Bonus
Track 4
Titolo:
“Gatti neri e capelli
viola”
Genere: Romantico,
Introspettivo
Pairing: Alex/Isa
Rating: rosso
Warning: lemon, crack-pairing
Scritta per la sesta
edizione del p0rn-fest.
maggio
2009
Capelli
viola, viola melanzana senza sfumature, un pugno in un occhio incastrato tra il
pallore trasparente del suo viso e il nero inchiostro dei vestiti di plastica
consunta. Si scosta i capelli dalla faccia, mentre si serve in tutta calma di
una generosa boccata della sua solita sigaretta al trinciato rollata male. Una
ciocca ribelle gli spiove sulla fronte, a sottolineare quell’aria vagamente
dark-barra-emo-barra-punk dal retrogusto effeminato, l’insegna dello Chat Noir
che riversa il suo chiarore al neon su quei capelli da pazzo, sulla pelle che
quasi rimanda indietro il bagliore azzurrino della sagoma di gatto stilizzata
che lampeggia sulle loro teste.
È
quasi simile a quello che ha tatuato sulla scapola sinistra, la camicia
scivolata giù a scoprire una canotta all’americana che fa a pugni con tutto il
resto – l’ha intravisto prima, sotto le luci intermittenti del locale e le
vibrazioni di musica techno come un terremoto sotto le suole, un drink dal
sapore ignoto stretto tra le dita e qualche vaga oscillazione a tempo di musica,
mentre si faceva largo in mezzo alla piovra sudaticcia e tremolante sulla pista
da ballo.
Serata
dimmerda. Isa schiocca gli artigli frenchmanicurati in direzione del barman, le
labbra fradice di rossetto e alcool incurvate in un mezzo sorriso – il solito, tesoro. Il tacco dodici
incastrato nel poggiapiedi dello sgabello, per poco non perde l’equilibrio. Un
tuffo al cuore, solo un attimo – forse, dopo questo giro, dirà basta, io sto a
posto così, e poco importa se Barbie scuoterà la criniera bionda e le darà della
“liscia” che ha paura della prova del palloncino – decerebrata
totale.
E
poi torna il caos, il brusio che pervade in ogni spazio vuoto e impedisce alla
malinconia di emergere oltre gli strati di trucco steso con sapienza e quei
sorrisi da prostituire al miglior offerente.
Meglio
tornare dentro e cercarlo con lo sguardo senza chiedersi perché. Un bagliore
viola elettrico nella massa gelatinosa e crocidante che dimena le chiappe a
tempo di musica, che si esplora le tonsille sui divanetti di velluto o nel
privè, che vomita bile nei cessi. Lui invece è una macchia d’inchiostro su un
drappo immacolato, un elettroshock che la distoglie dalla sua personale
pantomima. Le basta questo.
Nessuno
ci ha ancora provato con lei, anche se il suo ragazzo è bello tranquillo a
casuccia, anche se là dentro è la più figa, e poche palle. In barba al suo metro
e cinquantacinque risicato e al cinturino della scarpa che le sega i talloni,
all’andatura basculante da troppo alcool in corpo – ‘fanculo. Ancheggia tra la
folla, la musica e il bagliore azzurrino che le sbatte addosso, arrampicata in
cima ai suoi trampoli sottili, caracolla in giro per la stanza come una regina
in visita ufficiale, dispensa occhiate all’arsenico a chi ammicca nella sua
direzione, gelando ogni velleità di approccio.
Serata
dimmerda. Lui non le interessa, ma ha qualcosa che ti brucia dentro, che ti
spinge a cercarlo, ti rapisce lo sguardo. È l’antitesi vivente di chiunque
potrebbe trovare vagamente appetibile. Ha una faccia da sfigato, nessuno
spenderebbe un centesimo per lui.
Non
è come Alessandro: è quasi omonimo, ma non è lui, qualche sfumatura d’accento a
separarli, foni casuali infilati a cazzo nei loro nomi, qualche latitudine di
troppo e un po’ di vento del nord che sbianca le gote, qualche chilo di
muscolatura e di virilità che li divide, e tutto depone a favore del suo
ragazzo. L’uomo che non deve chiedere mai. Che non è lì presente, ma, se sapesse
che l’unica attrattiva della sua serata ha il nome e le anche ossute di
Alexander Thompson, verrebbe lì a riprendersela, non prima di aver cancellato
dalla faccia del rivale da strapazzo quel sorriso da ragazzino che si crede
furbo.
