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Autore: MimiRyuugu    27/12/2012    3 recensioni
Ecco qua, dopo Ultimi Ricordi, la continuazione della saga dei Tre Uragani. Riuscirà la nostra Giulia Wyspet ad avvicinarsi di più al burbero Severus Piton?
"You are the life, to my soul, you are my purpose, you are everything."
Genere: Avventura, Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Severus Piton, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I Tre Uragani Saga'
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Buonsalveee *-* sono troppo buona lo so, aggiorno troppo spesso. Ma che ci posso fare se voglio farvi leggere i capitoli nuovi al più presto *^* anyway, armatevi di digestivo perchè in questo capitolo appare ancora lei, l'essere rosa che fa più ribrezzo di Voldemort (e lei ha un naso specifichiamo °_°). I cento colpi di spazzola vengono dall'omonimo libro scandalo, lo ammetto. Però l'idea di base è carina dai TwT in questo capitolo abbiamo I Miss You degli Incubus e Welcome to the Black Parade dei My Chemical Romance.

Avvertenze: leggende realmente esistenti *-* (dov'era il castello di Azzurrina, in Umbra? o.ò aiutatemi non ricordo ç_ç), OOC vagante, presenze odiose che potrete prendere a torte in faccia se passare al banco 3. *indica angolo* nelle recensioni potete scrivermi insulti a manette su codesti personaggi, li insulterò felicemente con voi u.u

Beeene, spero che il capitolo vi piaccia,
Buona lettura **



14° Capitolo

Fu un sonno un po’ agitato, ma il risveglio lo superò senza dubbio. “Ragazze svegliatevi! È tardissimo!! Tra dieci minuti inizia la prima ora!” iniziò ad urlare Hermione. “Eh? Cosa?” mormorai, ancora addormentata. Riesaminai le parole del prefetto e poi balzai giù dal letto. Mi precipitai in bagno a mo di scheggia, per poi fiondarmi sui vestiti. Mi stavo quasi strozzando con il cravattino, quando notai che Hermione era già vestita e sorrideva. Anna intanto cercava le calze. Guardai l’orologio. “Sei perfida lo sai?” esclamai. Anna si fermò e guardò anche lei l’ora. Poi si avventò su Hermione armata di un cuscino. “L’ho fatto solo per arrivare in orario a colazione!” si giustificò, parando i colpi di Anna. La ragazza sbuffò. “Sei perfida!” la rimproverai divertita. Ci cambiammo tranquille, poi scendemmo a colazione. Chiacchierammo tra cornetti e cappuccini, poi andammo a Trasfigurazione. La McGranitt non era ancora entrata, quando un mazzo di giacinti porpora atterrò piano sul mio banco. Mi sporsi di poco verso la porta e vidi due ragazzi correre via. “Che belli!” esclamò Hermione. Sbuffai. “Se non sbaglio i giacinti nel linguaggio dei fiori significano ‘perdono’…” commentò poi, dubbiosa. Con un colpo di bacchetta, li bruciai. Dalla folla di ragazze si levò un gemito di sorpresa e dispiacere. “Perché l’hai fatto? Non sai nemmeno chi te li mandava!” osservò stizzita il prefetto. “Andiamo Herm! Fiori del perdono…è ovvio che è stato Josh!” sbottò infastidita Anna. “Come puoi esserne certa?” rimbeccò Hermione. “Ho visto lui e Keith andare via…” risposi, irritata. Anna guardò il prefetto con superiorità. “Non voglio i suoi fiori. Non voglio vederlo. Non voglio nemmeno sentirlo nominare!” sbuffai. “Hai ragione…non è con dei fiori che può giustificare le sue azioni…è un verme…” sbottò Anna. La McGranitt entrò, così dovemmo tornare ai nostri posti. Decisi di ignorare i giacinti e proseguire la mattinata. L’ora di Trasfigurazione non fu male, ma in quella di Difesa Contro le Arti Oscure, la Umbridge mi guardò  male incessantemente. Dopo le due ore di occhiatacce, andammo a pranzo. Non ebbi nemmeno il tempo di sedermi che sentii chiamarmi. “Giulia…ehm…” disse una voce. Sobbalzai rifiutandomi di girarmi. “Vuoi rissa Josh?” ringhiò Anna, avvicinandosi. “Stai a cuccia Haliwell…voglio solo parlare con Giulia…” rispose, cercando di stare calmo. Lo guardai scettica. “Sembri sobrio…” commentai, cercando di essere più acida possibile. Lo vidi abbassare lo sguardo. “Hai…ricevuto i fiori?” mi chiese. Annuii. “Li ho bruciati…” dissi. Non mi sentivo a mio agio nei panni della cattiva. Per nulla. Sentivo lo sguardo delle mie amiche su di me. “Ah…capisco…è che…” iniziò