la stessa cosa che fai tu, no?”
“No.”
“Mi stai dicendo che....”
“... lo faccio perché voglio farlo, non me l'ha imposto mio padre.”
“Già. Tu non sei Draco Malfoy. Tu riesci a cruciare anche i ragazzini più piccoli. Che razza di persona sei, che non ti fermi davanti a nulla? Il tuo signore, quando si stancherà, vi ucciderà tutti quanti. Quando avrà paura anche di voi, deciderà di voler essere l'unico con la magia nel sangue e allora, a cosa saranno servite due guerre?”
Si girò, allontanandosi a passo spedito, quasi correndo lungo il corridoio deserto. Doveva cercare Neville e Luna e trovare una soluzione al problema. Finché Nott non avesse smesso di controllarla non avrebbero potuto addentrarsi nell'ufficio del preside e rubare la spada di Godric Grifondoro. Sapevano che sarebbe stata utile ad Harry e dovevano rubarla prima che i Mangiamorte decidessero di potarla via da Hogwarts.
“Eccoti!”
Luna agitò la mano sollevandosi di scatto, rischiando di scivolare sul ghiaccio che ricopriva il cortile interno della scuola.
“Ehi attenta” le disse Ginny prendendola sotto braccio per impedirle di cadere.
“Pensavamo ti fosse accaduto qualcosa, stai bene?” le chiese preoccupata l'amica.
“Non proprio. Dobbiamo trovare la maniera di levarci di torno Nott o non riusciremo a combinare nulla.”
Neville le osservava vigile, facendo vagare lo sguardo tutt'attorno, alla ricerca di orecchie ed occhi indiscreti, ma sembrava che tutti si trovassero altrove. Probabilmente il freddo di quei giorni riusciva a far desistere anche i più temerari.
“Non lo trovi strano, Ginny?”
“Cosa?”
“Che non abbia fatto rapporto su nulla di quello che ha scoperto” le rispose Neville senza batter ciglio.
“Ne abbiamo già parlato, insomma... non lo so perché lo stia facendo. Mi sembra di impazzire. Fa domande assurde, che non hanno un filo logico. Parla di retorica e io... be', io non sono Hermione, ecco tutto. Spunta quando meno me l'aspetto dai posti più impensati, sembra si muova con le ombre. È inquietante.”
“È innamorato” tagliò corto Luna arrotolandosi la collana creata con i bottoni di vecchie divise scolastiche attorno al dito indice, guardandola con gli occhi azzurri sgranati. A quelle parole né Neville né Ginny riuscirono a ribattere, semplicemente perché Luna Lovegood riusciva a costruire muri di silenzio grevi di disagio tutt'attorno a sé. Era una dote innata, quella, di chi vede con il cuore oltre che con gli occhi. A Ginevra mancava la sensibilità tipicamente femminile di chi riesce a vedere tra le pieghe delle risposte lasciate in sospeso, a scorgere tra le domande scomode il tentativo di entrarti dentro e conoscerti, mettendoti a nudo. D'altro canto conosceva il linguaggio del corpo, che parlava quando le parole venivano meno, o quando non ne trovava di adatte.
“È carino, e poi riesce a vedere i Thestral.”
“E questo cosa c'entra?” le chiese Ginny focalizzando l'attenzione su Neville, cercando di trovare una via di fuga al delirio di Luna.
“Significa che ha una certa sensibilità. Certo, tu hai Harry, ma forse Theodore non è così male come vuoi credere.”
