Buon giorno cari
lettori, qui è la vostra Hiny che vi scrive,
finalmente online per presentarvi la mia prima fanfiction.
PREMESSA
Conobbi lo yaoi
non molto tempo fa grazie a Giulia San (una mia amica). Diciamo
che inizialmente mi faceva quasi ribrezzo. L’idea di “vedere” due ragazzi
insieme a baciarsi, mi faceva venire i brividi. Ma in fin dei conti è iniziato a piacermi ed ora mi tocca ammettere che lo
adoro. Sì, lo trovo così sublime anche se personalmente
preferisco più lo shonen-ai che lo yaoi in sé, perché è più dolce e molto più soft,
però poco importa.
La storia, comunque, è una shonen-ai, la mia prima shonen-ai, quindi,
spero che possa piacere a tutti.
Questa storia è
nata dopo una mia ispirazione, una delle tante.
I personaggi e
anche i luoghi tengo a dire che sono tutti inventati,
infatti, nella storia non verrà mai citato il nome della città o degli
eventuali luoghi che i protagonisti visiteranno (sempre se ne visiteranno
alcuni. Nda).
La trama è
anch’essa inventata, ma qui mi tocca fare un appunto: la storia è in parte
presa dalla vita comune di tutti i giorni, che vivo o che comunque
vedo al telegiornale o ne sento parlare da conoscenti. Perché
certi fatti, (facendo un esempio a caso) come il non essere accettato in
classe, o l’essere evitato da tutti, capita a molti ragazzi e ragazze, e questi
poi si rifugiano nella droga, nell’alcool o nella prostituzione, se non in
peggio.
Questa storia sta
un po’ a significare questo; quello che è diventato il mondo d’oggi, o meglio,
la vita d’oggi. L’insopportabile cammino verso la
maturità interiore e i problemi che a volte siamo
costretti a fronteggiare, costretti o non.
Facciamo una breve
introduzione ai due protagonisti della storia: Marco Tarantini e Luca
Mancinelli.
Marco Tarantini è
nato a Roma, anche se verso i 4 anni si è trasferito in una cittadina
marittima, dove ora risiede. Frequenta il liceo scientifico della sua città ed
è molto dotato a scuola; un bel cervellino per una scuola
dove l’impegno è fondamentale.
Non ha né fratelli
né sorelle, il padre se ne è andato di casa
quand’ancora lui era in fasce. La madre, invece, gestisce un hotel sulla
spiaggia, dove il soppalco sopra la piscina è riservato unicamente a Marco e a
lei.
E’ un ragazzo di indole timida anche se quando inizia a conoscersi con una
persona, se ci prende la mano, diventa il più estroverso del mondo intero. Sa
essere molto comprensivo e gentile e soprattutto è sempre sensibile ai problemi
altrui. Peccato che a scuola è mal visto, infatti, tutti lo insultano, tutti lo
evitano e lo reputano male. Ovviamente tutta gente che non lo conosce perché quei pochi ragazzi e quelle poche ragazze che hanno avuto il
piacere di conoscerlo affermano che Marco sia il ragazzo migliore di questo
pianeta. Ce ne fossero di persone come lui.
Luca Mancinelli,
invece, è il ragazzo più popolare della città. Vissuto col padre fin dalla
tenera età, non sa far altro che essere “uomo” o meglio, si limita a simulare
il carattere del padre, anche se a volte questo comportamento non gli calza
proprio.
E’ un tipo un po’
burbero e freddo alle volte e non riesce mai a capire ciò che una persona prova
per lui, né intende ciò che qualcuno cerca di dirgli. A volte, addirittura,
bisogna essere fin troppo espliciti con lui o si rischia seriamente di non
ricavarne niente. Sì insomma il classico ragazzo dal fisico
perfetto e dal cervellino un po’ ristretto.
I due purtroppo
non avranno un piacevole incontro, ma andando avanti col tempo troveranno in sé
delle affinità e impareranno a convivere insieme e, perché no, anche ad amarsi!
Non per niente gli opposti si attraggono.
MARCO E LUCA:
DUE CORSIE IN UNA SOLA STRADA
Marco ha sempre
dovuto sopportare scherzi di cattivo gusto da tutti; ragazzi e ragazze,
indipendentemente dall’età e dal sesso.
Perché? Perché era un po’..
strano! Solo perché preferiva soffermarsi a guardare i ragazzi piuttosto che il
gentil sesso, non significava certo che era strano.
Che vuol dire poi strano? “Diverso” lo
definivano i compagni di scuola. Ma non si accorgevano di quanto quella parola
facesse male a Marco?! Più male delle botte, e alle
volte Marco preferiva proprio essere preso a calci che sentirsi dire “diverso”.
Era un dolore che
lo colpiva al cuore perché era come dirgli che era
nato sbagliato.
La forza che
questo ragazzo impiegava, quindi, la mattina per affrontare quelle pesantissime
ore scolastiche, era davvero impressionate, quasi da
ammirare. La tenacia che lo accompagnava per i corridoi scolastici e il
coraggio con cui fronteggiava sempre tutto a testa alta, era segno che Marco
non era un ragazzino immaturo anche se quest’ultimo
frequentava solo il primo anno delle superiori.
Benché dovesse tenere
testa ogni giorno ad acidi compagni e insulti sputatogli in faccia, lui non
portava certo rancore a nessuno e come sempre raccoglieva il suo zainetto da
terra, gli tirava una leggera pacca per togliere la polvere da esso e se lo rimetteva in spalla e di nuovo attraversava
quegli infimi corridoi.
I used to think that I could not go on
And life was nothing but an awful song*
“Pensavo che non avrei potuto
andare avanti e che la vita non
era niente, ma solo una terribile canzone”
Sì, per Marco la vita era solo un terribile sogno dalla quale lui non
vorrebbe altro che svegliarsi. D’altronde si alzava la mattina con gli occhi
arrossati, il cuscino bagnato, e con la gola secca ed era pressoché impossibile
che la sua vita fosse solo un sogno. I sogni non fanno
certo così male. Magari si trattasse solo di un sogno o di uno di quegli
sciocchi Show americani eppure no, questa era la sua vita..
la sua acerba vita.
E tutto questo solo per i suoi problemi.
Problemi forse stupidi, irrilevanti per qualcuno, ma che a lui condizionavano
l’intera esistenza.
E sì, ci stava male, tanto, forse troppo
male. E ogni volta, ogni giorno, ogni singolo istante
si domandava il perché. Perché stare male per queste
cose, per queste persone?
Perché sprecare le sue lacrime per gente infame
che forse non si meritava neanche di camminare sulla sua stessa strada? (questa frase me l’avrà detta chissà quante volte il mio
caro Gabry, quindi i diritti d’autore sono riservati a lui. Nda). Perché starci male se tanto presto o tardi tutto sarebbe
finito? Perché stare male per gente che neanche badava
a lui, che neanche lo considerava una persona?
Marco pregava il
buon Dio affinché questo mandasse avanti i giorni, quelle interminabili ore, e facesse in modo che l’estate fosse già alle porte, che le
vacanze arrivassero prima del solito; non poter più rivedere i suoi compagni di
classe, anche solo alla fine di una pesante giornata, era il confronto più
grande che potesse avere. Voleva solo rimanere solo. Meglio solo che in cattiva
compagnia.
The world was
wide, too late to try
The tour was over, we'd survived
I couldn't wait 'til I got
home
To pass the time in my room
alone**
“Il mondo era vasto, troppo tardi per tentare
Il tour era finito, io ero sopravvissuto
Non vedevo l'ora di tornare a casa
Per passare il tempo nelle mia stanza da solo”
La sera Marco si
chiudeva nella sua stanza, mille foto erano appese al
muro azzurrino e lui le osservava; fissato, tremendamente fissato con una cosa,
con una persona. Era diventato un ossessione per lui,
sin da quando l’aveva visto, dalla prima volta. Lo aveva impresso nella sua
mente, centimetro per centimetro. Sapeva
tutto di lui, voleva tutto di lui; la sua vita in particolare.
Sì perché quella
vita gli sembrava così perfetta, adorato da tutti, nessuno lo veniva a
calpestare, nessuno gli faceva mai un torto, nessuno lo trattava come fosse un insetto.
Già, una vita dove
lui però non era compreso. E che tristezza, solo a
pensarci gli veniva voglia di piangere nuovamente.
