Film > Ralph Spaccatutto
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Autore: TheHeartIsALonelyHunter    28/12/2012    6 recensioni
Chi può volere un imbarazzante sbaglio per amico?
Forse un altro sbaglio, ma in quel mondo dolce (che poi tanto dolce non era) non sembravano esserci altri glitch a parte lei.
Lei, la diversa.
Le altre correvano e lei restava in panchina.
La legge della vita.
Tutti sapevano chi era, a Sugar Rush.
Nessuno la voleva, a Sugar Rush.
Poi era venuto Ralph.
[Dedicato alle mie amiche (reali e virtuali e a tutti i fan di Ralph e Vanellope]
[Quinta classificata al contest "In direzione ostinata e contraria" indetto da darllenwr su ffz]
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Vanellope von Schweetz
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Di pensieri e di pentimenti'
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Scusatemi se ho usato come titolo la canzone della Sposa Cadavere, ma non me ne venivano altre in mente.
Comunque, ho amato questo film e l'amicizia tra Vanellope e Ralph, e ho voluto scrivere qualcosa su loro due perchè sono semplicemente dolcissimi.
Forse un giorno scriverò anche qualcosa dal punto di vista di Ralph.
Spero vi piacerà...

 
Piange.
Ha tanta paura.
Non ha mai pianto in vita sua fino ad allora.
Forse perché fino ad allora non c’era un buon motivo per piangere.
Certo, ne avrebbe avuto a bizzeffe di cose per cui piangere, ma non un vero motivo.
Ora ce l’ha.
E piange.
E sembra che le sue lacrime abbiano aspettato solo quel momento per poter uscire.
Perché escono ora con tutta la loro potenza e la distruzione che portano, e perchè ora le lavano la faccia, perché non l’hanno lavata tanto tempo fa?
Quelle volte che le ragazze la buttavano nel cioccolato e la prendevano in giro, e le dicevano che lei non doveva neanche nascere, che era uno sgorbio, un’errore della natura, un piccolo schifoso punto nero in mezzo a tanti punti bianchi.
Vanellope sente sempre di più la faccia calda e ancora lacrime, e lacrime e lacrime a sciacquarle il viso ormai irriconoscibile.
I capelli le sono usciti dalla coda e le coprono gli occhi e il naso.
Il resto della faccia è completamente rosso e tumefatto.
L’hanno picchiata.
Con una frusta.
Ha provato a scappare, a glitchare da qualche altra parte, ma non c’è riuscita.
Le ferite fanno male.
Fanno molto male.
Ma più male ancora fa una ferita che le si è aperta dentro al cuore, forte e dolorosa.
È una ferita che brucia, e che ancora permane, e che la immobilizza lì, sul quel pavimento, a cercare di sottrarsi al flagello del pianto.
Quella piaga che mai l’aveva presa e che mai l’avrebbe presa se non avesse conosciuto Ralph.
Non sa dire cosa le ha fatto né come l’ha fatto.
Sa solo che di lui si fidava.
Vanellope aveva imparato sin da piccola che non bisogna mai fidarsi di nessuno.
Né di certe ragazzine che ti sorridono schiette, né di alcuni dolcetti che ti parlano dolcemente, e tantomeno di Re Candito.
No, soprattutto di Re Candito.
Lui era la malvagità fatta persona.
Vanellope aveva imparato a fidarsi solo dei kart.
Amava guardare i kart quando era piccola, e sognare che un giorno anche lei ne avrebbe montato uno.
Che avrebbe guidato e sarebbe stata la migliore.
Illusioni, certo, flebili illusioni che si spezzano come un filo sottile.
Ma non si era mai arresa di fronte a quel sogno così immane.
Perché se lo sentiva nel codice che doveva essere una pilota.
Era nata per esserlo.
E solo Vanellope pilota poteva esprimere ciò che realmente era e non quel minuscolo corpicino fallato che si trovava a indossare.
Vanellope aveva sempre voluto quello che non poteva avere.
Era una glitch, si capiva subito.
I glitch sono sempre così. Il fatto di essere errori li rende ancora più severi verso sé stessi.
Forse avrebbe dovuto rinunciare, come diceva Re Candito.
E sì che molto spesso nella notte si era ritrovata a pensare, raggomitolata nella sua carta di caramella, che avrebbe potuto mollare tutto.
Che motivo c’era di essere umiliata ulteriormente se ciò che desiderava era impossibile?
Se l’era chiesto più e più volte ma non si era arresa.
Semplicemente perché Vanellope von Schweetz non si arrendeva mai.
I suoi genitori non li aveva mai conosciuti.
Non ricordava neanche i loro visi e i loro nomi.
Forse non aveva mai avuto dei genitori.
Da quale madre degenere poteva mai nascere un glitch come lei?
Lei era solo figlia di un qualche errore di programmazione che ora la teneva lì, schiava e prigioniera, mentre le altre correvano e si divertivano.
Vanellope non aveva mai provato a fare amicizia con nessuno.
Nessuno la voleva.
Chi può volere un imbarazzante sbaglio per amico?
