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Autore: _Fox    29/12/2012    3 recensioni
Un dialogo davanti alla natura, sterminata e selvaggia. Le domande di due ragazzi, confusi davanti al mistero della vita, e i loro tentativi di darsi delle risposte. Un dialogo che vorrebbe essere la voce di ogni adolescente: spero di essere riuscita nell'intento.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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We were infinite

 
 
 
 
 
Dondolava i piedi nel vuoto in un gioco un po’ infantile, lo sguardo perso nello strapiombo.
Sembrava si potesse camminare nel vuoto.
Non riusciva proprio a capire come si potesse soffrire di vertigini. Guardare giù donava una scarica d’adrenalina pazzesca.
Sei comodo, seduto sulle rocce muschiate, mentre i piedi galleggiano nel vuoto. Guardi giù e senti il brivido che ti carezza la nuca quando pensi ‘e se la roccia cedesse?’.
La scarica ti attraversa tutto, il sangue ti schizza nelle vene e l’istante dopo segue quel crogiuolo di estasi e turbamento di quando lo sguardo corre tra l’erba della valle, metri e metri più giù, tra morbide onde di smeraldo che si infrangono come flutti sulle rocce ammassate qua e là.
 
 
Era quasi il tramonto.
Si guardarono.
Un sorriso di un istante, poi gli sguardi tornarono rapiti verso il vuoto, e si dispersero nel mare smeraldino che sembrava infinito, pulsante, di un verde che acceca sotto la luce del sole infuocato.
Ciondolavano i piedi nello strapiombo come bambini, guardavano quello spettacolo di colori vivi, infuocati, con la maturità di chi sfiora una foglia e sente il pulsare di Madre Natura.
 
 
E’ una strana cosa, avere diciotto anni.
A diciotto anni ti siedi ai margini di uno strapiombo perché ti senti immortale, senti che la  vita che ti scoppia dentro è troppa perché la roccia ceda sotto di te e ti abbandoni all’abbraccio del vuoto.
A diciotto anni sai che respirare la vita vuol dire riempirsi i polmoni del vento odoroso di polline; a diciotto anni hai i polpastrelli un po’ freddi perché hai deciso di sederti sul ciglio di un burrone in una giornata ventosa e addosso hai una misera t-shirt.
A diciotto anni, poi, guardi uno spettacolo come quello e tremi – eccitazione e paura, fascino e turbamento – perché senti che quello che hai dentro non può essere l’Infinito, perché se no quello che ho davanti cos’è?
A diciotto anni guardi una roba del genere e pensi che la Natura è perfetta perché è selvaggia e che tu sei proprio nel mezzo, perché senti quell’infinito nel sangue ma in confronto ad un tramonto su una distesa di smeraldo ti senti piccolo da morire.
A diciotto anni pensi tutte queste cose, e ancora di più.
A diciotto anni guardi quella distesa di perfezione selvaggia e chiedi al tuo Amico:
 
 
- Tu non hai paura di crescere?
 
 
Lo spettacolo lì davanti era troppo perché lui rispondesse guardandola negli occhi.
- Certo. Ho paura di perdere me stesso crescendo: di disintegrarmi.
Usavano le parole senza paura perché è brutto dirsi certe verità mascherando i concetti.
Ogni frammento di quei pensieri era un pugno in pancia, un battito in meno che ti faceva abbracciare la paura, ma quando davanti hai l’Infinito – fuori e dentro – la paura ti si siede accanto e diventa anch’essa spettatrice.
 
Gli uomini formulano pensieri alti davanti al Selvaggio.
- Io ho paura del tempo che passa troppo veloce. Ho paura che poi ti ritrovi vecchio e dici inevitabilmente cosa sarebbe successo se. –
Un respiro. Polline.
La Natura pulsava sotto le carezze del vento.
- Il rimpianto lo associo direttamente all'età adulta. Ho una paura fottuta di tante fottute cose. –
 
A diciotto anni, anche se hai davanti l’infinito – fuori e dentro -, le parolacce proprio non sai tenertele.
 