“Certo, un Prefetto che crucia ragazzini di quindici anni tu lo trovi sensibile? Luna ma dove vivi? Su un altro pianeta? Quale divertente realtà alternativa ti sei creata a questo giro?” le rispose come se avesse un’ondata di piena di sentimenti repressi, gettandoli addosso all’unica persona che non c’entrava nulla. “Scusami” aggiunse poi, prima di allontanarsi dagli amici, decisa a fuggire il più lontano possibile dove nessuno avrebbe potuto trovarla. Si allontanò di alcuni di passi da loro, chinando il capo. Si sentiva meschina per essere stata così dura con Luna, ma il problema era che Nott aveva iniziato a tormentarla anche quando non era presente fisicamente, come se ogni sua parola avesse gettato semi sotto pelle che poi crescevano e grattavano per salire in superficie durante la notte. Erano il dubbio, la frustrazione, l'amarezza, la rabbia, quel senso di impotenza acuito da domande che non trovavano mai risposta nel quotidiano ma solo teorie, promesse già vecchie che qualcuno aveva di certo dimenticato. Lei non aveva la tempra di Hermione né la sua pazienza. Non era nemmeno un'eroina, e forse non era nemmeno adatta a stare con Harry Potter, il Prescelto che avrebbe dovuto salvarli tutti.
“Ci vediamo più tardi alla riunione.”
“Ehi aspetta! Ginny!”
Neville le gridò di fermarsi ma si era già avviata oltre, rientrando nella scuola e dirigendosi verso la Torre di Astronomia. Sentiva gli occhi bruciarle e il volto in fiamme per la congestione dovuta dal freddo. A capo chino, correndo quasi, si arrestò solo quando andò a sbattere contro qualcuno più alto di lei, qualcuno che la stava osservando con attenzione.
“Stai piangendo, Ginevra?”
Cercò di passare oltre, ma Theodore le strinse le spalle tra le mani, con forza inaspettata. Non l'avrebbe lasciata andare quella volta, non sino a quando non avesse avuto la sua confessione e la sua vittoria.
“È tutta colpa tua, okay? Devi smetterla di perseguitarmi, lasciami in pace! Ho trattato male Luna, non mi lasci via d'uscita, mi fai domande a cui non voglio rispondere... perché ti diverti così tanto a tormentarmi? Cosa diavolo ti ho fatto di male?”
“Perché non vuoi rispondere?”
“Perché credi sia facile restare qui, senza avere notizie della persona che ami, senza sapere se è viva o morta, accontentandoti delle voci di corridoio? Andiamo, sono tutti a fare la guerra là fuori mentre io sono qui a non fare nulla, ad attendere che tutto finisca. È un incubo, e sono stanca di essere ferma perennemente al binario Nove e Tre Quarti in attesa di un treno che non passa mai.”
Per la prima volta Ginny mostrò il fianco, e non fu piacevole, solo umiliante. Lei, che non si era mai arresa nemmeno quando il cuore di Harry apparteneva ad un'altra, ora si chiedeva a cosa servisse crescere, se poi dovevi restare a guardare gli altri morire senza fare nulla per proteggerli. L'amore era una parte della vita, non ne era la quota di maggioranza. Si era illusa di poter essere forte, di sapere come uscire da ogni situazione, ma si sbagliava. Davanti allo sguardo di uno sconosciuto aveva ceduto e gettato a terra le armi. Forse era solo stato più facile farlo davanti al nemico piuttosto che con gli amici, per non rendersi patetica, ma a ben vedere aveva solo dato a Nott un pretesto per colpirla dandole il colpo di grazia.
“Anch'io sono stato fermo a quel binario un sacco di tempo. Sono convinto che prima o poi passerà il treno, oppure puoi iniziare a camminare lungo i binari e andargli incontro.”
Ginny lo guardò senza capire. In realtà aveva compreso ogni sillaba uscita dalle sue labbra, ma non riusciva a capire il motivo per cui le avesse detto una cosa di quel genere.
“Tu l'hai fatto?”
“Cosa?”
“Camminare lungo i binari.”
“No, ma il mio treno alla fine è passato.”
Solo, non era certo di essere salito su quello corretto.