A scuola lui era
popolare, mentre Marco no, lui era il ragazzo più bello della città, mentre
Marco ancora non era sviluppato del tutto. E ancora… lui faceva parte della
squadra di pallanuoto, Marco sapeva a mala pena stare a
galla, lui era bravo in tutto Marco solo a scuola..
E ogni volta che
lo vedeva a scuola, magari circondato da ragazze, Marco si sentiva sempre più
un fallito, un buono a nulla, uno che dalla vita non
raccoglieva altro che amare insoddisfazioni. Si paragonava a lui, si guardava
poi lo guardava e si riguardava: si sentiva una
nullità in confronto a lui.
Quelle foto erano le uniche cose che gli permettevano di auto-proiettarsi nella vita di quello che
per lui era l’uomo perfetto. Sì, grazie a quelle foto la notte poteva sognare di essere lui, anche se solo per poche ore, anche se sapeva
che quello non era nient’altro che una sua fantasia, che niente era vero. Ma quelle notti passate a vivere la vita di un altro, quelle
ore a sognare di avere una vita perfetta lo confortavano e anche se per poco lo
facevano stare bene.
Non ne era geloso, non lo odiava per la vita che aveva,
semplicemente lo ammirava, e giorno per giorno quest’ammirazione si trasformava
in un amore che lo accecava, un amore di possesso, una vera e propria
ossessione.
I believe I can fly
I believe I can touch the sky
I think about it every night and day
Spread my wings and fly away
I believe I can soar
I see me running through that open door*
“credo di poter volare
credo di poter toccare il cielo
io ci penso ogni notte e ogni giorno
distendo le mie ali e volo via
credo che posso volare in alto
mi vedo correre attraverso quella porta aperta”
Sì, la gente viveva per il solo scopo di morire. Era questa
la fine che Dio aveva previsto per loro? Era questa la vita che era stata
prefissata da Dio? Raggiungere traguardi, vincere medaglie, prendere un bel
Ma presto la vita di Marco sarebbe andata
sempre migliorando… o forse no.
Era un caldo
pomeriggio di Maggio, la scuola andava concludendosi e
la vita in città era pressoché inesistente. La piscina era gremita di gente;
ragazzi e ragazze approfittavano del tempo libero che gli era stato concesso
per prendersi una giornata di relax senza dover badare alla scuola, alle
interrogazioni, ai compiti e alle verifiche.
Le
persone anziane, invece, preferivano rimanersene a casa, magari davanti a una bella tazza di tè ghiacciato, seduti
in giardino accompagnati dalla brezza fresca e meccanica del ventilatore.
E purtroppo alle persone di mezz’età toccava
lavorare, anche oggi, come sempre del resto.
Stefania era molto
indaffarata questo giorno. Quanto le
sarebbe piaciuto fare un tuffo in piscina e godersi il resto del pomeriggio in
santa pace, bevendosi un bicchierino di vodka ghiacciato. Peccato che le prenotazioni si ammontavano sulla sua scrivania e i camerieri
sembravano quasi voler scioperare a causa della giornata troppo afosa.
Certo che è dura portare avanti un hotel quando il
marito ti ha lasciato sola. Per fortuna aveva un unico figlio a cui dover
badare: Marco. Ma la presenza della mamma non faceva
né caldo né freddo al ragazzo; viveva in un mondo tutto suo, dove chissà quali
stranezze abitavano questo pianeta ormai malato.
La madre sin dalla
nascita del bambino era stata impegnata nel portare avanti l’hotel, e senza alcun
aiuto esterno non riusciva a stare dietro ad entrambi, quindi aveva preferito
la carriera alla famiglia.
Ovviamente
crescere senza alcuna figura materna e paterna accanto era stato un vero
delirio per Marco, il quale imparò ad essere
indipendente sin dall’infanzia.
Ma
Stefania era molto legata al ragazzo e ormai lo reputava un ometto già grande e
abbastanza cresciuto per badare a sé stesso senza dover contare
sull’aiuto della mamma.
La donna prese in
mano nuovamente il telefono che squillava, lo appoggiò all’orecchio.
-Buona sera, Hotel
Riviera, posso esserle d’aiuto?- domandò con voce
monotona all’apparecchio.
Dall’altra parte del filo telefonico una voce metallica rispose
acconsentendo.
-Certo, allora… una stanza per uno, letto
a una piazza e mezza, abilità alla piscina e al bar... Desidera anche la vista
sul mare?- chiese la donna mentre appuntava qualcosa su un block notes.
La voce esitò un
secondo poi rispose che non era rilevante questo.
-A nome di chi
prenota e per quando?- Stefania posizionò il telefono
tra la guancia e la spalla -Mancinelli Luca… per domani mattina presto. Ok,
perfetto- appoggiò la penna sul tavolo -La ringrazio, buona
serata e arrivederci-.
E anche un altro giorno era volato via,
nella monotonia del lavoro oppure nella gioia di trascorrere una giornata di
vacanza anticipata. Ma ora era sera e i ruoli si invertivano:
ragazzi e ragazze tornavano ai loro giacigli per fare i compiti, mentre mamme e
papà si apprestavano a tornare a casa, farsi una bella doccia, cenare e
accasciarsi sul divano a guardarsi una partita di calcio o un bel film per poi
andare finalmente a letto.
Stefania e Marco
non avevano una vera e propria casa, ma un soppalco posto sopra la piscina. Uno dei più grandi che si erano mai visti in circolazione.
D’altronde l’albergo intero era casa loro e i due potevano farci ciò che più
preferivano.
Il pavimento del
soppalco era molto particolare, fatto a specchio: chi stava dentro alla casetta poteva vedere tutto ciò che aveva sotto i
piedi, nonché la piscina, ma chi stava fuori e guardava verso l'alto, al posto
di vedere l'interno della casa, vedeva solamente degli specchi.
-Tesoro sono a casa- disse Stefania appoggiando la sua borsetta sul
divano e allungandosi sulla poltrona.
-Ciao, tutto
bene?- domandò il ragazzo avvicinandosi a lei.
-Sono esausta, non
ti dico quante chiamate, prenotazioni.. e poi i
camerieri che si lamentavano ogni due per tre del caldo. Anche
i cuochi si sono lamentati della temperatura nelle cucine, pensa, volevano
organizzare addirittura uno sciopero! Insomma un vero delirio!- si sfogò lei -e
a te tesoro com’è andata la giornata a scuola?-
-Tutto tranquillo
come al solito, non abbiamo fatto niente di chè- imitò
la madre sdraiandosi sul divano.
I due cucinarono
svelti una pasta al pomodoro e si misero davanti al televisore a guardare
-Vedi niente di interessante?- domandò Stefania girando qua e là tra i
canali.
-Niente- ripeté lui.
-Oh bello, c’è Sliding Doors alla televisione, ti va di guardalo?-
domandò al figlio, il quale mangiava la sua pasta intento a non sporcare i
copri-divani.
-Mmh.. Ok come vuoi- le rispose poco attento.
La
serata trascorse veloce,
tra una litigata e l’altra per chi dovesse mangiare l’ultima fetta di torta al
limone e chi, invece, dovesse accontentarsi di una semplice macedonia alle
fragole e banane.
La mattina
seguente era una Domenica: tutti a letto fino a mezzo giorno, letto e poi direttamente pranzo!
Marco però,
mattiniero come sempre, era sceso dalle sale dell’hotel a fare colazione.
Aveva ordinato una
brioche alla crema, una tazza di cioccolata, pane e marmellata e anche un succo
all’arancia. Si era seduto in un angolino, nel tavolo
che dava sul balcone e quindi sul mare e si gustava tranquillo la sua
colazione.
Dall’altra parte
della stanza entrarono due ragazzi probabilmente del quinto anno.
Uno era piuttosto
carino, castano biondiccio, occhi verdi, fisico asciutto ma non troppo, alto uno e ottanta circa, canottierina rossa, e calzoncini
bianchi.
L’altro era ancora più alto del primo, sembrava un giocatore di
palla canestro. Occhi blu, capelli color pece, un bel fisico
palestrato, magliettina celeste e calzoncini neri, infradito ai piedi.
Si sedettero in un
tavolo poco più distante da quello di Marco.
Probabilmente
erano compagni di classe, o forse frequentavano la stessa squadra di calcio, o
addirittura erano parenti o magari.. fidanzati! Perché
no?!
