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Autore: Cassandra Morgana    29/12/2012    0 recensioni
Raccolta di Missing Moment su "Il bacio dell'aspide". Ogni shot è dedicata ad una vera o presunta coppia presente nella storia-madre.
- Bonus Track 1 (Andrea/Gabriele): restare soli alla casa dello studente nel week-end sotto Natale non è particolarmente piacevole. Tranne nel caso in cui qualcuno non abbia avuto la tua stessa idea.
- Bonus Track 2 (Andrea/Giulia): ambientata qualche mese prima degli eventi narrati nella storia madre. Isa prova a combinare al suo amico Andrea un appuntamento (non troppo) al buio.
- Bonus Track 3 (Andrea/Giulia/Sara): missing moment dal sapore più agro che dolce. Breve sipario su quanto Andrea dovesse apparire str... nel periodo pre-"conversione", e su come Gabriele abbia lentamente maturato il risentimento nei suoi confronti e il desiderio di distruggerlo. Threesome accennata.
- Bonus Track 4 (Alex/Isa): CRACK-PAIRING dichiarato. Isa ci prova con Alex per dispetto a Elena. Non mettendo in conto un filo di attrazione inconsapevole e del tutto imprevisto.
Genere: Angst, Erotico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Threesome | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il bacio dell'aspide ~ la serie'
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Bonus Track 4

 

Titolo: “Gatti neri e capelli viola”

Genere: Romantico, Introspettivo

Pairing: Alex/Isa

Rating: rosso

Warning: lemon, crack-pairing

 

Scritta per la sesta edizione del p0rn-fest.

 

 

maggio 2009

 

Capelli viola, viola melanzana senza sfumature, un pugno in un occhio incastrato tra il pallore trasparente del suo viso e il nero inchiostro dei vestiti di plastica consunta. Si scosta i capelli dalla faccia, mentre si serve in tutta calma di una generosa boccata della sua solita sigaretta al trinciato rollata male. Una ciocca ribelle gli spiove sulla fronte, a sottolineare quell’aria vagamente dark-barra-emo-barra-punk dal retrogusto effeminato, l’insegna dello Chat Noir che riversa il suo chiarore al neon su quei capelli da pazzo, sulla pelle che quasi rimanda indietro il bagliore azzurrino della sagoma di gatto stilizzata che lampeggia sulle loro teste.

È quasi simile a quello che ha tatuato sulla scapola sinistra, la camicia scivolata giù a scoprire una canotta all’americana che fa a pugni con tutto il resto – l’ha intravisto prima, sotto le luci intermittenti del locale e le vibrazioni di musica techno come un terremoto sotto le suole, un drink dal sapore ignoto stretto tra le dita e qualche vaga oscillazione a tempo di musica, mentre si faceva largo in mezzo alla piovra sudaticcia e tremolante sulla pista da ballo.

Serata dimmerda. Isa schiocca gli artigli frenchmanicurati in direzione del barman, le labbra fradice di rossetto e alcool incurvate in un mezzo sorriso – il solito, tesoro. Il tacco dodici incastrato nel poggiapiedi dello sgabello, per poco non perde l’equilibrio. Un tuffo al cuore, solo un attimo – forse, dopo questo giro, dirà basta, io sto a posto così, e poco importa se Barbie scuoterà la criniera bionda e le darà della “liscia” che ha paura della prova del palloncino – decerebrata totale.

E poi torna il caos, il brusio che pervade in ogni spazio vuoto e impedisce alla malinconia di emergere oltre gli strati di trucco steso con sapienza e quei sorrisi da prostituire al miglior offerente.

Meglio tornare dentro e cercarlo con lo sguardo senza chiedersi perché. Un bagliore viola elettrico nella massa gelatinosa e crocidante che dimena le chiappe a tempo di musica, che si esplora le tonsille sui divanetti di velluto o nel privè, che vomita bile nei cessi. Lui invece è una macchia d’inchiostro su un drappo immacolato, un elettroshock che la distoglie dalla sua personale pantomima. Le basta questo.

