Film > The Avengers
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Autore: Blackmoody    30/12/2012    2 recensioni
Nel frattempo l’agente Hill si era spostata in un angolo, la fronte corrugata e due dita premute sul proprio auricolare come se stesse ascoltando qualcosa con estrema attenzione:
«Signori, devo interrompervi. Ho appena appreso novità importanti da Boston.» annunciò infatti, e i suoi occhi grigi saettarono nervosamente da Fury a Thor.
[...] «Diversi invasori sono stati uccisi prima che la nostra squadra di ricognizione giungesse in città, e non a opera dell’esercito o dei civili. Molti testimoni hanno confermato di aver visto un’auto decappottabile di marca italiana color verde oliva sfrecciare per le strade con a bordo due persone armate che hanno attaccato i nemici in almeno due differenti occasioni per poi scomparire verso le campagne. Una di esse portava in testa un elmo cornuto.»

Erin Anwar è una midgardiana giovane, brillante e arrogante. Non ha poteri o strani segreti, solo una mente particolare – e non brama l'asservimento. Non per se stessa, sicuramente. Il giorno in cui la sua strada incrocia quella di un certo dio asgardiano sarà un giorno che almeno due mondi ricorderanno a lungo.
Post-Avengers, diciassette capitoli, EPIC BADASSERY.
microcorrezioni 2O14
Genere: Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Majestic Tale of the Mischief Maker and the Flute Maiden'
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1.

And at the end of all your knees fall down to me

 

 

 

 

 

 

Erin Anwar sorrise al proprio ghigno annoiato nello specchio della toilette.

Quando una violinista di sua conoscenza aveva invitato lei e Sylvia Neu alla serata di gala organizzata alla Galleria Schäfer, rinomata sede di scintillanti iniziative in Köningstrasse numero ventotto, entrambe avevano pensato che trovarsi a Stoccarda proprio in quel periodo per una serie di concerti fosse una gran bella fortuna: partecipare a feste come quella significava indossare abiti eleganti e pavoneggiarsi e fare incontri che potevano tornare utili, anche nell’ambiente musicale.

Ma, trascorse le prime due ore tra champagne da migliaia di dollari e tartine microscopiche ricoperte di pregiatissimo caviale, Erin aveva cessato di ritenere la situazione interessante. Parlava a stento tedesco – e comunque con chi avrebbe dovuto conversare, dal momento che gli invitati erano tutti ricchi snob privi di argomenti che esulassero dal confronto di quella festa con feste passate esattamente identiche? Inoltre lei e Sylvia erano le uniche musiciste presenti, escludendo i loro amici del quartetto d’archi che allietava gli astanti, e la mostra d’arte allestita al piano superiore del palazzo si era rivelata di una banalità eclatante.

«Ne hai ancora per molto?» chiese in tono spazientito nella toilette deserta: «Credo che faremmo meglio a scappare di qui. Io non ne posso più.»

La testa rossiccia di Sylvia fece capolino da uno dei bagni: «A me non sembra tanto male.»

«Ah, no? L’unica cosa decente di stasera è lo champagne. Per quel che mi riguarda il resto è prevedibile e noioso, e la gente peggio che mai.» la freddò Erin.

«Anwar, possibile che tu debba essere sempre così intollerante?»

«E perché non dovrei, Neu?»

L’altra scrollò il capo ridendo: «Dai, una mezz’ora e ce ne andiamo. Vorrei salutare Hilde.»

Hilde era la violinista che le aveva invitate, ed Erin assentì con un grugnito. Poi si sistemò i capelli raccolti con rapidi gesti e recuperò la piccola borsa che aveva lasciato sul lavabo.

Le due donne uscirono dalla toilette prendendosi a gomitate scherzose, tornando tra la folla che occupava il salone centrale. Era, questo, un vastissimo spazio di marmo bianco screziato dall’oro dei grandi lampadari che lo illuminavano; colonne in stile ellenico ne delimitavano il perimetro, e sul fondo una maestosa scalinata conduceva sinuosamente al primo piano. Al centro spiccava una sorta di antico altare, anch’esso in marmo e oro, decorato da due minacciose teste di bove che parevano controllare ogni cosa: probabilmente faceva parte della famosa collezione di Heinrich Schäfer, il proprietario della galleria, ma Erin non condivideva la scelta di averlo piazzato lì, proprio in mezzo alla sala, poiché era troppo sfacciato, di dubbio gusto. Il medesimo dubbio gusto di molte signore presenti, sogghignò tra sé.