Marco cercò di non
guardare da quella parte, ma l’occhio ricadde nuovamente su quel tavolo e lo
vide. Luca. Si trattatava proprio di lui, della sua ossessione.
Senza pensarci,
senza ragionarci sopra, il ragazzo si alzò dal suo tavolo, andò nelle cucine e
avvisò i camerieri che quella mattina gli avrebbe dato
una mano. Tanto non era certo la prima volta che andava a prendere le
ordinazioni ai tavoli.
Con questa scusa,
Marco riuscì ad avvicinarsi un poco a Luca.
-Buon giorno, avete già scelto per caso?- domandò senza farsi troppi
timori.
-Sì, certo.. allora, io prendo del tè con il latte poi due brioches con la marmellata.. di fragole o albicocche!-
disse il moretto.
-Per me solo una
tazza di latte e caffè- rispose invece Luca.
-Certo, arrivo
subito- Marco ritirò i due menù e entrò in cucina.
Prese il vassoio e
lo caricò con la roba ordinatogli. Tornò dai due ragazzi pochi minuti dopo.
-Ecco a voi
ragazzi, caffé latte, tè, brioches e marmellata-
disse Marco appoggiando una brocca di latte, una tazzina di caffè,
due brioches e un vasetto di marmellata alle fragole sul
tavolo.
-Grazie.. ma tu sei del primo anno vero?- gli chiese uno dei due.
-Sì, Marco
piacere- e gli pose la mano –Alessandro, piacere mio. Lui, invece, è Luca-
Luca alzò lo
sguardo, fissò Marco negli occhi, poi farfugliò un qualcosa tipo “piacere” e si
girò dall’altra parte.
-Ehm.. gli piace fare il menefreghista, ma ti assicuro che è più
gentile solitamente, vero?!- chiese girandosi verso Luca e tirandogli una
gomitata alle costole –Vabbè, è solo un po’
arrabbiato stamattina. I suoi…- abbassò il tono della voce -…l’hanno sbattuto
fuori casa-.
Marco ne rimase
dispiaciuto.
Cavolo però, cosa
poteva fare lui nel suo piccolo per Luca?
Oltretutto per
lui, Marco non era nient’altro che un primino, niente di più!
Ma accidenti, come
poteva stare lì a fare niente quando l’uomo che tanto
ammirava era in difficoltà, necessitava di un aiuto? E
Marco voleva proprio dargli una mano. Sì, ma come? Accidenti, stava per andare
in panico, si sentiva inutile.. come al suo solito!
-Tu sei un suo amico?- domandò Ale sorseggiando il suo tè.
-Io veramente.. noi non ci conosciamo.. cioè conosco Luca di vista,
perché frequentiamo la stessa scuola, ecco tutto qui- rispose imbarazzatissimo
Marco.
-Ehi, tranquillo
mica ti mangio. Senti io sono
suo cugino. Allora…- estrasse fuori un cartoncino rettangolare e ci scrisse sopra
un numero velocemente -questo è il mio numero di
telefono. Lascio Luca qui momentaneamente, finché non faccio ragionare i suoi
genitori. Ci pensi tu a lui?- poi gli passò il numero
-chiamami se c’è bisogno e anche per il pagamento della stanza-.
Marco si sentiva
confuso.
-Ok- rispose senza neanche rifletterci più di
tanto sopra.
Il suo desiderio
più grande gli era stato offerto su un piatto d’argento, com’era possibile
rifiutarlo?!
-Certo, mi
occuperò io di lui- rispose Marco prendendo coraggio..
e soprattutto fiato!
Alessandro si
alzò, dunque, dal tavolo, strinse la mano a Marco e ribadì
i concetti precedentemente detti. Poi salutò Luca dandogli un
amichevole pacca sulla spalla ed uscì dalla sala.
Marco si trovava
già in imbarazzo, soprattutto per la situazione che Luca stava passando.
-Beh, posso portarti qualcos’altro?- domandò gentilmente a Luca.
Quest’ultimo che
aveva assistito distratto alla conversazione del cugino e del ragazzo aveva
terminato di bere la sua tazza di latte e caffè ed
ora guardava fuori dalla finestra.
-No, grazie sto bene così. Mi mostri per favore la mia stanza? Me ne
basta una qualsiasi, forse una un po’ isolata dal
resto, ho bisogno di studiare perché devo tirare su assolutamente latino- si
schiarì la voce Luca.
-Sicuro, ne ho una
che fa al caso tuo- spiegò Marco facendogli strada.
I due camminarono
lungo il corridoio fino a raggiungere una porticina azzurrina.
-Ecco, questa
d’ora in poi sarà la tua stanza, può andare bene?- disse
Marco aprendo la porta e facendogli cenno di entrare.
-Va bene, grazie-
Luca pose la sua roba, valigie e cartella sul
pavimento.
Fece un giretto
della stanza: era una camera ben illuminata, letto a due piazze comodo e
morbido, un armadio piuttosto spazioso e un bagnetto grande con tutte le
necessità. Sul tavolino di fronte al letto vi era anche il televisore col
satellitare e un computer direttamente collegato alla rete centrale dell’hotel
per chi ne necessitasse.
-Allora se è tutto io ti lascio solo, mi trovi in quello pseudo-appartamentino
sopra la piscina, bussa pure, se non ci sono io trovi mia madre. Non esitare a
venire da noi se ci sono problemi- si fece presente Marco.
-Senz’altro.
Grazie- disse con poche parole Luca.
Luca guardò la
porta chiudersi dietro di sé e iniziò a fare un po’ di ordine
nella sua testa.
Ricapitolando gli
ultimi fatti accaduti, il ragazzo aveva ben inteso qual’era
la sua situazione ora.
Sorrise beffardo
quando ricordò come molti ragazzi della sua scuola gli raccontavano di volere
essere come lui: vita perfetta, famiglia perfetta,
fisico perfetto, reddito scolastico perfetto…
Ma quale vita perfetta? Proprio grazie alla
sua “cara” famiglia ora gli toccava vivere in una camera di hotel, perché sua
madre doveva andare a letto con l’amante e non voleva il figlio tra i piedi;
non aveva certo il tempo di cucinare per lui, di lavargli i panni, di stirargli
i vestiti, di rifare il letto, tanto meno aveva voglia di averlo tra i piedi la
sera, o meglio, la notte!
Suo padre se n’era
andato via quando lui aveva solo 4 anni, solo perché
odiava i bambini e perché aveva di meglio da fare che cambiare pannolini dalla
mattina alla sera, secondo lui era solo una perdita di tempo avere un figlio!
Bella vita!
A scuola doveva
andare bene o l’amante della madre alzava la cintura “non poteva certo sprecare
soldi per lui in questo modo, la scuola stessa non vuole certo spendere i soldi
dei contribuenti per fare lezioni di recupero” diceva sempre.
Aveva una vita
talmente insopportabile che si era inventato questo prototipo di ragazzo
perfetto agli occhi altrui per sentirsi automaticamente come tale.
Insomma, si
aggrappava all’idea della perfezione per evitare di dover pensare alla sua
situazione attuale. E più faceva questo e più si sentiva un buono
a nulla perché non faceva altro che mascherare il suo essere. Lui voleva
solo sentirsi più libero, più vivo, ma non ci riusciva e continuava così a
nascondersi dietro false speranze, come quella di aver pazienza che presto sua
madre si sarebbe risposata, preferibilmente con qualcuno che non fosse l’amante, o che il padre sarebbe tornato a casa.
Sciocche pretese, promesse
infrante.. Quand’è che tutto questo sarebbe finito?
Dall’altra parte
Marco sentiva il cuore battere a mille. Forse per l’emozione che Luca
alloggiasse sotto il suo stesso tetto, forse perché necessitava
del suo aiuto o forse perché sapeva un qualcosa che gli altri non conoscevano
(mi riferisco al fatto che alloggiava in hotel e dei problemi famigliari. Nda),
o forse perché ciò che più amava ora era vicinissimo a lui e poteva averlo per
sé, poteva guardarlo senza imbarazzarsi di farlo
davanti a qualcuno, poteva fantasticare su di lui.
Ma ora dovette lasciare da parte i suoi
sentimenti. Luca era strano, e lui se ne era accorto
benissimo. Era silenzioso, appartato, triste e turbato. A scuola invece era
l’esatto opposto: sempre solare e vivace, sveglio e sorrideva a chiunque. Aveva
sempre la battuta pronta, rimaneva comunque discreto,
ma la battutta non mancava mai.