- No, io non ho paura dei rimpianti. – Non lo stava guardando, ma poteva giurare che, un po’, nel risponderle, stava sorridendo. – Anzi, vorrei averli proprio per convincermi di aver fatto sempre la cosa giusta. Non perché la mia giustezza sia assoluta, ma perché le scelte sono individuali e non esiste uno schema: ogni nostra scelta è sempre quella giusta. –
In quelle parole c’era la linea di demarcazione: le paure di lei e le certezze di lui.
La verità forse stava nel mezzo. O forse non c’era.
Forse la vita non era né una strada sinuosa ma priva di sbocchi né un labirinto di scelte.
- Ma ad ogni scelta che facciamo il nostro futuro cambia... – Pensare quelle cose le bloccava il respiro. La Paura, sempre sedutale accanto, le carezzò i capelli. - Come fai a convivere con il pensiero che se avessimo scelto amici diversi, un altro posto dove stare o una parola invece che un'altra, le nostre vite possano cambiare?
 
Per lei, la bellezza della Natura stava nel convivere del selvaggio con il razionale; la geometria di un uragano.
Per lui, la bellezza della Natura stava nel fatto che era tutta da scoprire.
 
- Cosa cambia? Se il futuro cambia vuol dire che già esiste un futuro. Ma il futuro non esiste, lo creiamo attraverso le nostre scelte. Esiste solo il presente: il passato non è più e non può di certo essere vissuto. –
Lei abbassa lo sguardo. Guarda il vuoto, ora. I piedi non galleggiano più nel nulla: sono immobili.
Lui guarda di fronte a sé, fiero, vivo, negli occhi il riflesso di quello spettacolo splendido ed infinito. - Non puoi credere nelle scelte che modificano il futuro perché, se anche esistesse il futuro, non si spiega perché non siamo capaci di conoscerlo, e soprattutto non c’è nulla a dimostrarci che in base ad una determinata scelta (anche solo quella di non-scegliere, che è di per sé una scelta) la nostra vita sarebbe stata migliore o peggiore. –
Silenzio, pensieri urlanti e contemplazione.
Lei guardava il vuoto, sempre, si faceva carezzare continuamente la nuca dal mostro silenzioso e ridente che aveva accanto. Pochi erano gli attimi di nulla, momenti di non-pensiero, di non-paura, in cui il suo sguardo si concedeva di ammirare l’Infinito.
- Io credo, sai, credo davvero, che se avessi scelto qualcosa di diverso – amicizie, parole, azioni – la mia vita sarebbe stata diversa. Adesso io stessa sarei diversa. Non capisco... –
Si guardò un attimo le mani. Sempre rosse, piene di ferite. Quasi che tormentarsi fosse uno strano esorcismo dalle Ansie che la divoravano dentro – viva.
-...non capisco come fai. Come puoi dire che il futuro è uno, e non un bivio continuo? Come può essere la strada una sola, se le scelte sono così tante? –
Quasi ad infondersi pazienza, prese un lungo sospiro. Guardò anche lui il vuoto giù, oltre i suoi piedi.
Ormai non soffriva più di vertigini, dopo tanti anni vissuti in cima alla sua torre d’avorio.
Si soffermò a guardarla per un attimo, una complessa tenerezza nello sguardo, piena di incredulità: spesso si domandava come lei, in tutta la sua intelligenza, potesse elaborare concetti così mistificanti e dubbiosi.
Non facevano parte di lui, dell’ordine machiavellico che aveva posto come pilastro alle basi della concezione che aveva del mondo e, proprio perché sentiva i pensieri di lei così estranei ai suoi, ne rimaneva affascinato.
Contemplava la sfumatura di paura nel suo sguardo e con pazienza pensava e ripensava ad un modo per cancellare quell’ombra dalla distesa di colori e chiaroscuri che, attraverso i suoi occhi, intravedeva dipinti nella sua mente.
- Avresti semplicemente scelto una mattonella di un diverso colore da giustapporre, nel presente, alle altre che compongono la linea della tua vita. –
Lo guardò insieme curiosa e incredula, ma la paura era sempre lì, un sostrato di lacrime in fondo al suo sguardo.
- Quello che dico è che non esiste già una strada che cambia mattonelle ogni volta che facciamo una scelta, o che esistano diverse strade. Se questa esistesse, riusciremmo a vederla come riusciamo a vedere il passato se ci voltiamo: invece no. Voglio semplicemente che tu capisca che qualsiasi scelta tu faccia sarà sempre giusta perché ti permetterà di andare avanti, anziché rimanere fossilizzata. –
Lei rispose col silenzio.
Oltre all’orchestra nel vento, gli parve di sentire il brusio dei pensieri vorticanti che si affannavano nella sua mente.
Era una delle menti più complesse con cui avesse mai avuto a che fare eppure, in qualche modo, in quella meravigliosa complessità percepiva la debolezza, il fondo stagnante delle lacrime che ogni giorno versava quando rifletteva sull’avvenire. Era un colosso dai complessi meccanismi, che oscillava su un malessere esistenziale che si portava dentro, costantemente; era quell’ombra di fondo che le attraversava sempre lo sguardo anche quando distillava uno dei suoi pensieri, opalescenti e preziosi come perle.
Si lasciò sfuggire un minuscolo sorriso e la sua mente tacque per una frazione di secondo: il suo cuore aveva bisogno di fare una capriola.
Poi tornò dall’Infinito, pronto per udire la sua risposta.
- Interessante. – Ecco. Sapeva come sorprenderlo. La sua mente inglobava, curiosa, i nuovi concetti e li collezionava come trofei. – Un modo per risparmiarci tutti quei rimpianti che arrivano con la vita. Ma dimmi... –
Dialogo. Maieutica.
Pensiero che alimenta il pensiero.
Menti affini, in parte opposte.
Loro erano nient’altro questo.
- ... ti sei mai chiesto cosa ne sarebbe stato di noi due, se uno di noi avesse optato per un altro programma, anziché presentarci all’appuntamento delle nostre vite, quella mattina? –
Una mattina di settembre.
Nell’aria danzava il polline e la dolce sorpresa che ogni tanto la vita fa, quando decide di giocare con i complessi meccanismi del caso.
 