a dire. Io lo guardai con aria di superiorità. “Mi dispiace per l’altra sera…ho ricordi sfocati…un momento ero con Keith in giardino, poi per i corridoi…” cercò di raccontare. Io scossi la testa. “Non mi interessa…” rimbeccai ancora. Strinse i pugni e alzò la testa. Aveva gli occhi lucidi. Non dovevo farmi incantare da qualche lacrima accennata. “Vorrei tanto cercare di rimediare…” spiegò ancora Josh. “Il punto è che tu ti comporti male ogni volta che cerchi di rimediare! Quindi, fammi il piacere di starmi lontano!” sbottai. Lui si guardò in giro, poi d’improvviso, si inginocchiò davanti a me. “Josh…che fai?” esclamai, stupita. “Ti dimostrerò che so tutto di te!” rispose, deciso. Arrossii. “E ora che c’entra?!” dissi, spiazzata. “Il tuo colore preferito è il viola, adori la musica punk e ti piacciono i baci sul collo…” iniziò ad elencare. Divampai. “Stai zitto!!!” lo pregai, imbarazzata. Anna gli tappò la bocca per evitare che spiattellasse in giro anche il mio gruppo sanguigno. “Smettila! Non ti voglio avere nella mia vita!” risposi, cercando di controllarmi. Josh si alzò e Anna dovette lasciarlo. Rimase a guardarmi. “Io…ti amo ancora…anche se è passato più di un anno…” disse. “Non mi ami! Sono solo un’ossessione per te!” rimbeccai, infastidita. “Non è vero!” rispose lui. Lo guardai stanca. Non ne potevo più di quel ragazzino capriccioso. “Dammi una seconda possibilità…” mi pregò. Scossi la testa. Il ragazzo sbuffò, mi guardò ancora, e andò al suo tavolo. Mi sedetti e notai che erano già arrivati i dolci. Non feci nemmeno in tempo di prendere una fetta di torta che tutto sparì. “Magnifico…mi ha fatto anche perdere il pranzo…” sbuffai. Passai le lezioni pomeridiane a sognare qualcosa da mangiare. Anna non si staccava mai da me, autoproclamandosi mia guardia del corpo. A cena mangiai il doppio, poi io, Anna ed Hermione, ci chiudemmo in dormitorio. “Perfetto! Ora, da cosa iniziamo? Storie, giochi stupidi oppure gossip?” propose Anna. Io mi tuffai sul letto con Billy Joe che fungeva da peluche tra le mie braccia. “Storie!” rispose il prefetto. Lasciai andare il gatto che si acciambellò sul cuscino. Hermione si accomodò sul mio letto, e con lei Grattastinchi. Anna abbassò le luci e il prefetto fece apparire uno dei suoi fuocherelli blu. James provò a prenderlo, finché la castana lo ammonì. Così il gatto si sistemò vicino alla padrona. Misi i dolci a disposizione di tutte e tre, poi presi Mistery. Anna abbracciò il suo pinguino di peluche e Hermione strinse a se il cuscino. “Chi inizia?” chiese poi quest’ultima. Anna alzò la mano. “Dunque…credete ai fantasmi?” chiese. Io ed Hermione annuimmo. “Come non crederci, ce ne sono quattro che girano per la scuola!” sbottò poi il prefetto. “Dunque…c’è una leggenda che mi ha raccontato mia madre….riguarda la storia di una bambina chiamata Azzurrina…” iniziò a raccontare. Hermione si appiccicò al cuscino. Mi venne un brivido lungo la schiena. “La bambina visse nel medioevo…aveva una particolare caratteristica, era albina…e ciò non era visto di buon occhio in quel periodo…così, per evitare che la attendesse una morte atroce, la madre le tinse i capelli di un misto di erbe…” continuò, tranquilla. Hermione sobbalzò. Sorrisi e mi avvicinai a lei. Anna mi guardò complice. “…questa tintura, sotto al sole, faceva assumere ai capelli dei riflessi azzurri…da li il soprannome della bambina, che si chiamava Azzurrina…” proseguì Anna. “Che cosa successe?” chiesi, curiosa. “Era una notte temporalesca…Azzurrina giocava con una palla di pezza vicino ai sotterranei del castello…” iniziò a dire, con la voce ridotta ad un sibilo. I tre gatti rizzarono le orecchie. Dalla Sala Comune non arrivava nemmeno un rumore. “…la palla cadde per le scale e Azzurrina la rincorse…” continuò la ragazza. Hermione si nascose dietro il cuscino. “Ora le succede qualcosa…” sussurrò poi, già terrorizzata. “Le scale conducevano alla ghiacciaia… i servi sentirono un grido e andarono a cercarla…però il tentativo fu vano…il borgo ed il castello vennero setacciati per giorni e giorni…” proseguì con voce roca Anna. “Lo sapevo…ora viene il peggio…” predisse ancora il prefetto. “...Azzurrina era scomparsa…però, accade