Marco voleva
dargli una mano, un qualsiasi tipo di aiuto. Aveva
sentito che andava male in latino, lui aveva il 9 ma
si trovava solo in prima e non poteva certo dargli un auto. Economicamente non
se ne parlava, era impensabile, dove tirava fuori i soldi?!
Non lavorava ancora e non si arrischiava
certo a chiedere soldi alla madre. Poteva fargli compagnia. No, impossibile.
Nessuno voleva Marco come amico perché lo vedevano tutti come uno “sfigato”, un “secchione”. Sì insomma, presente
quei ragazzi che vanno bene a scuola e vengono sempre presi di mira?
Ecco Marco era uno di “loro”.
Poteva offrirgli
il pranzo?! Beh, perché no?!
Poteva essere un inizio questo. Magari Luca accettava, magari si confidava con
lui, magari si sfogava, magari riusciva a farlo
ridere… eh, magari!
Doveva provarci, lasciare
da parte quelle che erano le sue paure e pensare a Luca, era lui che stava
male, era lui che necessitava un sorriso. Tanto anche
solo tentare non gli costava proprio nulla
Andò nella sua
camera e dopo aver guardato per un po’ il televisore, si fece una bella doccia
fresca e poi scese all’entrata dell’hotel dove la madre lavorava.
-Mamma, Luca
Mancinelli, stanza numero 13, è per caso uscito o si è
allontanato dalla sua camera?- domandò il ragazzo raggiungendo trafelato la
madre.
-No, non mi pare,
perché?- chiese lei senza successo poiché il figlio
già schizzava via lasciando aloni neri sul pavimento a causa delle scarpe che
sgommavano veloci lungo i corridoi.
Erano già tre
orette che si trovava in questo hotel ed erano state
le tre ore più pacate della sua vita: niente madre che si lamentava, amante che
sbraitava, professori che richiamavano, feste noiose, amici complessati, gare
in moto o compiti noiosi.
Poi qualcuno bussò
alla porta.
-Sì, avanti-
incitò Luca.
-Ehm, ciao, sono di nuovo io- salutò Marco portandosi una mano dietro
alla testa e grattandola imbarazzato.
-Buon giorno-
contraccambiò il saluto Luca.
-Dunque volevo
chiederti se ti andava di uscire a pranzo, anche solo
per una pizza.. sì, una pizza!- Marco si infilò nuovamente le mani tra i
capelli in segno di nervosismo.
Luca sorrise.
Divertito o nervoso? Luca sorrise.
-Sì grazie, ho veramente bisogno di cambiare aria e di svagarmi un po’- rispose
infine alzandosi dal letto.
Un sospiro di sollievo uscì dalla bocca di Marco.
-Grazie al cielo-
sussurrò.
Luca appoggiò il
libro di Seneca sul comodino e uscì dall’hotel insieme a Marco.
-Non sono proprio
di questa zona, una pizzeria carina dove la possiamo trovare?- domandò vago Luca dopo essere uscito dall’hotel.
-Beh c’è il Trianon
all’angolo,
-Andiamo alla Tavernetta,
ci sono stato non molto tempo fa con Ale e mi è piaciuto- affermò
il ragazzo.
I due raggiunsero
la rinomata Tavernetta e si sedettero al suo interno, aspettando l’arrivo di un
cameriere qualunque.
Luca aveva ragione, il posto era molto carino. Si trovava proprio
in centro città ma in un quartiere poco abitato, di
conseguenza si poteva godere di una certa quiete.
Si trattava di un
seminterrato ricostruito a nuovo, un locale rifatto ultimamente grazie
all’aiuto del liceo artistico della città. Mille murales e
graffiti tappezzavano le pareti, gli abiti del personale addirittura non erano
quei soliti grembiulini striminziti bianchi e neri che dovevano essere
indossati, bensì jeans, t-shirt, tutto possibilmente sportivo e colorato. Insomma, le prime cose che capitavano sotto mano appena aperto
l’armadio. La musica era molto alta grazie
all'impianto di sonorizzazione che ne esaltava la
qualità.
Si sedettero a un tavolino e subito furono raggiunti da una ragazza con
delle trecce simili a Pippi Calzelunghe, nere come la pece, sparate in aria. Le
davano un aria molto scherzosa e simpatica. Erano
tenute a bada da due nastrini anche se certe ciocche
schizzavano fuori e le davano l’aria di una che aveva appena preso una scossa
elettrica. Roller ai piedi, apparecchio ai denti, palmare in mano pronta a prendere
le ordinazioni. In poche parole un tipetto un po’
particolare per un locale altrettanto particolare.
-Ciao ragazzi, allora
che vi porto?- chiese tutta briosa la giovane porgendo il Menù ai due ragazzi.
-Una birra e una
pizza pomodori rucola e bufala- la giovane annotò tutto su un piccolo blocco
che teneva in mano.
-Bene.. e a te che ti porto Marco?- il ragazzo sorrise.
-Il solito grazie-
rispose sicuro.
Luca lo guardò
perplesso, o meglio, curioso, ma non proferì parola.
Un silenzio tombale
cadde sui due, quel tavolino sembrava quasi a disagio in mezzo alla coppia,
sembrava addirittura incitarli a dire qualcosa, una qualsiasi cosa.
See I
was on the verge of breaking down
Sometimes silence can seem so loud
There are miracles in life
I must achieve
But first I know it starts inside of me*
“Guarda ero sul punto di spezzarmi
a volte il silenzio può sembrare così rumoroso
ci sono miracoli nella vita che devo ottenere
ma prima so che deve iniziare da dentro di me.”
Un silenzio
veramente imbarazzante incombe sui due.
Luca aveva lo
sguardo fisso sui bottoni della sua camicia e più si sentiva a disagio e più li
fissava, ci giocava, li stuzzicava. Marco, d’altra parte, fissava ammirato il
ragazzo che gli stava di fronte. Appena vedeva che Luca teneva lo sguardo
basso, lui ne approfittava e gli lanciava subito qualche
occhiatina. Quello stuzzicare i bottoni lo agitava un po’ per non dire
eccitare.
Erano già una
decina di minuti che stavano lì in silenzio, senza dirsi niente.
Luca sbattè veloce
una mano sul tavolo in segno di impazienza e poi
iniziò a tamburellare i polpastrelli sul tavolo. Con l’altra, invece, si sfregò
gli occhi.
Marco si addolcì,
gli sembrava così tenero, avrebbe voluto tenerselo tra le braccia, confortarlo,
dirgli che presto tutto sarebbe finito. Ma neanche lui
ne era così sicuro di questo.
Ma il cuore agì prima che il cervello potesse
dire qualcosa. La mano di Marco si posò cautamente su quella di Luca.
Quest’ultimo alzò lo sguardo verso il ragazzo, il quale gli
sorrise un po’ intimorito.
I due sguardi si incrociarono e si immersero in chissà quali fantasie. Se
i due ragazzi dovessero esprimere con dei colori quella strana e difficile
situazione, probabilmente utilizzerebbero colori tenui e pacati
e ne verrebbe fuori un dipinto astratto.
A spezzare
quell’imbarazzante silenzio e quel gioco di sguardi fu
la cameriera di prima.
Marco ritirò
velocemente la mano imbarazzato e iniziò a parlare con
la ragazza, facendo per l’ennesima volta i complimenti al pizzaiolo e cercando
di evitare lo sguardo curioso di Luca. Quest’ultimo, invece, rimase scosso e un
po’ meravigliato da quell’azione avventata. Si tocco la mano, quasi volesse tornare a sentire la pelle di Marco che lo sfiorava.
Poi la fissò e si accorse che tremava. Guardò dritto negli occhi Marco, ma non
poté fare a meno che distogliere lo sguardo:
l’imbarazzo di quel pranzo lo aveva offuscato. Posò nuovamente lo sguardo sulla
sua mano che ancora tremava. Ma perché tremava? Perché era in imbarazzo, o forse perché temeva che qualcuno
potesse vederli? Sicuramente per il primo motivo. Ma
perché in imbarazzo? Sì, insomma, l’aveva solo sfiorato, niente di
sconvolgente.
La ragazza partì
sicura sui suoi roller e corse velocemente tra un tavolo e l’altro, ora
raccogliendo una prenotazione, ora portando una pizza o un bel piatto di
spaghetti al pesto.