Nessuno ci ha ancora provato con lei, anche se il suo ragazzo è bello tranquillo a casuccia, anche se là dentro è la più figa, e poche palle. In barba al suo metro e cinquantacinque risicato e al cinturino della scarpa che le sega i talloni, all’andatura basculante da troppo alcool in corpo – ‘fanculo. Ancheggia tra la folla, la musica e il bagliore azzurrino che le sbatte addosso, arrampicata in cima ai suoi trampoli sottili, caracolla in giro per la stanza come una regina in visita ufficiale, dispensa occhiate all’arsenico a chi ammicca nella sua direzione, gelando ogni velleità di approccio.

Serata dimmerda. Lui non le interessa, ma ha qualcosa che ti brucia dentro, che ti spinge a cercarlo, ti rapisce lo sguardo. È l’antitesi vivente di chiunque potrebbe trovare vagamente appetibile. Ha una faccia da sfigato, nessuno spenderebbe un centesimo per lui.

Non è come Alessandro: è quasi omonimo, ma non è lui, qualche sfumatura d’accento a separarli, foni casuali infilati a cazzo nei loro nomi, qualche latitudine di troppo e un po’ di vento del nord che sbianca le gote, qualche chilo di muscolatura e di virilità che li divide, e tutto depone a favore del suo ragazzo. L’uomo che non deve chiedere mai. Che non è lì presente, ma, se sapesse che l’unica attrattiva della sua serata ha il nome e le anche ossute di Alexander Thompson, verrebbe lì a riprendersela, non prima di aver cancellato dalla faccia del rivale da strapazzo quel sorriso da ragazzino che si crede furbo.

Invece ha fatto tutto da sola, come al solito.

- Ehi… – gli sussurra, accavallando le gambe sul divanetto di velluto blu e facendo oscillare il ghiaccio nel bicchiere vuoto – Non sai che i bambini non vanno per locali e non bevono alcolici?

Alex sorride, accondiscendente: sta al gioco, ma lo sguardo si è incagliato altrove.

- La carta d’identità gliel’ho fatta vedere.

- Sei ubriaco – pallida constatazione.

Isa posa il bicchiere e divora i centimetri che li dividono.

- No – Alex scuote il capo e finalmente ricambia il suo sguardo – Solo… un po’ stanco.

Di agitarti come un idiota in mezzo ai tuoi amichetti fricchettoni e fingerti l’uomo di mondo che non sei. Ma a me andresti bene anche così, pulito e senza fronzoli, senza pose da finto alternativo, con la ferraglia di dubbia utilità che ti porti appresso. Andresti bene per una notte.

Lo osserva. Ha il viso eccezionalmente arrossato, i capelli bagnati che gli scorrono tra le dita e resistono a ogni tentativo di tirarli verso la nuca, di dar loro una forma presentabile. È bastato puntargli occhi addosso per individuare i confini della sua inadeguatezza: troppo liscio per quegli abiti fuori luogo, per la vodka all’amarena che si è buttato in gola senza troppe seghe mentali, per quell’immagine stereotipata, quella maschera di plastica, tatuaggi e kajal sbavato che si è dipinto addosso. La faccia troppo da cucciolo.

Dicono che sia un emo del cazzo, uno di quelli che non reagiscono alle prese per il culo, si piangono addosso tutto il tempo e ti annacquano il sangue. Alessandro dice che una volta l’ha visto tagliuzzarsi le braccia con una lametta, e che è uno che venderebbe la madre pur di attirare l’attenzione; peccato che la pelle degli avambracci spicchi liscia e intatta come quella di un bambino, quando si solleva le maniche fino ai gomiti e le fa cenno di seguirlo nelle toilette – troppo chiasso per continuare a urlarsi addosso, a sovrastare il rumore lanciandosi sguardi fraintendibili, a boccheggiare per mancanza d’ossigeno. Troppo fango speso, gettato addosso per nulla.

- Va meglio adesso? – Isa lo sorprende alle spalle, allunga la mano verso la spalla scoperta e segue in punta di dita il contorno del tatuaggio.

Se lo accarezza un po’, forse si anima e comincia a fare le fusa. Miao.

È nero come il peccato ed emerge come un marchio sulla pelle candida. Quello di Andrea invece è bianco, e le fusa le fa per davvero, è vivo, respira e gli si accoccola in grembo. Si chiama Oscar ed è stato il suo pegno d’amore per la dannatissima Elena Loria. Alex la vuole e non ne fa mistero, lei tergiversa, ma stasera Alex Thompson è solo per lei.

Occhio per occhio, dente per dente, Loria. Puttanella da due soldi.

