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Autore: heyitsliz    31/12/2012    5 recensioni
Era stata colpa mia?
Ero io la causa di tutto?
Ti avevo davvero distrutto fino a quel punto?
Ti facevi piccolo nella felpa che stringevi come se fosse l’unico appiglio al quale aggrapparsi e poi mi guardasti.
E io credetti di morire davvero.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jonghyun, Key, Minho, Onew, Taemin
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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I'm waking up to ash and dust.

« Ti prego. »
Tutto quello che feci fu un unico errore. Un grande, madornale, stupido errore.
« Per favore. »
E fu proprio in una sera come questa. La luna che si nascondeva dietro una nuvola troppo scura e il vento sferzava ogni cosa lungo il suo cammino.
Però quella sera tu non c’eri. E tutti questi particolari così vividi passavano in secondo piano, mentre i fumi dell’alcool sortivano il loro effetto assopendo qualunque buon senso potessi mai aver avuto e l’unica cosa che desideravo era liberarmi da quel senso di colpa, quel maledetto senso di colpa.
Non volevo. Non voglio. Non vorrei.
Quali di questi tempi dovrei usare per cancellare quell’espressione sul tuo volto?
Delusione, tristezza, lacrime e dolore.
Quel giorno era sbagliato a prescindere. Vorrei poterlo eliminare dal calendario, dalla terra, da tutto, da noi.
Quel giorno non sarebbe mai dovuto esistere.

Quel litigio aveva decretato l’ennesimo colpo inflitto, come un pugnale che scava in profondità lacerando la pelle, i muscoli, scavando nelle ossa fino ad arrivare al cuore.
Ma potevamo superarlo. Insieme potevamo? Certo.
Lo abbiamo sempre fatto.
Potevamo ancora recuperare tutto e far sparire quel cumulo di polvere sui nostri nomi.
Però quella sera, no.
Quella sera non successe. Quella sera non sarebbe mai dovuta arrivare.
I ricordi adesso sono sbiaditi eppure ricordo bene il tuo sguardo, sempre quello.
Uno sguardo che non avevo mai visto prima di allora e mai avrei voluto vedere.
Quel luogo in cui per la prima volta posai gli occhi su di te è stato, allo stesso tempo, la nostra rovina.
La rovina di tutto quanto.
Se quella sera non fossi tornato lì e non avessi iniziato a bere come un forsennato per alleviare quel mostruoso senso di solitudine e tristezza che si facevano strada, probabilmente ora saremmo di nuovo insieme stesi sul divano di casa tua ad accarezzarci a vicenda per poi scambiarci uno di quei baci delicati che ti piacciono tanto.
Se non avessi iniziato a sorridere a quel ragazzo qualche sedia dopo di me, se gli avessi impedito di avvicinarsi, se …
Quanti ‘se’ dovrei raccogliere per tornare indietro? E' tutto ciò che voglio.
Continuo a rivedere sprazzi di memoria, come una pellicola rovinata e malmessa. Ancora un bicchiere, ed era praticamente fatta.
Più lo guardavo e più trovavo differenze. I capelli troppo scuri, i lineamenti del viso anonimi, gli occhi piccoli ed eccitati, un corpo troppo snello e secco, la risata? Così diversa dalla tua. Un modo completamente differente di imbarazzarsi e di voltare lo sguardo, un differente modo di passarsi la lingua sulle labbra. Tutto dolorosamente diverso.
Ma quella sera per quanto continuassi a cercarti, non riuscivo a trovarti. Non c'eri. E allora mi ripetevo che andava bene per quella notte.
Poche ore senza la tua presenza, come se tu non fossi mai esistito, non mi avrebbero dilaniato più di quanto questo amore non stesse già facendo.
Ma adesso mi sento strappato in mille pezzi, come se fossi fatto di carta e fossi stato gettato in una brace accesa. Il dolore mi travolge.
« Vuoi andare in un posto più tranquillo? »
Se mi fossi fermato, ero ancora in tempo. In tempo per non farti soffrire, per non allontanarti e per non farti sparire per davvero. Potevo impedirlo.
Se non avessi posto quella domanda, vedendolo annuire mentre gli facevo strada per uscire dal locale in tua assenza.
Però mi sbagliavo. Eri lì, tra la gente. Forse per il mio stesso motivo.
Per cercarci, come quella sera. Per incontrarci come la prima volta e ricominciare dove tutto ebbe inizio.
Ma ho fatto il passo sbagliato e la situazione è cambiata.
Devi avermi visto andare via, un braccio sulla spalla del ragazzo, entrambi assuefatti dai bicchieri di troppo e da quella voglia di divertirsi senza pensare ad un domani. Quella voglia sfrenata di concedersi una pausa da tutto e da tutti.
Devi aver visto il modo in cui gli sussurravo all'orecchio, come usavo fare con te quando volevo a tutti i costi convincerti di qualcosa.
Ma forse ancora non lo credevi possibile perché infondo ti fidavi di me. Ti fidavi della persona che avevi incontrato in quel locale tempo prima.
Credevi ancora dopo tutto quel tempo che un “noi” esistesse e che non sarebbe stato cancellato così facilmente. Lo credevo anch'io.

