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Autore: Mahiv    27/12/2012    1 recensioni
Sono passati tre anni dal giorno in cui Sherlock ha inscenato la sua morte.
Torna da John, che gli fa capire di avergli fatto passare l'inferno, e che da quel momento cerca di evitarlo il più possibile. Sherlock cerca di riavvicinarlo, ma deve anche fare i conti con l'imminente matrimonio del dottore.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un violento scossone mi fece rinvenire.
Aprii gli occhi a fatica, sussultando vistosamente, e osservai lo spazio inaspettatamente non angusto in cui mi trovavo.
Ero raggomitolato all'interno di una delle (ci avrei giurato) auto di Mycroft, il mio giubbotto di pelle a farmi da coperta, ed il sorriso sornione di Sherlock Holmes a darmi il buongiorno.
Socchiusi gli occhi, per cercare di mettere a fuoco la sua figura, concentrandomi per richiamare alla memoria gli eventi della sera precedente.

Aveva i capelli scompigliati.
Il colletto del cappotto strappato in più punti.
Un taglio sullo zigomo destro, ed un labbro rotto.
L'immancabile sciarpa avvolta attorno al collo, più stropicciata del solito.

Mi ci volle qualche secondo per ricollegare i vari indizi ai fatti, e quando ci riuscii, scattai a sedere.
«Il mio matrimonio!»

***

«Non fare quella faccia, John. Hai accettato che ti organizzassi un addio al celibato, è troppo tardi per pentirsene.»
Sbuffai seccamente mentre lui, di spalle, si infilava il cappotto.
«Se non mi stai nemmeno guardando.» Borbottai.
Sherlock finì di aggiustarsi la sciarpa, e si voltò verso di me.
«Sai che non ne ho bisogno. Ora, prima di uscire...Mrs Hudson ha portato una cosa.»
Sparì in cucina, la cucina del
221b, e ne riemerse con due calici colmi di quello che aveva tutta l'aria di essere dell'ottimo vino.
Mi sentii sollevato. Se volevo riuscire a rimanere in compagnia di Sherlock per almeno qualche ora senza mandarlo al diavolo, l'alcool era più che necessario.
«Ha anche detto che avrebbe raschiato via dal lavandino il mio muschio di briofite se non avessi brindato.»
Disse con un cipiglio di disappunto porgendomi il mio bicchiere, per poi sollevare il suo nella mia direzione.
«Perciò: A John Hamish Watson...»
Persino io riuscii a sentire la finta allegria di quelle parole, ma mi limitai ad annuire e a guardarlo freddamente, prima di vuotare il calice in un unico sorso.
Dovevo ammettere almeno a me stesso che mi sentivo in colpa per il mio comportamento. Infondo Sherlock stava cercando di rimediare, di farsi perdonare, si era addirittura offerto per organizzare il mio addio al celibato, ed io non facevo che trattarlo come un estraneo, o in modo distaccato e freddo. Non che non se lo meritasse, ma la cosa mi faceva comunque sentire a disagio.
Stavo quindi per dirgli qualcosa, un ringraziamento, una delle mie solite uscite che volevano sembrare spiritose ma che non lo avevano mai fatto nemmeno sorridere (se non di esasperazione), quandò continuò.
«...E alla sentita farsa che porterà avanti per il resto della sua -sicuramente misera- vita.» 
Rimasi a guardarlo, interdetto, con le sopracciglia aggrottate, facendolo sorridere ancor più meschinamente.
«Come hai detto, scusa?» Ero davvero sicuro di aver sentito male. Stava quasi riuscendo a riguadagnare un po' della mia fiducia, che senso avrebbe avuto buttare tutto all'aria così?
«Oh, giusto! Ho dimenticato di brindare alla moglie!» Portò nuovamente in alto il bicchiere, sempre con quel sorriso strafottente sulle labbra.
«E alla cara Mindy! O Mandy, o qualunque assurdo nome da oca giuliva sua madre gli abbia propinato. Perchè nella sua totale stupidità, ha avuto l'accortezza di scegliere un compagno altrettanto stupido, che farà a gara con il resto del mondo per poterle offrire la misera e vuota vita che entrambi sanno di meritare.» Il suo dannato sorriso divenne ancor più pronunciato.
Serrai la mascella, più che sicuro di aver sentito bene questa volta, e lo colpii.
Non mi sentii in colpa.
Sherlock barcollò fino ad urtare la mia vecchia poltrona, ma non c'era traccia di sgomento sul suo volto, come se se lo fosse aspettato.
Portò una mano alla bocca, ridacchiando alla vista del sangue.
«Dalla tua reazione si potrebbe dedurre che ho ragione, sai?»
Mi ci volle tutto l'autocontrollo di cui ero fornito per non andare da lui e colpirlo un'altra volta.
«Con che diritto parli di Mary? Ti sei mai almeno disturbato a conoscerla?» Gli urlai addosso.
Mi sentivo la testa girare, tanto ero furioso. Forse più del dovuto, ma non me ne curai.
Lui si esibì in uno dei suoi perfetti sbuffi di sufficienza.
«Tsk,
Mary. Lo immaginavo. Nome impeccabile per una maestrina.»
Il disgusto che calcò l'ultima parola vanificò i miei tentativi di calmarmi, e prima di rendermene conto ero di nuovo su di lui, tentando di colpirlo, tramortirlo, qualunque cosa potesse comprendere un minimo di dolore da parte sua.