che, ogni cinque anni, il suo fantasma riappare…si sentono risa e pianti e ancora, quando c’è in temporale, si sente una bambina piangere…e chiamare sua madre” concluse Anna. Scossi la testa divertita. Hermione tremava. Aveva lo sguardo fisso su Anna. “Mamma…” sussurrai, avvicinandomi piano e poggiando una mano sulla spalla sinistra, quella più lontana, del prefetto. Herm si girò e vide la mano, poi tirò un urlo che fece saltare i tre felini. Io ed Anna scoppiammo a ridere. “Che prefetto coraggioso!” la prese in giro. Lei sbuffò. “Non dovete farmi questi scherzi!” sbottò, arrabbiata. L’abbracciai. “Lo sai che ci divertiamo troppo a spaventarti!” le dissi. Lei sbuffò. “E ora, dolci!” esclamò Anna, avventandosi su delle Api Frizzole. Io presi qualche biscotto al cioccolato, rubato dalla cena. Hermione persisteva a fare l’offesa, poi, le regalai un biscotto e un abbraccio. Il prefetto si sciolse in un sorriso. “Ora a chi tocca?” chiese Anna, storpiando le parole per la quantità di caramelle in bocca. “Eh no! Ora basta storie!” protestò Hermione. “Allora passiamo…ai giochi stupidi!” risposi. Le due annuirono. “Il caro vecchio verità o conseguenze?” propose Anna. “Orgoglio e Pregiudizio…” disse d’improvviso Herm. Ci guardammo. “Signor Darcy…” dicemmo all’unisono, per poi iniziare una serie di sospiri svenevoli. Poi ci abbandonammo alle risate. Passammo la serata a mangiare dolci e a chiacchierare. Era quasi ora di dormire, quando iniziammo l’argomento “cotta”. Anna cercava di estorcere qualche informazione ad Hermione, ma questa non mollava. “Ti manca Piton?” mi chiese poi. Il prefetto le tirò un cuscino. “Il tuo tatto è pari a quello di uno Schiopodo!” la rimproverò. Sorrisi. “Un po’…spero solo di mancargli come lui manca a me…” sospirai. Le ragazze mi sorrisero languide, poi il prefetto, annunciò l’ora della ritirata sotto le coperte. Stavolta c’era il placido Billy Joe a farmi compagnia. Il martedì stava passando. Però mancavano ancora quattro giorni. Due anni e quattro giorni. No. Meglio solo quattro giorni. Ecco, ora mi sentivo meglio. Mi addormentai tra un sospiro e l’altro. Hermione che si agitava nel letto mormorando e Anna che si aggrappava al cuscino.
Fui la prima a svegliarmi quella mattina. Mi diressi tranquilla in bagno e ci impiegai più del solito per curarmi. Non mi truccavo quasi mai, al contrario di Anna, che usava abbondante matita ed ombretto. Hermione era intollerante alle parole trucco e scuola messe nello stesso contesto. Strinsi in una mano il ciondolo a forma di serpente ad anello. Era freddo. Sospirai, poi iniziai a pettinarmi i capelli. Uno. Due. “To see you when I wake up, is a gift I didn't think could be real…” iniziai a cantare. Tre. Quattro. “To know that you feel the same as I do, is a three-fold, utopian dream…” continuai. E ancora, cinque. Sei. Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire e cento appena sveglia. Come le principesse, diceva mia madre. Quando ero piccola non avevo i capelli molto lunghi, ma adoravo farmeli spazzolare da lei. E intanto cantavamo assieme. Era un lato che apprezzavo molto di mia madre. Quando non mi rimproverava per i miei modi da maschiaccio ci divertivamo un sacco. Sette. Otto. “You do something to me that I can't explain, so would I be out of line if I said…” proseguii. Nove. Dieci. Chissà se tra qualche anno avrei spazzolato anche io i capelli di una bambina. Magari dai morbidi capelli corvini, che avrebbero incorniciato degli occhi nocciola. Un po’ di me, un po’ di lui. Oppure prima di andare a dormire, nella camera illuminata da flebili luci. Alla specchiera. Il nostro riflesso. Lui che prende elegante, come ogni suo gesto del resto, una ciocca dei miei capelli. Poi la passala delicatamente con la spazzola. Sussurrandomi parole dolci. Undici. Dodici. Quegli occhi neri tutti per me. “I miss you…” dissi, sorridendo tristemente. Tredici. Quattordici. In verità io ero convinta che Severus sarebbe stato un ottimo padre. Soprattutto con delle figlie femmine. Le mie piccole Eveline e Violet. Magari, una con il caratteraccio della madre e una con l’indole timida e solitaria del padre. Quindici. Sedici.