Invece
ha fatto tutto da sola, come al solito.
-
Ehi… – gli sussurra, accavallando le gambe sul divanetto di velluto blu e
facendo oscillare il ghiaccio nel bicchiere vuoto – Non sai che i bambini non
vanno per locali e non bevono alcolici?
Alex
sorride, accondiscendente: sta al gioco, ma lo sguardo si è incagliato
altrove.
-
La carta d’identità gliel’ho fatta vedere.
-
Sei ubriaco – pallida constatazione.
Isa
posa il bicchiere e divora i centimetri che li dividono.
-
No – Alex scuote il capo e finalmente ricambia il suo sguardo – Solo… un po’
stanco.
Di
agitarti come un idiota in mezzo ai tuoi amichetti fricchettoni e fingerti
l’uomo di mondo che non sei. Ma a me andresti bene anche così, pulito e senza
fronzoli, senza pose da finto alternativo, con la ferraglia di dubbia utilità
che ti porti appresso. Andresti bene per una notte.
Lo
osserva. Ha il viso eccezionalmente arrossato, i capelli bagnati che gli
scorrono tra le dita e resistono a ogni tentativo di tirarli verso la nuca, di
dar loro una forma presentabile. È bastato puntargli occhi addosso per
individuare i confini della sua inadeguatezza: troppo liscio per quegli abiti
fuori luogo, per la vodka all’amarena che si è buttato in gola senza troppe
seghe mentali, per quell’immagine stereotipata, quella maschera di plastica,
tatuaggi e kajal sbavato che si è dipinto addosso. La faccia troppo da
cucciolo.
Dicono
che sia un emo del cazzo, uno di quelli che non reagiscono alle prese per il
culo, si piangono addosso tutto il tempo e ti annacquano il sangue. Alessandro
dice che una volta l’ha visto tagliuzzarsi le braccia con una lametta, e che è
uno che venderebbe la madre pur di attirare l’attenzione; peccato che la pelle
degli avambracci spicchi liscia e intatta come quella di un bambino, quando si
solleva le maniche fino ai gomiti e le fa cenno di seguirlo nelle toilette –
troppo chiasso per continuare a urlarsi addosso, a sovrastare il rumore
lanciandosi sguardi fraintendibili, a boccheggiare per mancanza d’ossigeno.
Troppo fango speso, gettato addosso per nulla.
-
Va meglio adesso? – Isa lo sorprende alle spalle, allunga la mano verso la
spalla scoperta e segue in punta di dita il contorno del
tatuaggio.
Se
lo accarezza un po’, forse si anima e comincia a fare le fusa. Miao.
È
nero come il peccato ed emerge come un marchio sulla pelle candida. Quello di
Andrea invece è bianco, e le fusa le fa per davvero, è vivo, respira e gli si
accoccola in grembo. Si chiama Oscar ed è stato il suo pegno d’amore per la
dannatissima Elena Loria. Alex la vuole e non ne fa mistero, lei tergiversa, ma
stasera Alex Thompson è solo per lei.
Occhio
per occhio, dente per dente, Loria. Puttanella da due soldi.
Alex
si sciacqua la faccia e si bagna i capelli che, sotto la luce giallognola e
tremolante della toilette, sono color vino rosso.
-
Isa… – mugugna.
Ma
non si scosta di un millimetro.
-
Perché? Non ti va? – ridacchia, risalendo verso il collo con la punta delle
unghie.
-
Sei fidanzata.
-
Sarà il nostro piccolo segreto. Sei carino, stasera.
Non
sei carino. Ma a me vai bene così. Per stanotte vai bene anche
così.
-
Non dire stronzate – Alex aggrotta le sopracciglia, scoccandole un’occhiata
scettica attraverso lo specchio – Mi prendi in giro. Io non ti piaccio, neanche
un po’. Lo so cosa dite, tu e i tuoi amici… Non sono figo come
voi.
E
poi si volta, braccia strette contro il petto.
-
Siamo come il giorno e la notte. Cosa puoi volere da me?