Dopo svariati colpi a vuoto mi accorsi di non riuscire a seguire i miei movimenti.
Mi accorsi di percepire i suoni in modo ovattato, di quanto fosse faticoso fare un minimo spostamento.
Mi accorsi di essere a terra, con Sherlock che mi sorreggeva il busto.

Uno Skerlock che sembrava quasi dispiaciuto.
«Vorrei poterti dire che non era mia intenzione insultare la tua futura moglie, o che per nessuna ragione avrei voluto farti arrabbiare, ma erano necessarie entrambe le cose, perdonami.» Mi cinse le spalle con un braccio, e tentò di rimettermi in piedi.
«Sherlock...» Biascicai. «Cosa..?»
«E' il veleno della Donna. Dose minore e diluita nell'alcool. Avrebbe fatto effetto fra un'ora, ma ho pensato che sarebbe stato meglio farti svenire qui che non in uno strip club, così ho dovuto far aumentare la tua pressione sanguigna, per velocizzare il processo di assimilazione.»
Riuscii a seguire il filo logico del suo discorso per miracolo, a mala pena tenevo gli occhi aperti.
Farmi incazzare era necessario per far aumentare la pressione del sangue, ma poteva farlo benissimo anche senza insultare la mia fidanzata.
«E insultare Mary...era necessario...perchè?» Le parole mi uscirono impastate, ma lui le comprese comunque, e ridacchiò, mentre riusciva a farmi scendere le scale tenendomi come un peso morto.
«Sfogo personale, presumo.»
L'ultima cosa che sentii era la porta del 221b, il nostro vecchio appartamento, che si chiudeva.              

*** 

 Sherlock sogghignò, per niente infastidito dalla mia voce gracchiante, e si voltò verso il finestrino, fingendo di apprezzare il paesaggio di campagna.
«Ben svegliato, John, giusto in tempo per goderti il panorama della brughiera. Non ti era sempre piaciuta quest-»
«Sherlock!» Lo interruppi. «Brughiera!? Come possiamo essere sulla brughiera!?»
Lui ridacchiò di come l'agitazione avesse reso la mia voce stridula.
«Suvvia, John. Saremmo ancora in perfetto orario, nel caso volessimo dirigerci alla chiesa.» Disse con l'espressione di chi cerca di far ragionare un bambino capriccioso.
«Nel caso volessimo..? Buon Dio, io mi devo sposare, Sherlock!»
Il suo sorriso, se possibile, divenne ancora più pronunciato.
«Beh, se ritieni di desiderarlo veramente, John, allora riferirò al conducente di portarci alla graziosa sede del suo matrimonio.»
Lo guardai, stranito e furioso.
Non capivo il senso di ciò che stava succedendo.
Per quale motivo aveva ceduto così facilmente?

