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Autore: Akiho87    31/12/2012    1 recensioni
L'aveva visto starsene per conto suo tutto il tempo, in un angolo, con gli occhi grandi e profondi fissati verso l'esterno, sebbene piovesse e molto.
Cosa poteva attrarlo tanto? Cosa aveva di sì tanto coinvolgente quell'atmosfera decisamente cupa?
A lui, al contrario, piaceva il sole, da morire, quello rovente, che riscalda il corpo e anche il cuore.
Si decise ad avvicinarsi, il passo lento ma per nulla timoroso. Forse solo... non avrebbe voluto disturbarlo, ma aveva al contempo tanta voglia di parlargli. Tanta.
{Fanfiction scritta per athenachan, che mi ha chiesto una Aomine x Kise che non fosse deprimente e beh... spero di averla accontentata, prima del nuovo anno!}
-------Contest al quale la storia ha partecipato-------
Classificata al 14° posto (su 20) al "Provaci ancora! Contest" indetto da M4RT1
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Daiki Aomine, Ryouta Kise
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ringrazio chiunque leggerà e/o commenterà, sia con elogi che con critiche. 
Questa fanfiction nasce dalla voglia di un'amica, athenachan, di avere uno scritto che non risultasse angosciante e/o deprimente, qualcosa che fosse più, come dire, "rilassante", così... l'ho accontentata con qualcosa di puramente innovativo rispetto al mio solito. 

Disclaimer: i personaggi non mi appartengono. Sono protetti da copyright e di proprietà di Fujimaki Tadatoshi.

Akiho


When We Were Babies...