-
Cazzate…
Isa
ridacchia e lo attira a sé afferrandolo per un lembo della canotta – almeno un
accenno di muscolatura sul torace, almeno quello c’è –, e la sua lingua segue il
contorno dell’anellino d’argento che gli scintilla sul labbro. Un sussulto,
prima di forzare le barriere e spingergli la lingua tra le labbra socchiuse,
tastarne le resistenze e togliergli il respiro con una pomiciata da manuale. Che
abortisce sul nascere, ma solo perché lui è timido.
-
Isa, non… non mi sembra la cosa giusta – sospira.
- È
perché ti senti un alternativo? È così? Perché pensi che io sia una fighetta che
veste firmato e si accoppia solo con i suoi simili? Perché non ascolto la tua
stessa cazzo di musica? – Isa tamburella distrattamente col tacco sul pavimento
– Però…! Credevo che le scuole anglosassoni insegnassero qualcosa. Sei
gay?
-
No – Alex solleva gli occhi al cielo – Se fosse?
-
No, chiedevo… Magari Lastella ti ha leccato il latte dalle
labbra.
-
Io non sono gay. Ma tu sei fidanzata.
-
Le cose non vanno alla grande tra noi.
-
‘fanculo! Non sono il punching-ball personalizzato per la vostra crisi del
settimo anno.
-
Non ti piaccio? – Isa occhieggia maliziosa verso il basso, verso quei pantaloni
di plastica strizzati sui fianchi e quel bottone che soffre, e lo sfiora
all’altezza del ventre, i muscoli contratti.
Stupido:
un’occasione simile non ti capita mai più.
-
Non… – Alex rabbrividisce e si porta le mani al volto, esasperato – Non è
questo. È… è tutto. È questa situazione assurda.
-
Hai bisogno di me. Di un diversivo che ne valga la pena.
-
Ho bisogno di andarmene di qui. E di una doccia fredda.
-
Tu hai bisogno di lei. Di Elena. Ma lei non è qui – Isa lo stringe tra le
braccia, cullandolo.
-
Ancora? È una tua fissa.
-
Già… e chissà dov’è adesso? – Isa gli morde il lobo dell’orecchio e gli fa
scivolare una mano dentro la canotta, con noncuranza e un sorrisetto
sadico.
La
pelle serica brucia sotto le sue dita, un brivido guizza lungo la schiena – può
sentirlo riverberarle addosso. Sussulta, ma non le chiede di allontanarsi, di
smetterla di fare la patetica e di renderlo ancora più patetico, di stuzzicarlo
con i suoi artigli da strega.
-
La tua Loria… chissà dov’è? – prosegue, trasalendo al contatto freddo del
piercing al capezzolo – Magari si sbatte Andrea. In questo preciso istante. O
quel biondino insulso, il chitarrista paranoico.
Sei
tutto qui, piccolo caro: piercing al capezzolo, anellino al labbro, ferraglia
varia ed eventuale appesa addosso, capelli viola Quaresima, gatti neri, tatuaggi
seminascosti per non far arrabbiare paparino, ambiguità sessuale e complessi
d’inferiorità. Sei malleabile come creta e puoi fare al caso
mio.
-
Fa male, vero?
La
stoccata arriva con un miagolio crudele e una mano che si insinua furtiva oltre
la cintura. È suo, ce l’ha in pugno. Lui e la sua erezione traditrice pressata
tra i boxer in microfibra e il suo tocco impertinente. Lo baci, e quello scatta,
il respiro accelera e le labbra si schiudono. Grumi di tensione che giungono al
capolinea.
-
Ma tu non stai meglio di me. Adesso te lo dico: tu vuoi Andrea, ma lui ha scelto
Elena. Ha scelto Gabriele. La sua migliore amica, scopamica, quel cavolo che è,
e il ragazzo che ama. È finita, Isabella.
Isa
trasale. No, questo non se l’aspettava: è il fuori programma, la scheggia
impazzita che manda a puttane ogni onesto progetto. Il programma diceva di
sbattersi Alex perché è il suo ennesimo capriccio, per fingere di ripagare Elena
con la sua stessa moneta, perché di Alessandro in fondo non le importa un cazzo.
Ma questo no.