«Ma. E c'è un ma.» Continuò tranquillamente lui.
«Dovrai prima farmi partecipe di almeno due buone ragioni per cui io ti dovrei lasciare a Mary.»
Silenzio.
Sherlock mi sorrideva, raggiante, come se avesse concepito l'idea più geniale che avesse mai attraversato la sua mente.
Io strinsi gli occhi, in quello che speravo fosse uno sguardo omicida, e serrai la mascella.
«Tu. Tu sei un pazzo. Fammi scendere. Subito
Lui sospirò e scosse la testa, esibendosi in un -ovviamente falso- sorriso di scuse.
«Temo proprio di non poterlo fare, John.»
Io inarcai le sopracciglia, come a voler dire "Ah davvero?", e cominciai a bussare -forse con più forza del dovuto- sul pannello che ci separava dal conducente, fino a chè non venne abbassato.
Questi mi guardò dallo specchietto retrovisore.
«Avete fatto del male al signor Sherlock Holmes?» Chiese, preoccupato di dover riferire a Mycroft qualcosa di spiacevole.
«Non ancora, no.» Sibilai, ormai al limite della sopportazione.
«O almeno, non lo farò, se lei mi farà scendere.»
Nell'abitacolo risuonava il maltrattenuto ridacchiare del mio vecchio collega, e sembrò accorgersene anche il conducente.
«E' senza alcun rammarico che mi trovo a rifiutare la sua richiesta, signore. Non sono solito trattare con i criminali, e non tradirei mai la fiducia del signor Mycroft Holmes.»
Rimasi interdetto per un momento, poi ricordai con chi avessi a che fare.
Mi accomodai nuovamente sul sedile e, fissandomi le mani che tanto fremevano per colpire l'individuo che sogghignava bellamente accanto a me, mi decisi a parlare.
«Sherlock...» Cominciai, con un tono fin troppo calmo perchè potesse risultare spontaneo.
«Che cosa hai detto all'autista?»
Lui fece spallucce.
«Nulla di rilevante, in realtà. Ho avuto la somma fortuna di trovare in lui un...."ammiratore" di mio fratello, per così dire. Ed è rimasto molto affascinato dalla storia di come tu, criminale in fuga, sia stato abilmente intercettato, e successivamente messo al tappeto, da lui. E' convinto che Mycroft mi abbia concesso l'onore di cercare di farti confessare, per poi consegnarti a Scotland Yard. E continuerà a condurre quest'auto senza alcuna meta precisa, fino a quando non riceverà un mio ordine.»
Chiusi gli occhi e cercai di respirare lentamente.
Ero mai stato così furioso con lui?
Subito mi tornò in mente Quella volta.
La volta in cui lo rividi, dopo tre anni di inferno.

Avevo appena cominciato a sistemare lo schifo in cui era ripiombata la mia vita.
Avevo finalmente trovato una persona che mi faceva sentire bene. Beh... non bene, ma sicuramente meglio.
Dopo tre anni di dolore, rabbia, e solitudine.
Avevo appena accettato la Sua morte, quando si presentò.
Lo trovai nel mio monolocale, quello che lasciai per andare a vivere con lui.
Rimanemmo a fissarci immobili per non so quanti minuti, poi lui ruppe il silenzio, pronunciando il mio nome.
Solo il mio nome, solo quel "John." colmo di nostalgia.
Inutile dire che quasi impazzii.
Avevo passato gli ultimi tre anni a cercare di rimuovere qualsiasi cosa lo riguardasse dalla mia vita, dalla mia mente, ed ora che ero quasi riuscito nel mio intento, ritrovavo il mio incubo proprio nella stanza in cui ogni notte sognavo la sua caduta.
Lui non si prendeva nemmeno pause per respirare, mentre era intento a spiegarmi quanto tutto ciò fosse stato necessario, per paura che potessi approfittare di uno spiraglio vuoto del suo discorso per cominciare ad urlargli contro.
La verità è che volevo.
Volevo urlargli contro, aggredirlo anche. Ma non ne avevo la forza.
Quando ebbe finito mi avvicinai a lui, gli sfiorai un braccio, per sentire davvero la sua presenza.
Per accertarmi che non fosse un sadico gioco della mia mente.
E quando, effettivamente, sentii il tessuto del suo cappotto sotto i miei polpastrelli, lo guardai, e gli sussurrai quella frase.
Quella frase che segnò indissolubilmente il nostro rapporto, che lo avrebbe segnato per sempre.
Lo capii dai suoi occhi.
Come capii che avrebbe tentato qualunque cosa per farmela rimangiare. (*)
Ed ecco che da quel giorno, per quanto io cercassi di evitare la sua presenza, cercava il mio perdono, con ogni mezzo conoscesse.
Non lo vidi per tre giorni, quando venne a sapere del mio fidanzamento, e del mio imminente matrimonio, per poi rispuntare pronto per celebrare la mia ultima notte da celibe.