“I see your picture, I smell your skin on the empty pillow next to mine…” ripresi. Diciassette. Diciotto. Nonostante l’idea di diventare grossa come una balena per nove mesi non mi allettasse, avrei accettato con piacere la responsabilità di madre. Dopo il matrimonio ovvio. Soprattutto se la creaturine che avevo in grembo era del mio Severus. Diciannove. Venti. “You have only been gone ten days, but already I'm wasting away…” continuai. Ventuno. Ventidue. Mio padre diceva sempre che non mi servivano cento colpi di spazzola per essere bella come una principessa. Diceva sempre, e lo afferma ogni volta che tornavo dalle vacanze, che ero già bella come una principessa. Però, una volta lo sorpresi in camera, lui e la mamma seduti sul letto. Lui le spazzolava i capelli e la guardava con occhi languidi. Lei teneva gli occhi chiusi e cantava. Ventitré. Ventiquattro. “I know I'll see you again, whether far or soon…” sospirai. Venticinque. Ventisei. Chissà se sarei davvero stata capace di essere una madre. Come lo era stata la mia quando ero bambina. La dolcezza, da quanto mi dicevano, non mi mancava. Nemmeno il senso protettivo. Ventisette. Ventotto. “But I need you to know that I care…” proseguii. Ventinove. Trenta. Mi sarei sposata in viola. Odiavo il bianco. Colore banale. Non adatto a me. Trentuno. Trentadue. Il pensiero della famiglia felice continuava a tornarmi in mente. Chissà se anche Severus ci aveva pensato qualche volta. Magari lui voleva un maschio. Anche se forse correvo troppo. Dopotutto mancavano ancora quegli stupidissimi due anni. Poteva succedere di tutto in due anni. Trentatré. Trentaquattro. "And I miss you…” finii. Sentii la porta aprirsi piano. “Posso?” chiese Hermione, spuntando da dietro la porta. “Certo…entra pure…” le sorrisi. “Mattiniera eh?” esclamò. Anche lei doveva essere di buon umore. “È bello svegliarsi sentendoti cantare…” disse, sospirando. Arrossii. “Scusa…non volevo svegliarti…” mi scusai. “Non ti scusare! Hai una bella voce Giulia! In confronto al solito stridio della sveglia poi!” si introdusse Anna, entrando. Sorrisi. “A quanto sei arrivata?” mi chiese Hermione. “Tretacinque…” risposi, continuando a spazzolarmi. “Non arrivo ai cento da quando ero piccola…” raccontai. Lei sorrise. Passai la spazzola ad Anna, poi uscii. Mi cambiai piano, sistemando con cura ogni elemento. Perfino il cravattino era pacifico quella mattina. Appena finito, presi l’orario. Pozioni. Le prime due ore. Mi ricordai che, una settimana prima, la sera Piton si addormentò accanto a me. Scossi la testa per evitare sciocchezze come lacrime improvvise e buttai tutto nella borsa. Sistemai qualche spilla, poi aspettai Anna ed Hermione. Scendemmo a colazione e mangiammo. Quella mattina ero in vena di biscotti al cioccolato e the caldo. Herm mi guadava stranita, nel vedermi inzuppare i biscotti nel tè. Adoravo il tè al cioccolato, come l’avevo chiamato io. Appena le pietanze sparirono, ci dirigemmo verso i sotterranei. arrivammo prime. Anna entrò tranquillamente, salutando Piton sfacciatamente come suo solito. Hermione sussurrò qualcosa e si andò a sedere. Eccolo li. Alla cattedra, ad osservare la porta. “Buongiorno professore!” dissi, cercando di sembrare più allegra possibile. Eppure gli occhi mi si riempirono di lacrime. Avrei voluto abbracciarlo. Rimasi in piedi. Severus alzò lo sguardo e rimase a trafiggermi con quegli occhi meravigliosi per qualche minuto. Non avevo sfoderato un sorriso. Non riuscivo a mentirgli, nemmeno con le espressioni del viso. “Buongiorno anche a lei signorina Wyspet…” rispose, calmo. Raggiunsi il mio banco veloce. Pian piano gli studenti iniziarono ad arrivare, riempiendo i banchi. “Sono una stupida…” sussurrai. Anna mi diede il quaderno in testa. “Si vede lontano un miglio che ti manca… e dallo sguardo che ti ha lanciato anche per lui è lo stesso!” commentò Hermione, esasperata. “Insomma, siete due masochisti!” disse divertita l’altra, cercando di mirare con precisione a Pansy per lanciarle una pallina di carta. Appena l’aula fu piena, Piton si alzò ed iniziò a spiegare una nuova pozione, facendo apparire gli ingredienti sulla lavagna. Non ero al massimo della concentrazione. I miei appunti erano un