Afferrò al volo un calice colmo dal vassoio di un cameriere che transitava nei paraggi, mentre Sylvia si eclissava stacchettando in direzione dei quattro musicisti, e con uno sbuffo sonoro si appoggiò contro una colonna. Portò il bicchiere alle labbra e prese a bere lentamente il liquido fresco e frizzante, gli occhi che vagavano indolenti sugli affreschi che ornavano la balconata del piano superiore, indugiando sulla figura che in quel preciso istante vi stava transitando senza fretta. Il quartetto d’archi attaccò il primo movimento del Rosamunde di Schubert ed Erin aguzzò la vista, incuriosita: era un uomo alto ed elegante, vestito di scuro, e si avviava verso le scale con passi misurati e fluidi, un bastone dorato nella mano destra e una sottile sciarpa verde al collo. Appariva sicuro di sé e diverso da chiunque altro in quel salone, e lei si avvicinò alla base della gradinata per osservarlo meglio, dimentica del calice ormai vuoto che reggeva tra le dita; con un certo, immotivato stupore constatò che l’uomo era assai attraente, dal viso pallido e magro e occhi chiari e capelli nerissimi pettinati all’indietro, e che emanava uno strano carisma. Erin trattenne per un attimo il respiro, mentre questi le passava accanto, e l’attimo successivo ebbe l’impulso di rivolgergli la parola.

Ma l’uomo si diresse con decisione verso uno degli addetti alla sicurezza e fece roteare in aria il proprio bastone, impugnandolo a mo’ di arma: prima che qualcuno capisse cosa stava accadendo egli colpì la guardia con violenza e subito dopo planò rapidissimo su Heinrich Schäfer in persona, e sollevandolo come un fuscello lo scaraventò sull’antico altare.

 

 

Con un accordo stridente il Rosamunde s’interruppe bruscamente. Erin lasciò cadere a terra il bicchiere e tutti s’immobilizzarono, fissando lo sconosciuto che estraeva da una tasca della giacca un marchingegno bizzarro e lo calava, con un lieve sorriso compiaciuto, sull’occhio destro di Herr Schäfer. E giacché non accennò a spostarlo e il corpo dell’altro divenne presto preda di tremendi spasmi, grida si levarono dai quattro angoli della sala e gli invitati iniziarono a correre freneticamente verso l’uscita travolgendosi a vicenda.

«Erin! Erin! Cosa fai lì impalata?» urlò Sylvia scuotendo l’amica per una spalla.

Lei la guardò in tralice: «Vorrei capire che accidenti sta facendo quello.» spiegò con calma.

«Ti sei fottuta il cervello? Gli sta cavando un occhio, Erin!»

«Me ne sono accorta, Sylvia, e mi piacerebbe sapere perché.»

La rossa scalpitò e la trascinò via con forza: «La cosa non ci riguarda. Vieni via!»

Erin si arrese, roteando le pupille con fare scocciato, ma la seguì camminando all’indietro per non perdere di vista la scena, e per una manciata di secondi l’uomo dai capelli neri la fissò di rimando, forse sorpreso e forse divertito. Erin non era né un’incosciente né un’amante del macabro, eppure aveva uno spirito pratico e disincantato che la portava a lasciarsi suggestionare assai di rado e a valutare ogni situazione con logica lucidità, a non farsi prendere dal panico come invece capitava alla maggioranza dei suoi simili. Per questo indugiò sulla soglia della Galleria, ignorando gli strilli di Sylvia: per questo e perché lo straniero, che adesso avanzava verso di loro, si stava come trasformando, avvolto da stralci di luce.

La giovane donna distolse finalmente lo sguardo, scossa, e con l’amica si perse tra la folla rumoreggiante e tremebonda. Con la mente confusa dall’eccessivo rimuginare sull’assurdità di quella faccenda udì lo stridìo delle sirene della polizia, il botto di un’esplosione e il suono incomprensibile delle frasi sconnesse che la gente attorno a loro si scambiava, ondeggiando da una parte all’altra della piazza antistante il palazzo su cui si erano riversati tutti.

Poi una voce chiara e potente si levò: «In ginocchio. In ginocchio, ora!» intimò.

Erin si voltò, e lo vide. L’uomo troneggiava sui presenti, bellissimo e terribile, e non indossava più il completo nero che aveva alla festa: era avvolto in abiti scuri di foggia antica e da un’armatura leggera, e un ampio manto verde gli ondeggiava dietro le spalle facendolo sembrare ancor più alto e possente. Il bastone era divenuto una lancia sulla cui punta elaborata brillava qualcosa d’azzurro, e in testa portava un lucente elmo dalle corna ricurve.

