Anime & Manga > Il mistero della pietra azzurra
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Autore: Puglio    29/12/2012    4 recensioni
Il capitolo finale del mio seguito di "Nadia: il mistero della pietra azzurra". Nadia è partita alla volta di Atlantide. Jean, in un ultimo disperato tentativo di ritrovarla, decide di rivolgersi all'unica persona che conosce abbastanza la cultura di Atlantide per aiutarlo... ma non è un'impresa facile. Ora è solo, e non può fare affidamento che sulle sue forze. Intanto, Winston scopre che la sua missione si fa sempre più complicata...
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La prima cosa di cui Winston si accorse, fu la puzza terribile. Prima ancora di aprire gli occhi, quel fetore insopportabile si insinuò nella sua testa, risvegliandolo bruscamente. Era tutto buio, attorno a lui, ma Winston dimenticò persino di preoccuparsene. L'unica cosa che affollava i suoi pensieri era come sfuggire a quel fetido puzzo di marciume, che gli attanagliava i sensi in modo violento, e insostenibile.

Provò ad alzarsi in piedi. Ma aveva le mani legate dietro la schiena, e tutto quello che riuscì a fare fu scivolare sulla fanghiglia putrida che aveva sotto i suoi piedi, per poi ricadere duramente al suolo.

Con un gemito, Winston represse un'imprecazione. Rinunciò ad alzarsi, almeno per il momento, e si accucciò con la schiena contro la parete solida, alle sue spalle, cercando di inalare il meno possibile l'aria satura che riempiva la stanza. Doveva recuperare la lucidità, cosa non facile visto che la testa gli pulsava terribilmente. Aveva il corpo indolenzito, e respirare gli provocava un acuto dolore al petto, come la puntura di decine di spilli; evidentemente, era rimasto sott'acqua troppo a lungo, quando era caduto nel fiume sotterraneo... i ricordi di quanto era successo continuavano ad affacciarsi alla sua memoria in modo confuso e improvviso, immagini che apparivano e sparivano in un istante illuminando lo spazio buio davanti ai suoi occhi, accompagnate solo dal riverbero dei muscoli straziati dal freddo e dalle fitte alla testa, tanto forti che a volte gli sembrava di impazzire.

Aveva creduto di annegare. Mentre cercava disperatamente di risalire in superficie, ricordava di aver sentito il suo corpo cedere, e la sua volontà farsi sottile, sempre più sottile di fronte alla voce che dentro di lui gli imponeva di cedere, sempre più imperiosa, folle, fino a condurlo allo spasmo finale. Aveva sentito i polmoni bruciare sotto la pressione dell'acqua, quasi fossero sul punto di esplodere. E aveva sentito l'acqua gelida riversarsi attraverso la sua bocca spalancata, mentre cercava di opporsi alla morte imminente, con un grido silenzioso e straziato di paura e di angoscia insieme. E di incredulità.

Ricordava bene il dolore dei suoi polmoni, l'acqua gelida che li riempiva pungendoli come uno sciame di api. Era un dolore insostenibile; ma ancor più insostenibile era la consapevolezza che ancora riusciva a mantenere in quegli attimi, la lucidità che faticava ad abbandonarlo, mentre sentiva di spegnersi lentamente. In quegli ultimi attimi, aveva conosciuto la morte, la sua morte, nell'abbraccio freddo dell'acqua, intorno a sé.

Invece, era ancora vivo. Non sapeva se era stato l'istinto, o una qualche ragione che conosceva solo il destino: ma in qualche modo era riuscito a strappare al suo corpo pesante e inarticolato un ultimo sprazzo di energia. Era risalito alla superficie, dove l'aria aveva preso il posto dell'acqua, anche se il dolore insopportabile e la debolezza che gli aveva ormai spezzato i muscoli gli avevano fatto presto perdere i sensi. Tutto quello che ricordava, era di aver visto per un attimo la luce del sole, sopra di sé, e di aver avvertito il calore dei suoi raggi sulle sue membra congestionate dal freddo. Qualcosa di tanto bello, da sembrare irreale.

