Il ragazzo suonava il piano.
L'aria era venefica, il caldo infernale. La musica era un ottimo contorno, il più succoso piatto del diavolo portato alle orecchie dei mortali.
I domestici che durante quelle ore ebbero la sventura di passare dall'uscio dello studio sentirono la Morte accarezzare le loro guance.
Il sangue che sgorgava da quelle dita martoriate dipingeva gli splendidi tasti d'avorio di una tonalità scura, quasi a renderli neri, come se tutte le torbide passioni e dolori dell'artista avessero avvelenato il suo stesso corpo.
La causa era una donna: scartato per un volgare mercante che l'aveva accecata con l'oro.
Lui. Il giovane, geniale compositore. L'animo gli si era spezzato. E ora si rivolgeva al suo unico amore rimasto, la musica.
Vi si immerse completamente. Si dimenticò di mangiare, di bere.
Pian piano si dimenticò di essere umano.
Diventò una cosa sola con le note che suonava, diventò lui stesso musica.

Le sue spoglie vennero seppellite alcuni giorni dopo.
Morto per denutrimento. Alla funzione pochi presenti.
Una sola spiccava per l'eleganza: la donna che l'aveva portato alla morte.

Ma sembrava come infastidita, continuava a muovere la testa, anche se cercava di mantenere una postura adeguata alla situazione.
Dopo il termine della cerimonia, fermò un carro e si fece portare nelle zone più lussuose della città.
Pagato il cocchiere, entrò nell'edificio con passo nervoso, fino a raggiungere le sue stanze, dove si strappò di dosso il vestito e iniziò a urlare.

Il medico che la visitò fece un'unica, lapidaria diagnosi.
Pazzia.
La donna affermava di sentire una melodia suonata dalla Morte stessa, una melodia che non la lasciava mai sola.
E nella musica una voce familiare.
Una voce che cantava, cantava e le ripeteva sempre la stessa frase.
"Staremo sempre insieme".