Lo stomaco di Erin si strinse in una morsa enigmatica e il cuore le balzò in gola, mentre egli ripeteva l’ordine, e non cessò di fissarlo nemmeno nell’obbedire a quell’anacronistico comando. Si chiese chi fosse e quali propositi avesse, e vaghe rimembranze di vecchi racconti del Nord le suggerirono che non appartenesse al genere umano, che venisse da lontano.

Una volta che tutti si furono inginocchiati sul lastricato dello spiazzo l’uomo sorrise con condiscendenza e allargando le braccia si fece strada tra la folla:

«Non è più semplice così? Non è questa la vostra naturale condizione?» disse; «È la verità taciuta dell’umanità che bramate l’asservimento. L’illusione della libertà riduce le gioie delle vostre piccole vite ad una folle lotta per il potere, per un’identità.»

S’interruppe per osservare la moltitudine prostrata ai suoi piedi, ed Erin non seppe reprimere un sorriso fremente. Quel folle diceva il vero e sfoggiava un’opinione sulla natura umana fin troppo simile a quella che aveva lei, un ragionevole disprezzo:

«Cazzo se ha ragione.» sibilò infatti tra i denti.

Sylvia emise un lamento strozzato e l’implorò di tacere; «Tu sei pazza.» soggiunse.

«Voi siete nati per essere governati.» riprese l’uomo: «Alla fine v’inginocchierete sempre.»

A Erin ribollì il sangue nelle vene – non perché discordasse, bensì perché si riteneva sufficientemente superiore al resto degli umani da poter stare in piedi e dimostrare a gran voce il proprio appoggio alla causa del misterioso guerriero dall’elmo cornuto.

Allora si sollevò da terra con espressione fiera ed egli posò su di lei gli occhi chiari e ardenti, attendendo una sua mossa, e per un attimo a Erin parve che nella piazza fossero rimasti soltanto loro due. Aprì la bocca per parlare e Sylvia, dal basso, soffocò un singulto, ma in quella una seconda persona si alzò in piedi, frapponendosi tra la donna e lo sconosciuto.

Era un vecchio canuto e gracile, e tuttavia non mostrava alcun timore di fronte al lucore minaccioso della lunga lancia dell’altro:

«Se c’inginocchieremo non sarà davanti a uomini come te.» asserì con veemenza.

Lo sguardo verde dello straniero si spostò da Erin a lui:

«Non esistono uomini come me.» ghignò con garbo, e di nuovo era forse nel giusto.

Il vecchio scosse tristemente il capo: «Esistono sempre uomini come te.»

Erin si agitò a disagio sul posto, infastidita dal paragone sottinteso tra quell’uomo incredibile e le cupe, prevedibili e meschine figure di dittatori terrestri del passato ai quali l’anziano coraggioso lo aveva scioccamente associato. Era l’unica a vedere in lui qualcosa che lo faceva rassomigliare a un re dimenticato?, si domandò. I despoti erano per lo più sciocchi, limitati e brutali, non certo intelligenti, raffinati ed elegantemente crudeli come costui appariva.

L’uomo inclinò la lancia, puntandola contro l’esile vecchio, e annuì sarcastico:

«La voce saggia del popolo! Sarai dunque d’esempio per gli altri.» annunciò.

Il cerchio azzurro sulla punta dell’arma si fece più luminoso e il tempo parve fermarsi su quella scena implacabile; il vecchio chiuse le palpebre, rassegnato e la giovane donna avvertì una fitta di pietà per lui e per la sua imminente fine, e quasi scattò in avanti per aiutarlo.

Ma il raggio sprigionatosi dalla lancia dello sconosciuto non colpì mai il bersaglio designato: dal cielo scese il rombo di un aereo e una sagoma guizzante bluvestita riparò l’anziano tedesco col proprio corpo e con una sorta di barriera metallica, quindi fronteggiò il guerriero.

«Capitan America! È Capitan America!» esclamò Sylvia alzandosi di scatto.

La folla mandò un grido di unanime sorpresa e la imitò, fissando con meraviglia il nuovo arrivato: anche Erin lo riconobbe, identico a come lo raffiguravano da decenni e a come suo fratello lo disegnava sin da quando era bambino, e strinse i pugni per l’eccitazione.

Al Capitano l’uomo dall’elmo cornuto non doveva essere estraneo, poiché lo interpellò senza mezzi termini e gli ingiunse di restituire un oggetto dal nome incomprensibile – e di arrendersi. L’altro rise con scherno e, sotto gli occhi avidi di Erin, gli si lanciò addosso a lancia spianata. La gente urlò e prese a disperdersi alla cieca, lontano dai duellanti, e per la seconda volta di fila Sylvia strattonò l’amica pregandola di non rimanere lì incantata.