Il silenzio era
nuovamente calato sul tavolo dei due ragazzi, questo veniva
spezzato unicamente dal tintinnio delle forchette che graffiavano sopra al
piatto.
Poi sbottarono
entrambi -scusa- e così l’imbarazzo crebbe ancora.
-Oh, al diavolo!- disse Marco –mi dispiace per prima, scusami. Non dovevo- gli disse cercando di trattenere il rossore.
-No.. niente- si limitò l’altro abbassando lo sguardo.
Un quarto d’ora
dopo i due ragazzi si trovavano sul lungo-mare.
Parlavano
tranquilli di quella che era la vita all’interno della scuola che
frequentavano: un infame liceo scientifico, rinomato e altrettanto odiato.
Scherzavano
insieme imitando magari qualche professore con la quale
era praticamente impossibile trattare. Oppure il preside, un insopportabile
uomo di mezza età, basso, coi baffetti, un po’
robusto, con gli occhiali, conosciuto per la sua freddezza nei confronti di
certe classi.
Marco si
divertiva, ascoltava tutto ciò che Luca raccontava, non perdeva neanche una
minima lettera. Sembrava essere incantato dalle sue labbra che si muovevano,
dalle sue mani che gesticolavano qua e là, dalle
espressioni del viso. Luca invece, tutto intento a parlare e a spiegare cos’era
successo pochi giorni prima in classe, non faceva caso
allo sguardo che Marco aveva nei suoi confronti.
Dire ammirazione
era ancora poco, Marco provava puro amore verso il ragazzo e più lo conosceva,
più ci parlava e più capiva che Luca era speciale, era addirittura migliore di
quello che pensava.
-So che è presto
per parlarne perché ancora non ci conosciamo bene io e te- iniziò il discorso
Marco –ma come mai sei così triste? E non negare-
-Non sono triste, sto bene- mentì spudoratamente Luca cercando di
divincolarsi dal discorso.
-Ultime parole
famose. Ti prego Luca, te lo si legge in faccia che
non stai bene. Se proprio non vuoi dire la verità a me
almeno non mentire a te stesso, non fingere che tutto vada bene, perché sai
ancora meglio di me che tu soffri e non poco direi- Marco esplose –Non so che
cosa ti sta capitando, non so come ti puoi sentire, non so che pensieri hai in
mente, ma so benissimo che hai bisogno di sfogarti. E non te ne devi vergognare
accidenti, sei un uomo, ma una parte di te è rimasta ancora bambina-
I due si trovavano
ora faccia a faccia. Cento-ottanta centimetri contro i
cento-settanta scarsi di Marco.
-Se stai cercando
di farmi paura- si riferì quest’ultimo al colosso che
si ritrovava davanti –sappi che non ci stai riuscendo. Non mi
interessa se sei più grande, più alto e più forte di me. Non mi
distoglierò ora dal tuo passaggio, ma ti tenderò la mano. Non ho paura che mi
alzi le mani addosso perché ormai è pane quotidiano per me, sono abituato a
stare sotto il mirino dei più grandi. Sì lo so, non ti conosco e forse non ho
neanche il diritto di venirti a parlare in questo modo. Anche
perché rischio solo di finire in ospedale. Però
so che vuol dire stare male per qualcuno o per qualcosa e non voglio che tu
possa provare ciò che anche io ho provato. E credimi
so bene che vuol dire finire in un oblio, cadere nel vuoto senza raggiungere
una maledetta meta. Ed è proprio in quel momento lì
che speri solo di sbattere la faccia contro la terra ferma, perché è peggio,
mille volte peggio rimanere sospeso in aria e cadere in un pozzo senza fondo.
Devi solo cercare di sorridere a questo mondo malato e se non ci riesci almeno vivi per le persone che ti amano, vivi per
fare ciò che più ti piace, ma soprattutto vivi per i tuoi sogni. E fregatene se
magari ti sembra che tutto ti cada addosso, è solo apparenza e se questo non fosse allora fregatene lo stesso perché devi imparare a non
badare a ciò che ti circonda. Già devi imparare ad essere anche tu un po’
egoista e non badare a quel che ti sta attorno ma
pensa a te, unicamente a te. Hai problemi con la tua ragazza? Magari è troppo
presuntuosa? Prenditi una pausa da lei! I tuoi genitori non ti vogliono? Allora
fatti desiderare! A scuola non vai bene? Metti la testa sui libri e fa vedere
quanto vali!- il fiato veniva quasi a mancare.
Luca lo fissò, lo
squadrò, cercò di entrargli nella mente, cercò di
leggergli l’espressione che aveva sul viso. Rabbia?! No, preoccupazione. Marco
voleva bene a quel ragazzo e Luca se ne era reso
finalmente conto. Aveva trovato un amico, un amico
d’oro.
Si ritrovavano
quindi uno innanzi all’altro. Marco senza fiato, nervoso,
adirato dalla tristezza dell’altro ragazzo, intimorito da una sua eventuale
mossa, confuso per quello che aveva appena detto. Luca, invece, era più
confuso del primo, nessuno gli aveva mai parlato così, nessuno si era mai preso
cura di lui, né si era preoccupato per lui. Nessuno aveva mai osato piazzarsi
sulla sua strada e tenergli testa in questo mondo, nessuno aveva mai avuto il
coraggio di alzare la voce con lui e fronteggiarlo.
Però tutto questo
gli faceva piacere, era bello sapere che per qualcuno
contava veramente qualcosa.
Gli
sorrise. Marco si sentì
mancare a quel sorriso. Tutto per lui, solo per lui. Perché
se lo meritava. Perché era stato un buon amico.
Perché gli era stato vicino. L’unico.
-Devo ricredermi
su di te- ammise Luca –sei un buon amico.. e…- si
avvicinò al suo viso, appoggiò le labbra sulla sua guancia –hai un buon’odore-
gli disse strizzandogli l’occhiolino.
Questa era la
volta buona che Marco finiva in ospedale seriamente. Che
sensazioni, quante emozioni. Le sue labbra, dolci, morbide, avevano sfiorato la
sua guancia.
Marco portò una
mano sulla sua guancia, la sfiorò, poi portò quella stessa mano sul viso di
Luca, il quale era a due millimetri dal suo. Seguì ogni lineamento del viso
fino ad arrivare alle labbra, le sfiorò col polpastrello, le accarezzò. Poi si
fermò lì, quasi intimorito, spaventato all’idea che Luca potesse solo
rifiutarlo. Ma quest’ultimo sorrise e indietreggiò: si
voleva far desiderare.
Marco avrebbe
voluto baciarlo ma dubitava alquanto che l’altro lo
avrebbe lasciato fare. Aveva paura, sì, aveva proprio
paura. E poi ora che era lì con lui non voleva esporsi
a rischi inutili, gli sembrava già tutto perfetto così com’era, non doveva
rovinare niente, non poteva permetterselo, non ora che ce l’aveva lì con sé.
Luca puntò il
tallone a terrà, lo usò come perno e si girò dando le
spalle a Marco. Cominciò a correre, veloce, ridendo..
finalmente felice.
-Ehi rallenta, non ti sto dietro- urlò Marco cercando di
raggiungerlo con scarso successo.
Cosa pensava di fare lui in confronto a Luca,
grande atleta? (mi sembra tanto un soprannome degli
indiani. Nda)
-Vieni a prendermi
se ci riesci- gli disse invece Luca, il quale si
trovava in netto vantaggio davanti all’altro ragazzo di una decina di metri.
-No accidenti, ma
dove vai?- chiese il più piccolo fermandosi e
appoggiandosi sulle propria ginocchia esausto dalla corsa.
-Vieni
con me- lo intimidì
Luca.
Marco scese dalle
rocce che fiancheggiavano il lungo mare fino a raggiungere la spiaggia; posto
più romantico non potevano trovare.
Luca alzò le
braccia al cielo e poi lo incitò ad affrettarsi. Questo allora si fece forza e
tornò a correre verso il campione di palla nuoto.
Raggiunsero una
grotta poco illuminata e sconosciuta.
-Ma… hai detto che non conosci questo quartiere. Come fai a sapere di questa grotta?- domandò incredulo Marco.
-Boh, me ne aveva parlato Ale mi pare- spiegò vago –vabbè poco
importa, dai vieni, seguimi-.
