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Autore: damnitgallagher    27/12/2012    19 recensioni
" 'Stingimi e basta, ti prego.' E Merlin smise di lottare.
Lo prese tra le sue braccia, tenendolo ancora più stretto a sé, appoggiando il suo viso a contatto con quello dell’altro, come fossero una cosa sola. E li rimase fermo, piangendo, ascoltando le ultime parole del suo Signore. "
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Premessa: questa fan fiction è stata scritta di getto, due giorni dopo aver visto l’ultima puntata della quinta stagione di Merlin, - ergo, contiene spoiler, se non avete visto la 05x13 di Merlin NON LEGGETE - due giorni passati a piangere. Avevo bisogno di sfogarmi in qualche modo, e così ne è uscita questa cosa. È triste, molto triste, se non volete deprimervi ulteriormente passate oltre, per il vostro bene.
 
A  tutti gli impavidi  cavalieri che decideranno di cimentarsi nell’impresa posso solo dire: buona lettura!
 






 

WAITING FOR YOU.

 
 




 
 
 
Lo stringeva tra le braccia. Il suo corpo pareva così leggero ora, come se tutto il peso fosse davvero dato dall’anima che lo aveva abbandonato.
Lo stringeva tra le sue braccia convulsamente, quasi temendo potesse sfuggire via.
Lo stringeva con tutto sé stesso, perché quella era stata la sua ultima richiesta, l’ultimo ordine del suo sovrano.
 
Una mano macchiata di sangue lo sorreggeva, ancora posata sulla ferita mortale; con l’altra gli accarezzava i capelli, il viso spento, gli occhi spenti, le labbra socchiuse, soffermandosi più volte, più a lungo su queste, quasi sperando di percepire un minimo movimento, un flebile respiro fuoriuscire da esse. Invano.
 
Invocò il suo nome, più e più volte, senza ricevere alcuna risposta.
Egli giaceva immobile tra le sue braccia, così freddo, così pallido; ed il giovane mago iniziava a strofinare le sua mani su di lui, nel disperato tentativo di fargli riacquistare colore, di riscaldarlo. Ma i suoi sforzi erano vani, lo sapeva bene.
Ma il so corpo, la sua mente, tutto sé stesso non riusciva ad accettare ciò che era accaduto, e ciò gli impediva di guardare in faccia la realtà e di arrendersi.
 
Il volto del suo Signore era bagnato, quasi avesse pianto.
Ma le lacrime appartenevano a qualcun altro, e sgorgavano inesorabili, incontrollate dai suoi occhi sulla fronte dell’altro, dove Merlin aveva posato il suo capo.
Egli piangeva senza alcun controllo, l’unica forma di sfogo che poteva permettersi, di cui aveva bisogno. Più lo stringeva a se, più percepiva l’assenza di calore del suo corpo, e più i singhiozzi iniziavano a scuoterlo.
E così riprendeva la sua litania, ripetendo il suo nome in eterno, quasi fosse la chiave per spezzare l’incantesimo sotto cui era caduto il suo re; poi riprendeva ad accarezzarne il viso, e baciarne ogni minimo lembo di pelle, sperando di percepire nuovamente il suo calore, quel calore che Merlin conosceva così bene, e che ora era sparito, sparito con la sua ragione di vita.
 
 
Il giovane stregone non dormiva da giorni. Dal giorno della fatidica battaglia non ne aveva avuto il tempo, e nemmeno la necessità: sentiva di doverlo salvare con tutto sé stesso, e questo gli aveva permesso di rimanere sveglio e vigile come non mai. Poi l’aveva ritrovato, ferito, in fin di vita, ed ancora una volta il leggero battito del suo cuore aveva riacceso una flebile speranza in lui: non era arrivato troppo tardi, poteva ancora salvarlo, non era tardi.
E così aveva vegliato sulla figura inerme per tre lunghi giorni: giorni trascorsi con il respiro in gola,  i sensi all’allerta per cogliere un qualsiasi movimento sassone, e soprattutto ogni leggero soffio esalato dalle labbra del suo Signore. Li aveva contati tutti quei respiri, perché ognuno di essi era un prezioso regalo per Merlin, era il segno che il suo cuore ancora batteva, che lui viveva ancora.
 
