AMMISSIONI
Sono
qui nel mio ufficio che,
dopo l’ennesima estenuante giornata di lavoro, cerco di
godermi il silenzio che
avvolge tutto l’edificio ormai quasi vuoto.
È
così rilassante ascoltare
come sottofondo i battiti del proprio cuore.
Così
naturali, così regolari, così dolci.
Non
c’è nulla che mi possa
distrarre dalla pace che finalmente ho raggiunto e agognato per tutta
la
mattina.
Ma
ora, alle sette passate, è
il momento di andare a casa.
Mi
alzo controvoglia e, dopo
aver spento il computer e salutato le povere guardie del turno di
notte, mi
avvio verso l’uscita.
Arrivo
davanti all’ascensore
e premo il pulsante, ma mi accorgo di aver dimenticato qualcosa, o
meglio
qualcuno.
Lui
è ancora
lì,
lo so.
È
diventata la sua casa
ormai.
Decido
di andare a salutarlo
e cercare di convincerlo ad andarsene, così lascio che
l’ascensore apra e
richiuda le sue porte mentre io intanto sto già percorrendo
quelle poche scale
che mi separano dalla soffitta.
Entro
piano, accostandomi leggermente
alla porta, cercando di non fare troppo rumore per non disturbarlo.
Lui
è sdraiato sul divano e
sta facendo finta di dormire.
Come
se io non conoscessi i
suoi trucchi.
Mi
avvicino e con la mia
solita delicatezza cerco di fargli capire che l’ho scoperto,
tirando un leggero
ma deciso calcio al lato del divano.
-
Jane…
Aggiungo
per invogliarlo a
smettere di recitare, ma lui non fa una piega.
-
Jane, andiamo!
Alzo
il tono della voce e
accompagno queste ultima parole con un altro calcio, stavolta
più forte, ma
ancora non vedo nessuna reazione da parte sua.
Solo
dopo mi accorgo che il
suo respiro è regolare, il viso rilassato e gli occhi chiusi
serratamente.
Sta
dormendo, davvero.
Non
me ne ero accorta prima.
E pensare che stavo per svegliarlo!
A
dir la verità non l’ho mai
visto dormire veramente.
Di
solito è in uno di quei
suoi stati di dormi-veglia da cui si ridesta sempre prontamente al
minimo
cambiamento d’aria.
Sta
sempre sulla difensiva,
attento a guardarsi le spalle da tutto e da tutti per paura di
trovarselo
ancora di fronte.
Non
l’ho mai visto così
tranquillo, così sereno, così… libero.
Il sole, ormai quasi
scomparso dietro le colline della città, riesce ancora ad
entrare nella stanza
illuminando con i suoi raggi dorati ogni cosa nell’ambiente.
I riflessi e le
ombre creati dalla luce si integrano perfettamente con la sua figura
facendolo
sembrare uno di quei soggetti dipinti dal Caravaggio.
È stupendo.
Molte
volte mi sono trovata
rapita da quei bellissimi oceani blu, tanto tempestosi quanto
misteriosi, o mi
sono persa nell’osservare la distesa dorata che gli
incornicia così
perfettamente il volto armonioso e giovane.
Ma
ora, ora non ci sono
parole con cui descrivere quello che vedono i miei occhi.
È
meraviglioso, semplicemente
meraviglioso.
Mi
soffermo ancora su quei
lineamenti che troppe volte albergano nei miei pensieri più
segreti e che
accompagnano incessantemente le mie giornate.
Con
lo sguardo, accarezzo il
suo profilo ormai così familiare ma allo stesso tempo
così sconosciuto, così
diverso dalla maschera che indossa ogni giorno.
Una
maschera fatta d’odio,
rancore ed ipocrisia, dalla quale tutti sono affascinati e spaventati.
Solo io,
rare e preziose volte, ho avuto l’onore di poter sbirciare
oltre la spessa
coltre di arroganza e diffidenza che lo circonda, per godere del
panorama
migliore che si possa immaginare.
