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Autore: None to Blame    31/12/2012    6 recensioni
SPOILER 5x13
Arthur 'Artie' Penrose, studente di legge che arranca nella vita universitaria nella sua allegra combriccola di amici con alle spalle una famiglia premurosa e benestante, un'infanzia senza privazioni ed un futuro assicurato nello studio legale di suo padre. Nulla può andare male.
Artie ha degli incubi che lo perseguitano. Sono immagini e parole, odori troppo intensi per essere frutto della mente.
E c'è quella voce piena di dolore che lo chiama « Arthur »
*
Robert era stato anche il primo al quale aveva raccontato dei suoi incubi.
Erano immagini più o meno vivide, cavalli e sangue, un bellissimo volto di donna che gli sorrideva, il clangore di lame che cozzavano, un drago dorato su un drappo rosso e sempre lui.
C'era sempre la stessa voce, in ogni dannatissimo sogno. Una voce che diceva il suo nome – il suo nome completo, lo chiamava Arthur, nessuno lo chiamava così, era troppo pomposo e nemmeno i suoi lo usavano più. A volte questa voce aveva un volto – pallido e magro, zigomi alti e orecchie spropositate.
A volte Artie si svegliava piangendo.
Genere: Angst, Fluff, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het, Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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Note introduttive di nessuna importanza

Questo capitolo è uscito fuori parecchio lungo e dispersivo per essere un capitolo introduttivo. Diciamo che volevo presentare bene i personaggi - che torneranno, ovviamente, anche in seguito - e la vita di Artie.
Perché l'ho scritta? Non ne ho idea. Stavo riordinando la libreria e m'è capitato sott'occhio il Leviatano di Hobbes (del quale noterete un paio di riferimenti). Ora, non so che diavolo di collegamento strano la mia mente abbia fatto tra Merlin e Hobbes, ma.. questo è quello che ne è uscito. Il titolo è tratto dall'omonima canzone di Noa, bellissima e molto poetica. Spero che diventi la "colonna sonora" della fanfiction. Se volete ascoltarla, ecco il link -> http://www.youtube.com/watch?v=nxk8bH7ypoY
Non ho idea di come funzioni il sistema universitario inglese. Se notate errori, segnalateli!
Non so bene che piega prenderà la storia, nel senso che non so se ho voglia di assecondare la mia mente perversa con scene hot o pseudo-hot o se, al contrario, mi limiterò a lasciare a bocca asciutta sia la mia perversità che i lettori. Voglio dire, mi sto lentamente convertendo al Merthur vero (non quello degli sguardi platonici, ma quello dei baci focosi) e, visto che siamo nel tempo presente, sono più che propensa ad inserire scenette piccanti..

Ciò detto, vi auguro buona lettura e vi avverto che non ho riletto la storia, perciò preparatevi ad incontrare i miei orrori di battitura!

Mi piacerebbe davvero sapere cosa ne pensate. Spero sia gradita e accetto critiche costruttive e distruttive!








































« Resta con me »

 

Sono dita fredde che ti accarezzano la guancia e ti ferisce la mente quella lacrima invisibile sul volto. Lo guardi e non vorresti lasciarlo. Ti aggrappi alla vita con la mano affondata nei suoi capelli ma il mondo ti abbandona.

Quella voce grida il tuo nome, ti invoca e piange.

 

« Arthur »

 

 

 

 

 

La lancetta si mosse e la sveglia strillò prepotentemente, facendo sobbalzare il placido dormiente. Il ragazzo mollò un pugno all'apparecchio ed il trillo morì.

Si stropicciò la faccia emettendo un pesante sospiro.

 

« Di nuovo incubi, Artie-boy? »

 

Il suo coinquilino, Robert “Double B” Stacy, sembrava essere sveglio già da un po'. Con solo i jeans addosso, guardava l'amico, la sua fronte sudata ed il consueto tremore mattutino.