Poi inesorabilmente lui stesso aveva ceduto, ed il giovane re gli era crollato addosso.
Ed in quell’istante, quando Merlin vide i suoi occhi su di lui, occhi che tutto dicevano, tutto quello che le sue labbra non gli permettevano di dire, seppe che era finita.
La sua mente, così razionale, da curatore che era, così attenta ad ogni minimo segnale, ad ogni minimo cambiamento delle sue condizioni, già lo sapeva: non vi erano stati miglioramenti, ed il re era troppo, troppo stanco per continuare.
 
Ma il suo cuore, oh quella era tutta un’altra storia. Il suo cuore batteva simultaneamente con quello dell’altro, il suo cuore viveva per veder vivere l’altro, il suo cuore non avrebbe mai accettato la sua morte, mai.
E con le ultime forze rimaste aveva tentato disperatamente di sollevarlo, con la voce spezzata aveva tentato di infondergli nuovo coraggio, nuova forza. Ma il re era stanco di lottare.
 
 
Stingimi e basta, ti prego.
 
 
E Merlin smise di lottare.
Lo prese tra le sue braccia, tenendolo ancora più stretto a sé, appoggiando il suo viso a contatto con quello dell’altro, come fossero una cosa sola. E li rimase fermo, piangendo, ascoltando le ultime parole del suo Signore.
 
Parole che significavano comprensione.
Parole che significavano perdono.
Parole che significavano amore.
 
E poi lui sorrise, ed i suoi occhi si chiusero.
E da quel momento Merlin aveva iniziato a chiamare il suo nome, ad urlarlo disperato, poi sempre più deboli, sempre più flebili le sue parole si udivano. Ma lui aveva continuato imperterrito, non avrebbe mai smesso.
 
 
Arthur. Arthur. Arthur.
 
 
 
 
 

***

 
 
 
 
 
L’imbarcazione scivolava lenta sulle acque cristalline del lago di Avalon, sospinta da un vento magico. Più volte egli tentò di fermare la magia che fluiva dai suoi palmi, così da arrestarne il viaggio. Ma sapeva che, se l’avesse fatto, non avrebbe più avuto il coraggio di lasciarlo andare, quel coraggio che già prima aveva trovato dopo numerosi e faticosi  tentativi.
 
Da quando il suo respiro era svanito, Merlin era rimasto per due giorni interi a cullarlo tra le sue braccia, instancabilmente.
Gli aveva sussurrato tutto quello che non aveva avuto il tempo di dire.
Gli aveva chiesto ancora perdono, per non essersi fidato prima di lui.
Lo aveva ringraziato, per averlo fatto, alla fine.
E poi gli aveva ripetuto il suo amore, quell’amore che Arthur conosceva bene e che nessuno dei due avrebbe dimenticato.
 
 
Più volte aveva tentato di alzarsi, di scostarlo da se, di sciogliere l’eterno abbraccio. Ma il suo corpo non eseguiva gli ordini della mente, e ribelle manteneva quella stretta, come fosse la fonte della vita stessa.
 
 
Solo quando tutte le lacrime furono versate, solo quando tutte le parole furono state dette, solo quando tutto il suo corpo venne ricoperto da baci e tenere carezze, solo allora Merlin decise di salutare il suo Signore, affidandolo alla cura delle acque di Avalon.
 
 
E prima di lasciarlo andare per sempre, lontano da lui, gli aveva sussurrato:
 
Non dimenticarmi, Arthur.
Torna da me, mio re.
 
 
 
Poi la realtà si era riversata su di lui come un fiume in piena: Arthur era morto, lui era solo.
Che cosa avrebbe fatto ora? Dove sarebbe andato?
 
L’immagine di Camelot apparve come una visione fulminea nella sua mente. Camelot era sempre stata la sua casa, a Camelot lo attendeva Gaius, l’uomo che era sempre stato alla stregua di un padre per lui, lo attendeva Gwen, regina e da sempre cara amica, lo attendevano i cavalieri: Gwaine, Parcival, Sir Leon..
 
Ma Camelot era stata la sua casa perché lì c’era lui.
Ed ora lui se n’era andato, ed a Camelot non restava più davvero nulla per cui valesse la pena di tornare.
Ora al castello riusciva a vedere solo sofferenze e dolore: ogni luogo, ogni angolo, ogni corridoio, ogni minimo dettaglio, gli avrebbe ricordato lui.
E Merlin non era sicuro di potercela fare questa volta. Tutta la sua forza era sempre derivata dal suo dovere, dalla sua necessità e volontà di proteggere lui. Con la sua scomparsa anche questa se n’era andata, e di Merlin era rimasto solo un corpo vuoto, solo l’ombra del ragazzo che era stato un tempo.
 