insieme di scritte sconnesse, e versi di canzoni malinconiche. Eppure lui non era così distante. Avrei potuto alzarmi e buttarmi tra le sue braccia. fregandomene della folla, delle differenze di ruolo, di tutto. Il suo sguardo si incrociò con il mio. Gli feci un piccolo sorriso. Lui non cambiò l’espressione rigida e severa. Ci ordinò di eseguire la pozione, poi si mise a girare per i banchi. Mi decisi a fare del mio meglio. Non potevo deluderlo. Lo sentii criticare la pozione di Neville, il ciò significava che si stava avvicinando. Mi passò davanti piano. Con una lentezza quasi esasperante. L’odore della pozione copriva il suo profumo. Maledetta pozione puzzolosa. Rischiai di tagliarmi più volte con il coltello per la mia sbadataggine. E rischiai anche di far esplodere il calderone. Però per fortuna Hermione mi salvò in tempo. Uscimmo dall’aula cercando di opporci alla folla di studenti che, impauriti da un’eventuale predica, si fondavano subito nella stanza, senza preoccuparsi di quelli che uscivano. Andai addosso a dei ragazzini. Dovevano essere del primo anno. Non era tanto la loro stazza ad impedire il passaggio, quanto l’affluenza. Si muovevano come piccoli insetti, appiccicati l’uno all’altro per paura di perdersi. Mi voltai e vidi una ragazzina addossata sul muro, con lo sguardo terrorizzato. Aveva i capelli raccolti in due codini castani e due occhi azzurri limpidissimi. Le andai incontro. “Qualcosa non va?” le chiesi. Lei mi guardò un po’ stranita. “Devi forse entrare?” dissi ancora. Lei prese coraggio e aprì la bocca. “Io…si…” rispose, timida. Era un cucciolo smarrito poveretta. Mi faceva troppa tenerezza. “Andiamo…ti aiuto io…” le sorrisi, prendendole la mano. Non so se per un’undicenne essere presa per mano era un affronto. Però lo feci. “Perché…mi vuoi aiutare?” mi chiese, stupita. “Ho visto che eri in difficoltà…sono più grande, dovrei essere d’esempio…” le spiegai. “Ma…quelli della Squadra D’Inquisizione…” iniziò a dire. Scossi la testa. “Non dare retta a quelli…i veri padroni sono i prefetti…quelli che vi hanno scortato alle Sale Comuni all’inizio dell’anno…” puntualizzai. Lei annuì. “Piuttosto…come ti chiami?” le chiesi ancora. La ragazzina tentennò. “Sicily…” si decise. “Ora Sicily, entriamo nella folla, tu però non lasciarmi la mano…” le spiegai. Lei annuì. Entrammo nel fiume di insetti diretti nell’aula. Strattonandone qualcuno, riuscii ad entrare senza particolari problemi. “Ecco fatto!” dissi, soddisfatta. Sicily mi guardò sorridendo. “Ora vado…altrimenti le sentirò dalla McGranitt!” spiegai, lasciandole la mano. “Aspetta!” mi richiamò. La guardai. “Come…come ti chiami?” mi chiese, timida. “Giulia Wyspet, quinto anno, Grifondoro…” risposi. Sicily sorrise ed annuì. La salutai con la mano, ed uscii. Hermione ed Anna mi stavano aspettando. “Hai fatto una cosa bella, lo sai?” osservò la prima. “Non ho fatto nulla di speciale…” commentai. “Sarai una brava mamma…” mi prese in giro Anna. Le diedi una gomitata. “L’ho fatto per Eveline…” dissi. “Come? Hai detto qualcosa?” chiesero in coro le due. Scossi la testa. “Chi? Io? Ora sentite anche le voci? Andiamo, altrimenti la McGranitt ci trasfigura in tre rospi!” rimbeccai, prendendole a braccetto e trascinandole via. Andammo alla lezione di Trasfigurazione, poi il pranzo. Anche quella giornata passò, e la sera, un po’ di socializzazione in Sala Comune. Giovedì lo stesso. L’unica cosa che mi risollevavano il morale erano le ore di Pozioni, sempre doppie. Eppure non riuscivo a fare un sorriso. Anche se dentro scoppiavo di felicità. Poi però sprofondavo nella tristezza. Così arrivò anche venerdì, a pranzo. Stavo mangiando il mio adorato pasticcio di carne, quando sentii un tossire alle mie spalle. Vidi Anna fulminare con lo sguardo dietro di me, così intuii ciò che mi aspettava. “Che vuoi Parkinson? Nemmeno mangiare in pace posso?” sbottai, girandomi. Lei e la compare mi guardavano a braccia incrociate. “Anche noi vorremmo pranzare, cosa credi Wyspet?! Siamo venute solo per comunicarti un messaggio…” spiegò Millicent. “Un po’ di dieta non vi farebbe bene…” disse maligna Anna. Pansy si avvicinò, ma l’amica la fermò. “Un messaggio? E da