 

Non era riuscito a chiudere occhio quella notte. Nell'ambizione che l'aveva reso Prefetto, che l'aveva finalmente fatto emergere tra la moltitudine dei Serpeverde contando solo sulle proprie forze, senza una coalizione che – da dietro – lo aiutava a salire verso al vetta, vi era una componente di lealtà che trascendeva la meschinità. Suo padre era un guerriero tutto d’un pezzo, non aveva paura di morire per ciò in cui credeva. Gli aveva insegnato che la guerra deve essere vinta con ogni mezzo e gli aveva fornito gli attrezzi necessari per badare a sé stesso quando tutti gli avrebbero voltato le spalle. Suo padre aveva mai creduto di essere in errore?
No, mai.
Quella però era un'altra guerra, un altro Mondo Magico e altri uomini che combattevano per il Signore Oscuro. Se guardava tra le schiere dei Mangiamorte, Theodore vedeva uomini e donne appartenenti a una generazione che sapeva morire per gli ideali in cui credeva, che desiderava farlo senza remore. Sotto un certo punto di vista, Malfoy sembrava l'unico ad essersi adeguato ai tempi, ad aver visto tra le pagine della storia scritta le falle di un piano già fallito una volta. Si rigirò nel letto, osservando Goyle dormire con la bocca spalancata, emettendo suoni gutturali che gli avrebbero impedito di trovare il sonno per almeno un altro paio di ore. Sarebbero stati loro i futuri Mangiamorte? Non credevano in un ideale, avevano semplicemente deciso di proseguire la guerra iniziata da qualcun altro. Se avessero chiesto loro cosa fare da grandi, se non fossero stati figli di Mangiamorte, non avrebbero mai scelto quella strada. Nessuno avrebbe scelto volontariamente di uccidere, di sporcarsi le mani di sangue per una guerra che poteva vederli di nuovo perdenti. Sarebbero morti senza nemmeno credere in quello che stavano facendo, da idioti. Da pecore, in fila gli uni dietro gli altri pronti a offrirsi come carne da macello per proteggere i più vecchi, quelli che si sarebbero salvati solo perché più avvezzi alle battaglie e privi di scrupoli. Potevi uccidere se non avevi un valido motivo per farlo? E un ideale, bastava come attenuante per la coscienza, durante la notte? Per settimane lo sguardo umido e terrorizzato di Ginevra Weasley l'aveva ossessionato, divorato. Lo avvertiva scivolargli addosso, lungo la schiena mentre camminava per i corridoi, lo sentiva accusatorio arrivargli sino alle viscere dello stomaco quando si incrociavano.
E quello accadeva di frequente, per sua scelta.
C'era stata una cosa che l'aveva tormentato, persino più di quello sguardo azzurro e liquido come un rovescio d'estate, che gli ricordava il cielo del Galles, dove viveva con suo padre. Ginevra non aveva gridato. Si era morsa il labbro sino a spaccarlo, ma non aveva emesso una sola sillaba. Cosa proteggeva, di così prezioso, da valere persino la sua stessa vita? Era quello il segreto che voleva carpire.
Lei possedeva qualcosa per cui valeva la pena lottare, qualcosa per la quale era disposta a mettere in gioco il tutto e per tutto. Ma lui? Il suo ideale era un'eredità, esattamente come quella di Draco Malfoy. La loro vita era stata immolata all'altare di Lord Voldemort sin dalla più tenera età. Theodore, però, era certo di essere dalla parte del giusto, aveva avuto la certezza che quella guerra gli appartenesse nonostante non avesse nemici: nessun Auror gli aveva assassinato il padre. La verità era che a lui, il sogno di Lord Voldemort, l'avevano iniettato sotto pelle, giorno dopo giorno. Il suo corpo se n'era assuefatto sino ad assimilarlo totalmente e farlo proprio. L’avevano addestrato alla guerra ogni istante della sua vita ed ora, che c’era dentro, la sentiva propria sino all’ultimo grido.
Ci aveva creduto ed era stato certo di farcela.
Poi era arrivata Ginevra Weasley con il suo tesoro da proteggere, e aveva messo in discussione tutto quanto.
Lui, al suo posto, avrebbe resistito con la stessa tenacia?
Si sollevò dal letto, infilandosi una maglia sui pantaloni e, recuperata la bacchetta magica, uscì dal dormitorio. L'aria, nel sotterraneo di Serpeverde, odorava di stantio e vecchio, come se la muffa dei ricordi avesse attecchito sulle pareti. Lì dentro vivevano bloccati a quasi vent'anni prima.
Lì, nella tana del serpente, erano tutti in attesa del treno che li avrebbe condotti alla vittoria.

 