Alex si sciacqua la faccia e si bagna i capelli che, sotto la luce giallognola e tremolante della toilette, sono color vino rosso.

- Isa… – mugugna.

Ma non si scosta di un millimetro.

- Perché? Non ti va? – ridacchia, risalendo verso il collo con la punta delle unghie.

- Sei fidanzata.

- Sarà il nostro piccolo segreto. Sei carino, stasera.

Non sei carino. Ma a me vai bene così. Per stanotte vai bene anche così.

- Non dire stronzate – Alex aggrotta le sopracciglia, scoccandole un’occhiata scettica attraverso lo specchio – Mi prendi in giro. Io non ti piaccio, neanche un po’. Lo so cosa dite, tu e i tuoi amici… Non sono figo come voi.

E poi si volta, braccia strette contro il petto.

- Siamo come il giorno e la notte. Cosa puoi volere da me?

- Cazzate…

Isa ridacchia e lo attira a sé afferrandolo per un lembo della canotta – almeno un accenno di muscolatura sul torace, almeno quello c’è –, e la sua lingua segue il contorno dell’anellino d’argento che gli scintilla sul labbro. Un sussulto, prima di forzare le barriere e spingergli la lingua tra le labbra socchiuse, tastarne le resistenze e togliergli il respiro con una pomiciata da manuale. Che abortisce sul nascere, ma solo perché lui è timido.

- Isa, non… non mi sembra la cosa giusta – sospira.

- È perché ti senti un alternativo? È così? Perché pensi che io sia una fighetta che veste firmato e si accoppia solo con i suoi simili? Perché non ascolto la tua stessa cazzo di musica? – Isa tamburella distrattamente col tacco sul pavimento – Però…! Credevo che le scuole anglosassoni insegnassero qualcosa. Sei gay?

- No – Alex solleva gli occhi al cielo – Se fosse?

- No, chiedevo… Magari Lastella ti ha leccato il latte dalle labbra.

- Io non sono gay. Ma tu sei fidanzata.

- Le cose non vanno alla grande tra noi.

- ‘fanculo! Non sono il punching-ball personalizzato per la vostra crisi del settimo anno.

- Non ti piaccio? – Isa occhieggia maliziosa verso il basso, verso quei pantaloni di plastica strizzati sui fianchi e quel bottone che soffre, e lo sfiora all’altezza del ventre, i muscoli contratti.

Stupido: un’occasione simile non ti capita mai più.

- Non… – Alex rabbrividisce e si porta le mani al volto, esasperato – Non è questo. È… è tutto. È questa situazione assurda.

- Hai bisogno di me. Di un diversivo che ne valga la pena.

- Ho bisogno di andarmene di qui. E di una doccia fredda.

- Tu hai bisogno di lei. Di Elena. Ma lei non è qui – Isa lo stringe tra le braccia, cullandolo.

- Ancora? È una tua fissa.

- Già… e chissà dov’è adesso? – Isa gli morde il lobo dell’orecchio e gli fa scivolare una mano dentro la canotta, con noncuranza e un sorrisetto sadico.

La pelle serica brucia sotto le sue dita, un brivido guizza lungo la schiena – può sentirlo riverberarle addosso. Sussulta, ma non le chiede di allontanarsi, di smetterla di fare la patetica e di renderlo ancora più patetico, di stuzzicarlo con i suoi artigli da strega.

- La tua Loria… chissà dov’è? – prosegue, trasalendo al contatto freddo del piercing al capezzolo – Magari si sbatte Andrea. In questo preciso istante. O quel biondino insulso, il chitarrista paranoico.

Sei tutto qui, piccolo caro: piercing al capezzolo, anellino al labbro, ferraglia varia ed eventuale appesa addosso, capelli viola Quaresima, gatti neri, tatuaggi seminascosti per non far arrabbiare paparino, ambiguità sessuale e complessi d’inferiorità. Sei malleabile come creta e puoi fare al caso mio.

- Fa male, vero?

La stoccata arriva con un miagolio crudele e una mano che si insinua furtiva oltre la cintura. È suo, ce l’ha in pugno. Lui e la sua erezione traditrice pressata tra i boxer in microfibra e il suo tocco impertinente. Lo baci, e quello scatta, il respiro accelera e le labbra si schiudono. Grumi di tensione che giungono al capolinea.

