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Autore: Maharet    01/01/2013    2 recensioni
Aveva raccolto in fretta le sue cose, i pochi abiti che aveva portato con sé quando si era trasferito da lui. Non aveva neppure toccato quelli che gli aveva regalato lo stregone in quei mesi, e che nonostante tutto non sentiva ancora totalmente suoi. E non sarebbe accaduto mai più.
Mai più.
Due semplici, banali parole. Com’era possibile che facessero così male?
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Crumbs of Malec'
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L’appartamento di Magnus era silenzioso ed immerso nella penombra del crepuscolo.

Aveva impiegato ore a trovare il coraggio di fare quello che gli era stato chiesto, e fino all’ultimo aveva comunque sperato che lui sarebbe stato lì ad aspettarlo, con il suo solito sorrisetto ironico sul volto, dicendogli che era stato tutto uno scherzo e che era davvero uno stupido ad esserci cascato.

Ovviamente lui non c’era.

Aveva raccolto in fretta le sue cose, i pochi abiti che aveva portato con sé quando si era trasferito da lui. Non aveva neppure toccato quelli che gli aveva regalato lo stregone in quei mesi, e che nonostante tutto non sentiva ancora totalmente suoi. E non sarebbe accaduto mai più.

Mai più.

Due semplici, banali parole. Com’era possibile che facessero così male?

Si soffermò a pensare a quanto avrebbero dovuto fare più male a Magnus. Per Alec significavano un numero finito di anni. Per Magnus erano l’eternità.

Forse era proprio questo a dividerli. Non il fatto che Magnus sarebbe vissuto per sempre, ma la consapevolezza che avesse già amato e perso così tante volte da sapere esattamente cosa aspettarsi da un addio.

Mai più.

Per Alec non era così. Non aveva mai neppure immaginato quella sgradevole sensazione che qualcosa di viscido e gelido scorresse sotto la sua pelle, stringendogli lo stomaco in una morsa.

Pensava che l’amore risolvesse tutto. Nonostante tutto ciò che aveva visto in quegli anni, aveva mantenuto una sorta di ingenuo ottimismo, la certezza che se due persone si amavano davvero avrebbero superato insieme qualsiasi difficoltà. Per Jace e Clary era stato così, l l’Angelo sapeva quanto avessero sofferto per arrivare a ciò che erano ora.

Mai più.

Forse, realizzava solo in quel frangente, ci sono cose che neppure l’amore può superare. Incontrare in segreto una vampira centenaria per farsi spiegare come rendere mortale il proprio ragazzo, ad esempio. Neppure Alec riusciva a perdonare sé stesso, come poteva anche solo sperare che lo facesse Magnus?

Aveva ascoltato la voce suadente del serpente, senza nemmeno accorgersi che lo stava avvolgendo nelle sue spire. Ed era stato cacciato dal Paradiso Terrestre.

Mai più.

Era così che si sentiva ora. Esiliato.

Si sedette sul divano, prendendosi la testa tra le mani. Non sarebbe più stato il ‘loro’ divano. Non avrebbero più passato la serata accoccolati su di esso a guardare un film, con una ciotola di popcorn al burro sulle ginocchia. Non avrebbero più perso la fine del film per qualcosa di decisamente più interessante.

Mai più.

Avvertì una leggera pressione sulla gamba, e sollevando il volto si trovò a fissare gli occhi curiosi del Presidente Miao. Aveva appoggiato una zampetta contro la sua coscia, come a chiedere il permesso di salire in braccio a lui. Scrollò la testa, sorridendo amaramente.

“Sì piccolo, mi mancherai anche tu…”

Sussurrò lasciando che salisse sulle sue gambe, acciambellandosi pigramente ed iniziando a fare le fusa.

Mai più.

Quando il gatto si addormentò lo sollevò con delicatezza, posandolo sulla coperta piegata accanto al bracciolo, attento a non svegliarlo.

Si avvicinò all’armadietto dei liquori e versò in un bicchiere una dose generosa di rum. Non aveva mai amato gli alcolici, ma quella sera ne sentiva decisamente il bisogno. Lo trangugiò tutto d’un fiato, tossendo forte quando l’alcool scese lungo l’esofago. Ma almeno, per un breve istante, la morsa gelida che gli stringeva il petto parve allentarsi.

Ripose la bottiglia e si guardò intorno un’ultima volta prima di sollevare la valigia e abbandonare il suo mazzo di chiavi sul tavolo dell’ingresso.
Si chiuse la porta alle spalle senza una parola, mentre dolorosamente tentava di metabolizzare il ricordo di quell’appartamento che non avrebbe più potuto chiamare casa.

Mai più.
   
 
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