Tutta
la fatica, i rimorsi,
le delusioni, sono sparite a confronto con l’animo che si
cela oltre la
corazza.
Al
contrario di quello che
vuole far credere, lui è un uomo meraviglioso, un uomo
sensibile, un uomo dolce
ma allo stesso tempo determinato, disperato, sofferente. Sono otto anni
che si
priva delle gioie della vita, della felicità della famiglia
e della serenità
del suo animo solo per punirsi, per colpevolizzarsi, per rendere la
propria
vita un inferno in modo da espiare le colpe che secondo lui si porta
dietro e
che lo condannano ad un’esistenza fatta di dolore e
solitudine.
Così
è come appare di solito,
agli occhi degli sconosciuti che non si preoccupano di andare oltre lo
strato
dell’uomo ferito e stanco della vita, perché
troppo occupati a compiangerlo.
Ma
a lui queste cose non
interessano, non sono mai interessate.
L’unica
cosa che gli ha
permesso di continuare a vivere è la consapevolezza di avere
un compito, e la
determinazione di vederlo portato a termine.
Adesso
però, dell’uomo
frustrato e sofferente, non rimane nulla davanti ai miei occhi.
C’è solo il suo
corpo, tranquillo, rilassato, che non sembra custodire
quell’animo tormentato
che in realtà io so possiede.
Il
suo viso, ora non più
contratto nell’espressione sarcastica che lo
contraddistingue, rivela il
bisogno di pace che il suo spirito invoca da tempo.
Sembra
un bambino.
Un
indifeso, piccolo ed
innocente bambino a cui non si dovrebbero far conoscere i mali del
mondo per
non intaccare la sua purezza.
Ma
la figura di fronte a me
ha già conosciuto la crudeltà
dell’uomo, tanto tempo fa ormai, e nel modo più
terribile.
Un
ricciolo ribelle gli solca
la fronte, temerario, dando all’immagine un che di vitale che
contrasta con la
personalità che in realtà si nasconde dietro quel
volto.
Ma
quella piccola cascata
dorata non fa che accentuare la bellezza del suo viso, dei suoi occhi
chiusi
che mi mancano, e di tutta la sua figura.
Quanto vorrei che
rimanesse così per sempre.
Per sempre libero dal
suo
passato, per sempre capace di amare e per sempre sereno, senza la
minaccia
della sua nemesi.
Ma,
tutti questi, sono solo
sogni.
Entrambi
sappiamo
perfettamente che la realtà è ben diversa.
Lui
non tornerà mai più a
sorridere, non si libererà mai della sua ombra, e non
riuscirà mai a tornare la
persona meravigliosa che era un tempo.
Non
può perché lui per primo
non vuole.
Così,
automaticamente, ritiro
il braccio che si era mosso inconsciamente verso il suo viso
nell’atto di
spostare quel ricciolo insubordinato per ammirare meglio la bellezza e
l’eleganza di quel volto.
Sconvolta,
mi allontano, e
osservo con occhi carichi di speranza l’uomo addormentato
davanti a me.
Decido
di andarmene prima che
lui mi trovi lì in quello stato di completo imbarazzo e
confusione.
-
Buonanotte Jane.
È
l’unica cosa che riesco a
dire.
Mi
volto e mi avvicino alla
porta della soffitta ma, prima di andare, mi giro ancora una volta
verso la
figura distesa sul divano.
-
Sogni d’oro.
È
poco più di un sussurro ma, inconsciamente,
spero che mi abbia sentito.
Ancora
frastornata e confusa
scendo velocemente le scale per ritrovarmi ancora di fronte
all’ascensore. Sono
così assorta nei miei pensieri da non sentire la voce chiara
e dolce dell’uomo
che prima mi stava di fronte rispondere a tutte le mie domande
interiori.
È
solo un sussurro, concepito
per non essere ascoltato, ma che arriva silenzioso, se non alle mie
orecchie,
almeno al mio cuore.
- Grazie Teresa, per tutto.
Spero che vi sia piaciuta ^^!