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Autore: Im that boy    28/12/2012    1 recensioni
[JOICK]
Io gli sorrisi, raggiante, per poi scendere dall’auto ed essere avvolto dal freddo.
Restai lì fuori finché non ripartì e poi decisi di recarmi in casa, barcollante.
Quello era il regalo più bello che qualcuno potesse farmi.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Joe Jonas, Nick Jonas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era il ventitré dicembre ed io, come al solito, non avevo ancora finito i regali di Natale. Tutti gli anni la stessa storia: più mi promettevo un po’ d’organizzazione, più infrangevo le mie stesse promesse.
Finii di asciugarmi i capelli sbuffando, per poi scaraventare il phon nel cassetto sotto al lavandino e l’asciugamano nella cesta dei panni sporchi.
-          Non è possibile… – Mormorai guardando mi allo specchio. I miei capelli, appena asciugati, sembravano più un cespuglio selvatico che una semplice cesta di ricci. – Da domani si cambia, bello mio: me li raso a zero.
Già immagino la faccia delle ragazze: mi odieranno a morte. – Pensai.
In quel momento squillò il mio cellulare. Neanche a farlo apposta: era Sophie.
-          Ehi, Soph.
-          Nicky, che fai? – Domandò piena d’enfasi, facendomi sorridere: quella ragazza è sempre iperattiva.
-          Indovina. Sto cercando di dare un senso ai miei capelli. – Risposi procurandole una sonora risata.
-          Ne hai per molto? Perché volevo chiederti se ti andava di venire a New York con me e le altre; sai com’è, siamo un po’ indietro con i regali.
-          A chi lo dici. – Mormorai. – Con cosa andiamo?
-          In treno, ma ti vengo a prendere io. Anzi, muoviti che sono già sotto casa tua.
-          Vaffanculo, sono ancora mezzo nudo! – Esclamai seccato, apprestandomi a cercare una t-shirt e le scarpe.
-          Hai cinque minuti di tempo, non un secondo di più. – Disse Sophie chiudendo la chiamata.
Alla velocità della luce indossai la maglia, un golfino grigio e le mie adorate Nike; fortunatamente i pantaloni li avevo già indossati prima della telefonata. Presi il cellulare, il portafogli e le chiavi di casa, poi il giubbotto, e uscii senza neanche indossarlo.
L’utilitaria verde della ragazza era proprio sotto il portone del mio appartamento, col motore già acceso.
-          Quattro minuti e quarantacinque secondi, complimenti! – Scherzò sorridendo.
-          Ciao, bellezza. – La salutai io dandole un bacio sulla guancia paffuta.
Sophie era una diciassettenne robusta, con lunghi capelli ricci color rosso elettrico e due grandi occhi scuri. Era simpatica, sempre allegra e sapeva il fatto suo. Era in assoluto la mia migliore amica.
Arrivammo alla stazione in meno di dieci minuti: Sophie guidava come una pazza furiosa!
Lungo il binario, ad aspettarci c’erano le altre tre ragazze del nostro gruppo: Megan, Alex ed Erin.
Megan era alta, slanciata, con lunghi capelli neri, leggermente mossi e gli occhi azzurri. Aveva spesso un caratteraccio, ma nessuno sapeva voler bene alla gente come ne voleva lei.
Alex era leggermente più bassa di Meg, ed era tutto l’opposto: capelli biondi, molto corti e gli occhi color verde-azzurro. Era la dolcezza fatta persona: non si arrabbiava mai, ma aveva il difetto di non saper reagire, quindi subiva molto. Per fortuna a proteggerla c’èra sempre Meg; nessuno ha mai capito se quelle due stavano insieme o no, ma, a parer mio, non lo sapevano neanche loro.
Infine Erin: capelli castani, lunghi e mossi e occhi grigi. Era timida e riservata, un po’ come me. E, come me, veniva da una situazione familiare difficile, così ci facevamo forza a vicenda. Anche le altre contribuivano nella missione di farci star bene, e per me erano come un pilastro.
Il treno passò dopo pochi minuti, e in un’ora arrivammo a New York.
-          Da dove cominciamo? – Domandai appena scesi.
-          Che ne dite se andiamo a pranzare, prima di dare il via allo shopping? – Propose Soph che già si era accesa una sigaretta, seguita a ruota da Megan.