Impietrita,
la mano rigida bloccata tra la cintura dei suoi pantaloni e la sua pelle tesa,
una fitta al petto e le lacrime che salgono e scendono, ma alla fine restano
bloccate lì e condensano in schegge di ghiaccio dritte verso il
cuore.
-
Ti credevo più scemo – sorride, ed è come ingoiare vetro.
Hai
capito tutto.
In
un’altra occasione, sarebbe venuta la rabbia, l’impulso di castrarlo, di
sputargli addosso, di vomitare fiele. Invece c’è solo
rassegnazione.
Alex
tira su col naso, i lineamenti contratti.
-
Fa male, Isa. Lo so benissimo.
Fa
male stare qui come i terzi incomodi.
-
Siamo più simili di quanto pensi.
-
Perché mi vuoi… adesso?
-
Non lo so, Alex. Lastella non ti ha insegnato nulla? Di come vanno a finire
queste cose…
-
Una serata da dimenticare… – Alex la cinge con le mani intorno alla vita e quasi
collassa su di lei, fronte contro fronte.
Isa
deve sollevarsi sulle punte dei piedi per sfiorarlo – di nuovo. Il sapore
metallico di quell’anellino insulso che le scorre sulla lingua. Quasi lo
morde.
-
Pensi che dopo staremo meglio? – Alex solleva un
sopracciglio.
-
Penso che dopo avrai imparato qualcosa.
Isa
sorride, ferina. Si osserva intorno – sono tutti di là a sfondarsi, a tessere i
loro intrighi e le loro vite inutili da sfigati della prima ora. Fa scorrere la
cerniera verso il basso e immerge la mano come a scartare un dono, stuzzicandolo
e assaporando sulle labbra il suo respiro che accelera e si
frantuma.
Almeno
là sotto i peli gli sono cresciuti – Isa quasi gli ride in faccia. Ragazzino. Anche le sue misure sono
niente male, e lui trema sotto il suo tocco. Peccato se ne stia lì impalato
senza sapere dove mettere le mani, la schiena contro il muro e il volto che va
in fiamme. Forse gli piace ciò che sta facendo, ma ha quasi paura di renderlo
manifesto; sembra in imbarazzo, incerto sul da farsi, intrappolato tra la parete
e la sua presenza. Isa sorride e segue con una carezza la linea spigolosa del
suo fianco: è così tenero che un pompino glielo concederebbe giusto per questo,
per dissipare quella sua maschera di reticenza, quella lotta insanabile tra
imbarazzo e desiderio.
Anche
di Andrea, del resto, dicono che sotto le lenzuola sia poco più che una borsa
dell’acqua calda, ma lo dice Barbie, e a lui Barbie non è mai andata giù, quindi
col cavolo che ci sarà andato volentieri. Forse adesso con Elena farà scintille,
e buonanotte al gatto.
-
Andiamo via – Isa si ricompone, leccandosi le labbra come una gattina e tirando
su la spallina del vestito – In macchina andrà meglio.
Alex
inarca un sopracciglio, stranito.
-
Questo posto fa schifo – rincara la dose lei, occhieggiando malamente le pareti
appiccicose.
Non
sono una puttana da due soldi.
Sorride:
per chi li vedrà attraversare il locale fino al parcheggio, sarà la conferma che
il mondo si è davvero capovolto – o che ha esagerato con la tequila. Lei e i
suoi capelli rossi spettinati ad arte, il vestito firmato con corpetto strizzato
sulla sua terza abbondante, i tacchi a spillo come armi improprie; lui più
sfatto che mai, in balia di lei, delle sue mani che giocano con lui e lo
trascinano dove vogliono, i pantaloni riabbottonati di volata e la paura di far
brutta figura.
-
Isa, no! – Alex solleva gli occhi al cielo – Nel fuoristrada del tuo ragazzo, mi
rifiuto.
-
Zitto e sali! – Isa lo afferra per la manica scivolosa del giubbotto di finta
pelle e quasi se lo tira addosso, dentro l’abitacolo
dell’auto.
Fazzoletti
e preservativo stanno al loro posto: devo proprio spiegarti tutto,
ragazzino?
-
Sei sicuro, Alex? – Isa si morde il labbro: non ha pensato nemmeno per un
istante che potesse non trovarla irresistibile.
