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Autore: Terra    18/07/2007    2 recensioni
In quel tempo le ali distinguevano i bambini adottai dai figli naturali.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tanti giochi

Tanti giochi

 

In quel tempo le ali distinguevano i bambini adottai dai figli naturali.

Nonostante la politica delle Nazioni incentivasse l’adozione, erano ancora troppe le famiglie che preferivano limitarsi ad avere un solo figlio piuttosto che occuparsi dei Bambini di Nessuno.

Gli istituti impiantavano nei trovatelli delle ali di farfalla grandi come lenzuoli. Gli esperti sostenevano che rendere i bambini più indifesi suscitasse negli animi dei probabili genitori un misto di pena e dolcezza e fosse così più facile piazzarli.

I  “bambini alati” erano più docili dei bambini normali: le ali gli impedivano di correre o di rotolarsi a terra. Nel caso di scomparsa, era facile fornire alla Polizia Nazionale un identikit: ogni paio di ali era esclusivo. Esse venivano scelte con attenzione da un’equipe di scienziati in base alle caratteristiche fisiche del singolo. Ai bambini neri venivano impiantate ali di colori caldi, mentre ai bambini biondi venivano inserite ali color pastello. Erano disponibili anche ali d’angelo, con piume colorate di pappagallo o bianche di tortora, ma venivano impiantate solo su richiesta. Sebbene il numero di adozioni annuali fosse molto basso, il Consiglio non voleva rischiare di avere città piene di bambini-angeli. La popolazione mondiale era, infatti, per lo più atea.

Sarah e Robin avevano scelto una bambina con ali blu e rosa, con venature dorate. Sembrava proprio una fatina, con i capelli biondi lunghi, grandi azzurri, la bocca piccola, rosa, sempre un po’ contratta in una smorfia di dispetto.

<< Perché è triste?>> aveva chiesto Sarah, la mattina del ritiro, alla preside dell’istituto << Le ali le danno fastidio?>>

<< No, miss. Le ali sono parte di lei, ormai. Le porta da più di due anni. Ma Chandra è sempre stata una bambina un po’… difficile. Sono però certa che si ambienterà presto nella nuova casa e sarà una figlia perfetta. Vero Chandra?>>

La bambina aveva annuito immediatamente. Sembrava un robot.

<< Che significa Chandra?>> aveva chiesto Robin.

<< Luna, in indiano antico.>>

<< E’ un nome perfetto per una fatina!>> aveva esclamato Sarah, battendo le mani, radiosa.

Chandra aveva lasciato l’istituto per sempre, senza voltarsi. Non aveva mai avuto amici lì dentro.

Per il giorno quinto compleanno di Chandra, Sarah ordinò alla ditta Starlights uno striscione a intermittenza con scritto “Benvenuta Chandra” da poter appendere all’entrata della villa. Ma gli operai avevano scritto con i led “Benvenuta Ciandra” e Sarah pagò uno striscione inutile. Si sedette sulle scale, imbronciata, mentre i camerieri bionici le passavano davanti, impegnati con il buffet.

Quando la vide, Robin esclamò:

<< Tra poco saranno qui gli ospiti, devi andarti a cambiare. Vedrai, sarà comunque una festa bellissima!>>

<< Deve essere una festa bellissima, Robin!>> disse Sarah, fissandolo negli occhi << Voglio che tutti capiscano quanto è bello adottare un bambino e aiutare gli altri, vedere co’’è bella Chandra, com’è…normale!>>

<< Lo capiranno, ne sono sicuro. Anche senza lo striscione. Togli quel broncio adesso, basta già il faccino triste di Chandra, no?>>

Sì, la bambina bastava a rendere tutto più difficile. Chandra non si era ambientata con la nuova famiglia e con i bambini del vicinato. Non era una figlia perfetta: dopo due settimane, dormiva ancora con la luce accesa e spesso bagnava il letto, spaventata da orrendi incubi.

 Mentre gli altri bambini giocavano e facevano le Giganti Bolle, Chandra restava seduta sotto una ginko biloba, nel giardino. Neppure li guardava. Quando si avvicinava qualche adulto per accarezzarle le ali, urlava con la voce acuta di un pipistrello.

La tensione di sarah saliva minuto dopo minuto. Quando arrivò il momento del brindisi, gli invitati alzarono il calice guardando i Neo Genitori con un misto di pena e commiserazione.

<< Tanti auguri a questa coraggiosa coppia!>> gridò una collega.

<< Evviva Sarah e Robin!>>  esclamarono i presenti, annuendo.

<< Fai qualcosa, Robin!>> sussurrò Sarah, nervosa. Il marito prese in braccio Chandrala Scontrosa (facendo attenzione a non spiegazzare le ali), si alzò in piedi e disse:

<< Cari amici, non è una questione di coraggio! Finchè ci saranno mamme ci saranno bambini abbandonati. Questo ci permetterà sempre di essere persone migliori e occuparci di chi, un giorno, è stato scartato e gettato via. Prima Chandra era una Bambina di Nessuno, adesso è la nostra bambina!>>

Nella Sala di Vetro esplose un applauso caloroso, durò diversi minuti. Anche Chandra, indifferente a tutto e tutti, accennò un sorriso timido ai nuovi genitori.