Tutti fummo d’accordo, ma nessuno chiese dove, tanto sapevamo benissimo dove saremmo andati a parare: al ristorante giapponese.
-          Aspettate, che giorno è oggi? – Chiesi fermandomi nel bel mezzo del marciapiede.
-          Venerdì, perché? – Curiosò Alex.
-          No, niente. – Mormorai chinando il capo per non far vedere che ero arrossito di colpo.
-          Suvvia, Nicholas, cosa ci nascondi? – Indagò Meg. La sua voce era sensuale e penetrante.
-          Niente, lo giuro. – Dissi sorridendole, cercando di essere convincente.
Nessuna di loro ci credette neanche per un istante, ma fortunatamente non mi chiesero più niente. Sapevo ormai da tempo che quello al quale ci stavamo recando era il suo ristorante preferito, e ci andava tutti i giovedì. Da quando l’avevo scoperto, avevo categoricamente evitato di andare al ristorante in quel giorno, fottuta timidezza.
Il pranzo fu pieno di risate e tutti ci divertimmo a scattarci fotografie a vicenda. Quando uscimmo di lì si erano fatte le tre: c’eravamo stati ben tre ore, nuovo record.
Visitammo i negozi della grande mela in lungo e in largo, più per interesse personale che per i regali, ma alla fine riuscimmo a trovare tutto ciò che cercavamo. Io misi gli occhi su una cover per il cellulare sulla quale era stampata “La grande onda”, di Katsushika Hokusai; me n’ero a dir poco innamorato, ma Sophie mi spinse via dicendomi che erano soldi sprecati. Di soppiatto, però, la vidi infilarla nel cestino per la spesa.
Al momento di andar via, si erano fatte le sette. Prima di prendere il treno, ci fermammo da McDonald’s a prendere un milkshake, poi  corremmo via per paura di restare a piedi.
Perfino una semplice corsa per non perdere il treno, insieme a loro diventava un’esperienza unica.
Durante il viaggio partì una piccola guerra tra Alex, che sedeva in braccio a Megan, e Sophie, la quale si divertiva a stuzzicare la bionda.
Non feci molto caso a loro due, intento com’ero a parlare con Erin, fin quando una cannuccia ancora imbrattata di milkshake non mi passò a pochi centimetri dal naso.
Mi voltai a guardare il pavimento del treno, ornato da una macchia beige, per poi rivolgermi alle ragazze:
-          Soph, fai schifo! Muoviti, va’ a raccoglierla. – Dissi con tono autoritario.
-          Non rompere, raccoglila tu. – Rispose lei facendomi una smorfia.
Mi alzai sbuffando e mi chinai per prendere la cannuccia, voltato verso i sedili dietro i nostri. Immediatamente mi sentii sbiancare, riconoscendo la persona seduta dopo due gruppi di sedili, appisolata.
Velocemente tornai al mio posto, col cuore a mille. Mi girava la testa; perché doveva sempre farmi quell’effetto?
-          Nick, che c’è, che hai visto? – Chiese Erin.
-          Non. Lo. Guardate. – Sibilai. – Dietro di me c’è quello che mi piace. – Ammisi mentre il mio viso prendeva fuoco.
-          Nicholas! – Esclamò Megan, mentre gli occhi delle altre schizzavano verso di lui. – Stronzo, perché non ci hai detto che ti piaceva qualcuno?
-          P-perché tanto non ho speranze, non credo di aver mai trovato qualcuno più etero di lui. E anche se fosse, lui è bellissimo ed io sono… io. – Mormorai abbassando lo sguardo.
-          Che cazzo dici? Non ho mai trovato un ragazzo più bello di te, e sono sincera. – disse Sophie, costringendomi a guardarla. – E poi lui non mi sembra tutto questo granché.
-          Stai scherzando, spero. Come fai a dire che non è bello? Ragazze, voi che ne pensate? – Domandai sperando che almeno una di loro mi desse ragione.
-          È scopabile. – Decretò Meg procurando ad Alex un’espressione ferita. – Ma te lo cedo volentieri. – Aggiunse in fretta, accortasi del danno.
-          È carino, ma secondo me starebbe meglio con i capelli lunghi. – Disse la bionda.
-          Lo so, è ciò che penso anch’io. Li portava lunghi, fino a un anno fa, ma non capisco perché se li sia tagliati. – Dissi. – Erin, tu che ne pensi?