- Ma tu non stai meglio di me. Adesso te lo dico: tu vuoi Andrea, ma lui ha scelto Elena. Ha scelto Gabriele. La sua migliore amica, scopamica, quel cavolo che è, e il ragazzo che ama. È finita, Isabella.

Isa trasale. No, questo non se l’aspettava: è il fuori programma, la scheggia impazzita che manda a puttane ogni onesto progetto. Il programma diceva di sbattersi Alex perché è il suo ennesimo capriccio, per fingere di ripagare Elena con la sua stessa moneta, perché di Alessandro in fondo non le importa un cazzo. Ma questo no.

Impietrita, la mano rigida bloccata tra la cintura dei suoi pantaloni e la sua pelle tesa, una fitta al petto e le lacrime che salgono e scendono, ma alla fine restano bloccate lì e condensano in schegge di ghiaccio dritte verso il cuore.

- Ti credevo più scemo – sorride, ed è come ingoiare vetro.

Hai capito tutto.

In un’altra occasione, sarebbe venuta la rabbia, l’impulso di castrarlo, di sputargli addosso, di vomitare fiele. Invece c’è solo rassegnazione.

Alex tira su col naso, i lineamenti contratti.

- Fa male, Isa. Lo so benissimo.

Fa male stare qui come i terzi incomodi.

- Siamo più simili di quanto pensi.

- Perché mi vuoi… adesso?

- Non lo so, Alex. Lastella non ti ha insegnato nulla? Di come vanno a finire queste cose…

- Una serata da dimenticare… – Alex la cinge con le mani intorno alla vita e quasi collassa su di lei, fronte contro fronte.

Isa deve sollevarsi sulle punte dei piedi per sfiorarlo – di nuovo. Il sapore metallico di quell’anellino insulso che le scorre sulla lingua. Quasi lo morde.

- Pensi che dopo staremo meglio? – Alex solleva un sopracciglio.

- Penso che dopo avrai imparato qualcosa.

Isa sorride, ferina. Si osserva intorno – sono tutti di là a sfondarsi, a tessere i loro intrighi e le loro vite inutili da sfigati della prima ora. Fa scorrere la cerniera verso il basso e immerge la mano come a scartare un dono, stuzzicandolo e assaporando sulle labbra il suo respiro che accelera e si frantuma.

Almeno là sotto i peli gli sono cresciuti – Isa quasi gli ride in faccia. Ragazzino. Anche le sue misure sono niente male, e lui trema sotto il suo tocco. Peccato se ne stia lì impalato senza sapere dove mettere le mani, la schiena contro il muro e il volto che va in fiamme. Forse gli piace ciò che sta facendo, ma ha quasi paura di renderlo manifesto; sembra in imbarazzo, incerto sul da farsi, intrappolato tra la parete e la sua presenza. Isa sorride e segue con una carezza la linea spigolosa del suo fianco: è così tenero che un pompino glielo concederebbe giusto per questo, per dissipare quella sua maschera di reticenza, quella lotta insanabile tra imbarazzo e desiderio.

Anche di Andrea, del resto, dicono che sotto le lenzuola sia poco più che una borsa dell’acqua calda, ma lo dice Barbie, e a lui Barbie non è mai andata giù, quindi col cavolo che ci sarà andato volentieri. Forse adesso con Elena farà scintille, e buonanotte al gatto.

- Andiamo via – Isa si ricompone, leccandosi le labbra come una gattina e tirando su la spallina del vestito – In macchina andrà meglio.

Alex inarca un sopracciglio, stranito.

- Questo posto fa schifo – rincara la dose lei, occhieggiando malamente le pareti appiccicose.

Non sono una puttana da due soldi.

Sorride: per chi li vedrà attraversare il locale fino al parcheggio, sarà la conferma che il mondo si è davvero capovolto – o che ha esagerato con la tequila. Lei e i suoi capelli rossi spettinati ad arte, il vestito firmato con corpetto strizzato sulla sua terza abbondante, i tacchi a spillo come armi improprie; lui più sfatto che mai, in balia di lei, delle sue mani che giocano con lui e lo trascinano dove vogliono, i pantaloni riabbottonati di volata e la paura di far brutta figura.

- Isa, no! – Alex solleva gli occhi al cielo – Nel fuoristrada del tuo ragazzo, mi rifiuto.

