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Autore: Drop Of Blood    30/12/2012    4 recensioni
Non è che Jocelyn odiasse la combriccola o Valentine, ma non gradiva il modo in cui questi si comportavano nei suoi confronti, la scintilla di luce che gli balenava negli occhi quando guardavano nella sua direzione, come se l'intero pianeta vivesse in sua funzione e il sole sorgesse e tramontasse solo perché lui lo desiderava.
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Storia ambientata ai tempi del Circolo. Narra gli eventi accaduti da prima della sua fondazione fino alla Rivolta. Spero vi piaccia.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jocelyn Fray, Luke Garroway, Maryse Lightwood, Robert Lightwood, Valentine Morgenstern
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Come mai sei caduto dal cielo,
astro mattutino, figlio dell'aurora?
Come mai sei atterrato,
tu che calpestavi le nazioni?

                                       ( ISAIA, 14,12 )

                                       

                                                Parte prima

                                COME TUTTO EBBE INIZIO

                                         PROLOGO

Un caldo e timido raggio di sole penetrò nella stanza di Jocelyn Fairchild, tingendo le linde pareti bianche del caleidoscopio di colori che l’alba portava con sé : sfumature di grazioso rosa e di delicato celeste giocavano ad intrecciarsi sulla pallida pelle del collo della ragazza, imperlato di scintillanti goccioline di sudore. Le iridi di smeraldo andarono quasi immediatamente all’ampia e luminosa finestra, ed eccola : Alicante, la Città di Vetro, con le sue imponenti e sfavillanti torri, i verdeggianti cespugli e il dolce e musicale ronzio delle api. Più in là, oltre la morbida curva delle colline, poteva intravedere l’argenteo luccichio del fiume Lyn, confine naturale tra la capitale e la rete di pittoreschi paesini che la circondavano. Si alzò, prese la tenuta da Cacciatrice che teneva accuratamente ripiegata sotto al cuscino e la indossò con pochi e fluidi movimenti; il cuoio aderì perfettamente alle spalle e alla vita come fosse una seconda pelle, donandole un piacevole senso di sicurezza e protezione. Cercò a tastoni tra le coperte lo stilo che sua madre le aveva regalato alla partenza per Alicante, e quando le sue dita carezzarono inconsapevolmente le sottili  rune che vi erano sopra incise, un sorriso le increspò gli angoli della bocca. Stringere quel grigio e lucente cilindretto fra le mani serviva a ricordarle chi era e qual era il suo posto nel mondo, il suo dovere come Nephilim.  Jocelyn non poteva che ritenersi fiera della propria natura e avrebbe fatto e dato qualunque cosa per tenere alto il nome della famiglia Fairchild, per purificare il mondo dalla minaccia demoniaca e proteggere coloro che amava e rispettava di più. Scese in fretta gli scalini di marmo che portavano al pian terreno e si ritrovò nell’arioso atrio della scuola di Alicante. Al centro del grande spazio troneggiava imponente la statua dell’Angelo Raziel : Jocelyn osservò estasiata il dolce ed elegante profilo modellato nel marmo, le sfumature cremisi dei rubini incastonati nel bordo della Coppa Mortale, la postura fiera e sicura delle larghe spalle, e le sembrò quasi che la sua anima, leggera e fluttuante come il petalo di un fiore, scivolasse fuori dal corpo per diventarne parte, come attratta da una forza più grande e invincibile … L’eco di passi felpati che si avvicinavano la ridestò dal suo sogno ad occhi aperti. Volse lo sguardo all’ingresso dell’edificio, appena in tempo perché il suo sguardo incontrasse quello di un ragazzo i cui capelli sembravano circondati da una fredda aura argentea. Valentine Morgenstern, pensò Jocelyn con una punta di disprezzo. Egli si aprì lentamente in un sorriso amichevole, sollevando il mento in un cenno di saluto. La ragazza cercò in ogni modo di reprimere la smorfia che sentiva farsi strada sul proprio volto e di ricambiare educatamente il gesto. Dietro Valentine, Jocelyn poté intravedere le iridi azzurrine di Maryse Trueblood, la zazzera castana dell’occhialuto Hodge Starkweather e la chioma corvina di Robert Lightwood. Alla sua destra, a far sfoggio di un’espressione di pura arroganza, camminavano a testa alta Samuel Blackwell ed Emil Pangborn. Jocelyn distolse lo sguardo, indignata. Aveva potuto notare delle facce nuove avanzare un po’ in disparte rispetto al resto del gruppo. A quanto pare, il fan club si allarga di giorno in giorno, pensò, acida. Era così che soleva etichettare il piccolo stuolo di seguaci di Valentine. Erano tutti Cacciatori con diversi problemi riguardanti l’addestramento, che grazie a lui avevano avuto la possibilità di migliorare e coltivare la vocazione che giaceva nascosta dentro di loro. Non è che Jocelyn odiasse la combriccola o Valentine, ma non gradiva il modo in cui questi si comportavano nei suoi confronti, la scintilla di luce che gli balenava negli occhi quando guardavano nella sua direzione, come se l’intero pianeta vivesse in sua funzione e il sole sorgesse e tramontasse solo perché lui lo desiderava. Di malavoglia, Jocelyn si trascinò a grandi passi verso l’aula D, altrimenti chiamata “ la stanza delle armi “, nella quale avevano luogo le esercitazioni pratiche, l’addestramento fisico e l’apprendimento delle rune del libro Grigio. Una volta arrivata, la ragazza sostò sulla soglia, affascinata dalla vastità di pannelli di liscio acciaio ai quali erano affissi migliaia di differenti e particolari strumenti d’attacco : un’infinità di candide spade angeliche, archi dalla curva delicata, fruste sottili e taglienti come rasoi, affilati e lunghi kindjal; Jocelyn emise un sonoro sospiro, avvicinandosi con cautela ad un arco d’oro cosparso di rune appena tracciate, come disegnate dal leggero tocco di uno degli angeli intagliati ai lati del soffitto. Prese una faretra e ne estrasse una freccia dall’asta solida, robusta e scura e la incoccò, respirando profondamente e focalizzandosi sul proprio obiettivo. Il bersaglio era il cuore di un manichino floscio, la cui copertura in tela era lacerata in alcuni punti, così da rivelare la soffice imbottitura interna di ovatta e piume. Jocelyn lasciò andare la freccia, che sferzò l’aria tranquilla con un sibilo e volò, pronta a conficcarsi nel petto dell’oggetto inanimato … E fu proprio in quel momento che un guizzo di platino schizzò frenetico sulla sua chioma di fragola, tranciando di netto la testa del manichino. Le labbra di Jocelyn si schiusero leggermente per la sorpresa, giusto il tempo di visualizzare le gemme blu sull’elsa del kindjal che stava in un angolo accanto alla testa mozzata. Si voltò, sapendo già cosa avrebbe visto : Valentine, piegato in una posa indolente e aggraziata accanto al muro, la scrutava con un sorrisetto irriverente sulle labbra. – Provaci ancora, Fairchild – disse, con quella sua voce chiara e limpida. – Credi di essere così divertente, Morgenstern? – rispose, facendo un passo verso di lui per guardarlo dritto negli occhi. Egli non ebbe tempo di replicare, perché un’ombra corse fulminea fra di loro, allontanandoli. Questa non si fermò, oltrepassando la porta che conduceva al dormitorio maschile. Jocelyn si guardò attorno, confusa, e vide Amatis Graymark, la guancie rigate da tortuose scie di lacrime. – Amatis, cosa è … - provò a chiedere, ma l’amica le rispose con un semplice quanto flebile sussurro, con un nome, pronunciato più e più volte : - Lucian … Lucian … - mormorò. Jocelyn si accorse dello stilo che stringeva fra le dita, capì e tentò di uscire, ma due braccia forti e muscolose le sbarrarono la strada. – Me ne occupo io – le disse dolcemente Valentine, e si diresse con calma fuori, verso il dormitorio, lasciandola interdetta.