Ginny chiudeva la fila. Dinnanzi a lei, Neville apriva la loro folle impresa nel recupero della spada di Godric Grifondoro. Avevano atteso che Nott si ritirasse a dormire dopo la ronda serale, poi erano sgusciati fuori dai dormitori delle rispettive Case e si erano ritrovati davanti alla Stanza delle Necessità. Occorreva farlo quella notte stessa, o chissà quando si sarebbe ripresentata quella possibilità. Correvano in fila indiana lungo i corridoi bui della scuola con la sicurezza di felini. Avevano ripercorso a memoria il tragitto sino all'ufficio di Silente così tante volte da conoscere a memoria ogni sbalzo del pavimento.
Un soffio gelido sfiorò la testa di Ginny, facendola rabbrividire.
“Cos'è stato?”
“Cosa?” le chiese Luna proseguendo spedita per non restare troppo indietro rispetto a Neville.
“Non l'hai sentito?”
“Cosa?” le ripeté con la medesima inflessione di voce di pochi istanti prima.
“Ho sentito freddo, come se... ci fosse qualcosa.”
“Sarà qualche fantasma che non riesce a dormire. Non voltarti, per precauzione.”
Istintivamente, Ginny si arrestò guardandosi alle spalle. La bacchetta le tremava, e nel buio sembrava non esserci nulla di strano, oppure come se vi fosse annidato tutto il mondo di bestie che aveva preso a terrorizzarla dopo che la scuola era caduta in mano ai Mangiamorte. Fece alcuni passi indietro allontanandosi dal resto del gruppo, ritrovandosi immersa nel buio più completo. Avvertì di nuovo l'aria farsi gelida attorno a sé, e il tocco di una mano scheletrica sulla propria spalla. Trattenne un grido, ma le riuscì solo di sentirsi pietrificata sul proprio posto.
Dissennatori dentro Hogwarts?
Non era possibile, era totalmente folle e... avvertì la mano solidificarsi sopra la sua spalla, diventando pesante come un macigno, poi avvertì qualcosa prenderla per la vita e trascinarla lontano dal corridoio principale, mentre scalciava per liberarsi, impossibilitata ad utilizzare e lanciare incantesimi. La mano che le premeva sulla bocca le impediva di gridare in cerca di aiuto.
Ssht, stai buona. Era uno degli uomini di Greyback. Stasera è luna piena. Non gridare, intesi?”
Era poco più di un sussurro che le sfiorava l'orecchio, quella voce, ma lei annuì con il capo decidendo di fidarsi: che altre possibilità poteva avere? Quando venne liberata dalla stretta, si accorse con sorpresa che il suo salvatore era Theodore Nott.
“Cosa diavolo ci fai qui?”
“Ti ho detto che sarei stato la tua ombra.”
Ginny alzò lo sguardo al cielo, esasperata. Mentre Neville e Luna cercavano di entrare nell'ufficio di Silente, lei era bloccata chissà dove con un Serpeverde. Si guardò attorno, ma non riuscì a capire dove si trovassero esattamente.
“Perché mi hai salvata?”
“Dovevo sdebitarmi per la Maledizione Cruciatus. Ci ho pensato, e forse sono salito sul treno sbagliato.”
Ginny aggrottò le sopracciglia senza capire.
“Perché stai rischiando così tanto? Non è una provocazione, mi serve solo per capire” si affrettò a giustificarsi il ragazzo, come a voler evitare l'ennesimo scontro con la rossa.
“Cosa vuoi capire?”
“Lascia perdere.”
“Ti rispondo solo se anche tu risponderai a me.”
Theodore la fissò, poi acconsentì. Ginny aveva il volto sporco e tirato, gli occhi cerchiati per non aver dormito probabilmente negli ultimi giorni, e il viso coperto di efelidi sembrava più pallido del consueto.
“È per quelli come Hermione. Per noi sono maghi come lei a fare la differenza per il Mondo Magico, non larve come Malfoy.”
“Tu sei di parte” le rispose il Prefetto in modo schietto.
“Non sono tutti come lui. Tu sei meglio, per esempio.”
“Perché?”
“Tu pensi. Stanotte hai fatto una cosa che non è da Serpeverde.”
“E allora?”
Si strinse nelle spalle, per la prima volta messo in difficoltà dalla ragazza.
“Sai che potresti sbagliare, e questo è... bello. Hai una coscienza. Forse domani sarà di nuovo tutto come due mesi fa, ma ora sei qui e mi hai difesa. Grazie.”
Nella voce di Ginny c'era dolcezza, una sfumatura dai colori pastello che nessuno aveva mai utilizzato con lui. Si sentiva in imbarazzo e fuori posto. Era abituato a non conoscere quel genere di rapporto. Era un solitario, uno che alla vita di gruppo preferiva la compagnia dei libri, ed ora si trovava a disagio nello spazio angusto che condivideva con la sua principale vittima. Udì in lontananza alcuni passi in corsa avvicinarsi a loro, e d'istinto attirò a sé Ginevra, cingendole le spalle con un braccio e tenendo la bacchetta ben salda nell'altra.
“Non ti muovere.”
Lo bisbigliò tra i suoi capelli, quasi posandole un bacio sulla nuca, e Ginny annuì con i capo, strofinando il viso sul petto di lui. Udì distintamente il cuore del ragazzo accelerare il battito, forse saltarne un paio e tornare in carreggiata. Chiuse gli occhi, e decise di fermarsi ad ascoltare il proprio. Batteva, scalciava e premeva per inseguire quello di Theodore. Aveva sempre creduto che il suo Principe Azzurro fosse un grande eroe, colui che un giorno li avrebbe salvati tutti, ma si era resa conto che lei era fatta per la guerra combattuta al fianco del proprio uomo, non attendendolo lungo le retrovie. Per la prima volta, nella sua vita, era stata protetta, venendo prima di qualsiasi grande destino o profezia. Ci si sentiva così, a essere al primo posto nella vita di qualcuno? Forse non era la priorità nella vita di Theodore, ma solo un incidente di percorso. Conosceva il linguaggio del corpo meglio di quello delle rune, Ginevra Weasley, ed erano ancora stretti l'uno all'altra nonostante i passi si fossero allontanati ormai da loro.
Chiuse gli occhi e sospirò. Si sollevò sulle punte dei piedi, posando le proprie labbra su quelle del ragazzo. Erano morbide e tiepide al tocco. Per uno strano motivo era certa persino loro fossero gelide, così come le sue mani. La guardò sgranando gli occhi, restò a fissarla sino a quando non fu lei a chiudere le palpebre, mentre schiudeva le labbra invitandolo ad entrare. Gli cinse il collo con le braccia, attirandolo a sé. Era un contatto piacevole, il suo corpo magro contro il proprio, mentre le sfiorava la nuca posandole la mano tra i capelli premendo con un po' più di forza le proprie labbra contro le sue.
Per quella notte, il rumore della frustrazione era stato spento da quello più dolce di una melodia diversa, di mani che non volevano lasciarla e di un corpo nuovo da scoprire. Di qualcuno che l'aveva colta alla sprovvista come un acquazzone estivo in aperta campagna, sotto il quale aveva deciso di ballare a piedi nudi. Theodore Nott aveva atteso al suo stesso binario per tutta una vita e si erano trovati a scegliere di smettere di restare a guardare e, mano nella mano, costeggiare i binari.
Almeno per un piccolo pezzo della loro vita, avrebbero proseguito a piedi, l'uno al fianco dell'altra.