Luca prese per mano l’altro ragazzo e lo trascinò fino al bordo
dell’acqua. Poi sciolse la presa. Marco rimase confuso ma
soprattutto si sentì esplodere il cuore. Voleva tanto riavere la mano del
ragazzo nella sua, quel calore. Ma subito riacquistò
il sorriso in viso: Luca si stava spogliando davanti a lui.
Tolse la maglietta
e mostrò il suo fisico asciutto, sfilò le scarpe saltellando su sé stesso e poi le calze. Camminava scalzo sulla sabbia,
avanti e indietro, rincorrendo e scappando via dalle onde. Poi si voltò verso
Marco.
-Che fai non vieni tu?- gli chiese.
-Io, sì arrivo-
rispose l’altro.
Marco si tolse la
camicia ben abbottonata celeste e la pose a terra poi si tolse le scarpe
sedendosi sulla spiaggia e infine le calze. Lo spettacolo che Luca aveva
davanti non era male, ma ci si poteva certo lavorare sopra.
I due raggiunsero
entrambi la riva e solo all’ora si sfilarono i
pantaloni e rimasero in slip e in boxer.
Marco era in
evidente imbarazzo mentre Luca maneggiava la
situazione come se fosse una cosa del tutto normale. Chissà quante nottate passate
insonni, con gli amici a scherzare in disco e poi al mare a mezza notte a fare il bagno nudi.
Prese il ragazzo
per mano e lo incitò a seguirlo in acqua.
Luca effettuò un tuffo talmente bello che sembrava
avere la grazia di un delfino e pinne di sirene ai piedi. Marco, invece, si faceva strada nell’acqua camminando sulla sabbia che si trovava
sul fondo e sbracciandosi tra le onde, impacciato, ancora un po’ bambino nel
suo fare.
Luca era già nel
mare aperto, si muoveva liberamente, tra una bracciata e l’altra aveva fatto suo quella distesa d’acqua ormai arancione, dipinta dal
colore del tramonto.
Marco invece si
sentiva sempre più a disagio. Con quale coraggio avrebbe rivelato all’altro
ragazzo che non era in grado di nuotare? Probabilmente l’avrebbe deriso; ma no,
Luca era troppo sensibile per fargli un torto simile.
Però che giornata, in meno di poche ore gli si
era rivoluzionata la vita e sentiva che lui poteva camminare su quell’acqua…
altro che nuotarci dentro!
Perso nei suoi
pensieri, Marco non si accorso che lì la sabbia aveva uno sprofondamento, appoggiò
male il piede e finì sott’acqua; busto e testa immersi fin in fondo.
Iniziò ad agitare
braccia e gambe, e riuscì a tornare a galla ma per
poco, quel poco che gli bastava per riprendere aria e urlare aiuto verso Luca.
Chiamatela fortuna
o chiamatelo istinto di sopravvivenza, ma Luca riuscì
a sentire le urla del ragazzo e si precipitò da lui. Nuotò come se fosse
inseguito da uno squalo fino ad arrivare dal ragazzo, quasi con affanno. Si immerse svelto e lo prese, si agganciò a lui fino a
riportarlo in superficie, poi accinse un braccio intorno al petto e lo trascinò
a riva. Lo fece sdraiare sulla sabbia, raddrizzò il capo e tirò su leggermente
il mento dopodichè gli tappò il naso e premette le sue labbra su quelle del
ragazzo. Poi mise una mano sopra l’altra, un colpo secco al cuore e una
soffiata. Due soffiate. Quelle mani ancora cercavano di rianimare quel cuore che pareva non voler battere più. Tre soffiate.
No, la vita di quel ragazzo non poteva, non doveva finire così. Quattro
soffiate…
-Riprenditi cazzo,
proprio ora che ti ho trovato- urlò Luca disperato
infilandosi le mani tra i capelli.
Marco si riprese
molto lentamente, aveva il fiatone e sputò via almeno un bicchiere mezzo pieno di acqua. Luca lo strinse a sé, premette il suo petto contro
quello del ragazzo.
-Mi hai fatto preoccupare…- ammise infine.
I would hold you in my arms
I would take the pain away
Thank you for all you've done***
“ti stringerei tra le mie
braccia
ti strapperei via il dolore
grazie per tutto quello che hai fatto”
Ed è proprio quando credi di aver toccato il cielo con un dito
che la terra ti richiama e tu cadi nuovamente verso il baratro della vita.
E ad intonare il
tuo cammino verso il fondo c’è solo un violino con due corde, suono acuto e
stridulo, e un pianoforte coi tasti rotti, stonato che
non va a tempo. La tristezza non fa altro che attanagliare il tuo cuore, quasi
ci gioca: un giorno ti lascia sognare e il giorno dopo
quel tuo cuore te lo fa sanguinare. E tutta la tua vita non fa altro che
seguire degli alti e bassi ed è come essere sulle
montagne russe; sali e scendi finché le protezioni non si staccano, tu cadi, ti
sembra di volare ma no, stai solo cadendo e poi tutto si fa nero. Niente più
emozioni, niente più sentimenti, niente più amore ma neanche tristezza e
malinconia. Tutto si fa nero. Ma se sei stato fortunato alla fine di quel tunnel potrai vedere un lume acceso, spegnilo ed esprimi il
tuo ultimo desiderio, ma sta attento a non sprecarlo. Te ne è
stato concesso uno solo, perché una sola è la vita. Sta a te scegliere ora che
farci con questo dono.
Tomorrow holds such better days
Days when I can still feel alive
When I can't wait to get outside
The world is wide, the time goes by
The tour is over, I've survived
I can't wait 'til I get home
To pass the time in my room alone**
“Ma domani saranno giorni
migliori
Giorni nei quali posso sentirmi ancora vivo
Quando non vedo l'ora di uscire
Il mondo è vasto, il tempo passa
Il tour è finito, sono sopravvissuto
Non vedo l'ora di tornare a casa
Per passare il tempo nella mia stanza da solo”
Ma a quale domani ti riferisci? Il tempo è
scaduto, non hai più la possibilità di risentire il suo fiato sul tuo collo,
non potrai più risvegliarti tra le sue braccia, non potrai
mai più vederlo sorridere.
Muori così, senza
ricevere un grazie per tutto quello che hai fatto nella vita, non un grazie per
una tua buona azione, non un grazie per le tue parole
di incoraggiamento.
A quale scopo
allora ammazzarsi di bontà se poi questa non ti viene
neanche riconosciuta? E forse è stato solo meglio così, perdere tutto,
dimenticare tutto, lasciare tutto.. Sì, forse è solo
stato meglio così.
Inizia
una nuova vita per te oggi, dove il mondo estero, però, non è compreso. Seleziona bene gli amici che
vuoi tenerti stretto, seleziona i ricordi che vuoi che
non siano mai cancellati, scegli con cura gli oggetti a te cari da tenere. E
poi percorri una nuova strada, non voltarti mai indietro, corri distrutto dal
dolore fino a raggiungere la tua nuova vita, ma questa
volta tienitela stretta, non lasciare che siano gli altri a dirti come viverla,
fai come ti pare.
Vivi
e lascia vivere…
Ma
tranquillo perché non è ancora arrivato il tuo momento, non ancora. Ringrazi Dio per averti ridato il dono
più grande che ti ha fatto. E stavolta te lo tieni stretto, o forse no..
Marco aveva visto
la morte in faccia durante una stupida nuotata pomeridiana. E
solo per orgoglio, paura, non aveva detto niente a Luca. Poteva benissimo
insegnargli a stare a galla.
Sensi di colpa lo
stringevano continuamente e la notte non dormiva perché rivedeva il visto
piangente di Luca davanti a sé. Si sentiva un mostro, uno stramaledetto
cretino. Poteva evitare benissimo di farlo stare male. Ma perché proprio ora
che stavano così bene insieme?! Ma
perché fargli del modo in un modo così subdolo? Proprio ora
che aveva più bisogno di tutti di stare bene e di sorridere!
Doveva rimediare
al danno provocato. Ma come? Certo, forse c’era un
modo per farlo!
Erano circa due
giorni che i due ragazzi si incontravano per i
corridoi dell’hotel e si limitavano solo a salutarsi. Marco ovviamente non lo
dava a notare, ma ci stava malissimo. Avrebbe voluto fermarlo lì, proprio
davanti a tutti, e urlargli che gli dispiaceva, che era mortificato, che si
sentiva uno stupido, ma l’imbarazzo era troppo grande
e la paura di una sua reazione negativa lo faceva sempre indietreggiare.