Non
sei nessuno per rifiutare, cocco. Probabilmente sarà la tua unica occasione di
posare le unghie su una donna con tutti gli attributi: approfitta
dell’occasione. Benvenuto nel mondo degli adulti.
Alex
annuisce, un mezzo sorriso accennato sulle labbra carnose. Non ha scelta. È
fradicio, eccitato, poco lucido: vorrebbe Loria, ma Loria non è roba per
lui.
Neanch’io,
a pensarci bene.
-
Qual è il problema? – Isa lo aiuta a liberarsi del
giubbotto.
-
Che non dovrei essere qui – quasi si mangia le parole.
-
Sei vergine? Non l’hai mai fatto con una ragazza?
-
No – Alex distoglie lo sguardo; ridacchia per dissipare la tensione, il rossore
che gli sboccia sulle guance accaldate – Non è questo.
È
sbagliato: l’hanno capito pure i sedili.
- E
allora lascia che ti insegni qualcosa.
Dov’è
che eravamo rimasti?
Alex
deglutisce a fatica, gli occhi verdi spalancati nella penombra. Socchiude le
labbra, un tremore improvviso, quando la sua mano riprende a massaggiargli
l’inguine.
Non
fare niente, resta così. Lascia fare a me.
-
Quanti anni hai detto che hai? – cinguetta.
-
Diciotto – le palpebre di Alex cedono, lo sguardo si smarrisce da qualche parte
verso il parabrezza, mentre lei annuisce e indugia con le labbra verso il suo
collo, lasciandogli l’ennesima chiazza di rossetto – Quattro anni di differenza
sono niente, zia – ridacchia, la voce che si spezza al suo ennesimo
assalto.
Un
morso appena accennato sulla gola, i denti che si stringono sulla sua pelle e
una leggera suzione. Alex si morde le labbra.
-
Bravo… Almeno la matematica la sai.
La
camicia di raso viola fa la stessa fine del giubbotto – abbandonato sul sedile
posteriore –, seguita dalla canotta. Sotto la luce pallida di un lampione in
agonia, la sua pelle ha una strana sfumatura violacea, gli spigoli emergono
quasi con durezza, il volto come un enigma in controluce. E la barretta infilata
nel capezzolo luccica come un invito.
-
Ahi… fai quasi male così – una fioca protesta, smentita da un sorriso beato, a
labbra distese.
Non
te l’aspettavi, è così. Che potessi interessarmi a te.
Isa
scorre con le labbra lungo il torace. Lui continua a subire le sue provocazioni,
spalmato tra il sedile reclinato e il finestrino, bianco nudo dalla vita in su,
i pantaloni sbottonati e bassi sui fianchi. Il secondo tatuaggio emerge come un
marchio sotto l’anca, un minuscolo triskell nero su bianco – allora è un vizio.
Tra qualche anno sarà una carta geografica in bianco e nero, ogni capriccio di
adolescente semicresciuto vergato sulla pelle, ogni singola cazzata che gli sia
passata si per la testa e lo faccia sentire vivo.
Il
triskell sul basso ventre non è più un invito: è un “prego, da questa parte, un
po’ più in basso”.
-
Isa… – sospira.
Lei
lo bacia di nuovo, la cute morbida e rovente sotto l’ombelico, per poi chinarsi
tra le sue cosce.
-
Isa…!
Zitto.
Solleva
gli occhi su di lui – riderebbe, se le sue labbra non fossero impegnate a girare
intorno al suo glande. Alex inarca la schiena, un sospiro appena percettibile,
le labbra tirate, gli occhi che vagano in qualche punto oscuro sulla capote. Si
lascia fare come se si vergognasse del proprio respiro che accelera, come se non
sapesse che farsene delle mani, come se avesse paura di sbagliare, di dire
troppo con un linguaggio del corpo del tutto involontario. È la sua prova del
fuoco: il ragazzino inesperto e la donna che visse due
volte.
D’un
tratto si riscuote e si allunga verso di lei; incerto, armeggia con la cerniera
posteriore del suo vestito, le dita che scorrono fredde sulla sua schiena – ne devi mangiare di pastasciutta,
ragazzino. Indugia verso la nuca come se stesse maneggiando un cristallo –
chi ti sei fatto, fino all’altro
giorno?
Okay,
basta così. Isa lo molla al suo destino e si solleva a sedere, i seni scoperti.