-          Boh, non mi fa né caldo né freddo. – Ammise.
-          Ma è più sì o più no ? – Insisté Sophie.
-          Più no, credo.
-          Ha! Bene, schifoso! Te l’avevo detto! – Esclamò rivolta a me.
-          Guarda che siamo tre a due, stronza! – Ribattei scaldandomi.
-          Resta comunque brutto. – Disse la rossa, facendomi roteare gli occhi.
-          Ma da quant’è che vi conoscete? – Curiosò la mora, sempre più interessata.
-          In pratica da mai. Mi ha chiesto l’accendino un paio di volte e una sera ci siamo presentati, ma aveva bevuto e non credo che se lo ricordi.
-          Wow, e in tutto questo è riuscito a farti perdere la testa. – Concluse.
-          Già. – Risposi con un sorriso timido.
-          Ah, ancora non ci hai detto come si chiama.
-          Joseph.
 
Senza neanche accorgercene arrivammo alla nostra stazione e ci affrettammo a scendere dal treno, per essere travolti dall’aria fredda di dicembre. Intravidi il moro mentre si accendeva una sigaretta e se ne andava.
Io e le ragazze ci recammo al parcheggio, ma venimmo raggiunti da una voce.
-          Nicholas! – Mi voltai e vidi proprio l’uomo dei miei sogni, vicino alla sua auto. – Vuoi un passaggio?
-          Non osare dirgli di no! – Sibilarono le ragazze.
-          Vi chiamo dopo. – Mormorai rivolto alle mie amiche. – Ehm… okay. – Risposi con un’alzata di spalle dirigendomi verso di lui, mentre il mio cuore minacciava di schizzarmi via dal petto come un satellite.
La sua macchina era una splendida Mustang, una shelby del ’67: l’auto dei miei sogni. Non so come, ma stavo amando quel ragazzo ogni secondo di più.
-          Prego, sali. – Mi disse sorridendomi. Di lì a poco, sarei sicuramente svenuto. Dio, aveva un sorriso mozzafiato.
-          Bella macchina. – Dissi. Tu sei bello. – Pensai.
-          Grazie. – Disse lui regalandomi un altro, splendido sorriso. – Dove stai?
Gli diedi il mio indirizzo, timidamente, e lui mise in moto.
-          Ah. – Fu l’unica cosa che disse.
Dovevo aspettarmelo: lui era un altro di quelli che guardano solo le apparenze. Se le mie possibilità con lui erano a meno cinque, in quel momento erano scese a meno cinquanta.
-          Lo so, non è un quartiere molto…
-          No, non m’interessa il quartiere. – M’interruppe. – È che speravo di passare più tempo con te.
Non risposi, ma a parlare bastò il mio viso diventato bordeaux, mentre il mio cuore ebbe un tuffo.
Sia in strada che dentro l’abitacolo dell’auto era tutto buio, cosa che mi metteva molto in soggezione.
Per tutto il viaggio, Joseph non fece altro che bombardarmi di domande sulla mia vita. Non ne capivo il motivo, ma ne ero lusingato.
-          Hai fretta? – Mi domandò quando arrivammo sotto casa.
-          No. – Risposi con un sorriso timido.
Quel piccolo monosillabo gli bastò per continuare la sequela di domande, che continuò per una buona mezz’ora. Voleva sapere di tutto: dalla mia famiglia al mio cibo preferito, i gusti in fatto di musica, i voti a scuola e chi più ne ha più ne metta, ed io rispondevo a tutte le domande senza esitazione, come se il nostro tempo insieme dipendesse dalle mie risposte sincere.
Durante tutto quel tempo riuscii ad imparare a memoria il suo profilo, tanto lo avevo guardato. I suoi occhi erano castani con riflessi ambrati, mozzafiato, e portava i capelli corti, tirati su con il gel. Il suo viso era leggermente squadrato, e il suo fisico era… la perfezione: asciutto e muscoloso, ma non troppo. Perlopiù sapevo che faceva palestra.   
A disturbare il nostro momento magico fu il suo cellulare che cominciò a vibrare incessantemente, il suono amplificato dal cruscotto sul quale Joseph l’aveva lasciato, il quale lesse il nome e riattaccò, sbuffando.