Su quelle lenzuola dove mille volte avevamo passato le notti stretti l’uno all’altro fino all’alba e poi di nuovo, ancora e ancora. In quella stanza, tra quelle quattro mura che conoscono tutto di noi. Mentre sfilavo la maglietta sottile a quel corpo inerme, in quel momento eri tu, con quella telefonata che cancellava ogni dubbio.
« Ehi~… dove sono? A casa~ »
Avevo sotterrato ore prima il cuore che aveva iniziato a sanguinare troppo presto. Non c’era posto per la coscienza.
Solo il silenzio dall’altra parte del telefono, mentre la risata - diversa, troppo diversa - dalla tua si insinuava nelle mie orecchie mentre tentavo quel corpo delicato. Poi un respiro, no, un singhiozzo iniziò a provenire dall’altra parte del cellulare. Piangevi, lo ricordo bene.
Piangevi forte, per la prima volta senza nasconderti. Dovevo averti fatto così tanto male da toglierti la forza di fermarti.
« Non... non voglio più vederti. Davvero, ti odio. »
Quelle parole non raggiunsero il mio cuore quella notte, ma restarono a vagare per tutto il tempo dentro la testa. Lanciai via il telefono quando sentii che dall’altra parte avevano chiuso e quello che successe dopo, fece male ad entrambi. Ferì il cuore - già dilaniato - di tutti e due.

Mi svegliai tardi la mattina seguente, e anche se ero consapevole della situazione speravo davvero di trovare la tua testa poggiata sul mio petto, nella speranza di aver vissuto un incubo troppo vivido. Ma anche in quel momento così non fu.
E come se avessero strappato via parte di me, mi resi conto di cosa avevo fatto.
Non era colpa del ragazzo che stava dormendo placidamente accanto a me. Ero io e solo io ad aver sbagliato.
Mi alzai e attesi il suo risveglio, era perso anche lui, come me. Gli dissi addio e senza troppi pensieri per la testa lo vidi sparire dietro la porta.
Ritornai in camera e iniziai a fissare il letto sfatto, quello stesso letto che tempo prima fissai con gioia mentre ti cullava nei tuoi sogni migliori, bagnato dalla luce del sole che sorgeva proprio dalla finestra vicina.
Era mattina inoltrata, e non avevo un attimo di respiro. In quel momento il tempo mi sembrò così tiranno da non concedermi secondi sufficienti per poter fare tutto il necessario e raggiungerti.
Era domenica, dovevi essere a casa. Come accadeva ogni volta che discutevamo.
Presi la metro e con il fiatone per la corsa fino a casa mi fermai di fronte alla porta.
Ricordavo abbastanza della sera precedente per comprendere cosa avevo fatto.
Ma non avevo compreso a sufficienza la gravità di quell’errore.
Bussai prima ancora di accorgermene.
Silenzio.
Bussai di nuovo, dovevi essere per forza lì.
Silenzio.
Non dovevo preoccuparmi. Avevi sempre fatto di testa tua, e spesso alle ore più disparate andavi in posti assurdi. Ma di domenica mattina non era mai accaduto.
Stavo per bussare una terza volta quando vidi spuntare sul pianerottolo una capigliatura un po’ sfatta, seguita da un paio di occhi gonfi e un’espressione che non ti apparteneva. E’ stato lì che senza alcun argine, il mio cuore ha iniziato davvero a sanguinare.
Hai alzato lo sguardo e una fitta, l’ennesima, mi ha colpito allo stomaco, lancinante.
Uno sguardo spento, così vuoto da far spavento.
Era stata colpa mia?
Ero io la causa di tutto?
Ti avevo davvero distrutto fino a quel punto?
Ti facevi piccolo nella felpa che stringevi come se fosse l’unico appiglio al quale aggrapparsi e poi mi guardasti.
E io credetti di morire davvero.
Quello stesso sguardo che più volte mi aveva fatto mancare il respiro, colpevole di notti insonni, mi aveva trapassato come un pugnale con un foglio trasparente.
Non mi vedevi.
Non volevi vedermi.
Provai a chiamare il tuo nome, ma era come parlare ad un muro. Allora provai ad urlarlo, ma tu semplicemente iniziasti a muoverti verso di me e mi oltrepassasti. L'incubo non finiva.
Ti chiamai ancora, non avevo la forza di sfiorarti e allora il tempo accelerò e io ti vidi sparire dietro la porta. Trapassato da una parte all'altra, invisibile.
Aspettai tutto il giorno dietro quell'appartamento e tutto ciò che ottenni fu il nulla.
Nessuno uscì da lì.
La mia voce venne ignorata ancora.
In quel momento mi sentì morire per la seconda volta.