Winston cercò di mettere a tacere la voce di quelle immagini e il dolore sordo che ancora gli correva lungo tutto il corpo. Con uno sforzo, cercò di ritrovare la lucidità necessaria pensare. Doveva cercare di far mente locale, e di ricordare qualcosa, qualcosa di utile a fargli capire dove si trovasse, e perché.

E soprattutto, perché si trovasse in cella, ammanettato, e completamente al buio.

Per quanto si sforzasse, però, non riuscì a ricordare nulla. Aveva perso i sensi appena aveva toccato terra. Terra... significava che quel fiume sotterraneo era sbucato da qualche parte, ma dove? Atlantide si trovava chilometri sotto il livello del mare. Quel fiume scorreva sotto di essa, quindi ad almeno novemila, diecimila metri di profondità, se non di più. Com'era possibile che potesse condurre alla superficie?

Winston provò ad alzarsi di nuovo. Lo fece lentamente, tenendo le mani premute contro la parete vischiosa. Era ricoperta da una patina densa, puzzolente, che gli si infilò sotto le unghie. Represse un moto di disgusto. Il puzzo era tale che Winston si sentì girare la testa. Era come se quella cella fosse stata sommersa dalle acque del mare, a marcire e imputridirsi, fino a un attimo prima; e quella fanghiglia disgustosa che la ricopriva non fosse altro che il residuo che si era depositato sul suo fondo nel corso dei secoli.

Con uno sforzo notevole, Winston riuscì a rimettersi in piedi. Sentiva le scarpe scivolare sul pavimento: cominciò a muoversi lentamente, con accortezza, procedendo di lato, con le mani appoggiate alla parete e le spalle dritte, cercando di non perdere mai il contatto con il muro. Improvvisamente, le sue mani toccarono una superficie diversa, lucida, su cui la fanghiglia sembrava non avere presa. Winston la tastò con cura. Sembrava metallo, ma non poteva essere. Se davvero, come pensava, quella cella era stata immersa nell'acqua del mare per anni, forse per secoli, di una porta metallica ne sarebbe rimasto ben poco. Doveva trattarsi di una lega speciale, qualcosa di sconosciuto, ma di incredibilmente resistente.

Winston provò a bussare. Ci fu un suono chiaro, limpido, come quello di una campana, che si diffuse dalla porta alla stanza, riverberandosi a lungo. Winston intuì che la cella in cui era rinchiuso doveva essere piuttosto grande, e completamente vuota.

Rimase in ascolto. Per diversi istanti non ci fu risposta. Provò a bussare di nuovo, e solo allora, dopo qualche momento, avvertì dei passi risuonare al di là della porta. Winston trattenne il fiato. I passi si fecero sempre più vicini e distinti, finché non si fermarono, esattamente dietro alla porta.

«Ehi!» gridò Winston, dopo un attimo di esitazione. «Ehi, dico a voi! Chi siete? Che diavolo volete da me?»

Ci fu un cigolio e nella porta si aprì una sottile fessura, che fece entrare nella stanza un raggio di luce fortissima. Winston distolse lo sguardo, abbagliato. Quando tornò a guardare, vide un paio di occhi che lo fissavano attraverso lo stretto spiraglio.

«Tu!» fece Winston, rabbioso. «Chi sei? Lasciami andare!».

«Si è svegliato» disse con indifferenza la voce dell'uomo oltre la porta. «Va' a dirlo al padrone».

Winston si immobilizzò, sorpreso. Udì qualcuno allontanarsi frettolosamente, mentre l'uomo al di là della porta continuava a scrutare silenziosamente nella stanza.

«Padrone?» mormorò Winston, quasi tra sé. «Cosa vuol dire... chi diavolo siete? Ehi!»