-          Devi andare? – Domandai, timoroso della risposta.
-          Sì. – Rispose lui senza più l’enfasi di poco prima.
-          Non vale, tu sai tutto della mia vita, ma io non so praticamente niente di te. – Mi lamentai, rimproverandomi mentalmente per quanto fossi infantile.
-          Tranquillo, hai tutto il tempo del mondo per conoscermi. – Rispose con un sorriso.
Io lo guardai confuso, incerto sul significato di quelle parole.
-          Ti propongo un patto equo: – Esclamò improvvisamente. – tu non ti tagli i capelli ed io ti prometto che mi farò allungare i miei.
-          Cos… Come fai a sapere che volevo tagliarmi i capelli? – Oddio, sapeva leggere nel pensiero?
-          Non lo sapevo, l’ho detto solo per precauzione. – Non smetteva di sorridere, cosa che mi faceva alquanto impazzire.
-          E i tuoi capelli…?
-          Okay, lo ammetto: ho ascoltato la conversazione tra te e le tue amiche, in treno.
-          Tu cosa? – Domandai in preda al panico. No, non potevo aver fatto davvero una figuraccia così epica.
-          Davvero pensi che io sia bellissimo? – Mormorò avvicinando il suo viso al mio. Il suo buon profumo m’invase, facendomi girare la testa.
-          I-io… – Tentai di articolare una frase sensata, invano.
-          Davvero ti ho fatto perdere la testa? – Domandò in un sussurro, avvicinandosi ancora di più. Sentivo il suo fiato caldo sul mio viso ed ero certo che sarei svenuto da un momento all’altro.
Non sapevo cosa dire, quindi optai per il silenzio. Lui fissava le mie labbra, ma poi il suo sguardo ambrato incrociò i miei occhi e la sua bocca si scontrò con la mia.
Mi baciò dolcemente, dischiudendo le labbra, mentre il mio cuore minacciava di fermarsi. Rimasi sorpreso dal suo gesto, ma pochi istanti dopo riuscii a sciogliermi e a ricambiare il bacio.
Le sue labbra erano dolci, morbide, e il filo di barba che gli stava intorno mi pizzicava, facendomi rabbrividire di piacere. Sentivo i fuochi d’artificio nello stomaco.
Il nostro bacio si stava facendo sempre più confidenziale e presto la sua lingua si fece spazio per intrecciarsi con la mia. Non era un bacio violento, affatto, bensì il più cauto e il più bello che avessi mai ricevuto.
Speravo che non finisse più, ma non molto dopo mancò il fiato ad entrambi e fummo costretti a dividerci.
-          Che fai domani sera? – Mi chiese lui.
-          Che giorno è? – Domandai io, ancora scombussolato.
-          La vigilia. – Rispose con un ghigno. – Volevo chiederti se ti andasse di aspettare il Natale insieme a me.
-          Volentieri. – Risposi notando il suo sguardo dolce. Alla mia risposta, il suo viso s’illuminò con un sorriso.
-          Sono contento. Passo a prenderti alle sette, va bene?
-          È perfetto. – Dissi sorridendo.
-          D’accordo, allora ci vediamo domani.
Lentamente, aprii la portiera dell’auto e feci per scendere, ma Joseph mi richiamò.
-          Nick? – Nick! Mi aveva chiamato Nick! Era davvero ostinato a farmi impazzire, allora.
-          Sì? – Risposi, voltandomi.
Lui si allungò verso di me e mi stampò un altro bacio sulle labbra. Io gli sorrisi, raggiante, per poi scendere dall’auto ed essere avvolto dal freddo.
Restai lì fuori finché non ripartì e poi decisi di recarmi in casa, barcollante.
Quello era il regalo più bello che qualcuno potesse farmi.




Ciaaaaao, vi sono mancate le mie OS su questi due carciofi ? :3
L'idea mi è venuta questa sera mentre ero in treno con le mie amiche, perché nel posto dove ho descritto Joe c'era il mio dottorino, e stavo quasi per svenire. :3
Peccato che lui il passaggio non me l'abbia dato. ):
Vaaaabeh, bando alle ciance, fatemi sapere che ne pensate !
Un bacio,
xx

-Giuls;

PS: molto probabilmente questa diventerà una fanfiction, tra taaaaaanto tempo.

   
 
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