 
Perché ha la pelle così scura?
Se lo domandò, mentre con occhi grandi e curiosi scrutava il nuovo arrivato.
Forse viene da un altro paese... può essere, no?
Non sapeva spiegarsi quella carnagione così carica, che lasciava pensare che l'altro potesse essere uno straniero.
Non ne ebbe conferma, perché quando il compagno fu presentato, il suo nome si presentò come quello di un giapponese in piena regola e poi... anche il taglio dei suoi occhi era tipicamente orientale, quindi non poteva che essere originario del suo stesso paese.
E' alto...
Un'altra constatazione. Guardava il coetaneo e pareva analizzarlo, interiorizzando in maniera molto precisa ogni singolo dettaglio fisico o comportamentale che riuscisse a scrutare e/o intuire.
Daiki... si ripeté mentalmente il suo nome, una, due, tre volte, come non desiderasse in alcun modo dimenticarlo Aomine... Daiki...
E trascorse un'ora.
L'aveva visto starsene per conto suo tutto il tempo, in un angolo, con gli occhi grandi e profondi fissati verso l'esterno, sebbene piovesse e molto.
Cosa poteva attrarlo tanto? Cosa aveva di sì tanto coinvolgente quell'atmosfera decisamente cupa?
A lui, al contrario, piaceva il sole, da morire, quello rovente, che riscalda il corpo e anche il cuore.
Si decise ad avvicinarsi, il passo lento ma per nulla timoroso. Forse solo... non avrebbe voluto disturbarlo, ma aveva al contempo tanta voglia di parlargli. Tanta.
"Piacere, Dai-chan! Io sono Ryouta! K-i-s-e R-y-o-u-t-a"
Scandì bene nome e cognome per far sì che l'altro potesse cogliere tutto in maniera chiara e precisa e lo vide voltarsi appena, degnandolo di un accennato sguardo, contrariato per di più, il che fece decisamente rabbrividire il biondino.
"Non chiamarmi più in quel modo. Moccioso!"
Ignorò la mano che Ryouta gli aveva allungato e tornò ai suoi pensieri.
"Moccioso?! Perché mi hai chiamato così??" inveì il biondo, ritirando la mano e stringendosela al petto, stretta in un piccolo e serrato pugno "Anche tu sei moccioso, ecco! Io ho cinque anni" aggiunse poi, allargando l'altra mano e mettendogliela davanti, ben in vista "Così!" disse ancora, mostrandogli sempre con maggior chiarezza le dita "Tu hai più anni?"
Daiki non parve interessato alla conversazione, seguitando ad ignorare Ryouta e guardando nella sua direzione per un momento e solo con la coda dell'occhio.
Il biondino aveva le sopracciglia chiare decisamente aggrottate, perché si era sentito insultare e la cosa proprio non gli era andata giù, ma non ricevendo risposta di alcun tipo, divenne insistente e si parò praticamente davanti all'altro, frapponendosi tra questi e il vetro della grande porta scorrevole dell'aula giochi.
"Voglio giocare con te!" gli disse il biondino con le mani spinte coi dorsi contro i fianchi e uno sguardo deciso.
"Io no" sbuffò Daiki, lasciando ondeggiare leggermente i corti capelli scuri e scrutando il compagno con occhi feroci, freddi, forse troppo davvero per un bimbo di soli cinque anni.
"Vieni, Dai-chan, vieniiii!!" lo esortò, invece, Ryouta, che pareva non aver proprio capito l'antifona e, al contrario, aveva allungato le braccia in avanti, serrando entrambe le piccole mani attorno al polso di una di quelle di Daiki.
Il risultato fu scontato: il nuovo arrivato oppose resistenza e quel tira e molla si concluse irrimediabilmente con una brutta caduta di Ryouta, in avanti, che portò la maestra ad accorrere e poi sgridare abbastanza il moretto.
Daiki non avrebbe voluto vedere il compagno a capitombolare per terra e per qualche istante, sussultò e restò a fissarlo in silenzio, per poi evitare di reagire al rimprovero, aggrottando solo leggermente le sopracciglia.