chi?” chiesi, stupita. “Dalla preside Umbridge…ha detto che vuole parlarti…dovete incontrarvi alle serre di Erbologia alle 19.00 precise…” riferì a pappagallo Pansy. La guardai dubbiosa. “Alle sette? All’ora di cena?” chiesi. Lei annuì. Sbuffai. “Il confettone che salta la cena? Strano!” commentò Anna. “Bada a come parli Haliwell, noi siamo dell’Inquisizione!” precisò Millicent. Hermione sobbalzò. “Una confetto a cena…buona idea Anna…” cercò di salvarla il prefetto. Le due serpi le guardarono male, poi si diressero al loro tavolo. “Chissà cosa vuole da me il rospo rosa…non le ho dato particolari problemi…sono stata di pura funzione ornamentale in tutte le sue lezioni questa settimana!” protestai. Anna rise ed Hermione alzò le spalle. Passarono le lezioni pomeridiane. Passai una buona oretta di nullafacenza in Sala Comune, maledicendo il confettone per avermi interpellata proprio all’ora di cena. Presi il mio mp3, e mi diressi alle serre. Fuori non faceva freddo, aveva smesso di nevicare giusto il giorno dopo della nostra passeggiata serale. Però c’erano delle nubi scure che non promettevano nulla di buono. Iniziai a cantare You Are My Sunshine per tenermi compagnia. Guardai l’ora. Le sette e tre minuti. Scrollai le spalle, pensando ad un ritardo. Dopotutto, con quelle gambe tozze ci metteva un po’ per camminare. Vidi un lampo dividere il cielo scuro e sobbalzai. Mi addossai ad un vetro, e iniziai a guardarmi in giro. Odiavo rimanere sola, al buio, nel giardino. Soprattutto con un temporale incombente. Con tuoni magari. Non li sopportavo proprio. Passarono dei minuti. Sette e un quarto. Ancora nulla. Sarà stata trattenuta nel suo ufficio. O forse era la volta buona che era caduta dalle scale e si era fratturata una caviglia. Altro lampo. Nell’mp3 Passò la mia cara Innocence, di Avril Lavigne. Non era molto in tema. Ancora minuti su minuti. Sette e mezza passate. Un tuono mi fece sobbalzare e spiaccicare contro il vetro. Iniziò a piovere, prima piano, poi sempre più forte. Ed iniziò anche a fare freddo. Non avevo l’ombrello, e il cappotto era sul mio letto in dormitorio. Misi l’mp3 in tasca per evitare che si bagnasse. Mi strinsi le braccia al petto, infreddolita e fradicia. Dove diamine era finita quel rospo rosa?! Era andata a farsi una nuotata in qualche stagno con i suoi simili?! Alle otto meno dieci mi arresi, e decisi di tornare al castello. Corsi fino all’entrata, scivolando più di una volta. Stranutii. Feci di corsa le scale e filai in dormitorio. Entrai in camera dove Herm e Anna stavano già chiacchierando. “Hey, che fine hai fatto? Fuori piove a dirotto!” esclamò il prefetto. “Lo so!” sbottai, irritata. Lasciavo dietro di me una scia di acqua. “Sembri Samara…” mi prese in giro Anna. Sbuffai e presi il pigiama ed un cambio di biancheria, poi andai in bagno. Mi feci una doccia calda, poi mi buttai sul letto. “Quella sottospecie di confetto troppo cresciuto non si è nemmeno fatto vivo!” dissi, arrabbiata. “Davvero? eppure la Umbridge era a cena che si ingozzava come al solito!” osservò Hermione. La guardai con occhi sbarrati. “Pensavamo ti avesse dato qualche compito…” spiegò Anna. Sbuffai ancora. “Voleva farmi prendere una polmonite forse?!” ringhiai, furiosa. “Ora calmati…e pensa che domani è sabato…” disse subito Hermione. Sospirai. Sabato. Avrei rivisto in modo civile Severus. La mia positività si riattivò per qualche minuto. “E domani, svegli alle undici!” propose Anna. Hermione la guardò male. La mia pancia brontolò. Mi aveva anche fatto saltare la cena quel rospo dai completi rosa! Mandai giù l’ultimo biscotto al cioccolato rimasto, poi rabbrividii. Un tuono assopì tutto il chiasso che arrivava dalla Sala Comune. Caddi quasi dal letto. Hermione era andata alla finestra. “Peccato…speravo che tornasse la neve…” sospirò. Anna era seduta sul letto a pancia in giù, a sfogliare una rivista. Misi il cuscino sopra la testa per non sentire i tuoni. E il mio stomaco che reclamava cibo. Passammo la serata a chiacchierare, anche se io ero piuttosto passiva. Andai a dormire con la piccola consolazione di poter vedere il mio professore l’indomani, dimenticandomi per poco della pioggia, la fame, ed i tuoni.