Ma Erin era su di giri e la afferrò per entrambe le spalle:

«Io devo vedere come va a finire, Sylvia! Come puoi non essere curiosa? Magie, re e supereroi in una notte sola! Come puoi resistere?»

La rossa si divincolò: «Comunque stiano le cose non è un gioco, Anwar, e io non voglio rimetterci la pelle per scoprire cosa cazzo c’è dietro!» rispose, furente e spaventata; «Voglio tornare in albergo e dimenticarmi di tutto questo, e pensare alla replica di domani. Tu no?»

Erin sospirò, lo sguardo che non abbandonava le figure scattanti dei due uomini:

«Sì e no, Neu. Ti direi di avviarti e lasciarmi qui, ma so che non me lo permetteresti.»

Sylvia si ammorbidì, pur seguitando a stringerle un braccio e a muovere verso il lato opposto della piazza: «Esatto. Perciò mettiti l’animo in pace, domani saprai dai giornali com’è andata.» disse; «Avremo una storia interessante da raccontare a Francis e gli altri.»

Il nome di Francis convinse Erin definitivamente. Le due donne corsero così a fermare un taxi, miracolosamente disponibile nonostante la confusione generale, e Sylvia comunicò in fretta al conducente l’indirizzo dell’hotel in cui alloggiavano, bramosa di togliersi d’impaccio.

Ma Erin guardò ancora verso la piazza: distinse con chiarezza la forma delle corna arcuate dell’ignoto guerriero e il ricordo dei suoi occhi piantati nei suoi, assieme alla delusione della fuga, le accelerarono il battito cardiaco e tinsero il viso di rosso.

L’ultima cosa che colse prima che il taxi svoltasse l’angolo fu il ritornello di una nota canzone degli AC/DC che sembrava provenire dal cielo come il rombo d’aereo e Capitan America.

Poi la Köningstrasse scomparve oltre i palazzi e quella bizzarra notte rimase alle loro spalle.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

> Note a piè di pagina

Premetto che erano anni che non mi dedicavo così intensamente alla stesura di una fan fiction, e amo follemente ciò che vado a presentarvi dopo sei mesi di lavoro. Tutto ha avuto inizio dopo aver visto The Avengers per la prima volta, film che con mia grande sorpresa mi ha riportata a livelli di fannerdaggine che non manifestavo da tempo immemore – fannerdaggine non soltanto per il film nel suo complesso ma anche e soprattutto per un certo Dio degli Inganni. Adoro quel dannato bastardo di Loki (e il fatto che sia il signor Tom Hiddleston a interpretarlo è di sicuro un incentivo) e questa mia storia è, in sostanza, un tributo a lui.

Nozioni tecniche su di essa:

– nella presentazione ho scritto che si svolge dopo gli avvenimenti del film e così è, sebbene questo primo capitolo ricalchi fedelmente la scena di Stoccarda; era necessario in vista di ciò che seguirà.

– Erin Anwar: personaggio originale creato per l’occasione di cui vado molto orgogliosa; presto scoprirete altro su di lei, ma vi dico intanto che il suo cognome è preso da quello dell’attrice Gabrielle Anwar e che è di origine araba, sebbene lei con l’Oriente non c’entri nulla; mi piacevano il suono che ha e il fatto che se attribuito a una donna significa “collezione di luci”. Sylvia porta il cognome di una mia cara amica di Boston (si pronuncia nòi).

Rosamunde è il titolo dato popolarmente al Quartetto n° 13 in La Minore D.804 Op. 29 di Schubert, il cui primo movimento è la musica che accompagna mirabilmente le azioni di Loki alla Galleria Schäfer.

– Il titolo del capitolo è un verso della canzone Need your love dei Temper Trap, assai adatto al dio asgardiano in questione; in realtà tutta la canzone ben si adatta alle vicende che seguiranno.

The Majestic Tale è tratto dal titolo del brano di chiusura della colonna sonora della VI stagione di Doctor Who, intitolato appunto The Majestic Tale (of a Madman in a Box).

– La storia si basa quasi interamente sulla versione cinematografica, sia per background dei personaggi che per loro caratteristiche fisiche e mentali, e tuttavia troverete qua e là alcuni riferimenti alle mitologie originali.

– I capitoli sono 17 in totale e in media piuttosto lunghi, se si escludono i primi quattro, ed avendoli già tutti pronti aggiornerò regolarmente (di domenica, salvo imprevisti, visto che oggi è domenica).

Augurando a tutti buon anno nuovo e buone feste spero che leggerete, apprezzerete e seguirete – perché, ve lo garantisco, non ve ne pentirete. Ossequi asgardiani e a presto!

  
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