L'uomo richiuse con uno scatto brusco la stretta finestrella, facendo ripiombare la stanza nel buio. Winston si gettò contro la porta, gridando, ma perse l'equilibrio sul fango viscido e scivolò a terra, battendo il mento. Cercò di lottare, ma il dolore era più forte: e dopo pochi istanti, si arrese.

 

 

*

 

 

Le onde si infrangevano contro la piccola scialuppa, ormai fuori controllo. Tutto quello che Samuel riusciva a fare era cercare di impedire che l'imbarcazione si rovesciasse, ma per farlo doveva continuamente spostarsi da un lato all'altro della barca, chiedendo a Lisa e Michael di fare altrettanto. La prua saliva e scendeva senza sosta, e si lottava per rimanere a galla nonostante ormai l'acqua sul fondo della barca avesse raggiunto le caviglie. Samuel si aggrappò alle corde di sicurezza. Un'onda crebbe dal fondo, levandosi lenta e alta come il boato di un tuono. Quando furono il alto, per un attimo il tempo sembrò congelarsi: i tre si guardarono, infradiciati, con i volti pallidi e spauriti, i capelli incollati al viso, gli abiti zuppi. Poi, l'onda li rilasciò, facendoli precipitare. Samuel lanciò un grido, misto di rabbia e di terrore, mentre sentiva il cuore salirgli in gola e gli schizzi gelidi gli ferivano il volto come una miriade di schegge impazzite.

Quando c'era stata quell'esplosione sorda, e il mare si era improvvisamente ritirato, facendo scivolare la Salamanca e le altre navi della flotta verso il baratro che si era spalancato davanti a loro, l'istinto aveva avuto il sopravvento; in qualche modo era riuscito ad approfittare della confusione che si era scatenata a bordo e a liberarsi delle guardie che lo avevano in custodia, ed era riuscito a darsela a gambe con la ragazza e il suo amico. Aveva raggiunto una scialuppa, li aveva letteralmente gettati a bordo e si era liberato in fretta e senza troppe cerimonie di quelli che gli sbarravano la strada; quindi, si era affidato alle onde. In quel momento, qualsiasi cosa sembrava meglio che essere inghiottiti da quel gigantesco scarico che sembrava essersi aperto nelle viscere dell'Oceano, e che sembrava voler risucchiare ogni cosa fin nelle profondità degli inferi. Tuttavia, dopo due giorni di mare aperto, in balia delle onde e delle tempeste, e senza nulla da mangiare o da bere, Samuel aveva cominciato a credere di aver solamente rinviato di poco il proprio destino.

Non avrebbe mai dimenticato quello che aveva visto. Dopo l'immensa esplosione, che aveva levato una colonna d'acqua fino al cielo, oscurando il sole come in un eclissi, il mare si era ritirato come un vecchio tappeto, per poi richiudersi su se stesso come un mostro affamato, desideroso di fagocitare ogni cosa. Samuel aveva visto gli incrociatori della flotta inglese sparire tra le acque, spezzati dalle onde come stuzzicadenti; aveva visto la Salamanca rovesciarsi su se stessa, e colare a picco in un solo istante. Centinaia di uomini urlanti, in preda al panico, cercavano di mettersi in salvo. Alcuni, come lui e Lisa e Michael, raggiunsero le scialuppe; i più fortunati riuscirono a scampare alla furia delle onde, finendo però dispersi chissà dove. Nessuno avrebbe potuto governare una barca, in quelle situazioni; tutto quello che si poteva fare, era aspettare che il mare calmasse la sua ira, e sperare.

Poi, era successo.