 

 

Note dell'autrice.
(*) Imbolc e Yule sono due festività celtiche.
Yule è il solstizio d’inverno, e cade il 21 dicembre.
Imbolc è il giorno che cade tra il solstizio d’inverno e l’equinozio di primavera, il 1° febbraio. La festività celebrava la luce a causa dell’allungamento delle giornate, e l’attesa della primavera.

 

Innanzi tutto chiedo perdono per la resa dei personaggi. Odio Ginny con tutta me stessa, e Theodore me lo sono pressoché inventato sulla base delle poche notizie che si hanno su di lui. La sintesi che mi ha portato alla sua caratterizzazione è la seguente. La Rowling afferma sia un Purosangue decisamente più intelligente di Draco. Ha lasciato anche intendere, in alcune interviste che Theodore potesse essere il Serpeverde “redento”. Le teorie pro-Malfoy affermano che il vero bastardo della situazione (ovvero il principale traditore) proprio Nott, a differenza di quel coniglio di Draco. Così ho miscelato l'intera interpretazione e ho dato vita a questo Theodore, che spero possa risultare credibile o, quanto meno, passabile. In quanto a Ginny, direte voi, potevo scegliere un altro personaggio. Ebbene, essendo questa storia scritta per MissVBlackmore, ho sfruttato il suo personale OTP (che non è diventato il mio, ma in compenso me ne ha fatto nascere un altro, peggiore) per farle un degno regalo di Natale. Se la pecca è il “tradimento” di Harry, posso dire che Theodore è nettamente migliore e che, con tutti i cuori spezzati che si è lasciata alle spalle Ginevra, anche quello di Potter non fa molta differenza? (U.U) La storia si colloca temporalmente durante il Settimo Libro quando Harry, Ron ed Hermione sono alla ricerca degli Horcrux. Essendo la parte legata agli avvenimenti di Hogwarts praticamente nulla, ho basato la vicenda sulla notizia secondo cui la spada di Grifondoro viene portata alla Gringott dopo il tentativo di furto da parte di Neville, Luna e Ginny. Probabilmente la linea temporale non sarà perfettamente quella del romanzo, ma è Natale per cui ho utilizzato un clima piuttosto invernale per la storia.

   
 
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