Arrivò momento del regalo. La piccola fu accompagnata da Robin in una stanza buia. Gli invitati li seguivano, lentamente. Chandra cercò col piede l’interruttore della luce e apparve davanti ai suoi occhi blu uno spettacolo grandioso: tutta la stanza era piena di giochi. La moderna bambola cibernetica, l’antico gioco degli scacchi, cagnolini a energia solare, una corda per saltare, la casa delle bambole che rappresentava, in tutto, la loro villa, peluches di animali a grandezza naturale.

Chandra corse verso un carillon con delle ballerine in cristallo che ballavano su una gamba sola. Lo guardò a bocca aperta, poi vide il cagnolino e premette l’interruttore per farlo abbaiare, si voltò e con la mano libera afferrò una palla e la lanciò a un bambino che la prese al volo e la lanciò a sua madre, ridendo, mentre Chandra ammirava un Volo Pattino, afferrò una bambola e la cullò per qualche secondo, abbandonandola a terra per giocare con qualcosa altro.

Robin e Sarah la trovarono ancora lì, in mezzo ai suoi giochi, tre ore dopo, quando gli invitati erano andati via.

Sorrideva, finalmente.

<< Tesoro, dobbiamo andare a nanna!>> disse Sarah.

Chandra strinse al petto la sua Bambola Brilla, aggrottando la fronte.

<< Questi giochi sono tuoi, non te li ruba nessuno!>> disse Robin, accarezzandole la testa.

Chandra lo guardò attentamente con i suoi grandi occhi blu e trovò nella faccia dell’adulto qualcosa di convincente, perché sorrise, annuì, posò la bambola e gli diede la mano.

In corridoio Chandra crollò a terra, tutto il corpo rigido. Degli occhi si vedeva solo il bianco, dalla piccola bocca usciva un rivolo di bava e sangue. I piedi e la testa sbattevano a  terra, spasmodicamente. Sarah urlò, Robin corse a chiamare un dottore, Chandra urinò. Lentamente riprese conoscenza. Si guardò intorno. Era sdraiata in corridoio, da sola. Sarah e Robin arrivarono solo dopo una mezz’ora insieme a un uomo con un camice bianco, alto, magro, i capelli grigi, il sorriso buono. Assomigliava alla preside dell’istituto.

<< Aggiusteremo tutto, vero dottore?>> domandò Sarah. Prese la bambina in braccio ( facendo attenzione a non sgualcire le ali) e la portò sul tavolo di marmo della cucina. L’uomo la visitò a lungo con ogni tipo di macchine. Chandra vedeva luci e numeri su uno schermo. Una linea formò una montagna sul nero del computer e il dottore disse:

<< Quello che stai vedendo è il tuo cervello.>>

Infine l’uomo disse:

<< Epilessia.>>

<< Epiplettia?>> ripetè Robin.

<< No, epilessia.>> disse il dottore << Una malattia molto antica.>>

<< E come si cura?>> domandò Sarah.

<< Non esiste una cura.>>

<< Accidenti!>> gridò Robin << L’istituto ci aveva garantito che la bambina era sana!>>

Chandra si spaventò e cominciò a piangere.

<< Robin, portala di là!>> ordinò Sarah.

<< Portala tu!>> gridò Robin << Se ricomincia con…quella cosa io la sbatto al muro!>>

<< Non è il caso di agitarsi>> disse il dottore << la bambina è sana, l’epilessia è una malattia marginale, che si può inibire…>>

<> disse Sarah, pulendo il naso di Chandra che singhiozzava << La riporteremo in istituto: è ancora in garanzia.>>

Il giorno dopo tutti e tre salirono su un furgoncino a propulsione. Giunsero in fretta all’istituto, dove li aspettava la preside, davanti il Reparto Esclusi.  Lì venivano rinchiusi i bambini malati.

La maggior parte di loro non avevano mai avuto una famiglia, molti non avrebbero raggiunto l’età adulta. Erano pochi i casi di bambini riportati indietro.

Chandra non lo sapeva ancora quando scese dal furgone. Sentiva che qualcosa stava per cambiare, nella sua vita. Sarah e Robin si tenevano per mano e non la guardavano. L’autista aprì il portello posteriore del furgone mentre la porta del reparto si apriva. Uscirono bambini con ali d’uccello o di farfalla. Bambini con occhi a mandorla e pelle chiara, con il naso schiacciato, la bocca storta, le braccia corte, la pancia enorme, la pelle squamata. Si fermarono davanti il furgone e videro dentro i giochi di Chandra.

<< Tanti giochi!>> gridò un bambino, estasiato. L’autista mise tutti i giochi nei sacchi neri e li diede alla preside. Sarah e Robin salirono sul furgone senza dire una parola.

Chandra vide il furgone alzarsi in volo.Divenne rigida come un bastone e crollò a terra, rovesciò indietro gli occhi, boccheggiò, dibattendosi come un pesce fuori dall’acqua. Le ali si sporcarono di polvere e saliva.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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