«Gli hai detto...Che sono un criminale?»
Lui annuì, orgoglioso della sua trovata.
«Almeno avrò un aiuto nel caso in cui tu decida di "scappare". Anche se la reputo una possibilità non molto probabile. Sempre che tu non sia ancora drogato, altrimenti lanciarsi fuori da un'automobile in piena corsa potrebbe effettivamente sembrarti una soluzione con felice esito.»
Strinsi i pugni, usando tutto l'autocontrollo di cui ero provvisto per non aggredire quella cosa che per qualche assurda ragione una volta mi ostinavo a chiamare amico.
«Questo, Sherlock, è sequestro di persona
Lui sembrò trovare divertente la mia uscita, perchè ne rise sinceramente.
«Io non ti sto affatto sequestrando, John! La mia è una presa in prestito, che si concluderà quando mi fornirai le due ragioni che ho precedentemente chiesto.»
«Quali ragioni?» Ringhiai.
Lui sospirò, come se si trovasse davanti ad un bambino duro di comprendonio.
«Necessito, John, che tu mi dia almeno due motivazioni che dovrebbero persuadermi a lasciarti sposare la maestrina.»
Cercai di sorvolare sul suo "lasciarti", e scossi la testa, arrendendomi ormai all'evidenza che non sarei uscito da lì se non facendo quanto mi chiedeva.
Sospirai, prima di parlare.
«Questo matrimonio...sarà un nuovo inizio per me, Sherlock. Avrò finalmente qualcosa di stabile nella mia vita. Avrò la possibilità di avere una famiglia. Di sentirmi bene.»
Lui mi osservò concentrato, serio, ponderando le mie parole.
«Questo è un...buon motivo, te lo concedo.» Disse con lo sguardo basso, per poi ricomporsi.
«Per te, almeno. Io non trovo alcuna attrattiva in ciò che hai appena descritto, ma qui si tratta di te quindi, prego, continua. Un'altra motivazione e potrai andare a questa tanto attesa cerimonia.»
Chiusi gli occhi e borbottai seccamente un «finalmente».
«Il secondo è quanto di più scontato ci sia, Sherlock. Amo Mary, e per questo voglio sposarla.»
Lui si fece tutto ad un tratto ancor più serio, e si sporse verso di me.
Feci un tentativo di distogliere lo sguardo dal suo, non riuscendo a sostenere quella luce indagatoria ed ipnotica, ma mi trovai intrappolato in esso.
Si fermò ad un soffio dal mio volto, e per un attimo sembrò vacillare, come se non fosse sicuro di voler sapere. Questo suo cambiamento, però, fu molto fugace. Tanto che in un battito di ciglia potevo nuovamente ammirare la determinazione che, col tempo avevo capito, lo contraddistingueva.
Io, in ogni caso, non osai muovermi.
Non ne capivo il motivo, ma ero intimorito da ciò che avrebbe potuto leggere nei miei occhi...perchè è così che operava, Sherlock Holmes.
Lui leggeva le persone. E fin troppo spesso avevo assistito alle sue 'letture' per non sapere che lui portava a galla cose di cui a stento chi veniva letto era a conoscenza.
Di colpo Sherlock corrugò le sopracciglia, e, lentamente, chiuse gli occhi.
Tornò a sedersi composto sul suo sedile, mantendendo le palpebre serrate.
Non capii la causa del suo comportamento, sembrava...combattuto.
«Sherlock, cosa ti prende?» Cercai di schernirlo, ma la mia preoccupazione e la mia confusione facevano capolino chiaramente nella mia voce.
Lui sospirò, per poi aprire gli occhi. «Sono in conflitto con me stesso, dottore. E lasciami dire che è una situazione a cui non sono abituato.» Sembrò quasi arrabbiato, mentre si spiegava. «Desidero davvero fare la cosa giusta, ma non riesco a gestire tutto...questo. In qualunque modo cerchi di pensarla, per quanto io desideri fare la cosa giusta e lasciarti al tuo futuro, non mi sento capace di farlo. Ed è terribilmente egoista da parte mia, oh, lo so.» Emise una lugubre risata, puntando lo sguardo fuori dalla vettura.