Un'isola, o qualcosa di simile, era emersa dal mare. Il mare si ritirò da essa, scivolando via dalle sue rive e spingendo lontano le imbarcazioni. Samuel restò a fissare quell'immensa formazione di rocce, puntellata da edifici diroccati e distrutti, mentre si levava dalle profondità marine: ricordò di essersi chiesto quanto ancora sarebbe salita, quando l'intera superficie rocciosa su cui sembrava sorgere quella città sommersa si librò sulle acque, rivelando una struttura lucente e metallica sotto di essa. Il mare ruggiva, ma sopra di esso si levava il fragore di quell'intero mondo che sembrava ritornare alla luce e alla vita. Samuel osservò l'immensa costruzione che saliva verso il cielo, abbandonando dietro di sé le rovine che sorgevano arroccate e tremolanti sulle sue sponde. La vide salire, lenta, verso il cielo, oscurare il sole, per poi farsi sempre più lontana, fino a sparire. Solo a quel punto, dopo alcuni interminabili minuti, il mare ritornò alla calma. Era finita. Per qualche ragione, erano sopravvissuti.

Almeno, fino a quel momento.

L'onda li rilasciò, e la scialuppa si abbatté con fragore sulle acque. Samuel sapeva che il pericolo non era ancora cessato: l'onda, sopra di loro, attendeva ancora di abbattersi, e di travolgerli.

«Tenetevi!» gridò. Lisa gli rivolse uno sguardo disperato, mentre si schiacciava contro il fondo della barca, avvinghiata alle corde di sicurezza.

«Arriva!» urlò Michael. Samuel alzò gli occhi. L'onda era sopra di loro, le frange di spuma bianca simili a zanne. Ci fu un attimo in cui tutto sembrò fermarsi, per poi accelerare. Samuel chiuse gli occhi. L'onda era lì, stava arrivando.

Quando Samuel riaprì gli occhi era già passato molto tempo, e l'Oceano sembrava aver ritrovato la calma. Esausto, Samuel aveva perso le forze, e si era abbandonato al suo destino, fosse quello che fosse. Morire in una tempesta, in fondo, dopo aver cercato di sopravvivere disperatamente, non era nemmeno una morte tanto brutta... Ma, incredibilmente, era sopravvissuto ancora una volta. Si guardò attorno. Le onde cullavano delicatamente la scialuppa, che beccheggiava dolcemente. La tempesta era finita e il sole era alto, nel cielo: Samuel avvertì un fastidioso bruciore alla pelle, e intorno alle labbra. Si tocco le guance, con la punta delle dita. La salsedine si era seccata, e sentiva la pelle arida, screpolata.

Aveva bisogno di bere.

Si guardò intorno. Lisa e Michael non si erano ancora svegliati. Dormivano, stesi sul fondo della scialuppa. Samuel cominciò a chiedersi se avesse fatto bene a prenderli con sé. Non ci aveva pensato sul momento, ma adesso quei due potevano rivelarsi un problema. Avrebbe dovuto per prima cosa pensare a se stesso, e preoccuparsi di salvare la sua, di pelle. Aveva agito di impulso, tirandoseli dietro; ma cominciava a pensare che non fosse stata per niente una buona idea.

Con questi due in mezzo, avrò ancora meno possibilità di farcela.

Considerò seriamente di ucciderli e di buttarli fuori bordo, finché erano svenuti. Si avvicinò a Lisa e fece per sollevarle la testa, ma qualcosa lo bloccò. Era strano. Lo avevano addestrato a non provare rimorso, a vedere sempre nelle cose l'utilità del momento e a considerare ogni persona come uno strumento per un fine più alto – che fosse la vita, la sopravvivenza, un obiettivo politico. Era quello, il suo lavoro. Per quello aveva sacrificato ogni cosa, persino la sua anima e la sua vita. La consapevolezza che quel suo sacrificio, insieme a quello di quanti lavoravano insieme a lui, potesse permettere al resto del mondo di sopravvivere nella sua inconsapevole banalità, era ciò che gli permetteva di andare avanti, nonostante tutto. In qualsiasi altro momento, spezzare il collo sottile di quella giovane ragazza sarebbe stato un compito semplice, che lui avrebbe affrontato senza neppure pensarci. Eppure, in quel momento, qualcosa in quel meccanismo perfetto che aveva sempre funzionato in lui in modo impeccabile, si inceppò. Samuel fissò il volto di Lisa, i suoi capelli arruffati e crespi, le labbra secche e rosse, gli occhi gonfi. E ciò fu sufficiente a farlo desistere.