- Zitto e sali! – Isa lo afferra per la manica scivolosa del giubbotto di finta pelle e quasi se lo tira addosso, dentro l’abitacolo dell’auto.

Fazzoletti e preservativo stanno al loro posto: devo proprio spiegarti tutto, ragazzino?

- Sei sicuro, Alex? – Isa si morde il labbro: non ha pensato nemmeno per un istante che potesse non trovarla irresistibile.

Non sei nessuno per rifiutare, cocco. Probabilmente sarà la tua unica occasione di posare le unghie su una donna con tutti gli attributi: approfitta dell’occasione. Benvenuto nel mondo degli adulti.

Alex annuisce, un mezzo sorriso accennato sulle labbra carnose. Non ha scelta. È fradicio, eccitato, poco lucido: vorrebbe Loria, ma Loria non è roba per lui.

Neanch’io, a pensarci bene.

- Qual è il problema? – Isa lo aiuta a liberarsi del giubbotto.

- Che non dovrei essere qui – quasi si mangia le parole.

- Sei vergine? Non l’hai mai fatto con una ragazza?

- No – Alex distoglie lo sguardo; ridacchia per dissipare la tensione, il rossore che gli sboccia sulle guance accaldate – Non è questo.

È sbagliato: l’hanno capito pure i sedili.

- E allora lascia che ti insegni qualcosa.

Dov’è che eravamo rimasti?

Alex deglutisce a fatica, gli occhi verdi spalancati nella penombra. Socchiude le labbra, un tremore improvviso, quando la sua mano riprende a massaggiargli l’inguine.

Non fare niente, resta così. Lascia fare a me.

- Quanti anni hai detto che hai? – cinguetta.

- Diciotto – le palpebre di Alex cedono, lo sguardo si smarrisce da qualche parte verso il parabrezza, mentre lei annuisce e indugia con le labbra verso il suo collo, lasciandogli l’ennesima chiazza di rossetto – Quattro anni di differenza sono niente, zia – ridacchia, la voce che si spezza al suo ennesimo assalto.

Un morso appena accennato sulla gola, i denti che si stringono sulla sua pelle e una leggera suzione. Alex si morde le labbra.

- Bravo… Almeno la matematica la sai.

La camicia di raso viola fa la stessa fine del giubbotto – abbandonato sul sedile posteriore –, seguita dalla canotta. Sotto la luce pallida di un lampione in agonia, la sua pelle ha una strana sfumatura violacea, gli spigoli emergono quasi con durezza, il volto come un enigma in controluce. E la barretta infilata nel capezzolo luccica come un invito.

- Ahi… fai quasi male così – una fioca protesta, smentita da un sorriso beato, a labbra distese.

Non te l’aspettavi, è così. Che potessi interessarmi a te.

Isa scorre con le labbra lungo il torace. Lui continua a subire le sue provocazioni, spalmato tra il sedile reclinato e il finestrino, bianco nudo dalla vita in su, i pantaloni sbottonati e bassi sui fianchi. Il secondo tatuaggio emerge come un marchio sotto l’anca, un minuscolo triskell nero su bianco – allora è un vizio. Tra qualche anno sarà una carta geografica in bianco e nero, ogni capriccio di adolescente semicresciuto vergato sulla pelle, ogni singola cazzata che gli sia passata si per la testa e lo faccia sentire vivo.

Il triskell sul basso ventre non è più un invito: è un “prego, da questa parte, un po’ più in basso”.

- Isa… – sospira.

Lei lo bacia di nuovo, la cute morbida e rovente sotto l’ombelico, per poi chinarsi tra le sue cosce.

- Isa…!

Zitto.

Solleva gli occhi su di lui – riderebbe, se le sue labbra non fossero impegnate a girare intorno al suo glande. Alex inarca la schiena, un sospiro appena percettibile, le labbra tirate, gli occhi che vagano in qualche punto oscuro sulla capote. Si lascia fare come se si vergognasse del proprio respiro che accelera, come se non sapesse che farsene delle mani, come se avesse paura di sbagliare, di dire troppo con un linguaggio del corpo del tutto involontario. È la sua prova del fuoco: il ragazzino inesperto e la donna che visse due volte.

D’un tratto si riscuote e si allunga verso di lei; incerto, armeggia con la cerniera posteriore del suo vestito, le dita che scorrono fredde sulla sua schiena – ne devi mangiare di pastasciutta, ragazzino. Indugia verso la nuca come se stesse maneggiando un cristallo – chi ti sei fatto, fino all’altro giorno?