«E non riesco a trovare una via d'uscita per questo...contrasto, che ho nella mente. Potrei portarti di forza a Baker Street, magari anche costringerti a vivere di nuovo sotto il mio stesso tetto, e prima o dopo capiresti che è proprio quello che desideri...» Tornò a volgersi verso di me, rivolgendomi un leggero sorriso.
«Oppure potrei lasciarti andare al tuo matrimonio, dove sposeresti una donna che non ami, ma che potrebbe offrirti un futuro. Un futuro che immagino sia meno complicato di quello che posso offrire io, dottore.» Concluse, quasi in un sussuro.
Non potevo sopportare di sentirlo parlare in quei termini, lui non sapeva ciò che volevo. Secondo lui avrei sposato Mary per gioco? Avrei costruito una famiglia con lei solamente per noia?
Per quanto mi facesse sentire male vederlo in quello stato, non potevo ignorare che mi desse del bugiardo.
«Tu non sa di cosa parli, Sherlock.» Dissi freddamente.
Lui scosse la testa, un sorriso amaro a farsi beffe delle sue labbra.
«Oh, lo so fin troppo bene, invece.» Dichiarò, seccato.
«E' proprio per questo che per tanto così-», indicò con le dita, «non restavo a guardare! A guardare te, John, che sposi una donna che per quanto tu voglia amare, non amerai mai. A guardare te, John, che vai via da me, fingendo che sia ciò che desideri!» Holmes aveva alzato la voce molte volte con me, ma mai se non per qualche crisi di astinenza, da tabacco o da soluzione al 7% che fosse.
Mi spaventò.
E ancor di più mi ferì il senso delle sue parole, pronunciate in quel tono disperato che mai gli avevo sentito usare.
Io tenevo molto a Mary...forse non l'amavo, come diceva lui, ma ero più che sicuro che condividendo una vita con lei avrei imparato a farlo.
Dovevo imparare a farlo.
Poi avrei avuto una vita di famiglia, semplice, con un ambulatorio sotto casa, i figli attorno...come desideravo al mio ritorno dall'Afghanistan.
Una vita tranquilla, priva di incubi di morte e di morti falsificate.
Tornato dalla guerra i miei incubi erano popolati da essa, ma erano pian piano svaniti, con l'arrivo di Sherlock nella mia vita.
Dopo la sua morte, però, gli incubi tornarono, diversi. Non vedevo più le morti della guerra, vedevo solo la Sua.
Capii dal suo sguardo che aveva seguito il filo dei miei pensieri, così volli renderlo partecipe del seguito.
«Sherlock...non posso mandare all'aria tutto. Sto per avere quello che desidero sin da quando sono tornato in Inghilterra!»
Forse il fatto che non smentii le sue precedenti affermazioni lo aiutò a riacquistare il suo solito temperamento, perchè sembrò più determinato e risoluto di quanto non fosse prima.
«No John. Tu stai per avere quello che desideravi quando sei tornato in Inghilterra! Una vita che non comprendesse gli orrori che avevi passato, non sapendo di non poter sopportare una tale banalità. Perchè ti ostini ad inseguire i desideri del soldato spossato e confuso che eri, quando è chiaro che non coincidono con quelli dell'uomo che ho di fronte?»
Incassai le sue parole come pugni, e tacqui.
«Perchè pensi che ti abbia chiesto due motivi, John? Non uno, non tre, bensì due? Ormai dovresti sapere che non lascio mai nulla al caso, o l'hai dimenticato?» Mi sorrise triste.
«Sapevo che le uniche ragioni che ti portavano a legarti definitivamente a quella Mary erano appunto, la convinzione di desiderare un futuro normale con lei, e la certezza di poterla amare...non subito magari, ma col tempo. Ed è inutile che mi faccia scrupoli, ora, perchè il mio turbamento di prima era dettato solo dall'indecisione. Non volevo lasciarti a lei, John, non potevo, sapendo che quelle ragioni erano false;