D’altra parte anche Luca avrebbe voluto stringerselo tra le braccia e non
lasciarlo più. Avrebbe voluto dirgli che lui gli era
sempre vicino, che quella volta aveva avuto seriamente paura di perderlo e che
non voleva perché si sentiva una nullità senza lui. Avrebbe voluto confessargli
che era bastato un solo giorno per innamorarsi di lui e che era lui, e solo
lui, che voleva.
Niente, niente da
fare, nessuno dei due si decideva a fare la prima mossa. Per quanto a lungo
sarebbe durata questa situazione? Per quanto tempo ancora non si sarebbero
rivolti la parola? E per quanto ancora avrebbero
rivolto lo sguardo altrove al loro passaggio?
Era il momento di
mettere in atto il suo piano.
Marco quella
mattina, esageratamente romantico come al suo solito, riempì il letto di Luca con dei petali di rose rosse, gli preparò e portò la
colazione a letto e poi gli lasciò una lettera. Tutto questo
mentre l’altro ragazzo dormiva. Pochi attimi dopo, Luca sentì la porta
chiudersi, fu allora che notò la distesa di petali che lo abbracciava,
la colazione e.. la lettera! La prese in mano era
firmata e scritta da Marco.
Inizialmente esitò
nell’aprirla, ma poi non esitò un istante nel farlo.
Caro Luca,
questi
pochi giorni trascorsi con te sono stati indimenticabili.
Potrei dire in giro che uno sfigato come me ti ha conosciuto, che tu hai parlato con me,
che tu sei stato in mia compagnia. Ma tu non sei un
oggetto di contesa. Non sei un trofeo da mostrare in vetrina. Sei un uomo, una
persona e come tale anche tu hai un cuore.
Mi hai fatto capire certe cose e da solo
probabilmente non ci sarei mai arrivato e per questo
ti ringrazio. Ultimamente mi sentivo perso, avevo sempre cattive idee per la
testa, sentivo che potevo andarmene via senza che nessuno se ne potesse
accorgere. Già, potevo morire che tanto io non contavo niente per nessuno. Avevo una vita
insignificante, io stesso mi sentivo insignificante. Essere calpestato
ogni giorno da chiunque non è piacevole. Sentivo che il filo della mia vita si
sarebbe presto spezzato. Ma poi sei arrivato tu come
un fulmine a ciel sereno e hai rivoluzionato la vita.
Mi hai dato una mano a superare questo mio
momento di crisi perché anche se involontariamente mi sei stato vicino e mi sei
stato amico. Certo, non capisco con quale coraggio sei stato con me dato che
tutti gli altri mi reputano come.. beh, sai bene come!
Però poco importa. Sei stato il primo e probabilmente
sarai l’ultimo che mi ha trattato come una persona, una persona
con dei sentimenti.
Devo però ammetterti una cosa. Quelle volte
che ci siamo sentiti così vicini, che ti ho sfiorato
la mano e poi il viso, le tue labbra e poi quando mi hai salvato la vita… avrei
voluto baciarti! Lo so, forse ora cambierai idea sul mio conto
ma non ce la faccio più a trattenermi, vorrei urlarlo al mondo intero
che mi sono innamorato di te. Sì, mi sono innamorato di un ragazzo, di un ragazzo fantastico. E chissà tu,
cosa ne penserai, chissà la tua faccia nel leggere le mie parole.
Lo so, sono confusionario nello scrivere,
l’italiano non è la mia materia forte devo ammetterlo.
Cavolo sono così
imbarazzato e sono talmente timido che non ho neanche il coraggio di dirtelo in
faccia, un vero pasticcione, eh?! Però Luca io voglio poterti amare, lasciami
questa soddisfazione e se non ti va.. beh allora
tirami un pugno in faccia, prendi e va lontano da me..
Ti a.. voglio bene!
Marco
A Luca venne un
colpo.
Un
esplosione di sensazioni
lo invase, gli fece gelare il cuore e sudare la fronte.
Sì, certo si era
accorto delle occhiatine che Marco a volte gli lanciava, si era accorto anche
che spesso gli stava appiccicato e che se riusciva gli prendeva la mano e la
stringeva nella sua.
Certi suoi sguardi
sembravano volere dire “vorrei ma non so se posso” e
quindi alla fin fine se ne stava zitto e tranquillo, lì al suo posto. Anche se Luca avrebbe voluto sapere ciò che Marco stava per
dirgli e viceversa Marco avrebbe voluto dirgli ciò che gli premeva dire.
Però in un qualche modo tutto questo portava
solo piacere a Luca. Insomma a lui queste attenzioni lo rendevano felice, si
sentiva finalmente accettato così com’era da qualcuno, senza dover indossare
quella maschera che l’aveva fatto crescere fin’ora in un mondo finto, ipocrita.
E questa sensazione lo saziava e lo faceva stare bene,
lo confortava.
Prese al volo
quella lettera se la strinse nel pugno e se la portò
al petto poi si lasciò cadere sul letto e sprofondò la testa nel cuscino.
Si fece un esame di coscienza. Cercò di capire se era solo
forte amicizia quella che provava per Marco o amore, amore
puro. Eppure lo conosceva da così poco. Certo è anche
vero che l’amore è cieco ed è capace di farti innamorare di qualcuno di cui sai solamente il nome.
L’amore è quella
cosa che ti giunge dal più profondo del cuore. Quella
che quando stai male ti fa piangere amare lacrime, e ti fa
credere che tutto sia perduto senza la persona amata. È quella cosa che quando ti entra dentro è difficile respingerla, è
difficile che questa se ne vada via da te, è difficile da ignorare. È quella
cosa che ti fa fare pazzie per la persona da te amata,
che ti farebbe andare in capo al mondo per questa persona. È quella cosa che ti
permette di essere una persona e non un oggetto. È quella cosa che ti distingue
dall’essere una persona cattiva, perché chi è innamorato non è capace di
odiare, non è capace di essere in rancore con qualcun
altro. È quella cosa che quando si spezza fa più male
di un treno in corsa quando ti arriva addosso, fa più male di mille spade
conficcate nel ventre. Ma è anche quella cosa che
quando è dentro di te, ti permette di volare tra le nuvole e camminare
sull’acqua, ti fa sentire un Dio nel tuo piccolo, ti fa sentire importante per
qualcuno.
E l’amore è la
cosa più bella di questo mondo. Non bisogna
però avere paura di essere amati, non bisogna avere paura di amare,
perché più bella cosa non c’è. E come diceva Bertrand Russel <
Bevette la
spremuta di arancia rossa che Marco aveva gentilmente
lasciato nella sua stanza, mordicchiò anche la brioche e si sdraiò nuovamente
sul letto avvolto dall’odore inconfondibile delle rose.
Ora di alzarsi:
l’orologio già segnava le undici e quindici, era tardi e lui aveva ben’altro da
fare che dormire.
Si tirò su con
fatica dal letto e si trascinò fino al bagno, fece una doccia veloce e poi si
vestì di corsa; sportivo ma non troppo. Scese nella hall
dell’hotel e cercò qualche addetto al personale, poi chiese gentilmente
informazioni su Marco. La sfortuna volle che Marco non fosse in hotel. Quest’ultimo
si trovava in spiaggia, probabilmente a riflettere sui giorni passati o
sull’azione fatta.
Luca lo raggiunse
tutto trafelato, sbracciandosi da lontano e urlando il suo nome. Marco
sentitosi chiamare si voltò svelto ma non fece in
tempo a riconoscere quella persona che gli veniva incontro, perché Luca lo
prese tra le braccia e se lo strinse forte. Iniziò a parlare, a dirgli tutto
quello che provava per lui e poi disse un ti amo
seguito da un bacio. Gli prese la mano nella sua, poi lo
fissò dritto negli occhi.
Parlava
velocissimo, mancando quasi di fiato.
-Cavolo quanto ti amo.. ed ho quasi rischiato di perderti per capirlo- ammise
Luca.
Marco e Luca si
baciarono nuovamente.
È sempre così che
va a finire. Pace ed amore regnano su tutto e tutti.
Eh, magari!
E come sempre
certe cose le si vengono a capire solo quando le si
sta per perdere.
Un gruppo di
ragazzi li accerchiò, ragazzi più grandi di loro, con
borchie, piercing e tatuaggi ovunque.
-Che si fa qui?- domandò uno di loro stringendo in mano delle
catene.
-Vi stavate mica baciando vero?- domandò un altro mollando la
moto e facendola cadere sulla sabbia.