"Non è stato Dai-chan!" Ryouta si rimise completamente in piedi e si scosse leggermente le ginocchia con le mani, puntando gli occhioni prima su Daiki e poi rivolgendosi alla maestra "Io volevo farlo giocare per forza con me, lui non voleva" spiegò più chiaramente il biondino "Dai-chan, non ha fatto niente" disse ancora, con due piccoli lacrimoni agli angoli degli occhi.
Per la prima volta, Daiki non risultò infastidito da quel Dai-chan che, in genere, proprio non sopportava.
Nei giorni successivi, il moretto aveva seguitato a starsene per conto suo e ad evitare ogni sorta di amicizia: non giocava mai con nessuno degli altri compagni e, anzi, tendeva alla più totale solitudine e ad un quasi assoluto silenzio... eccetto che quando si trovava Ryouta davanti, che ogni mattina lo irradiava letteralmente col suo meraviglioso sorriso.
Daiki non mostrava quel che provava, evitava di palesare qualunque genere di emozione, ma almeno con se stesso fu in grado di ammettere che quel faccino sorridente lo metteva decisamente di buon umore e gli piaceva tanto.
Spiccicava qualche parola - spesso dura - a fronte della continua insistenza dell'altro, che pareva essersi fissato con lui e non volerlo lasciare in pace, finché... non aveva acconsentito a giocare col compagno, più che altro a spingersi a vicenda sull'altalena.
E poi... arrivò quel momento.
Il moretto dovette rinunciare all'asilo per qualche giorno a causa di una leggera influenza e fu in quel breve lasso di tempo che un gruppetto di tre-quattro bambini più grandi cominciò a prendere di mira Ryouta.
"Stai sempre con Ao-chan!" esclamò uno, puntandogli il dito indice contro, dopo aver spinto il biondino contro il muro di una zona un po' più isolata del giardino dell'asilo.
"E' vero! Io l'ho visto tante volte con lui!" disse un altro, in tono decisamente accusatorio e, al contempo, servile nei confronti del primo che aveva parlato.
"Non è che sei finocchio?" domandò, in maniera palesemente denigratoria, un terzo bambino, avanzando verso Ryouta, che conosceva quella parola - e il suo significato - perché una volta aveva sentito parlare così un suo vicino di casa che andava già al liceo e a cui, poi, timidamente, aveva chiesto cosa volesse dire.
"Io... io... io non sono finocchio, capito?!" ribatté Ryouta, cercando di trattenere le lacrime tanto per orgoglio, per non darla vinta a quelli che ormai l'avevano praticamente accerchiato, tenendo le sopracciglia per quanto possibile aggrottate, uno sguardo aperto, di sfida.
"Ahah, sentitelo il moscerino!" il quarto dei bambini - un tipo cicciotto e dall'aria decisamente poco rassicurante - si fece avanti, ridendo sarcasticamente "Non è finocchio però sta sempre attaccato a quel Daiki-kun!" continuò ad inveire, avanzando ancora "E poi, ieri ti ho visto, mentre avevate le facce incollate!"
"Eeeehh??! Le facce incollate??" ribatté un altro.
"Proprio così! Stavano con le facce appiccicate! Quando l'ho chiesto a mio fratello, ha detto che con le facce in quel modo si fanno i bambini!" rincarò la dose il bimbo cicciotto.
"No, non è vero!" esclamò Ryouta, ormai sull'orlo di una crisi di pianto, ma deciso a non farsi cogliere in fallo dagli altri bambini.
"Sì, invece! Nii-chan non dice mai le bugie, lui è grande, va all'università!"
Ormai il biondino si sentiva attorniato non solo dai compagni, fisicamente, ma anche da quei commenti e quelle rivelazioni.
Ma lui non aveva mai tenuto la faccia appiccicata a quella di Dai-chan, quindi non poteva avere bambini!
Poi, però, si ricordo di una cosa accaduta il giorno precedente...
 