Il giovane Lucian se ne stava raggomitolato in posizione fetale sul proprio letto, al quinto piano del dormitorio maschile della scuola. Impaurito, toccò con due dita  la parte superiore del braccio destro, dove pochi minuti prima sua sorella Amatis aveva tracciato una runa di base, utile ad affinare il senso della vista. Un brivido gli corse lungo la spina dorsale, quando vide che il marchio aveva cominciato a sanguinare, punteggiando i suoi polpastrelli di macchie accese come boccioli di rosa. Un verso stridulo salì lungo la gola di Lucian, che scoppiò in un pianto disperato. Perché il suo corpo non tollerava i marchi? Era forse troppo debole, troppo vulnerabile? Il ragazzino se lo domandava frequentemente, pensando che, forse, sarebbe stato meglio per tutti se avesse lasciato Alicante, privandosi della propria natura e diventando un insulso mondano. Magari sarebbe stato felice, avrebbe potuto sposarsi e costruire una nuova famiglia, in cui nessuno l’avrebbe giudicato non abbastanza forte. Il continuo picchiettare di nocche contro la porta lo allontanò da quel doloroso flusso di pensieri. – Lasciami stare, Amatis! – gridò, gettando gli occhiali che gli pendevano sul naso contro l’uscio socchiuso. Esso si spalancò, rivelando una nube di setosi fili biondi e due occhi di carbone, calmi e pacificatori. Lucian scattò a sedere, asciugandosi le lacrime con le maniche della tenuta da Cacciatore. – Non sono Amatis. – pronunciò il ragazzo, restituendogli la montatura ormai storta e inutilizzabile  che aveva raccolto da terra. Lucian la prese, ringraziandolo silenziosamente. – Va … Valentine Morgenstern? – balbettò, incredulo. – Sì – annuì l’altro sciogliendosi in una mezza risata.  – Tu sei Lucian Graymark, vero? – continuò, posandogli una mano sulla spalla in un gesto confortante. Lucian mosse il capo in risposta affermativa. – Penso di avere la soluzione a tutti i tuoi problemi, Lucian. – disse Valentine, e si sedette su una sedia accanto al letto, iniziando a spiegargli il perché di quella visita.                                              

 

  
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