-Niente, cavoli
nostri- rispose Luca cercando di mantenere la fermezza.
-Ei bello, non ti conviene metterti contro di noi- gli si avvicinò uno tutto
d’un pezzo.
-Che cosa stavate facendo? Luca sarai mica diventato Gay!- chiese un nuovo aggiunto al gruppo
fronteggiandosi con Luca.
-Giulio? No…- guardò triste Marco –non sono gay,
lui mi ha baciato contro la mia volontà, è lui quello
gay, mica io! Ma ti pare?!-.
Che cosa stava succedendo? Sembrava quasi che
Luca stesse negando tutto quello che prima aveva confessato a Marco. Sembrava
che la presenza di quel Giulio, probabilmente un suo conoscente, lo mettesse a
disagio.
A Marco venne a
mancare l’aria, uno di quei ragazzacci lo aveva afferrato
al collo e stringeva forte facendolo quasi soffocare. Luca rimase impassibile,
in piedi davanti all’amico che veniva mal menato da tutti.
A Marco venne da piangere. Ma il ragazzo non piangeva
dal dolore, non erano le botte quelle che facevano male.
Si domandava com’era
possibile che prima una persona ti dice ti amo e poi
questa ritira tutto e neanche ti difende nel momento del bisogno?
Niente da fare
Luca non ne voleva sapere, aveva addirittura girato il volto da un’altra parte,
probabilmente non riusciva a sostenere lo sguardo massacrato di Marco.
Dopo una decina di
minuti Marco chiuse gli occhi e non sentì più nulla,
non sentiva più dolore. Che fosse morto? No, niente da
fare, i ragazzi aveva recuperato le loro moto e se ne
erano andati via, probabilmente si erano annoiati.
Un passante, che
aveva assistito a tutti la scena, soccorse il ragazzo.
-Tranquillo, se ne
sono andati. Vedrai che andrà tutto bene- gli disse
cercando di rassicurarlo.
Marco non aveva
neanche più lacrime negli occhi, sentiva il cuore il gola
e le vene gelare.
Neanche era
iniziato questo loro amore che già era finito?!
Aveva davvero
significato così poco per Luca?
L’uomo chiamò
velocemente un’ambulanza e questa arrivò più in fretta del vento. Soccorsero
Marco, lo alzarono sulla barella e corsero velocemente nell’ospedale più
vicino.
Lividi e tagli
coprivano il suo corpo. Il dolore, però, sembrava non essere presente in lui.
Già, forse grazie agli antidolorifici, forse perché non era quello il male più
grosso che ora provava.
Il cuore… un
dolore atroce lo trafiggeva, voleva piangere, sanguinare, ma Marco non poteva piangere. Aveva permesso al suo cuore di fare entrare una
persona, di fidarsi di qualcuno: aveva sbagliato! Sì, aveva sbagliato di gran lunga; aveva sbagliato perché lui, come un
pesciolino rosso aveva abboccato alla lenza di un pescatore, era caduto in
quella trappola chiamata amore.
Luca anche aveva
sbagliato; per paura di finire male aveva preferito rinnegare il suo vero
aspetto e mentire a Marco. Aveva preferito metterlo nei casini, insinuare che
ciò che precedentemente aveva provato per Marco non
era nient’altro che una falsità, piuttosto che finire in ospedale.
Una settimana dopo
Marco venne congedato e mandato a casa. Luca non si fece vedere, lo evitò.
Aveva paura di una
sua reazione sproporzionata? Aveva paura che Marco potesse mandarlo a quel
paese? Aveva paura che gli avrebbe pianto addosso? E
se così fosse stato, come avrebbe reagito lui? Come avrebbe reagito Luca?
Luca entrò nella sua stanza, e con suo stupore un bigliettino era
stato appoggiato sul suo letto. Due parole e una strofa di una canzone:
SEMPLICEMENTE TI AMO…
“Ti lascio questa lettera,
adesso devo andare
Perdona la calligrafia da prima elementare
E ti stupisci che io provi ancora un’emozione?
Sorprenditi di nuovo perché Marco sa volare”****
Il giorno dopo sui
giornali: quattordicenne si suicida.. per amore!
Listen to your heart
when he's calling for you.
Listen to your heart
there's nothing else you can do.
I don't know where you're going
and I don't know why,
but listen to your heart
before you tell him goodbye
“Ascolta il tuo cuore
quando ti sta chiamando
ascolta il tuo cuore
non c'é nient'altro che puoi fare
non so dove stai andando
e non so perché
ma ascolta il tuo cuore
prima di dirgli addio”*****
Marco non aveva
resistito, preso da una collera di rabbia e dolore aveva scelto la strada più
veloce, quella più comoda, la scorciatoia: si era suicidato.
Sì, così, da un
momento all’altro. Aveva lasciato troppo a lungo sanguinare il suo cuore,
troppo a lungo aveva subito in silenzio, troppo a lungo aveva lasciato scorrere
le cose senza reagire.
Ora si era
ribellato, finalmente. Era passato a nuova vita. E con
questa sua azione aveva fatto più male al ragazzo che amava che a quelli che
erano stati i suoi incubi da bambino.
Che questa sia
stata una buona azione o meno per lui, i dubbi
rimangono ancora. Nessuno è capace di entrare nella mente delle persone e
potergliela leggere, anche se in molti avrebbero voluto
farlo.
-Era un ragazzo
tanto dolce-, -Sapeva solo fare del bene-, -Non credevo avessero problemi così
grossi in famiglia-, -Sapevo che era strano, ma non pensavo avesse certi
pensieri in testa-.
Queste erano le
frasi che più scorrevano tra i cittadini del paesello dove aveva abitato Marco.
Lo shock, lo stupore si affollava nella città e le voci continuarono a girare
per molto, troppo tempo.
I giornalisti
avevano dato una versione diversa dei fatti. Ma d’altronde è sempre così che
va, ognuno si inventa una propria storia, e quella
reale viene solo modificata perché ogni volta che passa di bocca in bocca, la
notizia non fa altro che ingrandirsi e cambiare.
Che si fa per amore? Cosa
diavolo si fa per amore? Che cos’è l’amore poi? E perché?
Certo l’amore è
capace di tirarti su, di farti vivere momenti indimenticabili
ma a volte può anche essere la cosa più brutta che vi possa accadere.
L’amore ti fa sragionare e quando questo se ne va è come ricevere il colpo di
grazia.
Marco come tanti
ragazzi a questo mondo è nato speciale. Già, perché
essere gay non significa essere diverso, non vuol dire
sembrare strano. Sono persone come noi, hanno dei sentimenti e se questi vengono calpestati allora è la fine.
Lo definisco
speciale perché lui non ha mai voltato le spalle al suo sesso, non ha mai
mentito al suo cuore. E chi non mente al suo cuore è
una persona forte.
Vi siete mai
chiesti quanta gente muore per amore? Quanti ragazzi si suicidano
a questo mondo a causa della loro “diversità”? No..
Ormai in molti se
ne fregano di questi particolari. Al telegiornale preferiscono addirittura far
vedere la nuova “novità” dello zoo, oppure il cagnolino caduto nelle buche,
piuttosto che la fragilità di un ragazzo omosessuale che si è
suicidato per amore.
Io dico solamente
di ragionare su questo, nient’altro..
E ora concludo con questa:
I never
thought I'd die alone
I laughed the loudest, who'd have known?
I traced the cord
back to the wall
No wonder it was never plugged in at all
I took my time, I hurried up
The choice was mine, I didn't think enough
I'm too depressed to go on
You'll be sorry when I'm gone**
“Non ho avrei mai pensato di morire da solo
Ridevo forte, chi poteva saperlo?
Ho seguito il cavo lungo il muro
Nessuna sorpresa che non fosse collegato
Mi sono preso il mio tempo, mi sono sbrigato
La scelta doveva essere mia, non ho pensato abbastanza
Ero troppo depresso per andare avanti
Tu sarai dispiaciuto quando me ne sarò andato”
* R. Kelly : I believe
I can fly
** Blink182 : Adam’s song
*** Christina
Aguilera : Hurt
**** Simone Cristicchi: Ti regalerò una rosa. L’ultima frase è stata
modificata, al posto di Marco dovrebbe esserci Antonio, ma
Marco qui l’aveva modificata in base alla sua esigenza.
***** DHT: Listen to you
Heart
FINE