«Dannazione».

Si rintanò al suo posto, chiudendo gli occhi. Non era un bel segnale. Se cominciava a essere sentimentale, era meglio rassegnarsi subito a una morte certa.

Michael lanciò un gemito. Samuel restò a fissarlo, con un'espressione di disappunto sul volto.

«Siamo vivi?» mugolò Michael. Samuel sbuffò, seccato.

«A quanto sembra».

Michael si guardò attorno. Quando vide Lisa, distesa accanto a lui, cominciò a scuoterla dolcemente.

«Ehi, sveglia...»

Lisa sbatté le palpebre. Quindi si alzò di scatto, sbarrando gli occhi. Lanciò un grido soffocato, portandosi una mano alla testa.

«Fai piano, devi ancora recuperare le forze» fece Michael, aiutandola a rimettersi sdraiata. Lei si lasciò distendere, pallida in volto. Samuel strinse le labbra.

«Siamo in mare aperto, e senza nulla da mangiare, né da bere» disse, rivolgendosi a Michael ma senza guardarlo direttamente. «Non abbiamo remi e non possiamo governare la barca. La situazione è questa, e non è piacevole».

Michael lo fissò smarrito. «Quindi... questo significa...»

«Che molto probabilmente moriremo» annuì Samuel, fissandolo stavolta dritto negli occhi.

Michael deglutì.

«Oh...» fece «...Ok. Non avresti potuto essere più chiaro».

«Era giusto dirlo» tagliò corto Samuel. «Inutile girarci intorno».

Samuel si frugò sotto gli indumenti, in cerca di qualcosa. Quando rivelò una pistola, Michael lo fissò impallidendo.

«Non vorrai...»

Samuel estrasse la pistola e lo guardò. Era una pistola molto grossa, dalla canna simile a quella di un piccolo fucile.

«Che diavolo ti prende?»

«Vuoi... vuoi ucciderci?»

«Cosa?»

«Vuoi ucciderci... non è così?»

Samuel fissò Michael con un misto di incredulità e fastidio.

«Non fare l'idiota...»

«Ho... ho letto di quel naufragio» continuò Michael, sempre più pallido. «Di quei tipi su una zattera che... per sopravvivere...»

«Deficiente, questa è una pistola di segnalazione» disse Samuel, agitando l'arma davanti ai suoi occhi. «Se ti sparassi contro, probabilmente manderei a fuoco l'intera scialuppa, e morirei anche io. Davvero credi che la userei per ucciderti?»

«Oh...» Michael osservò la pistola, rincuorato.

«Se volessi uccidervi, troverei senza dubbio un modo migliore».

Le guance di Michael tornarono a scolorirsi, mentre Samuel lo fissò sogghignando.

«Lascia stare, stavo scherzando» fece. «Non ho intenzione di rinunciare a salvarmi, almeno per il momento. Quindi, smettiamola con le scemenze, e cominciamo a pensare a come risolvere questa situazione».

«Non è una nave, quella?»

Samuel e Michael si volsero verso Lisa, che indicava con fare stanco, un punto all'orizzonte. Samuel si precipitò alla sponda della scialuppa.

«Potrebbe essere solo un riflesso».

Qualcosa all'orizzonte lanciò un bagliore. Si udì un fischio e un suono lungo e lamentoso, simile a una sirena.

«È un incrociatore!» esalò Samuel. «Forse è ciò che resta della flotta inglese, che è venuta in esplorazione».

«Aspetta!» esclamò Michael. «E se fossero... loro

«Dobbiamo comunque rischiare» fece serio Samuel. «Ma prima di tutto, dobbiamo riuscire a farci vedere. Quella nave è lontana...»