 

« Come sempre »

 

« Prova a farti vedere da qualcuno »

 

Arthur Penrose gli scoccò un'occhiata micidiale. Senza nemmeno degnarsi di dargli una risposta, buttò da un lato le coperte – di un colore improponibile, ma fortunatamente sua madre era troppo impegnata per controllare come si erano sistemati in quell'appartamento striminzito – e tese le braccia verso l'alto, mugolando mentre si stiracchiava muscoli e ossa ancora intorpiditi.

Robert si infilò la maglietta e la scritta “Metallica” si stese sul suo petto magro. Era secco come una canna di bambù, uno di quegli alternativi che si rollano le sigarette senza filtro perché « mica sono scemo che do i miei soldi alle multinazionali! »

I genitori di Arthur disapprovavano le amicizie che il loro probo figliolo si era fatto all'università. Frequentava la feccia della società, a detta di sua madre. “Un probabile serial killer, ragazze dai facili costumi, un deviato sessuale ed un assenteista buono a nulla.”

Artie amava ciascun membro della combriccola. Double B – soprannome legato ad una umiliante avventura amorosa risalente ai tempi delle medie che lui non s'era riuscito a scrollar di dosso – era di certo fra quelli che la gente tendeva ad allontanare, spaventata dal pallore e dalle occhiaie, da borchie, chiodo e capelli unticci, dagli stivali voluminosi e l'aria assente. In realtà, quel ragazzo tutt'ossa aveva un animo ridicolmente sensibile, quasi artistico. Le ragazze di facili costumi erano, in realtà, due gemelle, Patricia e Fanny MacDowell – bionde e bellissime – che lavoravano come cameriere in un pub per pagarsi affitto e retta universitaria. Erano il sogno proibito di ogni studente, con le loro gambe lunghe che spuntavano dalla minigonna – ovviamente, il proprietario del pub aveva rifilato loro delle divise da cheerleader da mettere sul posto di lavoro – e gli occhi così verdi. Loro, tutt'altro che facili, erano quelle attive politicamente e socialmente, le ambientaliste che organizzavano comizi anti discriminazione e pro democrazia, quelle che ti rispondono a tono se provi ad insultarle e che si mettevano le stesse scarpe col tacco ad ogni festa perché spendevano tutti i soldi nelle librerie.

La signora Penrose, nell'analisi delle compagnie del suo pargolo, c'aveva azzeccato in pieno per quel che riguardava Fred Rogers – assenteista e lavativo, si presentava ai corsi con mezz'ora di ritardo ed aveva un totale di sette esami arretrati. Freddie era il pigro del gruppo, quello che chiamava la consegna a domicilio quando la pizzeria era solo dietro l'angolo. Non si sapeva quasi nulla del suo passato e della vita che aveva a Londra, tranne che un incidente d'auto gli aveva portato via sua madre mentre a suo padre aveva rubato la possibilità di camminare. Di lui si occupava la sorella, una scrittrice fallita che recensiva libri altrui. Era un ragazzo di poche parole che scriveva poesie sull'utilità dei telefoni, ma aveva la strana capacità di guadagnarsi l'affetto di chiunque gli parlasse per soli cinque minuti.

Il deviato sessuale era Aaron “Gingersnap” Weber, gay dichiarato dall'improbabile colore di capelli e la bizzarra tendenza a flirtare con qualsiasi figone gli capitasse a tiro. Nonostante la sua potenzialmente masochista esuberanza, era quello con più buon senso fra tutti. Non beveva se andavano in discoteca ed era quello che reggeva la testa a chi vomitava. Era il confidente di tutti e la sua spalla era pronta per esser bagnata di lacrime. Ascoltava con attenzione e regalava preziosi consigli.

Si erano incontrati per caso e gradualmente avevano iniziato ad apprezzarsi l'un l'altro. Artie aveva conosciuto Rob per via dell'appartamento. Ricordava il giorno in cui aveva varcato quella porta ed era inciampato nei boxer color porpora del suo futuro coinquilino. Si erano piaciuti fin da subito, nonostante le apparenti diversità. Sapeva che quello strambo ragazzo sarebbe diventato il suo migliore amico dal momento in cui era scoppiato a ridere guardando il pigiama con le nuvolette che sua madre tanto amava.