Il suo destino l’aveva sopraffatto: gli aveva donato la cosa più bella della sua vita, gli aveva fatto credere che avrebbe avuto il potere di proteggerla per sempre, per poi strappargliela a suo piacimento. Ed ora Merlin era davvero stanco di tutto questo, stanco del destino, stanco di obblighi e doveri che non avevano portato ad altro che dolore.
 
 
E quando la barca diventò solo un piccolo puntino scuro all’orizzonte Merlin prese la sua decisione.
No, non sarebbe tornato a Camelot, non ne aveva ne la forza, ne la volontà.
 
 
Dove andrai Merlin? Che ne sarà di te ora?
Merlin non lo sapeva, Merlin non ci voleva nemmenopensare. L’unica cosa che lo legava ancora alla vita era quel puntino opaco che si allontanava sempre più da lui, e più si rimpiccioliva, più il suo cuore rallentava.
 
 
 
Benché nessun uomo, per quanto grande, possa conoscere il proprio destino,  alcune vite sono state predette, Merlin. Arthur non è solo un re, è il re una volta e re in futuro. Fatti coraggio, perché nel momento in cui Albion avrà più bisogno Arthur rinascerà.
 
 
 
E Merlin capì, Merlin seppe cosa avrebbe fatto, per il resto della sua vita: aspettato.
 
Perché nessuna immortalità valeva la pena di essere vissuta senza lui. Perché tutta l’eternità non gli apparteneva più, se non poteva condividerla con l’uomo che amava.
L’aveva donata a lui, insieme al suo cuore.
E Merlin sapeva bene che per lui non ci sarebbe stata alcuna vita, alcuna gioia senza di lui, ma solo tenebre e dolore. Egli stesso si percepiva come una custodia vuota, tutto sé stesso era su quella barca che ora rapida si stava allontanando.
 
E così Merlin avrebbe aspettato, lì, sulle rive del grande lago; avrebbe aspettato finchè non l’avesse visto sorgere da quelle stesse acque, avrebbe aspettato finchè non avesse incontrato i suoi occhi azzurri, avrebbe aspettato finchè non avesse potuto immergere i suoi palmi nei setosi capelli dell’altro, finchè non avesse potuto accarezzare il suo viso, toccare le sue labbra, ed essere certo che lui era davvero tornato.
 
Perché se era vero che il re non era nulla senza Emrys, Merlin era ancora meno senza di lui.
 
 
 
 
 

***

 
 
 
 
 
Camminava scalzo sul ciottolato della spiaggia del lago, immerso nei propri pensieri.
I sassi, seppur ben levigati, gli urtavano il palmo dei piedi, dandogli non poco fastidio.
Ma lui lo trovava rilassante, o forse semplicemente quel minimo dolore fisico gli era necessario per bilanciare il ben più profondo interiore.
 
Il vento soffiava leggero quel giorno ma insistente, continuando a giocare con i neri ciuffi ribelli
che ricadevano più lunghi di un tempo.
Un brivido gli percorse la spina dorsale, e si strinse maggiormente nella sua giacca di pelle nera: ormai l’autunno era alle porte, ed il primo freddo iniziava a farsi sentire.
 
Come ogni mattino, come faceva da più di cinquecento anni, camminò fino ad arrivare in corrispondenza del centro del lago, sedendosi sulla panchina ivi costruita da poco tempo.
E come usava fare da oltre cinquecento anni, volse lo sguardo verso la piccola isola che sorgeva nel mezzo dello specchio d’acqua, su cui si potevano intravedere antiche rovine.
E così, rincuorato dal tepore dell’indumento, aspettò.
 
 
Per mezzo millennio il suo cuore era stato avvolto dal più profondo silenzio.
Per mezzo millennio aveva vagato per quelle lande desolate alla sua ricerca, alla ricerca del significato di una vita senza lui, scrutando l’immenso cielo, implorando per il suo ritorno.
Per mezzo millennio, Merlin era stato solo lo spettro di sé stesso, un’anima in pena nell’eterna attesa della sua linfa vitale.
Merlin aveva atteso, per mezzo millennio il ritorno del suo Signore.
 