Samuel stava ancora pensando a come aggirare il problema, quando con la coda dell'occhio vide Michael impossessarsi della pistola di segnalazione. Si voltò di scatto, gettandosi su di lui... ma fu troppo tardi. Con il volto trasfigurato dalla soddisfazione, Michael esplose in aria l'unico colpo che avevano.

«No!»

Samuel, Lisa e Michael fissarono il razzo salire con una scia rossastra in cielo, ed esplodere a qualche decina di metri di altezza. L'esplosione, a parte il boato, si perse nella luce accecante del sole, senza che nessuno riuscisse a vederlo. Michael fissò per qualche istante ancora, perplesso, il punto in cui il razzo era esploso, come se si aspettasse che accadesse ancora qualcosa.

«Idiota!» ruggì Samuel, strappandogli la pistola e gettandola in acqua, con rabbia. «Questo era l'unico colpo che avevamo! Chi è così deficiente da sparare un razzo di segnalazione in pieno giorno?»

«Credevo che si sarebbe visto...»

«Tu...» Samuel si trattenne dal mettere le mani al collo del ragazzo. Si prese la testa tra le mani e lanciò un imprecazione. «Avrei dovuto ucciderti davvero! Ci hai condannati a morte!»

Lisa fissava l'acqua con gli occhi bassi, singhiozzando; Michael si rannicchiò smarrito sul fondo della barca.

«Va bene, va bene... va tutto bene...»

Samuel strinse le labbra. Ragionava tra sé, velocemente. Fissò il punto in cui si trovava la nave, e sembrava valutarne la distanza.

«Tu» disse a Lisa, con voce bassa e decisa «togliti la gonna».

Lisa lo fissò, impallidendo.

«Cosa? No!»

«Ti do due secondi per toglierti la gonna, poi te la sfilo io».

Lisa tentennò, indecisa. Guardò Samuel poi Michael, che le restituì uno sguardo sconvolto.

«Come si permette? Cosa crede...»

«Uno!»

Lisa avvampò di collera e imbarazzo, levandosi in piedi.

«Se crede che le consentirò di mettermi quelle luride mani addosso, lei...»

Samuel afferrò la gonna di Lisa e la strattonò verso il basso, lasciandola in sottoveste. Lei lanciò un grido, chinandosi in fretta e cercando di coprirsi come poteva, tirando su di sé i lembi di tessuto che ancora penzolavano dalla cinta.

«Lei, maniaco schifoso, pervertito...»

Samuel non sembrò far caso a quanto Lisa gli stava vomitando addosso. Armeggiò deciso con la gonna e cominciò a strapparla con furia.

«Dentro ci sono stecche di balena» fece, cominciando a sfilare le sottili stecche imbastite nel tessuto, che servivano a dare alla gonna la classica forma a campana. «Possiamo usarle per farne una bandiera».

Lisa fissò Samuel. Era ancora sconvolta, ma sembrava aver capito. Infatti, si tranquillizzò, anche se continuò a mantenere una certa distanza e un'espressione di vivo disappunto.

Samuel si sfilò la giacca e la camicia. Quindi annodò la camicia all'asta, e si alzò in piedi, cominciando a sventolare energicamente la bandiera improvvisata.

«Avanti... avanti, maledizione!»

Lisa fissò il torso energico di Samuel, le braccia forti e i muscoli tesi, bagnati di sudore. L'intero suo corpo sprizzava vigore. Non aveva mai immaginato che potesse avere un fisico così sviluppato... gli abiti lo nascondevano decisamente bene. Si chiese, arrossendo, se anche Winston avesse un corpo come il suo.

Vergognandosi di pensare a qualcosa di simile in una situazione come quella, distolse lo sguardo.