"Dai-chaaaaaan!!"
Era corso incontro al moretto, appena dopo essere caduto dall'altalena, cominciando a piangere e lamentando un dolore all'occhio, probabilmente perché gli era entrato qualcosa nell'occhio sinistro.
"Forza, fammi vedere" gli aveva risposto Daiki, risoluto come sempre, riuscendo infine a dare sollievo al compagno e conquistandosi un sorriso del biondino, che poi l'aveva abbracciato calorosamente.
 
Se Kota-chan aveva assistito a quella scena, da lontano, di sicuro aveva frainteso.
 
La mattina che Daiki fu nuovamente nelle condizioni di tornare all'asilo, il biondino se ne stava in un angolo, all'ombra del grande albero che era in giardino, tutto rannicchiato e pensieroso, invece di andargli incontro come faceva ogni volta che lo vedeva arrivare.
Il moretto si stupì di quel comportamento, ma non disse nulla, non chiese nulla e gli si avvicinò in silenzio, per poi incontrare - finalmente - i suoi occhi: Ryouta non sorrideva. Perché?
"Febbre" sentenziò semplicemente, dandogli dunque ad intendere la ragione per cui era stato assente; Ryouta, però, non si voltò nemmeno a guardare il compagno, mugolando appena, come in un'affermazione che dava ad intendere che avesse capito.
Strano... pensò Daiki, ma - come al solito - ancora una volta mantenne un quasi irrespirabile silenzio.
Fu solo nel primo pomeriggio, circa due ore prima che ci fosse l'uscita, che il moretto, notata l'assenza di Ryouta, si mise istintivamente a cercarlo: l'aveva perso solo per un istante, come aveva fatto Ryouta a dileguarsi senza lasciare traccia?!
Non mi ha parlato per tutto il tempo... si continuava a ripetere, sottolineando, quindi, quanto quel comportamento del compagno l'avesse, in qualche modo, scosso e forse anche disturbato.
"Allora, Ki-chan, che mi dai, oggi?"
Udì una voce, al momento non familiare, e continuò a seguire quel suono fino al retro del giardino dell'asilo.
"Ecco... io... ho questo..."
Il biondino, timoroso, allungò al più grande qualcosa che si materializzò agli occhi dell'altro come un invitante lecca-lecca al gusto di fragola.
Il bambino glielo strappò letteralmente e gli altri due che erano con lui si avvicinarono un attimo dopo.
"E per noi?" domandò il più basso dei due.
"Già, per noi? Devi dare un lecca-lecca pure a noi!"
Il biondino li guardò smarrito: era da quella mattina che non facevano che farsi portare da Ryouta ogni sorta di cosa, affinché non continuassero a deriderlo e chiamarlo finocchio, soprattutto davanti a Dai-chan, quando fosse tornato.
Ryouta non voleva che quei bulletti lo prendessero in giro davanti a Daiki, non voleva che Daiki pensasse male di lui!
"Io non... ho più niente..." mormorò, intimidito, ma tentando di farsi forza e non mostrare eccessiva debolezza.
"Se non ci dai qualcosa... allora ce la prendiamo noi!" ribatté il più agguerrito dei due che erano rimasti tagliati fuori dalla consegna di Ryouta.
"Ken-chan, tienilo fermo! Gli tolgo subito i pantaloncini!" rise l'altro, con fare cattivo "Vediamo, così, se non hai niente più, in tasca!"
"No, lasciami stareee!!" esclamò di colpo il biondino, non appena uno dei tre l'ebbe riuscito a tener fermo per un braccio e un altro si avvicinava per poi tirargli giù i pantaloncini e lasciargli scoperta la parte inferiore del corpo, fasciata solo da un paio di piccole mutande bianche e con un panda stampato sul sedere.
Tutti cominciarono a ridere di gusto, mentre Ryouta cercava, inutilmente, di divincolarsi, palesemente in imbarazzo, tra l'altro.
"Che state facendo?!"
Una voce non troppo corposa, ma comunque minacciosa, richiamò l'attenzione dei piccoli bulli, che voltatisi simultaneamente si trovarono a fronteggiare un Daiki decisamente infuriato.
"E tu che vuoi?!" ribatté il bimbo cicciotto, gonfiando di proposito le guance.
"Toglietevi!" sibilò Daiki, caricando già la mano destra a pugno.
Non era un bambino violento, in realtà, ma non si faceva di certo metter sotto, e certamente non avrebbe lasciato il biondino solo, in quella circostanza e in quelle condizioni.
Non impiegò molto a far ricadere i tre bulletti in lacrime, intimando loro di non osare mai più sfiorare Ryouta con un solo dito.
Non appena furono rimasti da soli, Daiki si mosse verso il compagno e vedendolo troppo scosso, lo aiutò a rimettere i pantaloncini senza fare commenti su quelgrazioso panda.
"Io... iooooo..."
Ryouta, di colpo, portatosi entrambe le mani agli occhi, debolmente a mo di pugno, cominciò a piangere quasi disperato, inconsolabile.
"Aha, non piangere" gli disse Daiki, protendendo la mano destra verso il capo del compagno e facendogli una leggera carezza tra i capelli.
Il biondino tirò su col naso, allontanò le mani dagli occhi, ma continuò a piangere ancora per un po', così Daiki, senza pensarci troppo su, protese il viso verso quello di Ryouta e si trovò a schiudere le labbra per catturare quelle dell'altro, mentre il compagno smetteva di piangere all'istante, allargava le iridi in segno di profondo stupore e contemporaneamente arrossiva come un peperone.
"Oh, hai smesso" constatò il moretto, una volta tiratosi indietro col viso "Meno male" aggiunse, sospirando impercettibilmente.
"Ah..." mormorò il biondino, ancora stupito e incredulo, per poi sbiancare di colpo "IO NON VOGLIO FARE UN BAMBINOOOOOOO!!!"
   
 
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