Fui svegliata di soprassalto. “Che palle Mary Kate! Vai da Zabini vai!” sentii dire da Anna. “Siamo venute a dire una cosa a Giulia! È importante!” rispose quest’ultima. Aprii gli occhi. “Che c’è?” chiesi, sbadigliando. Guardai di sfuggita l’orologio. Erano le undici passate. “Abbiamo un messaggio!” dissero in coro. “Oh no…” sospirai esasperata, ributtandomi sotto le coperte. “Fateci indovinare, è della Umbridge vero?” ipotizzò Hermione. Le due annuirono stupite. “Cosa vuole ancora quella piaga di donna?!” rimbeccai, stufa. “L’abbiamo incrociata per i corridoi…ha detto che si scusa per ieri sera e che ha avuto impegni che l’hanno trattenuta…” iniziò a dire Ginny. “Si…il polpettone l’ha rapita!” commentò Anna. “…e ha detto anche che devi andare nel suo ufficio all’una di oggi pomeriggio…” continuò Mary Kate. Io scossi la testa. “Se lo sogna che io vada da lei invece che da…” iniziai a rispondere. Ginny mi bloccò. “Ha detto che sei in punizione…” precisò. La guardai allibita. “Punizione?!” esclamarono in coro Anna ed Hermione. Le due annuirono. “Ha detto solo che ti devi presentare nel suo ufficio a quell’ora…” disse infine la castana. Mi tirai il piumone fino alla fronte. “È un incubo…non può essere vero…” sussurrai. “Punizione per cosa?! Per averla aspettata sotto la pioggia per un’ora?” ringhiò furiosa Anna. “Non te la prendere con noi! Abbiamo solo riferito! E comunque ci dispiace…ora però dobbiamo andare…ciao…e fatti forza Giulia!” mi augurò Ginny. Scossi la testa incredula. Mi aspettavano trenta frasi sicure. Senza considerare cosa poteva aver raccontato Piton quella strega del malaugurio! Non avevo per nulla fame, così non scesi a fare colazione. All’una raggiunsi, accompagnata dal mio fedele mp3 nel taschino della gonna, il suo ufficio. Bussai. “Permesso?” chiesi. “Avanti cara…” rispose lei in tono melenso. Mi fece venire i conati di vomito. Ed il rosa del suo ufficio mi stava già facendo rintontire. “Vedo che le signorine Haliwell e Weasley le hanno riferito il messaggio…mi scuso ancora per ieri sera, spero che non sia stata ad aspettarmi…c’era un tempaccio!” si scusò ancora. Si vedeva lontano un miglio che fingeva. E io per ripicca non le risposi. “Perché sarei in punizione?” dissi, secca. La Umbridge mi guardò con i suoi grandi occhi da rospo. “Vede signorina Wyspet, questa settimana ci sono stati molti schiamazzi nella sua Sala Comune…” iniziò a spiegare. La guardai truce. “Su, si sieda! Non sia timida!” commentò poi, mostrandomi la sedia davanti alla scrivania. “Preferisco di no…” commentai, schietta. “E comunque, non so come possa essere sicura che fossi stata io a provocare i vari rumori…certo, sono rimasta in dormitorio dopo il coprifuoco, come lei ha sempre detto di fare…non vedo che problemi ci siano…” spiegai. Il confettone mi fece ancora segno di sedermi. Ed io rifiutai ancora. “Vede…io…lo so…” sintetizzò. La guardai arrabbiata. Non avrebbe potuto. No. Non avrebbe osato usare la pozione della verità su uno studente! “Ah questi ragazzini di prima…sono davvero così ingenui…” sussurrò, forse soprappensiero. L’aveva fatto! Aveva osato usare una pozione per la seconda volta contro i suoi studenti! Ma che razza di mostro avevo davanti?! “Inoltre, le viene attribuita anche la scenata fatta in Sala Grande, a pranzo, dal suo fidanzatino…” aggiunse, riferendosi alla dichiarazione di Josh. “Non è il mio fidanzato…” sbottai subito. “Certo…comunque, come le avrà riferito il professor Piton, le avevo già attribuito trenta frasi per essere uscita dopo il coprifuoco sabato sera…” continuò. La sua voce era più irritante che mai qual giorno. “Josh mi ha molestata!” risposi, arrossendo dalla rabbia. “Però lei non doveva essere fuori dal suo dormitorio signorina Wyspet! E, se poi si conciasse in modo più consono ad una scuola, forse non avrebbe di questi problemi…” concluse, osservando la mia felpa con riluttanza. Strinsi i pugni. “A Silente piaceva come mi vestivo…” rimbeccai. “Ha detto bene…piaceva…però ora lui non è qui!” commentò con voce squillante la Umbridge. Cercai di stare calma. Pensai a Sicily, e in che razza di periodo era capitata. Poi pensai ad Eveline. La mia futura Eveline. Ed infine, a Severus. Chissà se mi stava aspettando, nel suo ufficio. Il suo camino. Il suo letto morbido. Anche solo il suo sorriso. Il suo profumo. “Signorina Wyspet, mi sta ascoltando?” trillò la Umbridge. La