«Forza!» gridò Samuel. Continuava ad agitare la bandiera, i denti stretti, il volto rigato dal sudore. Sembrava deciso a non darsi per vinto, anche se la cosa aveva in sé qualcosa di disperato. Quella nave sembrava così lontana...

Improvvisamente, la nave lanciò un segnale, seguito a breve distanza da un altro, e da un altro ancora. Samuel sbarrò gli occhi e sul suo volto si dipinse un sorriso trionfante.

«Sì!» gridò «Ah-ah! Vengono a prenderci!»

Michael si alzò in piedi, incredulo. «Ne... ne è sicuro?»

«Quello è un segnale in alfabeto morse» annuì Samuel. «È il segnale di 'uomo in mare'. Ci hanno visto, vengono a salvarci».

«Mio dio, non ci posso credere...»

Michael e Lisa si strinsero, abbracciandosi e scoppiando in lacrime. Samuel li lasciò fare, sollevato.

«Quindi, potremo cominciare le ricerche» chiese Lisa «per trovare i superstiti».

Samuel la fissò serio. Lisa continuava a sorridere speranzosa, ma lui scosse il capo.

«Non ci sono superstiti».

«Ma Winston...»

«Mi ascolti» fece Samuel. «Churchill è morto».

Il volto di Lisa si fece bianco come la cenere.

«No» disse, rifiutandosi di accettare la cosa. «Lei non può saperlo».

«Le dico...»

«No!»

«Mi ascolti!» Samuel la afferrò scuotendola. Michael fece per aiutarla, ma lui lo spinse via senza troppe cerimonie. «Churchill era là sotto. Nessuno può essere sopravvissuto a quel cataclisma, nessuno! E se anche fosse riuscito a sopravvivere...»

Lisa guardò Samuel perplessa. Non riusciva a capire dove volesse andare a parare.

«Lei... lei pensa...»

«Se non è morto, allora, c'è solo una spiegazione. E cioè che sapeva esattamente quello che sarebbe successo».

Lisa scoppiò in lacrime, coprendosi il volto con le mani. Michael aggrondò, perplesso. Sembrava non capire.

«Lei vuol dire che... ci ha traditi?»

Samuel annuì, duro.

«Non vedo altra soluzione».

«No» fece Michael, deciso. «Winston non avrebbe mai potuto farlo».

«Provi a ragionare» insistette Samuel. «nessuno di noi era a conoscenza di quello che stava realmente cercando Wiesbaden. Solo Churchill. Solo Churchill si è recato là sotto, e sempre Churchill ha fatto da tramite con Lartigue e i suoi per ottenere quello che serviva a Wiesbaden. E non appena Churchill è stato al sicuro, ecco che la flotta inglese è stata accerchiata, io sono stato arrestato e voi con me. Quello che è successo dopo, ne è la diretta conseguenza. Churchill e Wiesbaden hanno riattivato quella... mostruosità, e hanno pensato bene di lasciarci indietro, credendo così di fare piazza pulita. Perciò, i casi sono due: o Churchill non sapeva nulla di quello che stava per succedere; e allora molto probabilmente è morto insieme a Wiesbaden e a tutti gli altri... oppure, era in combutta con lui, ed è da qualche parte a bordo di quel coso a spassarsela alle nostre spalle».

«Potrebbe non essere andata così» insistette Lisa «potrebbe essersi salvato, ed essere a bordo di quella... cosa... o in mare, come noi...»

«Si trovava a diecimila metri di profondità, Lisa» scosse la testa Samuel. «Se non è a bordo di quell'affare, allora è un cadavere galleggiante».

«E se si trova a bordo di quella specie di isola» intervenne Michael «allora, molto probabilmente...»

«Molto probabilmente, o è morto, o è ospite di Wiesbaden. Il che lo rende morto comunque, almeno per noi».

«Io non posso crederlo, no, non posso!»