Robert era stato anche il primo al quale aveva raccontato dei suoi incubi.

Non erano spaventosi – almeno non tutti – ma gli lasciavano addosso quel senso d'inquietudine dei brutti sogni. Si svegliava sudato con la certezza che quella sensazione sgradevole non se ne sarebbe andata con una semplice doccia fredda.

Erano immagini più o meno vivide, cavalli e sangue, un bellissimo volto di donna che gli sorrideva, il clangore di lame che cozzavano, un drago dorato su un drappo rosso e sempre lui. C'era sempre la stessa voce, in ogni dannatissimo sogno. Una voce che diceva il suo nome – il suo nome completo, lo chiamava Arthur, nessuno lo chiamava così, era troppo pomposo e nemmeno i suoi lo usavano più. A volte questa voce aveva un volto – pallido e magro, zigomi alti e orecchie spropositate.

A volte Artie si svegliava piangendo.

 

Dal comodino del suo coinquilino provenne un sonoro bip ed una vibrazione. Rob afferrò il telefono e guardò il display.

 

« È Fanny »

 

Il biondo ridacchiò, infilandosi i calzini.

 

« Non avevo dubbi »

 

« Che diavolo vuoi dire? Guarda che mica– »

 

« Sì, sì, Double B, la solita storia. Guarda che ti sento smanettare con i tasti sotto il piumone, eh! »

 

Rise ancora più di gusto quando notò le guance dell'amico imporporarsi, i capelli che gli incorniciavano la faccia come due tendine bisunte, mentre balbettava qualche scusa e si infilava la borsa a tracolla.

 

« Tieni, romanticone »

 

Gli lanciò una consunta copia di “Teoria del diritto costituzionale”.

 

« Dov'era finita? »

 

« Sotto il mio materasso. Senti, stasera ci sta quella festa… »

 

Rob sbuffò sonoramente.

 

« Non ci vengo. »

 

Mentre si infilava la felpa, Artie gli rifilò un leggero calcio negli stinchi.

 

« Non fare così, dai! Ci saranno tutti! Viene pure Fanny! »

 

« Appunto. E poi è già tanto che riesca a sopportare quelli dell'uni ogni giorno. Me li devo sorbire anche di notte? No, grazie. »

 

Il biondo si cacciò il cellulare nella tasca dei jeans e si posizionò lo zaino su una spalla.

 

« Ti farò cambiare idea »

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

« … e l'uomo, così, stabilisce un compromesso. Lo stato di natura è guerra contro tutti. Io vivo la mia apparente libertà come continua lotta per la supremazia e la sopravvivenza. Secondo Hobbes, quindi, un'efficace e stabile difesa della propria vita la si ottiene passando allo stato civile. Ed eccolo qui il compromesso: in cambio della mia vita io alieno il mio diritto su tutte le cose. Questo è il fondamento del “patto sociale” che nel Leviatano… »

 

« Double B ci viene al Cliff stasera? »

 

Aaron, nascosto agli occhi del vecchio bacucco dall'ingombrante figura di Michael Buckley, stava chiacchierando tranquillamente con Artie.

Il biondo scosse la testa, suscitando un sospiro rabbioso nell'amico.

 

« Quando la smetterà di fare l'asociale? »

 

« Dice che non vuole vedere pure la sera quelli dell'uni »

 

« Diciamo che non vuole fare tappezzeria »

 

Il rossiccio si grattò un foruncolo che gli era cresciuto sul mento, aggrottando le sopracciglia.

 

« È più probabile che sia per Fanny »

 

Aaron lasciò perdere il brufolo e si concentrò su Artie.