Sono passati alcuni giorni, eppure non riesco più a calcolare la quantità di tempo che è trascorsa da allora. Troppo o troppo poco è diventato un ammasso di numeri che si sovrappongono, lancette di un orologio che compiono un giro infinito.
E' la prima volta che ti vedo oggi dopo allora.
Non è cambiato nulla o forse tutto.
Il tuo sguardo è quello di quel giorno mentre sento le parole provenire dalle tue labbra.
« E' finita, hai fatto già abbastanza. »
No, ti ho detto che posso rimediare. Devi darmi solo l'unica possibilità di cui ho bisogno. Unica e sola, me ne basta una. Possiamo ancora curare quelle ferite, una per una. Possiamo ancora far tornare tutto come prima. Noi due insieme possiamo farlo.
« Nulla sarà come prima. Non c'è un 'noi', non esiste più. Accettalo, io l'ho fatto giorni fa. »
Mi avvicino, provo a prendere la tua mano, voglio sentire il calore che emana. So che è calda, le tue mani sono sempre state calde.
Ma non ci riesco, sfuggi e serri il pugno.
Sento il calore venire meno mentre la neve inizia a cadere.
E' la prima neve dell'anno, di buon auspicio, ricordi?
« Ci stiamo lasciando, non rendere le cose più difficili. »
Non puoi dire così davvero. Avevamo un futuro insieme, non puoi far finire tutto così.
« Sei stato tu a far finire tutto. »
Vuoi davvero cancellare tutto quello che c'è stato? Mi guardi, e nuovamente vedo quello sguardo vuoto. Gli occhi non riflettono più la moltitudine di colori. Avevo spento anche quelli.
« ... tu per me non esisti più. »

Fu la terza volta che mi sentì morire. Per un singolo grande errore morì dentro.

Quella sera
morì per davvero.



NdA
Bene, chiunque abbia avuto la forza e il coraggio di arrivare sin qui merita una spiegazione(?) e un grandissimo ringraziamento.
Avrete notato come non vi sia un solo nome, o un minimo accenno alle caratteristiche e al riconoscimento dei personaggi. Il motivo è molto semplice: quando ho scritto questa One Shot, non sono riuscita ad immaginarmi due protagonisti troppo definiti, sono rimasti sempre molto vaghi e così ho voluto portarli avanti sino alla conclusione.
Sono stata ispirata da una canzone per questa fic. Quindi chiunque abbiate immaginato nella storia è il vero protagonista, a voi la scelta.
E vi devo anche un immenso ringraziamento per il semplice fatto di esservi inoltrati nella lettura di queste righe senza né capo, né coda. E' da troppo tempo che ho abbandonato la scrittura per una serie di motivi e la cosa mi ha debilitato più di quanto credessi. Sono un bel po' arrugginita (più di quello che immaginavo) ma con il tempo e con future storie - già in elaborazione - dovrei un minimo rimettermi in sesto, si spera. L'ora è tarda, anche avendo riletto ci saranno sicuramente una marea di errori, vi chiedo perdono.
E questo è tutto. Spero lasciate un commento; sono curiosa di sapere Chi la vostra mente vi ha lasciato immaginare e magari anche il perché. Forse aiutate a farlo capire anche a me, ahaha.
A presto.

   
 
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