«Mi ascolti, Lisa!» Samuel le afferrò prima le mani, e poi le strinse il volto. «Siamo arrivati fin qui perché avevamo un compito, uno scopo. Quello scopo è ancora valido, almeno per me. Io voglio ancora liberare il mondo dalla minaccia che rappresenta quella gente. Non ho il tempo di preoccuparmi di Winston Churchill, né di pensare alle conseguenze delle sue azioni. Mi dispiace, ma...»

«Era un suo amico, è un suo amico!»

«Sì, lo era!» ruggì Samuel. «Ma se è morto, non posso fare più nulla per lui. E se è vivo, ed è in combutta con Wiesbaden, è meglio per lui se non lo vedrò mai più».

«Ma se fosse ancora vivo, e fosse prigioniero...»

«In quel caso, ma non credo, dovrebbe cavarsela da solo».

Lisa fissò Samuel, mentre le lacrime le rigavano le guance.

«Non posso abbandonarlo» disse. Samuel fece una smorfia.

«Allora, pensi che sia morto» mormorò. «Le renderà le cose molto più facili».

 

 

*

 

 

Winston aspettò fino a perdere il senso del tempo. Da quanto era lì? Un giorno, due? Una settimana? Gli portavano da mangiare a intervalli regolari, una ciotola di zuppa che lui era costretto a sorbire mettendosi a gattoni, e lappando con la lingua, visto che continuavano a tenerlo ammanettato, con le mani legate dietro la schiena.

Si era ridotto alla condizione di un animale. Puzzava, era sporco, e mangiava come una bestia. Il buio gli impediva di avere riferimenti e non riusciva a contare lo scorrere delle ore. Aveva cominciato ad avere le allucinazioni. A volte, parlava da solo. Gli sembrava di impazzire.

Si addormentò. Ormai aveva cominciato a contare i giorni in base ai cicli di sonno, che però si facevano sempre più brevi. Quando si svegliò, udì dei passi avvicinarsi alla porta.

«Guardia!» latrò. «Guardia! Sei tu? Fatti vedere, fatti vedere...»

Winston si alzò. Si sollevò incerto, sfregando il volto contro la superficie della porta.

«Guardia?»

Come di consueto, dalla porta si aprì un sottile spiraglio. Due occhi inespressivi fissavano il buio, e con esso Winston.

«Ah, ah... piacere di rivederti, compagno!» gracchiò Winston, sfoggiando un ghigno. «Cosa prevede oggi il menu? Eh? Eh? Lasciami indovinare... allora... roast beef? Vitello arrosto? Fondue...»

«Indietro».

Winston scoppiò a ridere, quindi indietreggiò, barcollando.

«Sì, sì... indietro, indietro...»

La porta si aprì. Winston distolse gli occhi dalla luce che filtrava dall'esterno. Si aspettava di vedere la sola guardia, quando invece questa fece posto a un'altra persona che rimase in piedi, immobile, sulla porta. Fissava Winston in silenzio.

Winston cancellò immediatamente il sorriso dalle sue labbra. Improvvisamente, sembrò aver riacquistato lucidità.

«Non può essere...»

La figura fece un passo verso di lui. Winston si avvicinò, lentamente, finché la guardia si fece avanti per fermarlo. Winston si bloccò, ma la figura alzò una mano, a rassicurare la guardia.

«Va tutto bene» disse. «Siamo vecchi amici».

Winston rabbrividì. Credeva di conoscere quella persona, ma non poteva essere. Era un'allucinazione, era tutto un'allucinazione.

«Tu...»

La figura avanzò ancora. Winston poteva distinguerne i contorni del volto, ora che la luce la raggiungeva più diffusamente. Il volto di quell'uomo emerse dall'ombra, davanti a lui. Winston gridò. E con un misto di ribrezzo e sgomento, crollò a terra.

«Oh, non abbia paura» disse la figura, sogghignando, mentre fissava compiaciuta Winston che si contorceva nel buio, in preda al panico. «Le garantisco che non ha nulla da temere, da me, Herr Churchill».

 

 

 

 

 

  
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