 
- Be', ognuno per la sua strada con mattonelle di colore diverso. Prima o poi le nostre strade si sarebbero avvicinate e ci saremmo visti e avremmo incominciato a scegliere mattonelle dello stesso colore. –
- Mi stai dicendo, quindi, che ci sono eventi imprescindibili? –
- Certo. Esiste un ordine da cui non ci si può esimere. –
 
 
Il sole infuocato baciò l’orizzonte.
 
 
- Come fai a credere contemporaneamente in questo tuo "ordine imprescindibile", una parodia di "destino", e al fatto di costruirsi da soli la propria strada? Mi sembra paradossale. –
Scosse la testa, convinto, senza staccare lo sguardo dal tramonto. - No, l'ordine non è destino. L'ordine, per me, è il senso di tutte le cose: come esistono e come interagiscono all'interno dell’universo. E' causa e fine di tutto. E' sia la partenza che l'arrivo: ma non è destino, non è strada già asfaltata. In un certo senso, per quello che riguarda il nostro discorso, è la 'coscienza' di fare una scelta anziché un'altra. Attraverso queste scelte, le azioni, l'ordine opera. –
La risposta più degna era il silenzio.
Si guardarono e si capirono. Così, in un niente. Puro sfregamento di intelligenze. Yin e Yang che riconoscono una parte di sé nell’altro.
Poi tornarono a fissare davanti a sé, mentre il mistero del Selvaggio prendeva il sopravvento sugli intelletti e sopprimeva ogni residuo di razionalità, risvegliando in loro solo una meraviglia estatica.
E in quel minuscolo frammento di divenire furono infiniti.
 
 
 
 
Two things fill the mind with ever new and increasing admiration and awe, the more often and steadily reflection is occupied with them: the starry heaven above me and the moral law within me.
                                                                                                                                                                                                                                                                                 {Immanuel Kant
   
 
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