tuttavia non potevo negare a me stesso che il futuro che ti saresti costruito con lei sarebbe stato indubbiamente più facile da gestire, ti avrebbe dato più soddisfazioni, e magari ti avrebbe portato ad una discreta felicità.»
Mi guardò e ridacchiò tra se', inutile dire che lo trovai terribilmente inopportuno.
«Sei cambiato molto, dal nostro incontro in quel laboratorio. E credo di esserne per la maggior parte responsabile...ti ho coinvolto in forse troppe cose, e forse ti sei preso troppa cura di me. Ma dovresti accettarlo. Io l'ho fatto. I miei piani non saranno cambiati drasticamente come i tuoi, ma se credi che allora mi credessi in grado, o mi interessasse, di legarmi così a qualcuno che non fossi io stesso, allora non mi conosci bene quanto credevo.»
Mi sentivo in troppi modi per poterli elencare tutti.
Confuso, principalmente, irritato, perchè aveva dovuto agire all'ultimo, in colpa, perchè qualunque cosa avessi scelto di fare avrei ferito e deluso qualcuno a cui tenevo, e ancora spaventato, arrabbiato, indeciso, illuso e amareggiato.
Ero sicuro che Sherlock tenesse a me, a modo suo l'aveva dimostrato in più di un'occasione, ma non avrei lasciato tutto per una sua frivolezza, non dopo quello che mi aveva fatto passare.
«Sherlock, non ho intenzione di evitare di sposarmi perchè tu vuoi tenermi con te per capriccio.»
Evidentemente non era ciò che si aspettava dicessi, perchè il sorriso gli rimase congelato sulle labbra per qualche secondo, prima di spegnersi.
«Capriccio?» Sussurrò, aggrottando le sopracciglia.
«Capriccio? Io ti vorrei con me per capriccio?» Alzò di nuovo la voce, sembrava furioso ed al tempo stesso esasperato.
«Maledizione John, non hai sentito una sola parola di quello che ti ho detto fin'ora!?»
Ora fu il mio turno di assumere un cipiglio confuso, feci per chiedere spiegazioni, ma non potei.
Nel giro di un secondo mi ritrovai con le sue mani fra i capelli, e le sue labbra poggiate sulle mie.
Nessuno dei due si mosse, chi per la sorpresa, e chi per timore, chi con gli occhi spalancati, chi con le palpebre ostinatamente serrate.
Restammo immobili in quel contatto, fin quando non sentii Sherlock che, lentamente, separava i nostri volti, lasciando una traccia umida e rovente lì dove mi aveva baciato.
Perchè sì, Sherlock Holmes mi aveva baciato.
Quando il pensiero mi raggiunse il cervello, mi vergognai di me stesso per non esserne disgustato. 
Le sue mani erano ancora fra i miei capelli, il suo volto era ancora molto vicino al mio, ed i suoi occhi erano ancora chiusi.
Forse aspettava che dicessi qualcosa, che lo rifiutassi, che lo pregassi di rifarlo, che lo insultassi...ma tutto quello che riuscii a sussurrare fu «Sherlock...».
Lui serrò la mascella, e mi strinse i capelli.
«Sherlock.» Finalmente aprì gli occhi, all'inizio mantenendo lo sguardo basso, ma lo alzò poco a poco, fino a che non incontrò il mio.
Per un momento lo sguardo gli cadde sulle mie labbra, ma lo riportò subito sui miei occhi, e aspettò.
Aspettò che lo fermassi.
Sapevo che era la cosa giusta da fare, lo sapevo davvero, ma non riuscii ad allontanarlo, a schernirlo, o qualunque altra cosa avrei dovuto fare, e capii quello di cui lui parlava prima.
Lo capii quando lui cominciò, in una maniera dannatamente lenta, a riavvicinarsi al mio volto, e io non ebbi la forza di fermarlo.