Alex sembra in estasi mistica, occhi socchiusi, braccia abbandonate lungo i
fianchi. Vorrebbe toccarla, andare oltre, ma non ne ha il coraggio, ha paura che
lo morda. Oppure appartiene alla categoria del “massimo guadagno con il minimo
sforzo”: si finge scemo, ma scemo non è affatto – è ciò che fa tutti i santi
giorni, del resto. Lui non c’era, se c’era dormiva oppure non aveva capito una
mazza.
Isa
serra le labbra: srotolare un fottutissimo preservativo nella penombra
dell’abitacolo di una macchina non è mai stato tanto dispendioso, non quando le
dita tremano e lui non collabora. Gli circonda le spalle con un tocco che suona
semi-rassicuranti e si lascia andare su di lui, sulla sua erezione protesa di
cui sembra appena consapevole: è adamantino, in questo. Liberale, oserebbe dire:
lascia fare. I secondi rotolano sul filo del rasoio, l’Arbre Magique quasi le
sbatte in faccia e annacqua l’aria viziata dell’abitacolo, più dell’aroma di due
pelli di differente gradazione.
Non
perde il controllo, lei, neppure mentre si muove su di lui. Ha l’occhio vigile,
le mani che gli accarezzano il torace, che afferrano le sue e lo guidano. È come
una fitta che non esplode in tutta la sua intensità, ma resta latente, sospesa a
mezz’aria, minuscoli spasmi che non si risolvono in un dolore sordo, in una
caduta in deliquio. Alex continua ad ansimare – sa di cannella o qualcosa di
vagamente speziato, un profumo da adolescente, oppure la schifezza che si è
spalmato intorno agli occhi. Sa di pelle sudata e di vodka mandata giù di
fretta: lo sente quando incastra le labbra alle sue, un intreccio che dura lo
spazio di un istante – l’ultimo, il primo e l’ultimo per loro.
Ci
sai fare, dolcezza: non sei imbranato come sembri. O forse è il non fare un
cazzo che ti è congeniale: non prendi iniziative, ti siedi lì, in balia del
destino, di ciò che una come me può decidere di fare di te, e attendi, attendi
il colpo di grazia.
Un
urlo smorzato. Alex che si inarca e cerca di prendere il controllo, la afferra
per i fianchi e prova a oscillare – per la poca autonomia di movimento che gli
consente il suo peso su di lui, il sedile appiccicoso e i pantaloni troppo
stretti.
Isa
si stringe a lui: un secondo di deriva può starci, una stilla di irrazionalità,
poi torna tutto come prima, si ristabiliscono i ruoli. Infila una mano tra i
suoi capelli viola melanzana, i suoi assurdi capelli viola melanzana che ha
cercato per tutta la sera; si piega su di lui fino a seguire in punta di dita la
sagoma del gatto nero tatuata sulla schiena, che sembra rispedirle indietro un
gnignetto compiaciuto. Quasi soffoca. Stringe i muscoli delle cosce, la presa
salda sulla sua nuca. Un urlo, un gemito che rotola via, una fitta fino al
petto, e poi è tutto finito. Non resta Isa, non resta Alex. Resta un patto
ridicolo e mai sussurrato – nemmeno per sbaglio –, uno sfogo a senso unico e una
ripicca, un’auto che sa troppo di nuovo e di sesso, quell’odore che le dà la
nausea.
È
un sei e mezzo, dolcezza, perché almeno l’arnese lo sai usare; almeno non ti fai
pregare per un’escalation semidecente. Non lo sai e non te lo dirò, perché poi
succede che ti monti la testa, e tutto va a puttane.
Isa
lo degna di un ultimo sorriso, mentre si risistema l’abito firmato ridotto a
sacco della spesa. L’ultimo gesto di confidenza, l’ultimo che gli concede,
lasciarsi tirar su la cerniera sulla schiena, il corpetto di pizzo che torna al
suo posto sul seno prepotente.
Non
è per te, dolcezza. Non è per te che sono venuta qui. Si tratta di ristabilire
la gerarchia: uno alle stelle, l’altro alle stalle. Zero
compromessi.
-
Andiamo, Thompson – sussurra.
Il
tempo di recuperare le scarpe e qualche altra stronzata, e la serata è già
vecchia.