Forse un altro sbaglio, ma in quel mondo dolce (che poi tanto dolce non era) non sembravano esserci altri glitch a parte lei.
Lei, la diversa.
Le altre correvano e lei restava in panchina.
La legge della vita.
Tutti sapevano chi era, a Sugar Rush.
Nessuno la voleva, a Sugar Rush.
Poi era venuto Ralph.
Ralph l’aveva aiutata e le aveva costruito il kart.
E quando l’aveva costruito, Vanellope aveva capito che di lui si poteva fidare.
Perché chi costruisce un kart, un VERO kart, è una persona di cui fidarsi.
E se una persona costruisce un kart per te è un’amico.
Un VERO amico.
E così, sì, lui le voleva bene, lei gli voleva bene, si volevano bene a vicenda.
Vanellope non avrebbe mai creduto che un altro emarginato come Ralph si nascondesse nell’universo dei videogiochi.
Insomma… Tutti i buoni erano felici e contenti, avevano le loro medaglie, e facevano ciò che amavano.
Non potevano sentirsi soli.
Semplicemente perché non lo erano.
Ma il glitch non aveva mai pensato a un cattivo.
Non aveva mai creduto che un cattivo potesse sentirsi come lei.
I cattivi avevano almeno la soddisfazione di sconfiggere i buoni, facevano qualcosa.
Lei invece non faceva nulla.
Lei era una glitch, era neutra.
Né bene né male.
Né buono né cattivo.
Un’eterna sospesa sull’abisso del destino.
Ecco perché non aveva mai pilotato.
Lo aveva capito solo dopo l’incontro con Ralph.
Lei non aveva mai voluto decidere davvero cosa fare nella sua vita.
Sapeva solo che voleva correre.
E questo le era bastato.
Per tutta la vita aveva avuto solo quel flebile, piccolo filo a tenerla ancorata a terra.
La speranza di diventare un giorno qualcosa.
Magari un pilota.
Magari un personaggio normale.
Non più un glitch, non più un errore, non più un diverso.
Lei voleva cambiare.
Ma Ralph le aveva fatto capire che non si può cambiare ciò che si è.
Si può solo decidere cosa fare della propria vita.
Se un enorme buco vuoto (come quello che ora aveva nel petto) fatto solo di coppe o di medaglie fredde o se un caldo luogo dove le persone più care riposavano.
Nessuno di loro due l’aveva mai capito finchè non si erano trovati.
Si sa, un meno più un meno fa un più.
E loro erano evidentemente due meno.
Ralph l’aveva fatta felice, le aveva insegnato a guidare.
L’aveva resa fiera di sé stessa per la prima volta in  vita sua.
E lei aveva creduto magari che non lo facesse per quella stupida medaglia su cui era scritto “Eroe”.
Una medaglia non fa un eroe, anche se per lei lui lo era.
E per la prima volta non si era vergognata di essere una stupida glitch, una bomba pronta a esplodere, uno sbaglio, un guasto.
Era semplicemente Vanellope, e con Ralph avrebbe vinto la gara.
Poi era successo.
L’aveva mollata.
Aveva detto che lo faceva per proteggerla, che era giusto così, che sarebbe morta se avesse fatto quella gara.
E lei si era arrabbiata.
E si era arrabbiata perché aveva visto la medaglia.
Lui l’aveva riavuta dal Re.
E lui l’aveva convinto a non farla partecipare.
Oh, forse Ralph aveva ragione, forse davvero i ragazzi avrebbero pensato che il gioco era guasto e avrebbero staccato la spina, ma a lei non importava.
Voleva correre, era tutta la vita che lo voleva.
E ora che era all’altezza delle altre, che aveva tutto ciò che le serviva, lui la fermava.
Non lo capiva.
Perché non provare, almeno?
Perché fermarsi ora?
D’accordo, era un glitch, ma che importava?
Non era quel corpo malfatto che l’avrebbe fermata, lei era una pilota!
Se lo sentiva nel codice, e sapeva che lo era.
Lei era sempre stata una pilota.
Anche se non funzionava, era una pilota.
Ralph però non aveva voluto ascoltarla.
E aveva distrutto il kart.
Con le sue mani.
E per la prima volta da quando l’aveva conosciuto, Vanellope aveva visto il VERO Ralph.
Il Distruttore.
Lo Spaccatutto.
Il Cattivo.
Quello per cui era stato creato.
Era stato creato per distruggere ciò che si frapponeva tra sé e il successo.
Lui aveva fatto la sua scelta.
La sua stupida medaglia in cambio della sua stupida amicizia.
Quella medaglia che lo decretava eroe per non aver fatto nulla, quella che l’avrebbe portato sulle tornte di anniversario insieme a Felix, quella che gli avrebbe spalancato una nuova vita.
Quella che lui aveva sempre sognato.
Ma a quale prezzo, Ralph?
A quale prezzo?
A costo di arrivare in cima sei sceso più in basso.
Hai distrutto il sogno di una ragazzina che ora giace immobile a piangere per te.
E che mai, mai più potrà correre.
Sei proprio un cattivo dentro.
Un boato.
Il muro che crolla.
Alza lo sguardo.
È Ralph. 

  
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