Il mondo era cambiato così tanto, tutto intorno a lui si era evoluto, trasformato, tramutato sotto il suo sguardo vigile.
Tutto tranne lui.
E mentre il mondo continuava a vivere, Merlin era rimasto fermo ad attendere che la sua metà tornasse.
 
 
 
 
Il sole era quasi tramontato quando dei passi lo destarono dal torpore in cui era caduto.
Passi lenti, modulati, ma così decisi, forti, sicuri. Passi che si infrangevano sul selciato producendo un suono così ritmico e cadenzato, che giunse alle orecchie del mago come la musica più soave.
 
Perché Merlin avrebbe riconosciuto quel passo tra mille, lo avrebbe scorto anche nel bel mezzo di una folla acclamante.
 
 
Socchiuse gli occhi, concentrandosi solo su quel suono, che si faceva sempre più forte, sempre più definito. Il cuore batteva impazzito nel suo petto, così forte da poter essere udito.
 
Aveva paura, molta paura: paura che il suo cervello gli stesse facendo un brutto scherzo, paura di alzare lo sguardo e non incontrare il volto che bramava da così tanto, paura di restare deluso.
Dopo mezzo millennio di attesa Merlin non aveva mai perso la speranza, e mai l’avrebbe fatto, di questo era certo. Ma una delusione tale avrebbe potuto disintegrare il suo cuore, già ridotto in frantumi. Di questo aveva davvero paura.
 
 
Ma quando quella melodia cessò, Merlin non poté fare a meno di cedere a quel puro sentimento che l’aveva sorretto e guidato da sempre, ed alzò lo sguardo.
 
 
Lucenti capelli biondi.
Un bianco sorriso disarmante.
Lunghe ciglia bionde a cornice di due grandi occhi.
Azzurro.
Quell’azzurro.
 
Il suo azzurro.
 
 
 
 
‘Arthur.’
 
‘Merlin.’
 
 
È lui, è lui, è lui. È qui, è vivo, di fronte a me. È tornato, e non si è dimenticato di me.
 
 
‘Che cosa fai qui?’
 
‘Vi aspettavo.’
 
 
Era esattamente come lo ricordava, nulla era cambiato in lui. Si ergeva fiero, non aveva perso nemmeno la sua regale postura. Il suo volto non era invecchiato di un giorno.
La sua espressione stupita venne presto sostituita da un sorriso radioso, di quelli che solo lui era in grado di donargli.
Così bello, sembra brillare di luce propria; così bello, e così suo.
 
 
‘Io.. io credevo.. credevo di essere morto.’
 
 
Merlin si sollevò a fatica sulle proprie gambe, le quali si mossero autonomamente verso di lui, attratte dalla sua figura. Le sue braccia si avvolsero attorno al petto muscoloso, le sue mani gli accarezzarono il viso, i suoi occhi lo contemplarono, beandosi del viso dell’altro, nutrendosi del suo sguardo.
E quando le braccia dell’altro ricambiarono l’abbraccio, stringendolo ancora più forte al suo petto, il mago si rintanò nell’incavo del suo collo, disegnando piccoli cerchi con la punta fredda del suo naso, immergendosi nel suo profumo, tornando davvero a respirare, dopo mezzo millennio.
 
 
 
‘Sono morto ogni giorno aspettandovi.’
 
 
 
 
 



 
 
Note: Come già detto, ho scritto tutto questo in un lampo, quindi vi chiedo perdono per tutti gli errori e le ripetizioni che potrete trovare. È stata scritta con il cuore in mano, piangendo, e questo è ciò che n’è uscito. Chiedo scusa se non è all’altezza dei nostri bellissimi Merthur, ma questo è il frutto di tutto il dolore che ho provato per la fine di questo stupendo telefilm.
 In ogni caso, spero lo possiate apprezzare, in qualche modo.
 
ps: nella mia versione, Merlin rimane giovane come un tempo. Scusate, ma il vecchio Emrys proprio non mi piace.
 
 
Grazie a tutti coloro che la leggeranno, e soprattutto grazie a chi vorrà lasciare un segno del suo passaggio.
 
 
Long live Merlin!
 
  
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