sua voce arrivò come una doccia fredda che lavò via i miei pensieri più positivi. Annuii d’istinto, più per farla star zitta che altro. “Per gli ultimi fatti, le assegno quaranta frasi per gli schiamazzi, venti per la sceneggiata, trenta dell’ultima volta, e ancora dieci per la sua solita lingua lunga…” esordì il confettone. Cento frasi. Mi sedetti e presi la penna. Le mani mi tremavano. Possibile che non bastasse il dolore emotivo a dilaniarmi? Possibile che lei non capisse quanto aveva torto? Avrei voluto alzarmi, e obbligarla a scrivere le mie maledette cento frasi. “Scriva ‘non devo provocare scompiglio’” mi dettò. Ed iniziai a trafiggermi. Passavo sulla carta il più lievemente potevo, ma le ferite erano comunque profonde, incrociandosi con le vecchie cicatrici e riaprendole. Come se non bastasse, la cara professoressa ebbe la grande gentilezza di bruciarmi il foglio, finite le prime trenta frasi. Così dovetti ricominciare. Erano quasi le sei, quando ero arrivata a metà. Saltare colazione non era stata il massimo dell’idea. In più avevo mangiato solo un biscotto la sera prima. Mi sentivo svenire, ed in più il confettone non accennava a voler lasciarmi andare. Più che ‘non devo provocare scompiglio’ mi sembrava di star scrivendo ‘non devo rubarle il professor Piton’. Gelosia, che brutta cosa. E di una ragazzina di sedici anni. La Umbridge era davvero caduta in basso. Mancavano dieci minuti alle sette, quando mi fermai. “Professoressa…potrei continuare domani?” chiesi. Lei mi guardò con aria di superiorità. “Perché mai signorina Wyspet? Finiamo tutte le frasi ora, così domani sarà libera non crede?” esclamò, come fosse ovvio. La mano destra tremò. We'll carry on. Provai a scambiare la penna per scrivere con la sinistra, ma la Umbridge se ne accorse e mi ammonì. We'll carry on. Continuai a trascinare la mano. Sette e venti. Ancora venti frasi. And though you're dead and gone believe me. Otto meno un quarto. Ancora uno sforzo. Your memory will carry on. Non dovevo far vedere la mia sofferenza. Non volevo far avere alla Umbridge la sua personale soddisfazione. We'll carry on. Otto. Ancora dieci frasi. Presi a scrivere velocemente. Il dolore alla mano era così forte che oramai non lo percepivo più. And in my heart I can't contain it. Otto e un quarto. Appena staccai la penna dal foglio, le buttai a terra. Fu più forte di me. The anthem won't explain it. “Non c’è bisogno di gettare le cose a terra signorina Wyspet…” commentò infastidita la Umbridge. Le consegnai il foglio, pregando perché mi lasciasse andare. Il confettone lo squadrò con riluttanza. “Ora raccolga la penna, dopo, può andare…” spiegò. Mi chinai e raccolsi quell’aggeggio malefico. La professoressa guardò soddisfatta la mia mano, poi mi indicò la porta. Mi trascinai fuori. Avevo sprecato il mio pomeriggio con Piton. Arrivai alle scale. Chissà se la cena era già finita. Scossi la testa. Ovvio che era già finita, erano le otto e mezza. Ed ero anche fuori orario del coprifuoco. La vista mi traballò per qualche istante e fui costretta ad appoggiarmi al muro più vicino. Mi guardai la mano destra. Quelle orribili scritte rosse risaltavano sulla mia pelle chiara. E la mano sinistra non smetteva di tremare. Pian piano sarei potuta andare in dormitorio. Per poi fasciarmi le ferite e buttarmi sul letto per evitare di svenire da qualche parte. Però decisi di non ascoltare il mio buon senso. Il mio cuore urlava molto di più nella testa. Feci un respiro profondo e corsi verso i sotterranei. Scivolai sugli scalini, ma mi rialzai subito. Andai avanti tastando il muro per evitare di cadere. O come supporto in caso mi venissero i capogiri. Arrivai all’entrata del suo ufficio. Bussai sbadatamente con la mano destra. Delle scosse di dolore mi salirono nel braccio. Sentii dei passi. E la porta si aprì. Piton mi guardava con aria stupita. Cercai di sorridere, nonostante la mano. “Signorina Wyspet…cosa ci fa qui? Il coprifuoco è già scattato e...” iniziò a dire. Lo guardai sorridendo. La vista iniziò a traballarmi e mi tenni al muro. “Mi sta ascoltando? Signorina Wyspet!” mi chiamò. Chiusi gli occhi qualche minuto per bloccare i giramenti, ma non funzionò. “Signorina Wyspet…si sente bene?” chiese ancora il professore. La sua voce si affievolì e tutto si oscurò. Mi sentii sprofondare. Poi un tonfo.
  
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