 

« Le va ancora dietro? »

 

 

« Ovviamente »

 

« Ma lei è super-fidanzata! »

 

Il corpulento Mike si girò con una faccia che doveva essere aggressiva ed intimò loro di fare silenzio.

Reprimendo una risatina, i due continuarono a fare progetti per la serata, coinvolgendo anche chi non aveva alcuna intenzione di presentarsi ad una festa dove la donna amata con un bel vestito aderente avrebbe limonato per tutta la sera con un disgustoso cafone.

 

 

 

 

 

 

 

 

 







 

 

 

Si era lasciato abbindolare, Rob, e aveva giurato a se stesso di non assecondare più neanche mezza richiesta futura dei suoi amici.

Con un bicchiere ricolmo di un poco allettante liquido azzurro, stava appoggiato al bancone del Cliff, osservando svogliatamente quel mucchio di corpi sudaticci strusciare l'uno sull'altro, calpestando ogni parvenza di dignità.

A fargli compagnia, uno sulla destra e uno a sinistra, stavano Aaron e Artie, che cercavano di coinvolgerlo in conversazioni leggere – come se la musica poi potesse permetterlo.

Aaron, dopo dieci minuti, aveva rimorchiato l'ispanico del primo anno dalle braccia grosse – « Mi piacerebbe scoprire perché ti chiamano “biscotto allo zenzero” » * – lasciando ad Artie il compito di risollevare il morale dell'amico.

L'operazione divenne ancora più difficile nel momento in cui Fanny, splendida nel suo vestitino tempestato di paillette, si stazionò col suo ragazzo su uno dei sedili accanto a loro.

 

« Fa caldo, non è vero? »

 

Rob la guardò, cercando di non lasciare che gli occhi di lei lo deviassero, ed annuì.

Will, il fidanzato, si mise a giocare con le spalline dell'abito – « Se hai caldo puoi sempre toglierti qualcosina… »

 

Artie fece per distrarre l'amico, ma quello, con la scusa del bagno, si defilò e scomparve dalla sua vista. Rimasto solo, il biondo decise di lasciare a quei due un po' d'intimità e si spostò accanto ad un altro bevitore solitario – un ragazzo dai capelli scuri con una birra in mano.

 

Non lo riconobbe, ma si disse che, tra le luci stroboscopiche e l'alcool in circolo nel corpo, era una cosa del tutto normale.

Aveva voglia di parlare con qualcuno, così cercò un interessante argomento di conversazione e lo introdusse senza nemmeno guardarlo bene in volto, ma spostando gli occhi sulla sala.

 

« Bella festa, eh? »

 

L'altro non sollevò lo sguardo e rispose con qualcosa simile ad un « Più o meno »

 

« Non ricordo di averti mai visto al campus. Che corsi segui? »

 

« Storia, ma non frequento sempre »

 

Parlavano senza guardarsi in faccia, la musica martellante che rendeva quasi impossibile la comprensione delle parole.

All'improvviso, la voce del dj sostituì l'house e annunciò una serie di romantici lenti per sole coppie.

 

Da lontano, scorse la figura di Aaron che, gesticolando furiosamente, cercava di convincere la sua nuova conquista a seguirlo in pista. Artie sorrise divertito e si girò verso il proprio interlocutore.

 

« Almeno ora possiamo parlare senza urlar– »

 

Il cuore perse un battito e le parole gli si mozzarono sulla lingua, ricascando nella gola, bloccandogli il respiro.

 

« Resta con me »

 

Aveva le iridi chiare in un paio d'occhi ricolmi di stupore. Uno sconosciuto in discoteca con la felicità dipinta sul volto ed una lacrima fra le ciglia.

Le orecchie piene di quella voce che sussurrava preghiere e piangeva silenzioso.

E lesse su quelle labbra – tremanti e così familiari – quel nome, quello che nessuno usava.

 

Era lui.

Il ragazzo del sogno.

 

« Arthur »

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

* Gingersnap vuole, appunto, dire “biscotto allo zenzero”.





 

   
 
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