Okay, basta così. Isa lo molla al suo destino e si solleva a sedere, i seni scoperti. Alex sembra in estasi mistica, occhi socchiusi, braccia abbandonate lungo i fianchi. Vorrebbe toccarla, andare oltre, ma non ne ha il coraggio, ha paura che lo morda. Oppure appartiene alla categoria del “massimo guadagno con il minimo sforzo”: si finge scemo, ma scemo non è affatto – è ciò che fa tutti i santi giorni, del resto. Lui non c’era, se c’era dormiva oppure non aveva capito una mazza.

Isa serra le labbra: srotolare un fottutissimo preservativo nella penombra dell’abitacolo di una macchina non è mai stato tanto dispendioso, non quando le dita tremano e lui non collabora. Gli circonda le spalle con un tocco che suona semi-rassicuranti e si lascia andare su di lui, sulla sua erezione protesa di cui sembra appena consapevole: è adamantino, in questo. Liberale, oserebbe dire: lascia fare. I secondi rotolano sul filo del rasoio, l’Arbre Magique quasi le sbatte in faccia e annacqua l’aria viziata dell’abitacolo, più dell’aroma di due pelli di differente gradazione.

Non perde il controllo, lei, neppure mentre si muove su di lui. Ha l’occhio vigile, le mani che gli accarezzano il torace, che afferrano le sue e lo guidano. È come una fitta che non esplode in tutta la sua intensità, ma resta latente, sospesa a mezz’aria, minuscoli spasmi che non si risolvono in un dolore sordo, in una caduta in deliquio. Alex continua ad ansimare – sa di cannella o qualcosa di vagamente speziato, un profumo da adolescente, oppure la schifezza che si è spalmato intorno agli occhi. Sa di pelle sudata e di vodka mandata giù di fretta: lo sente quando incastra le labbra alle sue, un intreccio che dura lo spazio di un istante – l’ultimo, il primo e l’ultimo per loro.

Ci sai fare, dolcezza: non sei imbranato come sembri. O forse è il non fare un cazzo che ti è congeniale: non prendi iniziative, ti siedi lì, in balia del destino, di ciò che una come me può decidere di fare di te, e attendi, attendi il colpo di grazia.

Un urlo smorzato. Alex che si inarca e cerca di prendere il controllo, la afferra per i fianchi e prova a oscillare – per la poca autonomia di movimento che gli consente il suo peso su di lui, il sedile appiccicoso e i pantaloni troppo stretti.

Isa si stringe a lui: un secondo di deriva può starci, una stilla di irrazionalità, poi torna tutto come prima, si ristabiliscono i ruoli. Infila una mano tra i suoi capelli viola melanzana, i suoi assurdi capelli viola melanzana che ha cercato per tutta la sera; si piega su di lui fino a seguire in punta di dita la sagoma del gatto nero tatuata sulla schiena, che sembra rispedirle indietro un gnignetto compiaciuto. Quasi soffoca. Stringe i muscoli delle cosce, la presa salda sulla sua nuca. Un urlo, un gemito che rotola via, una fitta fino al petto, e poi è tutto finito. Non resta Isa, non resta Alex. Resta un patto ridicolo e mai sussurrato – nemmeno per sbaglio –, uno sfogo a senso unico e una ripicca, un’auto che sa troppo di nuovo e di sesso, quell’odore che le dà la nausea.

È un sei e mezzo, dolcezza, perché almeno l’arnese lo sai usare; almeno non ti fai pregare per un’escalation semidecente. Non lo sai e non te lo dirò, perché poi succede che ti monti la testa, e tutto va a puttane.

Isa lo degna di un ultimo sorriso, mentre si risistema l’abito firmato ridotto a sacco della spesa. L’ultimo gesto di confidenza, l’ultimo che gli concede, lasciarsi tirar su la cerniera sulla schiena, il corpetto di pizzo che torna al suo posto sul seno prepotente.

Non è per te, dolcezza. Non è per te che sono venuta qui. Si tratta di ristabilire la gerarchia: uno alle stelle, l’altro alle stalle. Zero compromessi.

- Andiamo, Thompson – sussurra.

Il tempo di recuperare le scarpe e qualche altra stronzata, e la serata è già vecchia.

 

 

   
 
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