Girai la maniglia ed entrai.
L'aria fredda entrava dalla finestra semiaperta. Feci strusciare i miei piedi nudi sul pavimento ghiacciato fino allo specchio e poggiai i gomiti sul marmo del lavandino, un brivido mi percorse quando i miei occhi scivolarono sulle braccia. Deglutii e alzai la manica della maglietta fino a che furono tutti visibili. Dal primo all'ultimo. I tagli salivano fin tutto l'avambraccio. Cicatrizzati. Una lacrima rigō le mie guance e cadde proprio lė, mi asciugai gli occhi con la manica del braccio sinistro e li guardai, dritto nello specchio. Contemplai il vuoto in cui ogni persona che avrebbe guardato lė dentro sarebbe caduta e abbassai lo sguardo. Strinsi i pugni e aprii il cassetto. La presi in mano e la guardai sconfitta, con odio, ma allo stesso tempo disperazione per il fatto che sembrava quasi ricordarmi il fatto che mi era mancata. Che nonostante tutti i miei sforzi di andare avanti, avevo riafferrato in mano la mia rovina. Feci scorrere la lama sul braccio e, mordendomi il labbro, scelsi una cicatrice e senza pensarci affondai la lama nella carne. Il braccio si irrigidė e gli occhi si inondarono di lacrime, ma il dolore non era niente a confronto dei ricordi che scorrevano nella mia testa e che quel sangue, colato sul mio braccio, rendeva pių vivi che mai. Gettai la lama nel lavandino e la sciacquai, colorando l'acqua di un rosso sangue, impastandola con le mie lacrime. Sono sempre cosė orribili, i miei ricordi, ma infondo sono solo cicatrici impresse sul cuore, nella memoria, e sul corpo. |