Non tolse mai i suoi occhi dai miei, nemmeno quando le nostre labbra si sfiorarono di nuovo, ma più dolcemente, questa volta.
Si sentì libero di serrare le palpebre solo dopo che lo feci io.
Fu in quel momento che cominciò davvero a baciarmi.
Fu in quel momento che io risposi.
Non mi importava che da lì a qualche ora avrei dovuto sposarmi, non mi importava che alla guida dell'auto ci fosse un uomo che mi credeva un criminale, non mi importava che probabilmente la stessa auto era monitorata da Mycroft stesso.
Percepii l'euforia di Sherlock direttamente sulle mie labbra, assaggiai i suoi sorrisi esultanti, sospirando di disappunto riconoscendo il sapore di tabacco.
Poi da dolce, il bacio si fece furioso. Ci sentivo racchiuso tutto ciò che aveva provato in quegl'anni di lontananza forzata, tutto quello che aveva sentito nelle ultime ore, quando aveva capito che non poteva farmi fare come credevo senza tentare.
Sorrisi sulle sue labbra quando, facendo pressione sulla ferita sul suo labbro, lui gemette.
La presa sui miei capelli si allentò, e separò le nostre labbra per dirigersi, vendicativo, verso il mio collo.
Lo morse appena, così piano che se non fosse stato per il brivido che mi aveva provocato avrei creduto di essermelo immaginato, poi però lo fece con più forza, e questa volta fui io a gemere di dolore, sotto al suo ghigno.
Come per scusarsi, anche se per nulla dispiaciuto, laciò un leggero bacio lì dove la mia pelle si era arrossata, per poi poggiare la fronte nell'incavo del mio collo, chiudendo gli occhi.
Io rimasi immobile, concedendomi, per la prima volta da mesi, di provare quella schiacciante felicità che era sapere Sherlock vivo.
Poi però mi ricordai di una cosa.
«Sherlock..?»
«Mmh.» Sorrisi della sua risposta.
«Nel tuo brillante piano...sai, quello in cui Mycroft mi cattura e tu detieni un interrogatorio nella sua macchina fin quando non mi conduci a Scotland Yard e mi consegni alle autorità...hai pensato a come far sì che l'autista non mi ci faccia arrivare aspettandosi di vedermi arrestato?» Lui ridacchiò.
«Sempre che tu non voglia davvero farmi arrestare da loro, s'intende.»
Sherlock sollevò la testa e tornò a guardarmi, fingendosi desolato.
«Temo di aver fatto un terribile errore, signore. Ora mi è chiaro che lei non è il criminale che credevo di aver catturato...Per sdebitarmi come minimo dovrò chiedere all'autista di ricondurla a casa sua, con le mie più sentite e sincere scuse. Ho sentito che vive a Baker Street, il 221b, dico bene?»
Scossi la testa, divertito dal suo tono innocente e mortificato.
«Perciò..» Tornai serio. «Torniamo a Baker Street?»
Lui non si scompose, anzi, ghignò.
«Non avresti comunque fatto a tempo per la cerimonia.»
Io sbarrai gli occhi e corrugai le sopracciglia, sconvolto dal fatto che mi avesse preso ingiro per tutto quel tempo, facendomi credere di poter davvero scegliere.
E lui si trattenne dal ridermi in faccia.
«Sherlock! Avevi detto-» Lui mi zittì premendo le sue labbra contro le mie, per poi esibirsi nel più bel sorriso che gli avessi mai visto addosso.
«Ho mentito.»




(*) La frase che John gli dice è "Tu per me sei morto."


Nda
Allora, inizio col dire che non sono assolutamente soddisfatta del risultato. Ho provato a riadattare una mia fic sul film di Sherlock al telefilm, ma non mi è venuto molto bene, ahimè!
Grazie a chiunque sia riuscito a leggerla tutta, congratulations!
Commenti e critiche sono ben accetti u_u
Adieu-


I am the Lightning, the rain transformed










   
 
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